“Il Clima. Chi l’avrebbe mai detto. Le mega multinazionali e i mega miliardari già dietro la globalizzazione dell’economia del mondo, la cui ricerca del massimo valore azionario e della riduzione dei costi hanno arrecato tanti danni al nostro ambiente sia nel mondo industrializzato sia alle economie sotto-sviluppate di Africa, Asia, America Latina, sono oggi i principali sostenitori del movimento “dal basso” per la decarbonizzazione, dalla Svezia alla Germania, agli USA, UE e oltre. Effetto di improvvisi sensi di colpa o potrebbe esserci un’agenda più profonda per la finanziarizzazione dell’aria che respiriamo, e più ancora? “.
Così esordisce ironicamente il pur controverso Willam Engdahl, “analista specialista in questioni energetiche e geopolitiche” che i suoi detrattori bollano come “scrittore americano cospirazionista”.
In un post peraltro ben documentato, sia pure controcorrente, getta luce – e ombre – sul cosiddetto Green New Deal: i piani per una ‘economia sostenibile’ di cui sempre più spesso si parla. Post rilanciato da Global Research, sito canadese alternativo ma serio e con moltissimi collaboratori, ma in origine pubblicato da NEO, sito di analisi e notizie che detrattori come EUvsDisinfo.eu (niente a che vedere con l’UE) sostengono sia gestito dall’Istituto di Scienze Orientali dell’Accademia delle Scienze Russa, e comunque ispirato dalla Russia: che da grande esportatrice di gas e petrolio, va aggiunto, non è affatto impegnata sul cambiamento climatico. Precisazioni necessarie.
Che il clima della terra stia mutando sia una realtà è innegabile, le conseguenze le stiamo già vivendo, le divergenze riguardano caso mai il peso del fattore umano e la velocità del cambiamento in atto. Che delle azioni vadano messe in campo è in ogni caso auspicabile. Ma quali azioni? Da parte di chi, con quali effetti e quali costi per i cittadini?
Engdhal non entra nel merito. Analizza invece la Finanza Green, i suoi protagonisti, i suoi recenti ‘testimonial’, la svedese Greta Thunberg e l’americana Alexandria Ocasio-Cortez, e la ‘vera agenda economica’ che a suo dire sta dietro a tutto questo affaccendarsi. Incrociando altri post simili. Dubbi da respingere nell’emergenza in cui siamo proiettati? Complottismi? Accettiamo il rischio.
Più che complottista l’autore ci appare assai scettico. <Qualunque cosa si pensi dei pericoli della CO2 e del rischio che il riscaldamento climatico provochi la catastrofe globale di un aumento della temperatura da 1.5° a 2°, vale la pena di mettere in luce chi sta promuovendo l’attuale flusso di propaganda e di attivismo climatico>, conclude nella premessa. Dubitando però dei reali interessi di tali ‘benefattori’. Magari sbaglia. E tuttavia vedremo come tanto attivismo per ora non sembri produrre grandi effetti nel mitigare il cambiamento climatico in atto che allarma tanti giovani nel mondo. E non solo loro.
LA FINANZA GREEN. <I giganti della finanza hanno cominciato a individuare schemi su come convogliare centinaia di miliardi di futuri fondi in investimenti “green”- in società spesso prive di un valore“climatico”, aggiunge Engdahl – già da qualche anno, ben prima che Al Gore e altri decidessero di usare una giovane studentessa Svedese come manifesto di un’urgenza climatica e dell’appello di Alexandria Ocasio-Cortez per riorganizzare l’economia intorno a un Green New Deal>.
2013. La Climate Bonds Initiative, CBI ,charity creata a Londra. <Dopo anni di attenta preparazione una società immobiliare Svedese, Vasakronan, in marzo emette il primo corporate Green Bond – obbligazione verde – seguita da altri come Apple, SNFC (società delle ferrovie francesi) e Credit Agricole. In novembre Tesla Energy emette il primo derivato solare>.
