La grande spinta per i veicoli elettrici nasconde una truffa?

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25 frigoriferi.Questo è l’ammontare del consumo aggiuntivo di elettricità per famiglia se la casa media degli Stati Uniti adottasse veicoli elettrici (EV). Così esordisce l’articolo di Nick Gianbruno pubblicato qui https://internationalman.com/articles/3-reasons-theres-something-sinister-with-the-big-push-for-electric-vehicles/ sui veicoli elettrici che In Europa come in Usa vengono imposti ai cittadini “per combattere i cambiamento climatico”.

Precisa l’articolo, riferito agli US: Il deputato Thomas Massie, un ingegnere elettrico, ha rivelato queste informazioni mentre discuteva col ministro dei trasporti Pete Buttigieg del piano del presidente Biden per far sì che il 50% delle auto vendute negli Stati Uniti siano elettriche entro il 2030.

La rete attuale e futura nella maggior parte dei luoghi non sarà in grado di supportare ogni casa con 25 frigoriferi, nemmeno lontanamente. Basta guardare alla California, dove la rete sta già cedendo sotto il carico esistente.

Massie sostiene che l’idea di un’adozione diffusa dei veicoli elettrici in tempi brevi è una fantasia pericolosa basata sulla scienza politica, non su una solida ingegneria .

Stanno cercando di fabbricare il tuo consenso per una truffa di proporzioni quasi inimmaginabili – è la tesi sostenuta dall’articolo, non senza motivi.

Ma prima propone una doverosa precisazione sui cosiddetti “combustibili fossili” .

Quando la persona media sente “combustibili fossili”, pensa a una tecnologia sporca che appartiene al 1800. Pensa anche che i “combustibili fossili” distruggeranno il pianeta entro un decennio e si esauriranno presto, nonostante il fatto che, dopo l’acqua, il petrolio sia il secondo liquido più abbondante su questo pianeta.

Nessuna di queste idee ridicole è vera, ma molte persone ci credono. L’uso di termini propagandistici come “combustibili fossili” gioca un ruolo importante. Meglio eliminare i “combustibili fossili” dal vostro vocabolario a favore degli idrocarburi, una parola molto migliore e più precisa.

Un idrocarburo è una molecola composta da atomi di carbonio e idrogeno. Queste molecole sono gli elementi costitutivi di molte sostanze diverse, comprese le fonti energetiche come carbone, petrolio e gas. Queste fonti energetiche sono state per decenni la spina dorsale dell’economia globale, fornendo energia alle industrie, ai trasporti e alle case.

Passiamo ora ai tre motivi per cui i veicoli elettrici sono nella migliore delle ipotesi una gigantesca truffa e forse qualcosa di molto peggio.

Motivo n. 1: i veicoli elettrici (EV) non sono ecologici

La premessa centrale per i veicoli elettrici è che aiutano a salvare il pianeta dalle emissioni di carbonio perché utilizzano l’elettricità invece del gas.

È sorprendente che così pochi pensino di chiedersi: cosa genera l’elettricità che alimenta i veicoli elettrici?

Gli idrocarburi generano oltre il 60% dell’elettricità negli Stati Uniti. Ciò significa che ci sono ottime possibilità che dietro l’elettricità che carica un veicolo elettrico ci sia petrolio, carbone o gas.

È importante sottolineare che il carbonio è un elemento essenziale per la vita su questo pianeta. È ciò che gli esseri umani espirano e ciò di cui le piante hanno bisogno per sopravvivere.

Dopo decenni di propaganda, l’isteria malthusiana ha creato nella mente di molte persone la percezione distorta che il carbonio sia una sostanza pericolosa che deve essere ridotta per salvare il pianeta.

Prendiamo in considerazione per un momento questa premessa fasulla e supponiamo che il carbonio sia dannoso.

Anche secondo questa logica, i veicoli elettrici non riducono realmente le emissioni di carbonio; li riorganizzano e basta.

Inoltre, l’estrazione e la lavorazione dei materiali esotici necessari per produrre veicoli elettrici richiede un’enorme potenza in località remote, che solo gli idrocarburi possono fornire.

Ancora: i veicoli elettrici richiedono un’enorme quantità di elementi e metalli rari, come il litio e il cobalto, che le aziende estraggono in condizioni che non possono nemmeno lontanamente essere considerate rispettose dell’ambiente.

Gli analisti stimano che ogni veicolo elettrico richieda circa un chilogrammo di elementi di terre rare. L’estrazione e la lavorazione di questi elementi rari produce un’enorme quantità di rifiuti tossici. Ecco perché si verifica soprattutto in Cina, che non si preoccupa molto delle preoccupazioni ambientali.

In breve, l’idea che i veicoli elettrici siano ecologici è ridicola. È semplicemente la sottile patina di propaganda di cui i governi hanno bisogno come pretesto per giustificare i sussidi astronomici dei contribuenti per i veicoli elettrici.

Motivo n. 2: i veicoli elettrici non possono competere senza il sostegno del governo

Da molti anni, i governi stanno fortemente sovvenzionando i veicoli elettrici attraverso sconti, esenzioni dalle imposte sulle vendite, prestiti, sovvenzioni, crediti d’imposta e altri mezzi.

Secondo il Wall Street Journal, nei prossimi anni i contribuenti statunitensi sovvenzioneranno i veicoli elettrici per almeno 393 miliardi di dollari, più del PIL di Hong Kong.

E questo senza contare gli immensi sussidi e il sostegno governativo del passato. E che continuano ad essere attuati, anche in Europa, attraverso sovvenzioni, detassazioni e  sconti di ogni genere, diversi da paese a paese, Italia compresa. Vedi qui  https://insideevs.it/news/611864/incentivi-auto-elettriche-europa-paesi/.

Inoltre, i governi impongono normative e tasse gravose sui veicoli a benzina per far sembrare i veicoli elettrici relativamente più attraenti. Eppure, anche con questo enorme sostegno governativo, i veicoli elettrici riescono a malapena a competere con i veicoli a benzina.

Secondo JD Power, una società americana di ricerca sui consumatori, il veicolo elettrico medio costa ancora almeno il 21% in più rispetto al veicolo medio a benzina. Per non parlare dei costi delle ricariche, superiori – almeno in Italia – a quelli di benzina o diesel, specie per chi deve ricorrere a colonnine pubbliche non avendo prese di corrente domestiche accessibili, dove il prezzo è inferiore.

In altre parole, il mercato dei veicoli elettrici è un gigantesco miraggio sostenuto artificialmente da un ampio intervento del governo.

Sorge la domanda: perché i governi stanno facendo di tutto per promuovere una truffa antieconomica? Sebbene siano indubbiamente corrotti o semplicemente stupidi, potrebbe essere in gioco anche qualcosa di più nefasto.

Motivo n. 3: i veicoli elettrici servono a controllarti. E qui l’articolo avanza una teoria dichiaratamente cospirazionista, tutta da valutare.

I veicoli elettrici sono macchine spia.

Raccolgono una quantità inimmaginabile di dati su di te, a cui i governi possono accedere facilmente. Gli analisti stimano che le automobili generino circa 25 gigabyte di dati ogni ora.

Vedere come i governi potrebbero integrare i veicoli elettrici in una più ampia rete di controllo ad alta tecnologia non richiede molta immaginazione. Il potenziale per gli intriganti – o peggio – di abusare di un simile sistema è ovvio.

L’ultima cosa che un governo vuole, infatti, è un incidente come quello accaduto con i camionisti canadesi che si ribellavano contro l’obbligo dei vaccini.

Se i veicoli dei camionisti canadesi fossero stati veicoli elettrici, il governo sarebbe stato in grado di reprimere la resistenza molto più facilmente.

Ecco il punto.

I veri responsabili non vogliono che la persona media abbia un’autentica libertà di movimento o accesso a fonti di energia indipendenti.

Vogliono sapere tutto, mantenerti dipendente e avere la capacità di controllare tutto, proprio come farebbe un contadino con il suo bestiame. Pensano a te in termini simili.

Ecco perché i veicoli a benzina devono sparire e perché stanno cercando di spingerci verso i veicoli elettrici.

Conclusione dell’autore, che avanza una tesi dichiaratamente cospirazionista.

Per riassumere, i veicoli elettrici non sono ecologici, non possono competere con le auto a gas senza un enorme sostegno da parte del governo e sono probabilmente un elemento cruciale della emergente rete di controllo ad alta tecnologia.

La soluzione è semplice: eliminare tutti i sussidi e i sostegni governativi e lasciare che i veicoli elettrici competano in base ai propri meriti in un mercato totalmente libero.

Ma è improbabile che ciò accada. Invece, è facile aspettarsi che spingano i veicoli elettrici sempre più duramente.

Se i veicoli elettrici fossero semplicemente status symbol sovvenzionati dal governo per i ricchi liberali che vogliono segnalare con la virtù come pensano di salvare il pianeta, sarebbe già abbastanza grave.

Ma è probabile che la grande spinta verso i veicoli elettrici rappresenti qualcosa di molto peggio.

Insieme alle città in 15 minuti, ai crediti di carbonio, alle CBDC, agli ID digitali, all’eliminazione graduale di idrocarburi e carne, ai passaporti per i vaccini, a un sistema di credito sociale ESG e alla guerra agli agricoltori, i veicoli elettrici sono probabilmente parte integrante del Grande Reset: il futuro distopico l’élite globale ha previsto per l’umanità.

In realtà, il cosiddetto Grande Reset è una forma di feudalesimo ad alta tecnologia.

Purtroppo, la maggior parte dei cittadini non ha idea di cosa sta succedendo. Peggio ancora, molti sono diventati fans inconsapevoli di questo programma perché sono stati indotti a credere di salvare il pianeta o di agire per un bene superiore.

Questa tendenza è più che mai in atto…

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Le ONG umanitarie: George Soros e la crisi europea dei rifugiati (2017)

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Ripubblichiamo un post di Underblog del maggio 2017, col titolo originale, ritenendolo sì controverso ma ancora valido per capire i retro-scena di quel che si muove in materia di immigrazione. Era il terzo di una serie dedicata alle ONG sul sito de LaStampa. Ma il giornale, dove era arrivato il nuovo direttore Molinari, lo aveva tolto dal sito. Il post era stato però rilanciato subito dal Blog delle Stelle di Beppe Grillo, dal quale ora lo trascriviamo. Pur senza voler tirare volate a Salvini. (Consigliamo la lettura del post precedente, il n 2, qui ).

Nel panorama frastagliato delle Ong umanitarie che abbiamo delineato nei post precedenti, già emergeva il ruolo centrale del controverso magnate, finanziere e ‘filantropo americano di origini ungheresi George Soros, e della sterminata rete di Ong che fanno capo alla sua Open Society Foundations – OSF basata a New York, con le sue varie diramazioni che si estendono in 37 paesi.