Il sito della CBI è ancora più preciso. Scrive. <Il mercato dei green bonds parte nel 2007 con una emissione da parte di istituzioni multilaterali come BEI – Banca Europea degli Investimenti e Banca Mondiale. Ma decolla solo nel marzo 2013 dopo che il primo miliardo di dollari viene venduto a un’ora dall’emissione da parte dell’IFC- International Financial Corporation>. La svolta avviene in novembre con l’emissione dei bonds Vasakronan (di cui sopra). Seguita da SNFC, Apple, Credit Agricole ma anche Berlin Hyp (grande banca immobiliare tedesca), Engie (energetica francese), ICBC – Industrial and Commercial Bank of China. Si sottolinea come nel mercato dei green bonds siano entrati Stati e province americani, Città come Johannesburg, una provincia Argentina, governi locali vari e sempre più numerosi. Il primo derivato solare emesso da Tesla Energy è stato seguito da altri derivati verdi, ad averne emessi più di tutti è Fannie Mae, la società federale americana di mutui a suo tempo coinvolta della crisi del 2008. All’iniziativa aderisce anche Borsa Italiana.
<Secondo Climate Bonds Initiative i più di $ 500 miliardi di green bonds di oggi sono considerevoli>. I creatori dell’idea dichiarano che il loro scopo è conquistare una grande quota dei $45 trilioni (45.000 miliardi) di assets gestiti globalmente indirizzandoli verso entità che si sono nominalmente impegnate a investire in “progetti climate friendly” >, scrive Engdahl.
<Pubblicamente impegnati in investimenti climatici e responsabili>, precisa CBI, secondo la quale i Greens Bonds possono aiutarli a soddisfare tali impegni>. La CBI enfatizza l’enorme domanda per queste obbligazioni verdi- che a differenza delle obbligazioni normali promettono un uso specifico dei proventi – le cui sottoscrizioni sono superiori alle emissioni. Ma chi sono i maggiori investitori?
A guardare gli esempi citati dalla stessa CBI, viene in realtà qualche dubbio: si parte infatti da megainvestitori istituzionali come State Street e BlackRock – due dei decisivi azionisti delle prime megabanche del mondo e partecipi in molte altre banche e aziende, il secondo è uno dei maggiori gestori globali di assets, pari a $7 trilioni; AXA e Aviva, due delle più grandi compagnie di assicurazioni globali e di gestione di fondi, Amundi che gestisce anche fondi pensione, controllata da Credit Agricole. E poi Mirova e Actiam, sempre gestori di assets, e la banca d’affari francese Natixis. In un’altra categoria troviamo Apple e Barclays, megabanca britannica. Quindi governativi come la Banca Centrale del Perù e il Tesoro della California. Infine vengono citate sottoscrizioni da parte di investitori al dettaglio (di risparmiatori) come International Finance Corporation, Tesla Energy attraverso Incapital, investitore in prodotti a rischio, e la stessa Banca Mondiale che si avvale di Merril Lynch e Morgan Stanley.
Tutti folgorati dalla CO2 e convertiti al bene climatico dell’umanità?
2015. Ma torniamo a Engdalh, che racconta come a promuovere “strumenti finanziari verdi”, primi fra i quali i Green Bonds, siano stati il principe Carlo d’Inghilterra, futuro monarca [e noto ambientalista], la Bank of England, banca centrale britannica, e la City of London, il cuore della finanza globale. Con lo scopo di re-indirizzare i piani pensionistici e i fondi comuni di investimento verso progetti Green. Un ruolo chiave nel collegare le istituzioni finanziarie lo ebbe Mark Carney, che nel 2015 presiedeva il Financial Stability Board della BRI (la Banca dei Regolamenti Internazionali, BIS in inglese (bis.org, nota come “la Banca delle Banche Centrali”, che riferisce anche al G20) quando a dicembre 2015 proprio il Financial Stability Board dette vita alla Task Force on Climate related Financial Disclosure o TCFD, (qui in it) tradotto: Task Force per la ‘divulgazione’ finanziaria relativa al clima, per consigliare investitori, prestatori e assicurazioni sui rischi connessi al clima. <Un tema assai bizzarro per delle banche centrali>, osserva Engdahl.
Nel 2016 la TCFD, insieme alla City of London Corporation e al governo britannico hanno iniziato la Green Finance Initiative, per incanalare trilioni di dollari in investimenti ‘green’. E i banchieri centrali del Financial Stability Board hanno nominato le 31 persone della Task Force. Questa, presieduta da Michael Bloomberg, il multimiliardario fondatore dell’agenzia di notizie finanziarie e già sindaco Rep di New York, che oggi aspira a candidarsi per i Dem alla presidenza Usa, comprende persone provenienti da JP Morgan, BlackRock, Barclays Bank, HSBC- la banca di Londra e Hong Kong più volte multata per riciclaggio di fondi neri e della droga – Swiss Re, assicurazioni seconde al mondo, Tata Steel (mega gruppo Indiano), Dow Chemical, ENI Oil (la nostra ENI), il gigante minerario BHP Billington e David Blood della Al Gore’s Generation Investment LLC.
Nel luglio 2019. Carney, oggi governatore della Bank of England, è stato anche un attore chiave nello spingere la City di Londra nel cuore della finanza green. Il Cancelliere dello Scacchiere uscente Philip Hammond ha pubblicato un Libro Bianco intitolato ‘Strategia della Finanza Verde: trasformare la Finanza per un Futuro Verde’ in cui sottolinea che “una delle più influenti iniziative emergenti è il settore privato (?) del Financial Stability Board, la Task Force per la divulgazione Finanziaria collegata al Clima [la TCFD di cui sopra] sostenuta da Mark Carney e presieduta da Michael Bloomberg. Questa – aggiunge – è appoggiata da istituzioni che rappresentano $118 trilioni di assets globalmente”.
<Sembra esserci un piano >, osserva a questo punto Engdahl. Secondo lui si tratterebbe di <un piano per la ‘finanziarizzazione’ dell’intera economia mondiale usando la paura e lo scenario di una fine del mondo per raggiungere scopi – a suo dire arbitrari – come “l’emissione zero dei gas serra”>. E’ davvero così? Ne discuteremo alla fine.
Certo, il sostegno alla Task Force -TCFD da parte di ben 898 organizzazioni, quasi raddoppiato nel 2019 dopo l’One Planet Summit di New York del settembre 2018, è significativo ma anche sintomatico. Scorrendo il lunghissimo elenco spiccano tutte le megabanche e i megainvestitori istituzionali (i BlackRock, State Street, più Vanguard e Fidelity ), ancora banche, banche d’affari e gestori di assets di molti paesi- compresa la China Assets Management – e assicurazioni, fondi pensione privati, servizi finanziari, più un gran numero di corporations, compagnie aeree, società petrolifere, di automotive, informatica, energia e gas, acciao (anche Arcelor Mittal); presente il settore pubblico, con autorità di controllo e governi. Molto USA, Europa e Giappone ma anche Cina. Per l’Italia: Intesa SanPaolo, Borsa italiana, Leonardo, Snam.
Engdahl a questo punto sottolinea il ruolo chiave di Goldman Sachs – Carney come del resto Draghi sono ex Goldman- la megabanca più politica e controversa – che ha appena pubblicato il primo Global Index delle principali azioni ambientali, elaborato con il CDP- già Carbon Disclosure Project, tra i cui finanziatori compaiono JPMorgan, HSBC, Merril Linch,Bank of America, Goldman Sachs, State Street – i soliti, insomma.
<Il nuovo indice chiamato CDP Environment EW e CDP Europa EW, ha lo scopo di attrarre fondi di investimento e sistemi pensionistici statali e indurli ad investire in società scelte accuratamente. Fra le compagnie incluse nell’Indice troviamo Alphabet che possiede Google, Microsoft, ING Group, Philips, Danone … e ovviamente Goldman Sachs>.
Precisamo che il Carbon Disclosure Project, Ong basata a Londra – tanto er cambiare – era nato nel 2010, aveva iniziato chiedendo alle maggiori aziende del mondo di condividere informazioni sulle loro emissioni di CO2 e delle azioni intraprese per gestirle, l’82% aveva risposto, ma il progetto che mirava a creare incentivi finanziari era stato molto criticato e non era poi decollato. Ha quindi cambiato strada.
GRETA e ALEXANDRIA. <A questo punto entrano in scena gli attivisti del clima, la 16enne svedese Greta Thunberg e la 29enne Alexandria Ocasio-Cortez che lancia il Green New Deal. Per quanto possano entrambe essere sincere, dietro a loro c’è una ben oliata macchina finanziaria e mediatica che le promuove>, afferma Engdahl.
E’ il “fenomeno Greta”, andata a parlare al recente Summit sul Clima dell’ONU dopo che le mobilitazioni globali suscitate dal suo Friday for Future hanno riempito le piazze di milioni – letteralmente – di giovani e giovanissimi in ogni angolo del pianeta. Cronologia delle proteste, eventi, numeri, adesioni nel puntuale School Strike for the Climate di Wikipedia.