Attiva dal 1983 come Soros Foundation in Ungheria e presto nell’Europa Centrale e Orientale per ‘aiutare a uscire dal comunismo e diffondere ideee anti-totalitarie e capitaliste’, diventa Open Society nel 1993 ma solo nel 2010 Open Society Foundations che raggruppa tutte le fondazioni nel frattempo sparse nel mondo, enorme rete a sostegno dei Democratici in patria e di una globalizzazione economica e politica, liberista, ‘‘imperiale’ e anti-Russa nel mondo – ben oltre la ” Open Society and its Enemies”, il libro di Karl Popper del 1945 dal quale si è ispirato il suo nome.

Negli Usa la vasta rete dell’OSF funziona da supporto al partito Democratico e alla sua politica. Nel resto del mondo, con l’appoggio del Dipartimento di Stato e di organismi bipartisan come NED-National Endowment for Democracy e USAID (braccio pubblico della CIA) ha un ruolo centrale nel supportare la politica estera americana, fino al sostegno di ‘rivoluzioni colorate’ e regime change. Clamoroso il caso dell’Ucraina.

La sua estensione in Europa, l’Open Society Policy Institute di cui abbiamo parlato nel post n.2, programmaticamente si propone di ”influenzare e dare forma alle politiche dell’Unione Europea per assicurare che i valori della società aperta siano al cuore dell’azione dell’UE, sia all’interno che all’esterno dei suoi confini” .
Aperta anche all’immigrazione, centrale negli obiettivi e nelle azioni dell’ OSF e delle sue Ong . Umanitarie, ma fino a un certo punto. Obiettivi umanitari, politici e economici si intrecciano.

SOROS, MIGRANTI E RIFUGIATI.
Tenendo anche conto dell’invecchiamento della popolazione in Occidente, specialmente in Europa, e della bassa natalità, aprire le porte agli immigrati è essenziale per il sistema economico-finanziario e per l’élite che lo governa di cui Soros è uno dei fulcri. Oltre ad essere un modo per alleggerire la pressione in regioni (il M. O., l’Eurasia) e continenti (l’Africa) dove sono in atto interventi e guerre che sono parte integrante della strategia geopolitica americana e occidentale. Anche in funzione di contrasto dell’espansione della Cina e dei paesi BRICS.
Vedremo come questi scopi di fondo si mescolino a interessi diretti delle corporations.

Lo scorso settembre (2016), nel pieno della crisi europea dei rifugiati, mentre Angela Merkel si pentiva pubblicamente di aver accolto l’anno prima un milione di profughi in Germania, sul Wall Street Journal appariva un editoriale a firma George Soros in cui il finanziere annunciava che avrebbe investito $500 milioni per incontrare i bisogni di immigrati e rifugiati, spiegando il perchè del suo gesto. L’America era in piena campagna elettorale, e l’immigrazione era un tema cruciale nella campagna della destra nazionalista e anti-musulmana di Donald Trump.

“Confermando ancora una volta di essere il silente burattinaio dietro alla crisi europea dei rifugiati…” scriveva Zerohedge – forse esagerando – nel raccontare la novità non da poco. E richiamava quanto emerso in proposito un mese prima dai DCLeaks, oggetto di un post precedente dello stesso ZH , molto pesante nell’insinuare la parte giocata dal finanziere nelle crisi degli immigrati.

Soros e la crisi europea.
“La crisi dei rifugiati in Europa è la ‘nuova normalita’ – e dovrebbe essere accettata in quanto tale; l’OSF ha avuto successo nell’influenzare la politica globale dell’immigrazione; la crisi europea dei rifugiati presenta ‘nuove opportunità ‘ per l’organizzazione” .
Questi i tre punti chiave – segnalati da Zerohedge – nel memo di 9 pagine del 12 maggio ( Migration Governance and Enforcement Portfolio Revew) scritto da due funzionari dell’OSF e trapelato dai DCleaks, i files piratati e resi pubblici da un gruppo americano (vedi post n.2), in piena campagna elettorale, una vasta parte dei quali sono i Soros Leaks.

Nell’introduzione, gli autori del memo parlano dell’ ‘”efficacia degli approcci‘ che hanno adottato ‘per ottenere un cambiamento a livello internazionale”. E in una sezione intitolata Our work, il nostro lavoro, descrivono come abbiano lavorato ‘ con leaders sul campo’, ‘per dar forma alla politica dell’immigrazione e influenzare i processi globali che si ripercuotono sul modo in cui l’immigrazione è governata e sostenuta”.

“Ciò può essere interessante soprattutto per i tedeschi, alla maggioranza dei quali non piacciono le politiche della ‘porta aperta’ della Merkel, specie dopo i recenti attacchi terroristi in Germania”, commenta ZH, alludendo a un influsso diretto della OSF sulla politica della Cancelliera (che nel frattempo stava correggendo il tiro, premuta dalla sua opinione pubblica).

“Dobbiamo sostenere personaggi sul campo che si attivino per cambiare politiche, regole e regolamenti che governano l’immigrazione” si legge nella sezione Our Goals, i nostri obiettivi. E più avanti ” Abbiamo sostenuto iniziative, organizzazioni e reti il cui lavoro si lega direttamente ai nostri scopi nei corridoi” .

In un’altra sezione si cita l’IMI [ International Migration Institute che fa capo all’università di Oxford, UK] che inizialmente aveva identificato alcune organizzazioni capaci di impegnarsi sull’immigrazione a livello globale e internazionale…. E ha avuto un ruolo centrale nello stabilire e suggerire gli obiettivi di due nuovi fondi [del Programma Europeo per l’Integrazione e la Migrazione] sul Sistema Comune Europeo di Asilo (CEAS) e la detenzione degli immigrati.
Ancora più importante, sottolinea ZH, è il fatto che il memo “spiega come la crisi europea dei rifugiati stia aprendo le porte per l’organizzazione di Soros per influenzare ulteriormente la politica globale dell’immigrazione.”

“La crisi dei rifugiati – si legge – sta aprendo nuove opportunità per ‘un coordinamento e una collaborazione’ con donatori abbienti”.

“I governi devono giocare un ruolo di leader nell’affrontare la crisi creando un’infrastruttura fisica e sociale per migranti e rifugiati. Ma è necessario anche incanalare la forza del settore privato”.

Nelle conclusioni, si ribadisce la necessità di accettare l’attuale crisi europea come “nuova normalità“.

…Guardando le risposte dei nostri partner, osserviamo che poca attenzione viene data a una pianificazione a lungo termine o ad approcci fondamentalmente nuovi al patrocinio”. Si mette poi l’accento sul bisogno di respingere la “crescente intolleranza nei confronti dei migranti”. Come?

Per promuovere l’agenda Rifugiati l’organizzazione di Soros ha bisogno di alleati. Nel post n. 2 abbiamo visto come l’ Open Society European Policy Institute abbia predisposto un memo intitolato “Alleati affidabili nel Parlamento Europeo 2014-2109” in cui annota l’importanza di costruire “relazioni durature e degne di fiducia” con europarlamentari ‘credibili nel sostenere il lavoro di Open Society“. Una sorta di mappatura degli europarlamentari attuali già convinti o propensi ad appoggiare i valori della Open Society (è il file centrale dei tre che vengono fuori, qui un nudo elenco dei 226 nomi)

Ce n’è abbastanza per tornare all’editoriale del WSJ, e capirne meglio il senso.
SOROS AL WSJ
: perché investo $500 milioni sui migranti (fatelo anche voi, è pure un business).
Soros richiamava la Call for action – la chiamata all’azione del presidente Obama, che aveva chiesto ai privati di giocare un ruolo più incisivo nel venire incontro ai problemi posti dall’immigrazione forzata. Decine di milioni di persone che fuggono dai loro paesi in cerca di una vita migliore altrove, scappano da guerre o regimi oppressivi, o sono indotti da povertà estreme, premetteva il finanziere.

“Come risposta ho deciso di destinare $500 milioni ad investimenti indirizzati ai bisogni di migranti, rifugiati e comunità ospiti. Investirò in startup, società già esistenti, iniziative di impatto sociale e business fondati dagli stessi migranti e rifugiati. Sebbene la mia preoccupazione principale sia aiutare migranti e rifugiati che arrivano in Europa, cercherò buone idee che li aiutino in tutto il mondo”.
Tra gli esempi Soros citava l’emergente tecnologia digitale, promettente nell’offrire soluzioni a problemi che si trovano ad affrontare i profughi, come riuscire a contattare i governi o i servizi legali, finanziari, sanitari. Società d’affari – scriveva – stanno già investendo miliardi di dollari per sviluppare tali servizi per comunità di non-migranti.

Soros citava il denaro che si muove istantaneamente via smartphone, gli autisti che trovano clienti nello stesso modo, e come un dottore in America può avere un paziente in Africa. “Estendere queste innovazioni ai migranti aiuterà a migliorare la qualità della vita a milioni nel mondo”, scriveva.

Eppure il finanziere-filantropo sentiva il bisogno di rassicurare sul fatto che “da lungo tempo campioni della società civile, assicuriamo che il nostro investimento conduca a prodotti e servizi che beneficino davvero i migranti e le comunità ospiti” Non solo.
“Lavoreremo a stretto contatto con organismi come l’ufficio dell’Alto Commissario per i Rifugiati nell’ONU (UNHCR) e l’International Rescue Committee- Comitato Internazionale per il Soccorso per stabilire principi-guida ai nostri investimenti”.

Benemerita OSF? In fondo non solo ‘salva i profughi ma li vuole aiutare a destreggiarsi. (Perché non aiutare invece i ‘poveri dei paesi europei? si chiede un post italiano di Orizzonte48. Osservazione pertinente che però ci porterebbe troppo lontano).

Al di là delle belle parole, in quel che appare un appello ad altri investitori suoi pari affinché si uniscano alla sua missione, Soros sembra sottolineare molto chiaramente il ritorno economico della faccenda: migranti e rifugiati saranno e sono già oggi dei consumatori, utenti di servizi che i privati possono fornire, anche sostituendo servizi pubblici inadeguati o sicuramente meno efficienti, magari anche usufruendo di sovvenzioni statali/europee.
L’immigrazione come business insomma, per chi sa coglierlo.
Anche favorendo direttamente l’arrivo di migranti & profughi come sostiene ZH?

TRAFFICI SOSPETTI CON LA LIBIA.
Il dibattito ferve oggi sulle Ong che contribuiscono a salvare i profughi in arrivo in Italia dalla Libia, alimentato dalle destre pregiudizialmente anti-immigrati.

GEFIRA, il sito che per primo ha monitorato tra ottobre e novembre 2016 il traffico di navi di alcune Ong che si spingono fin sotto le coste libiche ( ripreso da Zerohedge con aggiunte ), arrivando a indicare complicità con i trafficanti e con alcune capitanerie italiane; e inducendo Frontex a preoccuparsi, già a dicembre 2016 segnalava il FT (qui e qui, qui già a dicembre 2015). Venivano citate alcune Ong ‘sospette’.

Tra queste Médicins Sans Frontères risulta effettivamente fra i partners dell’ Open Society Foundations, come segnalato nel nostro post n. 2. Mentre la maltese MOAS- Migrants Offshore Aid Station fondata dalla coppia Regina e Christopher Catrambone, che secondo ZH avrebbe donato $416.000 dollari alla campagna elettorale di Hillary Clinton, a sua volta avrebbe ricevuto $500.000 da AVAAZ, Ong legata a MoveOn.Org, organizzazione Democratica finanziata direttamente da Soros. I Catrambone hanno negato collusioni con trafficanti e ogni altra scorrettezza.

SERVIZI MINIMI MA UTILI AI PROFUGHI.
Privati e Ong intanto si stanno già dando da fare nel fornire quanto meno servizi minimi ai profughi, a quanto emerge da vari post di GEFIRA.

Proponiamo la traduzione italiana fornita da associazioneeuropalibera. Abbiamo controllato i siti. E tuttavia, vien fuori che l’ “assistenza “di cui si parla non è una novità ma risale al 2015, anno della ‘crisi’ dalla Siria, via Turchia, dove venivano verosimilmante distribuiti i manuali multilingue ricchi di utili consigli. Del 16 settembre 2015 è del resto lo scoop di SkyNews che ha ‘scoperto’ i manuali. Che poi c’entri Soros è da dimostrare, SkyNews non ne parla. Se pure non riferite direttamente alla Libia, appaiono notizie interessanti.

Il corrispondente di SkyNews Jonathan Samuels e il suo team hanno scoperto un manuale cartaceo, stampato in arabo , sulla riva dell’isola di Lesbo, che fornisce ai migranti informazioni dettagliate sui percorsi, numeri di telefono importanti, le organizzazioni non governative che aiutano i migranti e sui loro diritti in paesi di destinazione. WatchTheMed (watchthemed.net e alarmphone.org) e w2eu (w2eu.info e w2eu.net) sono tra le organizzazioni elencate in questa guida approssimativa.

Il sito w2eu.info, in un post dal tiolo “informazione indipendente per rifugiati e migranti che arrivano in Europa”, ci racconta che intende sostenere gli sforzi dei migranti perché “la libertà di movimento è un diritto di tutti”. I suoi attivisti, che si trovano in differenti paesi UE, affermano che prestano il loro lavoro gratuitamente. Il sito fornisce informazioni su argomenti quali: i Contatti, una Panoramica, la Sicurezza in mare, il trattato Dublino III in materia di Asilo, Genere, Minori, Regolarizzazione, Detenzione, Deportazione, Soggiorno, Famiglia, Assistenza medica, e Lavoro relativi a tutti i paesi dell’UE.

Per esempio, sotto il titolo di Sicurezza in mare, il migrante – al quale viene fornito un numero di emergenza satellitare operativo h 24 – viene informato che può chiamare WatchTheMed, che a sua volta informerà dell’avaria o del naufragio la Guardia Costiera, coordinerà l’operazione di salvataggio delle imbarcazioni in pericolo; diffonderà tra i media la notizia ed eserciterà una pressione (morale) sulle autorità centrali o locali perché agiscano.

Sotto il titolo Genere i migranti vengono ragguagliati sui loro diritti; per esempio in Danimarca, dove, se dicono di essere perseguitati, discriminati, degradati o altrimenti trattati in modo disumano a causa del loro sesso o dell’orientamento sessuale, non saranno deportati . Alla voce Deportazione si indica al migrante come evitare di essere deportato o come rendere inefficace una tale decisione. Alla voce della Famiglia, per quanto riguarda l’Austria, si spiega come opera il diritto al ricongiungimento familiare. E così via.

Lo stesso sito fornisce volantini, istruzioni e “biglietti da visita” da stampare in lingue come l’inglese, il francese, l’arabo, il farsi, il pashtu, il tigrino (Etiopia ed Eritrea) e il somali. Il biglietto da visita di WatchTheMed illustra l’allarme via telefono su un lato e una breve guida su due casi: Pericolo in mare e Pericolo di respingimento.

L’opuscolo intitolato “I rischi, i diritti e la sicurezza in mare” (ci sono versioni per il Mediterraneo Occidentale, Centrale e per il Mare Egeo) fornisce istruzioni su come prepararsi per il viaggio in barca attraverso il mare. Al migrante è detto di assicurarsi che la barca sia in condizioni di navigare; che abbia abbastanza cibo, acqua e vestiario; che sia equipaggiata di GPS e di telefono cellulare con le batterie completamente cariche, con abbonamento pagato per le chiamate all’estero; gli si consiglia di informare i suoi parenti e amici nel paese di destinazione, nonché nel suo paese d’origine del luogo e dell’ora di partenza e di arrivo, in modo da sapere quando informare i servizi nel caso in cui l’arrivo stia ritardando; di avere a bordo segnali di allarme per attirare l’attenzione delle navi di passaggio, in quanto ogni capitano ha l’obbligo di salvare la gente di mare, quali che siano le loro nazionalità o status giuridico.

Ancora, lo si istruisce su come comportarsi durante le operazioni di soccorso e, una volta sul suolo europeo, come rivendicare il diritto di asilo ai sensi della Convenzione di Ginevra del 1951. Ai migranti viene detto, senza mezzi termini, che cosa devono dichiarare per ottenere l’asilo, che viene concesso in caso di procedimenti giudiziari per razza, religione, nazionalità, appartenenza a un gruppo sociale o politico. Il migrante è inoltre incoraggiato a segnalare qualsiasi violazione dei suoi diritti.

L’opuscolo intitolato “Benvenuti in Grecia” dell’ottobre 2015, spiega che, anche se ai sensi del regolamento di Dublino, il migrante deve poter chiedere asilo nel primo paese in cui arriva, i paesi dell’UE non hanno ancora rinunciato a questa convenzione; viene suggerito senz’altro di procedere con il viaggio verso l’interno dell’Europa. Lo si informa, inoltre che ai migranti economici, non sarà concesso l’asilo; ancora una volta un chiaro accenno a cosa dire per essere accettato. Si fornisce anche il calendario per i traghetti e le navi complete dei prezzi del biglietto. E ci sono informazioni sulla geografia di Atene, gli indirizzi di organizzazioni umanitarie e pure un breve elenco di frasi utili in greco.
Anche in questo caso, che c’entri Soros resta da dimostrare, sebbene lo zampino di qualche Ong ‘amica’ sarebbe coerente con la sua agend.

E vero invece che nel 2015 l’ondata di profughi dal Medio Oriente via Turchia fu immane, provocando reazioni di rigetto in vari stati. La Germania ne accolse subito un milione, fino allo stop grazie all’accordo di Merkel con Erdogan che frutta tuttora alla Turchia €6 miliardi in tre anni. Versati dall’UE, non dalla Germania.

La Libia tenta di emulare da Turchia? C’è chi lo sospetta.


AGGIUNTE ODIERNE: Negli stessi mesi del 2017 la Open Society Foundations difendeva la propria politica a favore degli immigrati e delle ONG impegnate nel salvataggio, ammettendo di contribuire al loro finanziamento, ma non direttamente a quello delle navi. Ciò in polemica con le critiche che montavano in Italia, dopo che lo stesso direttore di Frontex aveva dichiarato che le ONG stavano “sostenendo gli affari delle reti criminali e dei trafficanti in Libia attraverso le imbarcazioni europee che raccolgono i migranti sempre più vicino alla costa libica”. <Stando a questa macabra logica, se le possibilità di affogare sono abbastanza alte, le persone eviteranno di imbarcarsi. Ma una tale politica richiede un grande numero di morti, e si basa su un presupposto errato…> rispondeva la OSF.

Da allora, se in Italia dopo il governo Conte1, Salvini ministro dell’Interno, le polemiche sembravano essersi acquietate, l’immigrazione è rimasto un tema caldo in tutti i movimenti di destra che hanno guadagnato terreno in Europa, e perfino tra i conservatori inglesi. Anche dopo la sconfitta negli US di Trump, ferocemente anti immigrati.

Siti estremisti anche in Italia hanno continuato a rinfocolare le critiche, con accuse estreme al sistema Alarm Phone che permette di individuare i migranti in difficoltà, secondo i critici facendo la sponda agli scafisti . Vedi per es qui un sito considerato di informazione ultradestra e fake.

Avevamo peraltro letto che a finanziare Alarm Phone era stata la stessa OSF. Ma non siamo più riusciti a ritrovare l’articolo. Un errore?

Pur senza voler prendere posizione su un problema così grande e controverso, Underblog continua a ritenere in ogni caso necessario far luce sui retro-scena di politiche magari orientate a buoni fini, ma pure a interessi precisi. Sempre meglio sapere che ignorare.

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La guerra in Ucraina è cominciata PRIMA del 24 febbraio. Ma non lo si dice.

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La CIA e altri vantano la divulgazione di info di intelligence inaccurate e perfino false non solo come strumento di infowar ma soprattutto come mezzo per destabilizzare Putin, prevenire e ostacolare le sue mosse, modificare la sua campagna, oltre a impedire alla Russia di definire la percezione della guerra nel mondo. Lo scrive un recente articolo di NBCnews. Un metodo copiato da Israele, suggerisce @ItalianPolitics.

Un paio di esempi: l’uso di agenti chimici che Mosca stava preparando, secondo Biden, smentite a NBCnews da funzionari intel. L’uscita dei russi da Kiev, non ritirata ma riposizionamento strategico verso sud est secondo l’interpretazione di Jack Sullivan: è una mera ipotesi del capo della National Security.

Ma il principale vanto degli US, scrive NBCnews, è aver “rivelato” in anticipo, e per settimane, l’intenzione di Putin di invadere l’Ucraina (la Francia e molti altri, anche analisti non ci credevano) inducendo così Putin a ritardare l’inizio della sua operazione speciale, non i primi di gennaio ma a febbraio. Consentendo agli US di compattare gli alleati e prepararsi a quanto sarebbe accaduto.

A febbraio però Putin, che da dicembre aveva schierato larghe forze al confine ucraino ufficialmente per esercitazioni militari, ancora non si muoveva. Andava “stanato”, evidentemente. Ma come? E’ sempre NBCnews a scrivere che ben prima del 24 febbraio gli US erano pronti ad affermare di essere a conoscenza di un attacco russo false flag in Donbass per giustificare l’invasione: “l’intelligence preparava addirittura un video, che tuttavia poi non si è mai materializzato”.

Forse perché un attacco c’è stato davvero, anzi più d’uno. E non un pretestuoso false flag ma veri e ripetuti attacchi al Donbass da parte ucraina a partire dal 16 febbraio, che hanno innescato il conflitto.

A raccontare questi precedenti, ignorati da analisti e media, è Jaques Baud, ex colonnello dei servizi strategici svizzeri specialista in Est Europa ex, ONU, ex NATO per la quale ha seguito gli avvenimenti ucraini dal 2014, nonché autore di libri. In un documentato lungo articolo  di fine marzo in cui si propone proprio di far luce su tante questioni, facendo emergere fatti ignorati/trascurati finanche da esperti vari. 