Engdahl però non ne accenna. Racconta invece come la giovane svedese faccia parte di un network ben strutturato collegato all’organizzazione di Al Gore – il candidato Dem alla presidenza Usa nel 2000, sconfitto da Bush – da anni attivo finanziariamente in campo ambientale, presidente del Generation Investment Group LLC. Il suo partner David Blood, ex Goldman anche lui, è un membro della Task Force TCFD di cui sopra creata dalla Banca Internazionale dei Regolamenti . <Greta e il suo amico del clima, il 17enne Jaime Margolin, sono entrambi “giovani consiglieri speciali e membri del consiglio di amministrazione “della Ong Svedese We don’t have time fondata dal suo direttore esecutivo Ingmar Rentzhog. Il quale è membro del Climate Reality Organization Leaders di Al Gore e fa parte dell’European Climate Policy Task Force. Venne addestrato da Al Gore nel marzo 2017 e a Berlino nel giugno 2018. We don’t have time è partner del Climate Reality Project di Al Gore> (con tutte queste organizzazioni c’è da perdersi).
Il nostro autore ricorda questi legami di Greta, rimandando ai post della canadese Cory Morningstar, citati a lungo dal blog italiano Valigia Blu ma per criticarli purendendosela col Messaggero, raro foglio italiano non di destra (come la Verità, ripreso da Dagospia, molto più fazioso, e Libero, anche recentemente) ad aver dato spazio ai dubbi sulla ‘spontaneità’ del fenomeno Greta davanti al clamore mediatico suscitato. “Quelle connessioni – pur reali, ammetteValigia Blu – sarebbero la prova che dietro il fenomeno Greta ci sarebbe una campagna orchestrata da grandi società e organizzazioni che cercano di spostare fondi nell’industria del clima grazie a una narrazione catastrofista secondo la quale ‘non abbiamo tempo’, la catastrofe umanitaria è imminente. Ma è vermente così?” Si chiede. E risponde di no, bollando i critici di complottismo.
Aggiungiamo che altri post come quello di Tony Cartalucci, sul controverso NEO (vedi sopra) ma solitamente attendibile, punta il dito sui sostenitori e finanziatori di Fridays for Future : oltre ad Amnesty, Greenpeace,WWF – ovvii – vi sarebbe 350.org, a sua volta supportata da 200 diverse fondazioni fra le quali spicca la Oak Foundation dietro la quale si muoverebbero l’immancabile George Soros con la sua Open Society Foundation e soprattutto la NED, la National Endowment for Democracy, organismo americano di soft power nato nel 1983 per promuovere la democrazia all’estero, in effetti implicata nelle varie ‘rivoluzioni colorate’ made by US.
Il post racconta anche come il Climate Resistance Handbook , manuale volto a consigliare agli attivisti climatici come organizzarsi, prefazione di Greta, pubblicato da 350.org citi esplicitamente come esempio a cui rifarsi la Serbia, dove protagonista delle rivolte fu il movimento Otpor, ampiamente finanziato dagli USA), come ha riconosciuto lo stesso New York Times (linkato).
Complottismi? Engdahl passa ora alla Ocasio-Cortez che, <appena entrata al Congresso – è la più giovane parlamentare – ha subito fatto scalpore rivelando il progetto di un Green New Deal per riorganizzare completamente l’economia degli US al costo forse di $100 trilioni. Lei stessa ha ammesso in un’intervista che deve tutto a due organizzazioni Dem, Justice Democrats e Brand New Congress che le hanno chiesto di candidarsi. Ora tra i suoi consiglieri c’è il co-fondatore di Justice Democrats, Zack Exley, già membro della Open Society Fondation (Soros) che insieme alla Ford Fundation ha assicurato i fondi per l’organismo volto a reclutare nuovi parlamentari.
LA VERA AGENDA E’ECONOMICA, secondo Engdahl, che aggiunge altri retroscena. <Nel Febbraio 2019, dopo il discorso di Greta alla Commissione Europea a Bruxelles, l’allora presidente Jean Claude Junker dopo aver galantemente baciato la mano alla giovane attivista, ha detto in conferenza stampa che l’UE dovrebbe spendere centinaia di miliardi di euro per combattere il cambiamento climatico nei prossimi dieci anni. Tra il 2021 e il 2027, ha proposto, “ogni 4 euro spesi nel budget UE devono mitigare il climate change. Quel che Junker non ha detto è che la decisione non ha niente a che vedere con la causa di Greta.. E’ stata presa insieme alla Banca Mondiale un anno prima, nel settembre 2018, al One Planet Summit, insieme a World Economic Forum, Bloomberg Foundations, e altri. Junker ha solo sfruttato l’attenzione mediatica verso la giovane Svedese per promuovere l’agenda climatica>.