L’innesco della guerra è preceduto da una serie di precisazioni non da poco sulle radici del conflitto compresi gli accordi di Minsk mai applicati da Kiev, e da importanti informazioni sull’esercito ucraino e la collaborazione della NATO. Le vedremo in uno o due post successivi. Concentriamoci ora sull’innesco della guerra lasciando la parola a Baud, che Grayzone.com ha intervistato  il 15 aprile per discutere le sue prese di posizione. Titolo dell’intervista: US, EU sacrificing Ukraine to ‘weaken Russia’: fmr. NATO adviser

L’INNESCO della guerra.

Dal novembre 2021 – scrive Baud – gli americani hanno costantemente brandito la minaccia di un’invasione russa contro l’Ucraina. Tuttavia, gli ucraini non sembrano essere d’accordo. Come mai ? Dobbiamo risalire al 24 marzo 2021. Quel giorno Volodymyr Zelensky ha emesso un decreto  per la riconquista della Crimea e ha iniziato a schierare le sue forze verso il sud del Paese.

Contemporaneamente, vengono condotte diverse esercitazioni NATO tra il Mar Nero e il Mar Baltico, accompagnate da un aumento significativo dei voli di ricognizione lungo il confine russo. La Russia conduce quindi a sua volta alcune esercitazioni per testare la prontezza operativa delle sue truppe e dimostrare che sta seguendo l’evolversi della situazione. Le cose si calmano fino a ottobre-novembre con la fine delle esercitazioni ZAPAD 21, i cui movimenti di truppe vengono interpretati a occidente come un rinforzo per un’offensiva contro l’Ucraina. Eppure anche le autorità ucraine confutano l’idea dei preparativi russi per una guerra e Oleksiy Reznikov, ministro della Difesa ucraino, afferma che non ci sono stati cambiamenti al suo confine dalla primavera.

In violazione degli accordi di Minsk, l’Ucraina sta effettuando operazioni aeree nel Donbass utilizzando droni, compreso almeno un attacco contro un deposito di carburante a Donetsk nell’ottobre 2021. La stampa americana lo riprende, ma non gli europei e nessuno condanna le violazioni.

Finché, nel febbraio 2022, gli eventi precipitano. Il 7 febbraio, durante la sua visita a Mosca, Emmanuel Macron riafferma a Vladimir Putin il suo attaccamento agli accordi di Minsk, impegno che ripeterà dopo l’intervista con Volodymyr Zelensky il giorno successivo. Ma l’11 febbraio, a Berlino, dopo 9 ore di lavoro, l’incontro dei consiglieri politici dei leader del “Formato Normandiasi conclude, senza alcun risultato concreto: gli ucraini si rifiutano ancora e sempre di applicare gli accordi di Minsk, a quanto pare per via di pressioni da parte degli Stati Uniti.

Vladimir Putin si rende allora conto che Macron gli ha fatto vuote promesse e che l’Occidente non è pronto a far rispettare gli accordi, come fanno da otto anni . La stessa UE non ha mai mosso un dito per spingere in questa direzione, che avrebbe impedito la guerra.

Continuano intanto i preparativi ucraini nella zona di contatto. [E non è un caso se il 14 febbraio il Washington Post se ne esca con un articolo sui preparativi del Tiger Team dell’amministrazione americana, in corso da mesi, per fronteggiare  diversi scenari, fino a una invasione russa dell’Ucraina].

 Il parlamento russo è allarmato e il 15 febbraio chiede a Vladimir Putin di riconoscere l’indipendenza delle Repubbliche, cosa che lui rifiuta.

Il 17 febbraio, il presidente Joe Biden annuncia che la Russia attaccherà l’Ucraina nei prossimi giorni. Come fa a saperlo? Mistero… Ma dal 16, i bombardamenti di artiglieria delle popolazioni del Donbass stanno aumentando vertiginosamente, come dimostrano i rapporti quotidiani degli osservatori OSCE [grafico giorno per giorno riportato da Baud].

Naturalmente, né i media, né l’Unione Europea, né la NATO, né alcun governo occidentale reagisce e interviene. Si dirà più avanti che questa è disinformazione russa. In effetti, sembra che l’Unione Europea e alcuni paesi abbiano volutamente sorvolato sul massacro del popolo del Donbass, sapendo che avrebbe provocato l’intervento russo.

Nel frattempo si segnalavano atti di sabotaggio nel Donbass. Il 18 gennaio, i combattenti del Donbass intercettavano sabotatori equipaggiati con materiali occidentale e parlanti polacco che cercavano di creare incidenti chimici a Gorlivka. Potrebbero essere stati mercenari della CIA, guidati o “consigliati” da americani e composti da combattenti ucraini o europei, per compiere azioni di sabotaggio nelle Repubbliche del Donbass, scrive Baud.

Infatti, già dal 16 febbraio Joe Biden sa che gli ucraini hanno cominciato a bombardare le popolazioni civili del Donbass, mettendo Vladimir Putin di fronte a una scelta difficile: aiutare militarmente il Donbass e creare un problema internazionale o restare a guardare i russofoni del Donbass farsi schiacciare? Se decide di intervenire, Vladimir Putin può invocare l’obbligo internazionale di “Responsability To Protect” (R2P). Ma sa che qualunque sia la sua natura o portata, l’intervento scatenerà una pioggia di sanzioni. Pertanto, sia che il suo intervento sia limitato al Donbass o che vada oltre per fare pressione sugli occidentali per lo status [di neutralità] dell’Ucraina, il prezzo da pagare sarà lo stesso.

Questo è quanto Putin spiega durante il suo discorso del 21 febbraio. Quel giorno acconsente alla richiesta della Duma e riconosce l’indipendenza delle due Repubbliche del Donbass e firma con loro trattati di amicizia e assistenza. I bombardamenti dell’artiglieria ucraina sulle popolazioni del Donbass continuano e, il 23 febbraio, le due Repubbliche chiedono aiuti militari alla Russia. Il 24 febbraio Vladimir Putin invoca l’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, che prevede l’assistenza militare reciproca nel quadro di un’alleanza difensiva.

Per rendere l’intervento russo totalmente illegale agli occhi del pubblico [la narrazione mediatica] oscura deliberatamente il fatto che la guerra sia effettivamente iniziata il 16 febbraio. L’esercito ucraino si preparava ad attaccare il Donbass già nel 2021, come ben sapevano alcuni servizi di intelligence russi ed europei… Giudicheranno i giuristi.

GLI OBIETTIVI DI PUTIN

Nella sua allocuzione del 24 febbraio Putin annuncia i due obiettivi della sua operazione: <demilitarizzare> e <denazificare> l’Ucraina – scrive Baud e aggiunge: non si tratta quindi di impadronirsi dell’Ucraina e neppure, verosimilmente, di occuparla, tanto meno di distruggerla.

La pianificazione russa non è conosciuta nei dettagli ma -secondo Baud – lo svolgimento delle operazione permette di verificare come gli obiettivi si stanno traducendo a livello operativo:

Demilitarizzazione: – distruzione a terra di aviazione, sistemi di difesa aerea e di riconoscimento, – neutralizzazione delle strutture di comando e di intelligence(C31) e delle principali vie logistiche; – accerchiamento del grosso dell’armata ucraina nel su est del paese.

Denazificazione: distruzione  o neutralizzazione dei battaglioni di volontari che operano nelle città di Odessa, Kharkov e Mariupol nonché in diverse installazioni sul territorio. (…) [Di tali battaglioni nel contesto dell’esercito ucraino,parleremo nel prossimo post].

L’idea che la Russia cerchi di impadronirsi della capitale Kiev per eliminare Zelensky  proviene dagli Occidentali: sono loro che l’hanno fatto in Afghanistan, in Irak, in Libia ed è quel che volevano fare in Siria con l’aiuto dello Stato Islamico.   Ma Putin – secondo Baud – non ha mai avuto l’intenzione di abbattere o rovesciare Zelensky. La Russia al contrario cerca di mantenerlo al potere spingendolo a negoziare con l’accerchiamento di Kiev. Fino a quel momento aveva rifiutato di applicare gli accordi di Minsk, ora i Russi vogliono ottenere la neutralità dell’Ucraina.

Il fatto che i Russi continuino a cercare una soluzione negoziata pur continuando le operazioni militari [come accadeva in marzo] stupisce molti commentatori occidentali. Ma la spiegazione è nella concezione strategica russa, fin dai tempi dell’Urss: si può combattere e trattare contemporaneamente. (…)

Il rallentamento che i nostri esperti attribuiscono a una cattiva logistica non è che una conseguenza di aver raggiunto gli obiettivi prefissati. La Russia non sembra intenzionata ad impegnarsi in un’occupazione dell’intero territorio ucraino ma cerca di limitare la sua avanzata alla frontiera linguistica del paese .

I nostri media parlano di bombardamenti indiscriminati contro le popolazioni civili, in particolare a Kharkov e immagini dantesche vengono diffuse a iosa. E però Gonzalo Lira, un latino americano che vive lì ci presenta una città tranquilla il 10 marzo e l’11 marzo (links). Non si vede tutto, ma sembra indicare che non si tratta della guerra totale che vediamo sui nostri teleschermi.

Quanto alle Repubbliche del Donbass, hanno “liberato” i loro propri territori e combattono nella città di Mariupol (Baud si ferma a fine marzo).Apri il pannello di pubblicazione

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I tamponi molecolari non distinguono fra virus Covid e influenza?

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A insinuare il dubbio è stato sei mesi fa il CDC americano (Centers for Desease Control and Prevention), la massima autorità in materia negli Usa, annunciando che dopo il 31 dicembre 2021 avrebbe ritirato l’autorizzazione concessa in emergenza alla FDA nel febbraio 2020 al test diagnostico RT-PCR per il SARS-CoV-2. Ovvero quello che da noi viene comunemente detto “tampone molecolare”.

Il CDC si rivolgeva in anticipo ai laboratori di analisi affinché adottassero una delle alternative autorizzate alla FDA (link alla lista) e cominciassero la transizione, adottando il metodo Multiplexed “che può facilitare l’individuazione e la differenziazione fra virus SARS-CoV-2 e virus dell’influenza stagionale” (un metodo, in particolare il test salivare SARSeq, sul quale si era espressa la rivista scientifica Nature in maggio.

Ce n’è abbastanza perché siti alternativi e convintamente No Vax come il canadese Global Research si interroghino sulla notizia bomba: se davvero nei prossimi giorni il PCR verrà dichiarato non valido negli Stati Uniti, come da tempo su sito si sostiene. Anche sulla scorta dell’OMS che in effetti ha via via modificato le sue linee guida diagnostiche (qui le ultime ) in quanto il PCR, con una soglia critica solitamente troppo alta, non distingue fra basse e alte cariche virali, considerando tutti ‘contagiati’ allo stesso modo . Adesso si aggiungerebbe l’ammissione, non da poco data la fonte, che il test molecolare, utilizzato da due anni dai governi di Usa e Europa per lockdown, mascherine e greenpass vari, non distingue fra SARS-CoV-2 e influenza.

<Il che spiega la sparizione dei casi di influenza negli USA nel 2020 . E anche l’inflazione di casi COVID, come il Dr. Fauci e le élites DC sapevano sarebbe accaduto>, si spinge a scrivere un articolo, ovviamente alternativo, apparso il 29 dicembre scorso su Instagram.

Ma è veramente così? No, ribatte a ruota il fact checking  di Usa Today, in risposta ai 1000 like arrivati in 24 ore a quel post, più centinaia ad altri simili. Non è che il PCR confonda i due virus, indicando dei falsi positivi che hanno in realtà solo l’influenza – viene spiegato – ma che il test è stato disegnato per il SARS-CoV-2 e non per individuare l’influenza. Il CDC non ha deciso di ritirarlo per quel motivo, si aggiunge.

Per quale altro motivo allora? Questo non viene detto.

https://www.globalresearch.ca/bombshell-cdc-no-longer-recognizes-the-pcr-test-as-a-valid-method-for-detecting-confirmed-covid-19-cases/5765179
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#Vaccini. Le petizioni a FDA e EMA per sospenderne l’approvazione, ignorate e nascoste. Sotto accusa i test PCR, ma ora anche l’OMS ammette…

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Il vaccino anti Covid-19 Pfizer/BioNtech è già in corso in GB, Canada e USA, “autorizzato per uso in emergenza”, e adesso anche in Europa, con grandi fanfare. Era scontato che FDA e EMA non avrebbero neppure preso in considerazione le due petizioni inviate alle agenzie del farmaco americana ed europea. Petizioni urgenti (qui e qui) che chiedevano la sospensione immediata di tutti gli studi clinici sui vaccini, a partire proprio dallo Pfizer. Mettendone in dubbio l’efficacia ed elencando alcuni rischi.

Petizioni ignorate dai media, impegnati a tessere lodi sperticate dei vaccini “salvifici”, sull’onda del generale entusiasmo politico per una possibile – e certo sperabile – fine della pandemia, nonché dai corposi interessi industriali in gioco. La gigantesca macchina da guerra contro il Sars-CoV-2 è da tempo partita. E però proprio adesso dall’OMS arrivano nuove linee guida che danno ragione alla principale obiezione avanzata dei firmatari, e non solo da loro, quella sui test PCR usati per individuare i “positivi” al Covid-19, i ben noti tamponi molecolari: producono molti falsi positivi.

Una ragione in più per dare notizia di tali petizioni, divulgate da siti alternativi (es qui, qui e qui e qui in italiano), in odore di negazionismo, petizioni che anche Underblog avrebbe forse ignorato, se non fosse per il principio di precauzione, e per i nomi degli autori, non proprio gli ultimi venuti. Personaggi discussi e oggi relegati ai margini proprio per le loro non nuove posizioni eterodosse, ma con una storia più che rispettabile.

GLI AUTORI

Wolfgang Wodarg, pneumologo tedesco e politico di rilievo nell’SPD, per lunghi anni al Bundestag, già presidente dell’associazione dei socialdemocratici tedeschi per la salute dove si è occupato di etica e medicina, a capo del Comitato per la Salute del Consiglio d’Europa e in questa veste firmatario di una risoluzione che nel 2009-10 promuove un’inchiesta sulle pressioni esercitate dalle case farmaceutiche nella campagna sulll’H1N1, il virus dell’influenza ‘suina’ arrivato dagli Usa, una “campagna di panico” a suo dire, volta a indurre l’OMS a dichiarare una “pandemia falsa” per vendere vaccini nel mondo, come di fatto è accaduto. I vaccini acquistati da molti governi, fra i quali l’Italia, in gran parte inutilizzati, vennero buttati via.

 Michael Yeadon, inglese, specialista in pneumologia e allergologia, per sedici è stato a capo della ricerca allergologica e respiratoria alla Pfizer di cui era anche vicepresidente, poi fondatore e CEO della Ziarco, società di biotecnologia che conduce ricerche innovative e sviluppa terapie per malattie infiammatorie e allergiche, con l’aiuto della stessa Pfizer.

Quanto a Sin Hang Lee, il firmatario della petizione alla FDA, patologo molecolare di origine cinese laureato a Wuhan e approdato negli Stati Uniti dove ha esercitato anche all’Università di Yale, è un esperto mondiale di diagnostica basta sul sequenziamento del DNA, molti riconoscimenti e articoli peer revewed. Tra i primi ad accorgersi che i test PCR licenziati dalla FDA non sono accurati nell’identificare l’RNA del Sars-CoV2, a marzo 2020 aveva perfino mandato una lettera all’OMS e al dottor Fauci al National Institute of Health spiegando perché quei test generavano falsi positivi e falsi negativi.

LE PETIZIONI.

I firmatari chiedono che gli studi non continuino fino a quando non sarà disponibile un progetto di studio in grado di affrontare i seri problemi di efficacia e sicurezza espressi da un numero crescente di scienziati, scettici anche sulla rapidità con cui i vaccini vengono sviluppati.

Il punto chiave, centrale – e unico nella petizione all’FDA – è la nota mancanza di accuratezza dei test PCR (usati in Usa, Europa e nel mondo per provare la positività al virus) adoperati anche nelle validazioni dei vaccini da parte dei produttori, i cosiddetti trials di fase 2 e 3. I firmatari chiedono che a causa di tale mancanza di accuratezza venga utilizzato come conferma degli esiti dei test il “sequenziamento Sanger” (dal nome del suo inventore, metodo già imposto per altri vaccini, per es quello contro il papilloma virus). Questo – sostengono – è l’unico modo per fare affermazioni affidabili sull’efficacia di vaccini contro il Covid-19.

Sulla base dei limiti dei test PCR, oltre che dalla qualità molto variabile dei vari differenti test utilizzati nei trials, né il rischio di malattia né la trasmissibilità, né quindi un possibile beneficio dal vaccino possono essere determinati con la certezza necessaria. L’efficacia dei vaccini non verrà garantita. Motivo per cui testare il vaccino su esseri umani non solo non è etico di per sé. Soprattutto, una volta autorizzati vaccini non propriamente testati, importanti decisioni politiche pubbliche sul loro uso saranno basate su prove fuorvianti.

Rilevanti le conseguenze mediche ed economiche per gli stati americani e i membri dell’UE, e i loro cittadini/residenti. Nel caso che il vaccino venisse reso obbligatorio, in generale o in certi casi come nei viaggi aerei internazionali, aggiunge il firmatario americano (che non lo esclude, richiamando un documento dell’Ordine degli avvocati di  New York , e peraltro le compagnie aeree già ventilano l’idea di un passaporto vaccinale) o venisse fortemente raccomandato, i cittadini non potrebbero obiettare né affermare che l’obiettivo non è stato raggiunto.

I RISCHI

I firmatari della petizione all’EMA chiedono inoltre che venga escluso, in base ad esperimenti sugli animali, che possano verificarsi rischi conosciuti da studi precedenti, in parte originati dalla stessa natura dei coronavirus. Le preoccupazioni espresse riguardano alcuni punti:

  • La formazione di “anticorpi non neutralizzanti” che può essere indotta dal vaccino può produrre una reazione immunitaria esagerata, quindi un’infezione molto grave, quando dopo la vaccinazionela persona si confronta con il virus reale, “selvaggio” . Questa amplificazione anticorpo-dipendente – ADE (antibody-dependent Enhancement)- è nota da tempo e non vale per tutti i virus ma è la prima ragione per cui i tentativi di vaccini contro i coronavirus hanno finora fallito. Come hanno dimostrato vari studi sugli animali, per es macachi vaccinati con la proteina Spike del Sars-Cov.
  • I vaccini dovrebbero indurre la produzione di anticorpi contro le proteine Spike del SARS-CoV-2. Tuttavia, le proteine Spike contengono anche proteine sincitino-omologhe, che sono essenziali per la formazione della placenta nei mammiferi come gli esseri umani. Deve essere assolutamente escluso che un vaccino contro il SARS-CoV-2 inneschi una reazione immunitaria contro la Sincitina-1, perché altrimenti potrebbe provocare l’infertilità a tempo indeterminato nelle donne vaccinate.
  • I vaccini mRNA di Pfizer/BioNTech (e Moderna) contengono polietilenglicole (PEG). Il 70% delle persone sviluppa anticorpi contro questa sostanza – questo significa che molte persone possono sviluppare reazioni allergiche al vaccino, potenzialmente fatali.

Infine, osservano i firmatari:

La durata decisamente troppo breve degli studi non consente una stima realistica degli effetti collaterali tardivi. Come nei casi di narcolessia (sonnolenza) in seguito alla vaccinazione contro l’influenza suina H1N1, milioni di persone sane sarebbero esposte a un rischio inaccettabile se fosse pianificata un’approvazione d’emergenza con la possibilità di monitorare solo successivamente gli effetti tardivi.

CASI RECENTI POST VACCINO

Allergie: i primi vaccini Pfizer/BioNtech effettuati in GB hanno subito evidenziato reazioni allergiche in due pazienti, poi in un terzo. Di altri due casi verificatisi in Alaska ha dato notizia il NYTimes, uno dei quali un vero chock anafilattico molto grave. La donna ha dovuto essere ricoverata in terapia intensiva.

L’agenzia regolatoria britannica ha subito aggiornato le linee guida e consigliato di non vaccinare i soggetti allergici, quanto meno con una storia di reazioni allergiche importanti a vaccini, medicine, alimenti o altro. In ogni caso in GB i vaccini vengono eseguiti negli ospedali.

Negli USA l’epidemiologo Thomas Clark ha sollevato il problema e divulgato informazioni. I casi di reazioni gravi, anafilattiche al 18/12 erano già sei – su 272.000 vaccinati! ha obiettato il CDC, che in ogni caso ha deciso di monitorare da vicino le reazioni allergiche. Le reazioni allergiche sono del resto contemplate dagli stessi produttori Pfizer e Moderna, che raccomandano la disponibilità di cure immediate e appropriate dopo il vaccino (terapie intensive disponibili?). Tra i primi vaccinati col vaccino Moderna un medico di Boston ha avuto un shock anafilattico.

Il problema insomma esiste. E al CDC, che ora ritiene necessario investigare su quale componente dei vaccini causino allergia, Clark risponde che è noto che a provocarle sia il PEG, poliethilene glicole usato come adiuvante da Pfizer/BioNtech e Moderna. Come si sostiene anche qui.

Reazioni immediate, non gravi ma che hanno reso impossibile tornare al lavoro, si sono verificate negli USA in 3.150 vaccinati, è ancora Clark ad informare.

Gravidanze e vaccini. E’ la stessa Pfizer a raccomandare di non vaccinare le donne che allattano e le donne in gravidanza, a rimandare la vaccinazione in caso di incertezza sullo stato, a non fare la seconda dose se nel frattempo la donna resta gravida. Soprattutto, suggerisce che le donne vaccinate non rimangano incinte nei due mesi seguenti alla seconda dose di vaccino. Lo dice l’agenzia inglese per la salute (Public Health England), qui e anche qui.