<Il 17 Ottobre 2018, pochi giorni dopo l’adesione UE al One Planet Summit, Junker ha firmato un Memorandum of Understanding con Breakthrough Energy-Europe i cui membri avranno accesso preferenziale a ogni finanziamento. Tali membri comprendono Richard Branson di Virgin, Jack Ma di Alibaba, Marck Zuckerberg di Facebook, il Principe Al-Waleed bin Talal, imprenditore multimiliardario della famiglia reale saudita, il fondatore del Carlyle Group David Rubenstein, Bill Gates, George Soros, qui in veste di finanziere, presidente del Soros Fund Management LLC, Masayoshi Son, fondatore della Softbank giapponese>.
Gates il 17 ottobre scorso ha incontrato l’alta rappresentante europea Federica Mogherini per discutere piani comuni di sviluppo umano – e digitale – in Africa. L’UE e Gates hanno anche firmato un impegno congiunto per investire $100 milioni in società europee che si dedicano a contrastare il cambiamento climatico, vedi qui.
UE. Aggiungiamo recenti notizie dall’UE.
BEI. “La Banca Europea degli Investimenti diventa la prima Banca Climatica”, raccontava il Financial Times il 15 novembre scorso. Dopo 11 ore di discussione, ha deciso di cancellare ogni investimento in combustibili fossili, compreso il gas, entro il 2021 (Germania a favore, Ungheria e Polonia contrari). La BEI diventa così il primo prestatore multilaterale al mondo a limitare investimenti in base a preoccupazioni climatiche.
Budget. Sul tavolo la proposta di €168.3 miliardi per il 2020, +1.3%. Alcuni Stati membri vogliono tagliare €1.5 miliardi, tagliando anche i salari. Europarlamentari chiedono invece di aumentare il budget di €2.7 miliardi da spendere per il clima e la ricerca.
BCE. La nuova presidente Christine Lagarde rispondendo all’Europarlamento ha fatto capire il suo orientamento (qui l’articolo di Business Insider e qui il Rapporto collegato) sulla “transizione ecologica”. Ne emerge un gran cautela ma una volontà precisa.
“La discussione sul se come le banche centrali e i supervisori possano contribuire a mitigare il cambiamento climatico è ai primi passi, ma deve essere considerata una priorità”, afferma Lagarde. La BCE – aggiunge – “si è concentrata sul sostegno dei partecipanti al mercato, dei legislatori e di coloro che definiscono gli standard per identificare i rischi del climate change e fornire uno schema per riorientare i flussi finanziari”.
Finora nel suo programma di acquisti di asset la Banca si è rifatta al principio di neutralità del mercato, senza penalizzare o favorire assets specifici. Tuttavia la Commissione si sta muovendo per arrivare a una definizione e cassificazione di Assets Green, la cosiddetta Tassonomia. La BCE sostiene queste iniziative (…). Appena tale tassonomia verrà concordata dovrà decidere se e come applicarla al suo programma di acquisti di assets.
Per quanto riguarda i green bonds, la cautela aumenta. <Questo segmento costituisce per ora una piccola porzione dell’universo degli assets finanziari>. Inoltre – come si è detto- <la classificazione degli assets green è a uno stadio preliminare>. I bonds verdi detenuti dalla Bce <sono oggi una piccola quantità>.
La BCE partecipa al Network di Banche Centrali e Supervisori (NGFS) volto a rendere più verde il sistema finanziario – l’unico forum del genere al mondo mirante a <capire e governare rischi finanziari e opportunità del climate change, e mobilitare la finanza mainstream per sostenere la transizione verso un’economia sostenibile>. Interessante la provenienza dei presidenti dei tre gruppi che lavorano su tre aspetti: Supervisione, presieduto da Bank of China; Macrofinanza, presieduto da Bank of England; Finanza Green Mainstream, presieduto dalla tedesca Bundesbank.
COSA DEDURRE? Engdahl non ha dubbi. <I legami fra i maggiori gruppi finanziari del mondo, le banche centrali e le corporations globali e l’attuale spinta verso una radicale strategia climatica volta ad abbandonare i combustibili fossili in favore di una vaga e non spiegata Economia Verde, a quanto sembra, ha poco a che vedere con una preoccupazione genuina di rendere il pianeta pulito e l’ambiente salutare e vivibile. Appare piuttosto un’agenda intimamente collegata all’Agenda ONU 2030 per un’economia ‘sostenibile’, e per sviluppare letteralmente trilioni di dollari in nuova ricchezza per le banche globali e i giganti finanziari che costituiscono i reali poteri di oggi>.
<Non sbagliate – insiste più avanti – Quando le più influenti corporations multinazionali, i maggiori investitori istituzionali come BlackRock e Goldman Sachs, l’ONU, la Banca Mondiale, la Bank of England e altre banche centrali della Banca dei Regolamenti Internazionali si allineano dietro il finanziamento di una tale Agenda Verde, la chiamino Green New Deal o in altro modo, è tempo di guardare dietro la superficie delle campagne di attivisti e osservare la ‘vera agenda’. Il quadro che emerge è il tentativo di riorganizzazione finanziaria dell’economia mondiale, usando il clima – una cosa con cui il sole e la sua energia hanno ordini di grandezza più attinenti con l’umanità da sempre – per convincere noi, popolo qualunque a fare sacrifici non specificati per ‘salvare il nostro pianeta’>.
GLI OPPOSITORI. E’proprio così? Hanno ragione allora i grandi oppositori , i think tank libertari anti-stato, i mega industriali dell’energia fossile come Charles Koch e l ‘American Fuel e Petrochemical Manufactures, sostenitori di Trump, che fanno lobby per indebolire gli standard dei carburanti delle auto, una delle politiche climatiche di Obama, e per contrastare gli scienzati del clima, come raccontava il New York Times?
Ben altro e ben di più sostengono in realtà i pensatori della destra trumpiana. Come la Heritage Foundation, che arriva a parlare di Climate Change Industrial Complex – in analogia con il Military Industrial Complex – per irridere il catastrofismo del cambiamento climatico (che non si spinge al punto di negare) alimentato da scienziati (migliaia nel mondo, in realtà) che sarebbero pagati per alimentare un’imminene Apocalisse – andrebbero licenziati – e per denunciare la quantità di denaro pubblico speso in ricerca e in interventi pubblici che starebbero già costando ogni anno ai contribuenti americani il doppio del progetto Apollo, il tutto all’unico scopo di eliminare i combustibili fossili – mentre il clima peggiora. Da notare che la Heritage si guarda bene dal citare banche e finanza. Colpevole è lo Stato.
Posizioni riscontrabili fra i nostri “negazionisti“, commentatori italiani della destra leghista e non solo, che prendono in giro Greta e i giovani nelle piazze, mettendo talvolta in dubbio persino il cambiamento climatico.
Engdahl non sta certo da quella parte, per quanto lo si accusi di cospirazionismo. Sembra voler solo aprirci gli occhi.
Ma azzardiamo un’altra ipotesi, un po’ diversa: che cavalcando l’onda di reali preoccupazioni dei cittadini per il clima che muta, l’obiettivo di finanza e corporations sia rilanciare il sistema economico globale, che tanti economisti vedono languire e sull’orlo di nuove crisi (la stessa OCSE prevede una non-crescita globale nel 2020, con un arretramento di Cina e anche di USA e UE, poco meglio nel 2021). Rilanciarlo, ma perpetuando e anzi rafforzando e dilatando il proprio dominio sul mondo, anziché riformare il sistema rendendolo sia ecologicamente che socialmente sostenibile, diminuendo le disuguaglianze: obiettivo raggiungibile soltanto sottoponendo a nuove regole la finanza, come suggeriscono economisti liberal, poco ascoltati, come James K. Galbraith in The Unsustainability of Inequality, l’Ineguaglianza insostenibile (vedi anche Underblog).
Una proposta molto simile la avanza in Europa la Commissione Indipendente per l’Uguaglianza Sostenibile di cui sono copresidenti il danese P.Rasmussen e la greca L.Katseli, in un documento presentato a Bruxelles il 27 novembre 2018, redatto da una trentina di esperti europei di cui fanno parte Fabrizio Barca e Enrico Giovannini. Un’iniziativa promossa dall’Alleanza progressista dei Socialisti e Democratici al Parlamento europeo.