“Non è noto se il vaccino BNT 162b2 Covid-19 mRNA ha un impatto sulla fertilità”. Gli studi sulla tossicità riproduttiva negli animali non sono completi”. Il vaccino è nuovo e mancano ancora dati certi, precisa Pfizer.

Stranamente l’OMS nelle sue informazioni sui vaccini non ne fa cenno, e neppure l’EMA, a quanto viene raccontato dai media.  

TEST PCR SOTTO ACCUSA.

E’il punto centrale delle petizioni, l’unico in quella alla FDA che ne tratta in modo approfondito, esaminando i trials condotti da Pfizer e i diversi test PCR utilizzati. Si tratta dei test molecolari, i cosiddetti tamponi molecolari, predisposti da svariate aziende, il firmatario americano cita in particolare quelli della svizzera Roche, delle americane ThermoFisher, presente anche in Italia, Abbott e IDT, utilizzati nei trials Pfizer. Ma non ci addentreremo nei dettagli.

In realtà non sono tutti uguali. Né sono uguali i protocolli a cui fanno riferimento – li vedremo – diversi negli Usa e in Europa, questi ultimi avvalorati dall’OMS che tuttavia suggerisce cautela sottolineando, come fa anche la FDA, che l’esito è presuntivo .

Il PCR non è un test nuovo: inventato nel 1986 da Kary Mullis, premio Nobel 1993 per la chimica, viene utilizzato per individuare viruse e altri agenti a scopo di ricerca, non come strumento diagnostico sul quale lo stesso inventore aveva dei dubbi. Siccome si può fare in tempo reale, è diventato RT-PCR, RealTime Polymerase Chain Reaction, o RT-qPCR (in realtà un po’diversi, ma non ci addentriamo).

“E’ usato per l’individuazione sensibile e specifica e per quantificare degli acidi nucleici (RNA) del virus obiettivo”, sostengono i produttori (ThermoFisher per es). E’ così? I critici sostengono di no.

<Se un test non è abbastanza sensibile, l’agente non si trova e l’esito risulta negativo. Se un test non è abbastanza specifico il test può identificare qualcosa d’altro, e l’esito risultare comunque positivo. Potrebbe voler dire che il test reagisce a un altro virus o un’altra fonte genetica. Oppure potrebbe individuare la presenza di residui di SarsCov2 di un individuo che non è più malato; infine, anche piccole contaminazioni da laboratorio possono generare falsi positivi>, osservava già ad aprile Kevin Ryan, Deputy Director Vaccine Research Program, Division AIDS del National Institute Health, uno dei tanti critici del test PCR, che se ne preoccupava in generale e pure per il conto dei morti Covid.

E’ quel che accade con i test RT-PCR che non sono sempre sensibili e soprattutto non sono specifici.

Non rilevano l’intero RNA del virus che cercano ma solo alcuni tratti  o geni della sua sequenza genomica, decisi a priori in base ai protocolli ritenuti specifici, in realtà discussi. A seconda dei geni selezionati possono individuare anche frammenti di virus, compresi vari altri coronavirus (4 i ceppi in circolazione, endemici, anche legati al raffreddore) con cui siamo venuti in contatto. Soprattutto, individuano anche frammenti dello stesso virus Sars-Cov2 che di fatto sono solo pezzi di virus ormai inerti.

Come può accadere? Succede in quanto il test RT-PCR è qualitativo, non quantitativo: determina la positività/negatività in base alla presenza/assenza del virus (ovvero dei geni cercati) ma non stabilisce “quanto” virus è eventualmente presente. I geni per essere individuati vengono amplificati un certo numero di volte. Eppure per determinare la positività la quantità di virus è essenziale, e dipende proprio da tale amplificazione.

La quantità di virus (ovvero la cosiddetta “carica virale”) viene stimata induttivamente sulla base della soglia di amplificazione (CT) che è variabile, dipende dal numero di cicli di amplificazione a cui il campione è sottoposto. Più è alta la soglia del numero di cicli (CT)– sicuramente sopra i 35 cicli, quando individuare l’intera sequenza diventa impossibile – meno alta è la certezza di aver individuato il virus, ma solo frammenti inerti.

Ecco perché, amplificando fino a 40 cicli come viene fatto – anche fino a 42-46 cicli negli Usa, denuncia il firmatario della petizione all’FDArisultano molti falsi positivi, oltre che alcuni falsi negativi. Tanto più accade con i test RT-qPCR. Il numero dei falsi positivi/falsi negativi non sarebbe affatto piccolo, un errore casuale diciamo. Ma molto grande, una certezza oltre una certa soglia CT. Secondo alcuni ricercatori, quando la soglia supera i 35 cicli la probabilità che la persona testata è realmente infettata è del 3%, e ne consegue che con tali CT i falsi positivi sarebbero il 97%. Tra i 30 ei 35 CT l’esito sarebbe incerto.

Quali conseguenze per i vaccini? Secondo il protocollo Pfizer/BioNtech nei trials dei vaccini i partecipanti se hanno anche solo un sintomo tra quelli elencati, affatto specifici del Covid-19, ma confermato dal test RT-PCR o, peggio, RT-qPCR, vengono considerati infetti/malati COVID-19, e questo viene considerato un punto di arrivo. Un certo numero di “punti finali” determina l’efficacia: questa si basa quindi solo su sintomi non specifici e esiti di test RT-PCR considerati positivi ma non affidabili.

Efficacia? In realtà – sottolineano ancora i firmatari – il protocollo Pfizer NON è disegnato per determinare l’obiettivo che vuole raggiungere. NON si dice se il vaccino bloccherà la trasmissione del virus e/o ridurrà la gravità della malattia e la morte.  Si parla solo di PREVENZIONE nei pazienti vaccinati. Peraltro, se anche l’obiettivo fosse specificato, aggiungono, dal momento che i casi non possono essere determinati con certezza nessun obiettivo potrebbe essere raggiunto in modo affidabile.

Ecco perché i firmatari delle petizioni affermano che, prima di approvare una autorizzazione di emergenza tutti i casi utilizzati per determinarne l’efficacia dovrebbero avere lo status di infezione confermato col metodo del cosiddetto sequenziamento Sanger, suggerito dalla stessa FDA e considerato il gold standard. Fra l’altro i test RT-qPCR, più brevi e utilizzati con gli altri nei trials Pfizer, a differenza degli RT- PCR non possono essere validati col sequenziamento Sanger.

CT E CARICA VIRALE. I TEST DI MASSA

Al di là dei vaccini il metodo, assai approssimativo, che abbiamo visto è lo stesso utilizzato nei “tamponi di massa” a cui sono sottoposti i cittadini, con l’idea di determinare la circolazione del virus, dell’infezione, e dei malati Covid-19. Senza mai esplicitare la quantità di virus stimata, ovvero la carica virale. Che pure è cruciale.

Il prof Giuseppe Remuzzi direttore dell’Istituto Mario Negri già lo scorso luglio ne sottolineava l’importanza e spiegava bene il nesso fra la soglia di amplificazione e la carica virale, ovvero la concentrazione del virus nell’organismo. <Più alto è il cosidetto Cycle Threshold, il ciclo soglia, meno RNA virale è presente in chi ha fatto il tampone> scriveva Remuzzi. E aggiungeva: <Sotto le 100 mila copie di RNA non c’è essenzialmente rischio di contagio. Mentre nei campioni esaminati in Lombardia sono state trovate meno di 10.000 copie, che corrispondono a 34-36 cicli>. Già meglio che negli Usa, osserviamo.  

Una bassa concentrazione non dà problemi per qualsiasi agente tossico, spiegava facendo l’esempio dell’arsenico, presente in bassissime concentrazioni nell’acqua del rubinetto. <Lo stesso discorso vale per il tampone: se la carica virale è alta il paziente sarà infettivo, se è bassa o bassissima lo è anche la contagiosità. Il che non vuol dire che tutti i nuovi positivi testati lo siano debolmente, alcuni possono anche avere cariche virali alte. Per questo – suggeriva – sarebbe opportuno che i laboratori nel definire positivo un tampone ne quantifichino la carica virale, come si fa con glicemia, azotemia o colesterolo>.

Invece si continua a non farlo, nei trials dei vaccini e nei “test di massa” a cui sono sottoposti i cittadini. Cosa significhi il numero di “positivi” rispetto al numero di tamponi effettuati a questo punto non è molto chiaro. Eppure con questo dato si valutano giorno per giorno i “contagi” in un territorio, e si calcola il cosiddetto “indice RT”, base per le misure restrittive conseguenti. Il tutto sulla base del postulato: casi positivi al RT-PCR=pazienti COVID o quanto meno contagiati, magari senza sintomi e non contagiosi. I critici lo dicono da tempo, ma vengono tacciati di negazionismo. Negazionista anche il prof. Remuzzi ?

“Andando avanti con queste pratiche di test e con questi risultati il Covid-19 potrebbe non sparire mai”, concludeva il prof.Carl Heneghan, dell’Università di Oxford alla fine di un articolo su diagnosi e falsi positivi.  

Cautele sui test di massa esprime dall’Istituto Mario Negri anche Antonio Clavenna, responsabile Unità di Farmcoepidemiologia: <Il problema è il metodo, i test sono strumenti come i vaccini. …Nei report non si specifica se ci si basa su test molecolari o rapidi [quasi uno su due falsi negativi]… Avremmo bisogno di conoscere la percentuale di falsi negativi e falsi positivi…l’esito del test dipende anche da quando viene effettuato …il solo tampone non deve essere l’unico criterio di valutazione>. 

 (E si potrebbe andare avanti con i test sierologici, che rilevano soltanto gli anticorpi Ig, e non altri tipi di immunità trasversale, innata o specifica delle cellule T. Il sistema immunitario è molto complesso, e nemmeno ben conosciuto, mettono in guardia vari immunologi ed epidemiologi),

Clavenna ridimensiona peraltro anche le aspettative sui vaccini anti Covid-19: <I risultati sembrano promettenti, ma la realtà è che non siamo in grado di capire, adesso, quale sarà l’efficacia concreta del vaccino anti Covid-19; quanto durerà la protezione che il vaccino garantisce; se il vaccino sarà anche in grado di ridurre la contagiosità o se eviterà solo alle persone di manifestare i sintomi della malattia, tante domande ancora senza risposta>…<Da parte di molti esperti credo ci sia un sostanziale consenso nel sostenere che difficilmente, nei prossimi mesi, il vaccino costituirà la soluzione che bloccherà l’epidemia o, addirittura, che eliminerà il virus… sarà un aiuto per tentare di gestirla>…<La sicurezza appare paragonabile a quella di altri vaccini, la differenza è che l’approvazione è stata data quando i dati non permettono di stabilire la reale efficacia… infatti è stata concessa sub judice>.