IL TRATTATO SUL CLIMA NON FUNZIONA. Lo denunciano intanto vari osservatori e ricercatori, in un articolo riportato dal sito inglese Truepublica.org.uk : <Tre nazioni su quattro che hanno firmato l’Accordo di Parigi nel 2015 per contenere il riscaldamento globale “ben sotto i 2° entro la fine del secolo hanno fallito nel promuovere impegni che dovrebbero ridurre le emissioni [di CO2] almeno del 40% entro il 2030>.
A Parigi nel 2015 un totale di 195 paesi hanno convenuto che quell’azione era vitale (link). Da allora solo 36 paesi hanno fatto qualche passo per raggiungere gli obiettivi sui quali concordavano, secondo un nuovo studio dell’Universal Ecological Fund (link). E una nazione ha annunciato che si ritirerà del tutto da quell’accordo (gli USA). “Finora gli impegni si sono rivelati troppo piccoli e troppo tardivi” sostiene uno degli esperti citati.
Il report Proceedings of the National Academy of Sciences (link) esamina l’impatto futuro nell’ipotesi che tutte le nazioni onorino gli impegni. Le conclusioni non sono confortanti. I ricercatori concordano che <le emissioni globali di gas serra da Parigi al 2030 sarebbero sufficienti per vedere innalzato il livello del mare di 20 cm>. Ma aggiungono un allarme peggiore a lungo termine. Scrivono: <20 cm sono tanti, corrispondono all’aumento del livello del mare osservato nell’intero XX secolo. Provocarlo in soli 15 anni è sbalorditivo>. Non solo. Quello che si verifica oggi ha conseguenze che si prolungano nel tempo. <Secondo un nuovo studio americano-tedesco, se pure le nazioni onorassero i loro impegni entro il 2030, i livelli del mare del globo continuerebbero a salire e a restare più alti per migliaia di anni>. Consolante.
<Che l’Accordo di Parigi fosse sostenuto da impegni insufficienti a contenere un aumento della temperatura globale di 1.5° del resto era chiaro fin dall’inizio, gli scienziati avevano avvisato che se non fossero aumentati il riscaldamento sarebbe salito a lungo termine di 3°sopra la media>.
NUOVI ALLARMI. E la situazione peggiora. Con nuovi allarmi che derivano dallo scioglimento del Permafrost (lo strato di ghiaccio che ricopre le terre artiche, e non solo) finora sottostimato. L’articolo ne spiega le conseguenze. Poi prosegue:
<Cina e India si erano impegnate a ridurre le loro emissioni relativamente al loro PIL, ma poiché le loro economie continuano a crescere, anche le emissioni crescono>.
<La Cina è responsabile di oltre il 26% delle emissioni globali di gas serra, l’India del 7%, gli USA, che contribuiscono per il 13%, si ritireranno dall’Accordo di Parigi nel 2020 e hanno già annullato molte leggi sul clima. La Russia, responsabile per il 4.6% di tutto il CO2 non ha sottoscritto impegni. Le 28 nazioni UE e altre 7 – le più virtuose – hanno promesso riduzioni del 40% entro il 2040.
<Dei restanti 152 paesi, responsabili di oltre il 36%, 127 hanno sottoscritto piani ma hanno bisogno di assistenza tecnica e finanziamenti dalle nazioni ricche per metterli in pratica. Ma USA e Australia hanno stoppato ogni fondo>.
Circa il 70% delle emissioni derivano dai combustibili fossili, in particolare il carbone – che produce il doppio di CO2 del gas: un’azione di successo richiederebbe la chiusura di 2400 centrali elettriche che utilizzano il carbone. Nella realtà 250 nuove centrali a carbone sono oggi in costruzione, molte delle quali in Cina, dove il carbone è la prima fonte energetica – come in India e in misura minore in Polonia, Rep Ceca e persino in Germania. Quelle centrali andrebbero riconvertite, ma i costi sono alti. Solo gli USA lo hanno fatto, ma per puntare sullo shale gas e lo shale oil, altrettanto nocivi all’ambiente per il metano emesso e per altri motivi.
<Il messaggio è che i governi stanno facendo troppo poco, e troppo lentamente, innescando orribili future conseguenze>, conclude l’articolo.
E tuttavia, se l’attivismo interessato di banche, corporations e stati, al di là dei loro poco altruistici fini, portasse comunque a migliorare la situazione innescando una svolta, non sarebbe in ogni caso un passo avanti? Il condizionale è d’obbligo.