I firmatari delle petizioni invece come abbiamo visto sottolineano anche i rischi. E Wodarg in un recente articolo col microbiologo indiano, prof Sucharit Bhadi, ne aggiunge altri, relativi ai vaccini Pfizer e Moderna, vaccini non tradizionali basati sulla nuova tecnica dell’RNA ricombinante. Tali vaccini, realizzati con interventi di ingegneria genetica interverrebbero nei complessi processi biologici di comunicazione del nostro sistema immunitario. Dubbi anche sulla composizione di tali vaccini, che comporta frammenti di informazioni di RNA o DNA in cellule umane. <L’RNA ricombinante, introdotto nelle cellule umane, altera i processi genetici e può essere classificato come una modificazione delle cellule dell’organismo>.

Un rischio temuto da altri, fra i quali il biologo molecolare Pieter Borger . Mentre altri , e nella stessa EMA (da contatti personali) smentiscono. Ma essendo la tecnologia nuova, certezze non ve ne sono.

PROTOCOLLI E COINCIDENZE

I protocolli sui quali si sono basati finora i test PCR sono cruciali in questa storia. E colpisce la celerità con la quale sono stati messi a punto, di là e di qua dell’Atlantico, prima ancora che fossero disponibili i campioni fisici del nuovo coronavirus, ancora poco conosciuto e poco diffuso.

I protocolli in uso sono due, tre con quello cinese, modificato in seguito, probabilmente dopo che un articolo peer revewed  sul Chinese Journal of Epidemiology il 5 marzo aveva concluso che <circa la metà o forse di più dei pazienti testati non avevano il virus, erano falsi-positivi>. L’articolo era stato ritirato misteriosamente dopo qualche giorno, per ragioni politiche ha spiegato a mezza bocca l’autore, Dr. GH Zhuang. Era apparso un mese dopo il lockdown di 36 milioni di cinesi!

Ne parla Kevin Ryan nell’articolo citato sopra, dove racconta la vicenda di quello americano, le cui contestazioni sono cominciate quasi subito e sono arrivate poi fino al Congresso con una lettera di 100 virologi, costringendo la CDC ad ammettere che gli esiti positivi “non escludono infezioni batteriche o co-infezioni da altri virus. L’agente individuato può insomma non essere la causa della malattia. Questo perché, come scritto da Scientist e poi dal Washington Post i “geni” del virus selezionati non sono specifici”. In laboratori USA hanno persino trovato contaminazioni da Sars-Cov 2.

Alla lettera accenna anche il firmatario della petizione alla FDA, sottolineando i tempi strettissimi della definizione del protocollo Usa.

Il 7 gennaio le autorità cinesi annunciano la presenza del nuovo coronavirus, chiamato ancora   2019-Sars Cov. Il 10 gennaio la sequenza del genoma viene rilasciata online, sul sito virology.org, seguita da altre il 12 gennaio. Negli Usa quello stesso 10 gennaio, un gruppo di scienziati americani, la maggior parte del CDC, disegnano immediatamente due panel di primers, i geni ritenuti specifici del nuovo virus, e mettono a punto il protocollo americano. Diverso da quello europeo fatto poi proprio dall’OMS.

Questo è il “Protocollo Drosten”o anche “Corman-Drosten”, non meno discusso peraltro, e disegnato con altrettanta celerità dal team di Christian Drosten, del Charité Hospital di Berlino, selezionando tre primers. Anche questo si è basato sulla sola sequenza divulgata online, non disponendo del virus in vitro né di casi clinici, non ancora divulgati alla comunità internazionale. Il 13 gennaio la prima versione 0.1 del protocollo viene inviata all’OMS, che lo stesso giorno la pubblica sul suo sito ufficiale, e la aggiorna il 17 gennaio. Senza attendere la pubblicazione dell’articolo.  

 L’articolo, sottoposto il 21 gennaio alla rivista Eurosurveillance spiega che il design e la valutazione del test, non essendoci ancora campioni di virus disponibili, sono stati ottenuti grazie alla somiglianza del nuovo coronavirus con il Sars-Cov del 2003, oltre alla nota tecnologia degli acidi nucleici sintetici. Accettato il 22 gennaio, l’articolo viene pubblicato online il 23, senza peer revew.

Eppure al 20 gennaio erano stati confermati all’OMS soltanto 282 casi clinici. E al 21, stando a BBC e Google Statistics, i morti nel mondo erano ancora solo 6. Lo osserva fra l’altro il gruppo gli scienziati internazionali (fra i quali il biologo molecolare Pieter Borger Yeadon) che hanno effettuato una peer revew esterna al protocollo Drosten. Dove rilevano una serie di carenze e errori, anche gravi, a loro dire. E conflitti di interesse. Drosten stesso, e un altro collega del team, fanno parte del comitato editoriale di Eurosurveillance. Mentre un altro ricercatore è il CEO di Tib-Malbiol, la società con sede a Berlino ma presente anche in altri paesi, compresa l’Italia, che produce sintesi di acidi nucleici, Dna sintetico, sistemi analitici per RT-PCR, e gli stessi test. Un altro ricercatore, della GENEExpress, ne è consulente.

Fatto sta che, senza nessuna ulteriore verifica indipendente, a parte quella delle aziende commerciali che producono test PCR o suoi componenti, il protocollo Drosten diventa il riferimento, anche per molti paesi. Altri sceglieranno quello Usa.

L’OMS, solo l’11 marzo decreta la pandemia da Sars-Cov-2 (118.00 i casi in 114 paesi, 4.291 le vittime a quella data). E il 19 marzo pubblica linee guida per testare il Covid-19, basate sul test RT-PCR di Drosten, ma indicando la necessità di conferme dal sequenziamento quando necessario. E consigliando il metodo Sanger, quello indicato dalle petizioni.

Del resto anche la FDA, in una lettera del 4 febbraio al direttore del CDC, nell’autorizzare l’uso in emergenza, validando il test americano sosteneva che l’esito è presuntivo.

Eppure già l’11 febbraio Pfizer e Moderna ricevono finanziamenti pubblici per sviluppare il vaccino.

Il giovane Drosten, l’esperto di riferimento Covid del governo, “il Dr Fauci” di Frau Merkel, è ormai famoso in Germania dove gli hanno fatto persino una statuina da presepe (mostrata da RaiNews). Ma ha due cause legali in corso, una per la sua tesi di dottorato, le cui copie sono diventate introvabili, e un’altra intentata da un sito mediatico per aver accusato Wodarg di essere un negazionista e persino un estremista di destra! Ma questi sono gossip, come le ironie sul ministro della Sanità tedesco, un ex banchiere senza alcuna specializzazione medica ma noto come lobbista di Big Pharma.

ORA L’OMS AMMETTE RISCHI ELEVATI DI FALSI POSITIVI DAI PCR

La vera novità è che il 14 dicembre scorso l’OMS ha infine pubblicato un Memo, avvisando che un alto numero nella soglia di cicli nei test PCR produce risultati falsi positivi. E fornendo nuove Istruzioni d’uso.

<Abbiamo ricevuto dei feedback su un elevato rischio di risultati falsi per il SARS-CoV2 quando si testano campioni usando i test RT-PCR>, esordisce. E precisa che tali rischi sorgono dall’usare alte soglie di CT, la famosa soglia di amplificazione… <I risultati di campioni analizzati manualmente con tali alte soglie CT possono essere interpretati come esiti positivi>, scrive ancora. E mette in guardia: … <in certe circostanze, la distinzione fra rumore di fondo e attuale presenza del virus può essere difficile da interpretare>. Seguono cinque nuove istruzioni per l’uso (IFU). Fra queste:

*considerare ogni esito positivo o negativo al SARS-CoV-2 in combinazione con il tipo di campione, osservazioni cliniche, storia del paziente e informazioni epidemiologiche;

*fornire il valore del CT nei report al gestore – Come già suggerivano in tanti, da noi il prof. Remuzzi.

L’OMS dà infine ragione non solo ai firmatari, ma ai tanti esperti, scienziati, giornalisti scientifici che effettivamente da mesi criticano gli attuali test PCR. Il governo Australiano lo aveva scritto sul suo sito, denunciando la scarsa utilità clinica dei test, in Portogallo una corte d’appello ha sentenziato che i test non sono adatti allo scopo. Persino il dr.Fauci aveva pubblicamente ammesso che sopra la soglia di 35 cicli non si individua il virus ma solo “nucleotidi morti”.

Allora perché l’OMS se ne vien fuori solo adesso con queste nuove istruzioni e decide di ammettere che quel che era consentito è sbagliato? Come mai infine riconosce questa realtà ?

Una risposta non c’è. Ma un’ipotesi è stata avanzata da Zerohedge, “cinica e potenzialmente scioccante”. <Ora abbiamo i vaccini. Non abbiamo più bisogno di falsi positivi.

Dopo che ciascuno sarà vaccinato, tutti i test PCR che si faranno verranno fatti secondo le nuove linee guida dell’OMS, e ammetteranno solo 25-30 cicli invece di più di 35. Il numero di “casi postivi” crollerà, e avremo la conferma che i miracolosi vaccini hanno funzionato>.

Ipotesi effettivamente cinica, e malevola. Vedremo, pur augurandoci che l’incubo Covid-19 comunque si dissolva.

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BlackRock e la sua Rivoluzione nel sistema finanziario, economico e politico globale

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Accordo Ue, svolta dell’Europa. Il coro è quasi unanime. Mentre BlackRock esorta gli investitori a puntare sul Vecchio Continente, più avanti rispetto agli Usa. Come stupirsi? Dietro alla ‘svolta’ a ben vedere c’è lo zampino – o zampone – della Roccia Nera, che negli Usa a marzo si è aggiudicata la gestione totale del salvataggio miliardario delle imprese americane da parte della Federal Reserve, diventando ormai la “quarta branca del governo”. Non solo.

La Ue da parte sua , nel suo piano di aiuti da €1000 miliardi emetterà bond comuni ed elargirà fondi e prestiti ai paesi membri, ma lo farà in cambio di riforme, ovvero di interventi nelle politiche fiscali dei governi europei. Una rotta globale indicata giusto un anno nel corso del meeting annuale a Jackson Hole dei banchieri centrali, dietro proposta di emissari della Roccia Nera, sulla base del suo Documento o Libro Bianco pubblicato una settimana prima. Un piano in atto, che un anno dopo Black Rock nell’Outlook sul suo sito definisce <una Rivoluzione>.

Il Covid-19 poi ha aiutato, capitando come si usa dire ‘ a fagiolo’. E oggi Black Rock oltre a gestire gli stress test delle banche europee per conto della Bce, è diventata pure consulente dell’Ue su come incorporare le pratiche ambientali, sociali e di governance nella gestione del rischio da parte delle banche, di gran parte delle quali è azionista e quasi tutte sue clienti. Pratica in cui peraltro eccelle.

Un protagonismo ormai anche politico, quello del maggior gestore di attivi del mondo, che impensierisce non poco gli osservatori più attenti, nel generale silenzio mediatico. In un quadro in cui tre soli grandi giganti gestori di assets- i Big Three, in testa Black Rock con Fidelity e State Street –non solo gestiscono una grandissima parte degli investimenti globali ma detengono quote, anche di controllo, in un numero grandissimo e crescente di corporations e imprese, dentro e fuori dagli Usa a partire dall’Europa, con diritto di voto. Mentre il fondatore e CEO della Roccia Nera Larry Fink è in predicato per diventare Segretario al Tesoro in una eventuale amministrazione di Joe Biden.

Ma ricominciamo dall’inizio.

Black Rock, l’irresistible ascesa. Sulla scia di un articolo di Limes (a firma del prof Germano Dottori) Underblog si era già occupato della Roccia Nera nel 2015, chiedendosi se davvero il ‘Moloch della finanza globale’ fosse responsabile del cambio di scena in Italia nel 2011, quando Deutsche Bank, di cui BlackRock era azionista di controllo, aveva per prima ritirato i suoi capitali nei titoli di Stato italiani, spingendo il nostro paese sull’orlo del famigerato ‘baratro’. Non era Berlino, non erano i poteri di Francoforte a provocare il tracollo, era molto probabilmente stata la RocciaNera, concordava Underblog. Quasi certamente, a giudicare dai fatti successivi.

La Roccia nera era già un gigante e gestiva i rischi di $15.trilioni di attivi segnalava l’Economist che già nel 2103 le aveva dedicato una copertina con una gigantesca roccia nera incombente sull’orizzonte.

Nel contesto della finanziarizzazione globale promossa da Reagan e poi da Clinton, BlackRock aveva visto la luce nel 1988, in partnership al 50% con BlackStone, la mega finanziaria globale di private equity, che qualcuno vede connessa con i Rothschild (il barone Nathaniel Jacob in ogni caso entra nel 2007 nel board), nota dopo il 2008 per essersi impossessata a prezzi stracciati di case pignorate durante la crisi poi rivendute a prezzi gonfiati, racconta Ellen Brown (giugno 2020), avvocato e attivista favore delle banche pubbliche, autrice di vari libri. Che nel raccontare Jackson Hole 2019, ne riassume anche la storia.

<Staccatasi nel1995 dalla partner, BlackRock negli anni ’90 e 2000 accresce i suoi bilanci promuovendo gli MBS, i mutui cartolarizzati ovvero titoli garantiti da ipoteca che hanno fatto crollare l’economia nel 2008. Conoscendo bene il business dall’interno nel 2008-9 era stata incaricata dalla Fed di acquistare i titoli tossici fuori mercato da Bear Stearns e AIG, cosa che la Fed non avrebbe potuto fare da sé>. Le fortune della Roccia Nera sono tuttavia legate soprattutto agli ETF, titoli comprati e venduti come azioni ma che operano come fondi indicizzati, seguendo passivamente indici specifici come l’S&P 500, l’indice delle big corporations in cui investe la maggior parte della gente. Con gli ETF BlackRock si è assicurata trilioni di attivi, in particolare dopo aver acquisito la serie di iShares quando si è impossessata di Barclay Global Investors nel 2009. Al 2020 iShares comprende 800 fondi e $1.9 trilioni di attivi in gestione diretta.

I Big Three. Oggi il settore ETF comprende circa la metà di tutti gli investimenti in azioni Usa ed è altamente concentrato. Il settore è dominato dai tre maggiori gestori di denaro al mondo, i cosiddetti Big Three: Black Rock, Vanguard e State Street, con BlackRock leader assoluto: insieme detengono l’80% di tutti i fondi indicizzati.

Come si vede dalla tabella sui top money managers (non solo di ETF) pubblicata nel recente articolo di BloombergQuint, società indiana partecipata al 30% da Bloomberg News in un articolo recente. Black Rock in testa con $7.4 trilioni di assets globali sotto controllo (un terzo di quali in Europa, e $625 miliardi di piani pensione), seguita da Vanguard Group con $6.2 trilioni , State Street Global Adv con $5.1 trilioni, seguono Fidelity Investment ($3.2) e JP Morgan Asset Mgt ($2.4).

“The spectre of the Giant Three” titolava un anno fa uno studio di due docenti di Harvard, ben riassunto in italiano da Startmag.it, e sui Big Three è oggi puntato l’occhio dell’antitrust americana. Da notare gli intrecci azionari fra gli stessi Big Three, oltre che con le maggiori mega banche, come riferiva già nel 2015 Underblog, citato sopra.

Non solo. <Al 2017 i Big Three sono diventati anche i maggiori singoli azionisti nel 90% delle società S&P 500, comprese Apple, Microsoft, Exxon Mobil, General Electric, Coca Cola ecc, per restare negli Usa . La Roccia nera detiene inoltre principali interessi in quasi ogni mega banca e nei media più importanti.> Così la Brown, cui fa eco Le Monde Diplomatique, gennaio 2020:

<Insieme i tre giganti nella gestione di attivi comulano 15.000 miliardi di capitalizzazione, l’equivalente del PIL della Cina, e controllano un blocco maggioritario di azioni nel 90% delle imprese S&P 500, ma gli altri non sono che nani davanti al Leviatano finanziario, che investe in 5 continenti e, con un giro di affari superiore a $15.000 miliardi ($15 trilioni) e quasi 14.000 collaboratori in 30 paesi, gestisce da sola oltre $6000 miliardi, due volte e mezzo il Pil francese>.

Le quote nelle imprese S&P 500 sono solo la punta dell’iceberg. <La società di Larry Fink ha quote nel 40% di tutte le imprese americane e vota in 17.000 cda, possiede più azioni in Google, Amazon, Apple, Microsoft  dei fondatori di tali società>.

La mira, spiega Le Monde Diplomatique, è acquisire un peso sufficiente nel capitale in concorrenza nello stesso settore, consentendole di influire sulle decisioni: come è accaduto per i prezzi nelle società aeree Usa, che fanno capo alla Roccia Nera. E in Europa? Lo vedremo più avanti

Aladdin. E’ la carta vincente della Roccia Nera, per la precisione di Black Rock Solutions: una piattaforma software iper sofisticata, “una rete di codici, scambi commerciali, chat, algoritmi, modelli predittivi”, che funziona come una Intelligenza Collettiva, spiega sul suo sito, (vedi anche Seekingalpha), ma anche sorta di oracolo . Attraverso tale rete la Roccia Nera scopre le vulnerabilità e valuta e prevede opportunità e rischi per i suoi clienti, diretti indiretti, piccoli e grandi, privati e istituzionali come governi, assicurazioni e quant’altro- compresi i gestori di assets suoi rivali (come Bloomberg LP, parente di Bloomberg News), monitorando ben $20 trilioni – $20.000 miliardi – di assets nel mondo. Niente a che vedere con le Mille e una Notte, il nome è l’acronimo di Asset, Liability, Debt and Derivative Investment Network)

L’incarico dalla Fed . Non sorprende che <quando la Fed ha avuto bisogno di aiuto per la sua missione di salvataggio pandemico si sia rivolta direttamente a Larry Fink, diventato il più importante suggeritore industriale del governo>, scrive BloomberQuint. Espertise e capacità di azione immediata hanno guidato la scelta nell’urgenza, ha ammesso il presidente Fed Jerome Powell in audizione.

In marzo la  Roccia Nera si è così aggiudicata, senza gara e senza alcun dibattito al Congresso, un contratto in base alla legge CARES (Coronavirus Aid, Relief, and Economic Security Act) per utilizzare $454 miliardi di fondi sciolti assegnati dal Tesoro insieme alla Fed. Questi fondi potrebbero avere un effetto leva per fornire oltre $ 4000 miliardi di crediti Fed. <Mentre il pubblico era distratto da proteste, sommosse e lockdown – commenta Ellen Brown – Black Rock è di colpo emersa come “quarta branca del governo” – secondo la definizione del prof Willam Birdthistle, del Law College dell’università di Chicago – gestendo il controllo sul denaro stampato su richiesta dalla banca centrale>.

Il nuovo compito assegnato a Black Rock è molto più vasto di quello svolto durante la crisi del 2008. La prima parte, in atto dal 12 maggio, consiste nell’acquisto di ETF. E che gli ETF e i bond sottostanti siano al cuore della crisi da Covid e avessero bisogno di un salvataggio lo riconoscono esperti citati da Brown. Ma la società potrebbe finire per comprare i fondi che gestisce – come sta già accadendo per il 47% degli ETF acquistati – con evidenti conflitti di interesse.

La Roccia nera si difende sostenendo di non averne la proprietà ma di agire come mera custode. A differenza delle banche non fa investimenti per sé. “Agiamo come fiduciario della Fed di New York  (il cuore della banca centrale) afferma un portavoce della società”.

Con i suoi ultimi incarichi è un argomento difficile da far valere, osserva Graham Steele dall’Università di Stanford, che è ha lavorato per la Fed di S.Francisco, citato da BloombergQuint. “Sono così intrecciati nel mercato e col governo che è un groviglio di conflitti davvero interessante”.

 “Perché assegnare tutto il denaro da gestire a una sola società?”, chiede Birdthistle. E polemiche, anche sull’assegnazione dei fondi ai grandi di Wall Street , ce ne sono già se Powell il 29 luglio scorso ha tenuto a dichiarare che “Black Rock è solo il nostro agente, le decisioni le prendiamo noi, BlackRock esegue i nostri piani”. Nessuna replica dalla diretta interessata.

<BR gestirà i portafogli dei corporate bonds e dei debiti ETF. Farà lo stesso per i nuovi bond, talvolta agendo come unico compratore- e fino al 25% dei prestiti sindycated dalle banche. E acquisterà gli MBS da agenzie semigovernative come Fannie Mae e Freddie Mac. Otterrà $48 milioni annui di compensi, poco per una società i cui profitti l’anno scorso ammontavano a $4.5 miliardi – ulteriormente saliti del 21% nel primo trimestre 2010 – ma potrà cementare i legami dei suoi gestori con i politici>. Peraltro già assai forti.

Larry Fink e i suoi tentacoli. <La sfera di influenza di BlackRock  – che si è costruito anche un potente ufficio legale – va oltre la banca centrale e comprende avvocati, presidenti e capi di agenzie governative di entrambi i partiti, sebbene più volto ai Democratici>, secondo BloombergQuint. <Solo un pugno di executives vengono dall’amministrazione di George W Bush, più di una dozzina da quella di Obama, sonocompreso il consigliere per la Sicurezza nazionale di Obama, il consigliere per la politica del clima, l’ex vicepresidente della Fed, e numerosi economisti della Casa Bianca, del Tesoro e della stessa Fed.>

Fink, il fondatore e CEO di BlackRock è da sempre considerato più vicino ai Dem. <Nel 2012 era nella lista per sostituire il segretario al Tesoro Tim Geithner in uscita. E ora è ampiamente considerato per quel posto in una eventuale amministrazione Biden, anche se non è chiaro come sarebbe visto dall’ala sinistra dei Dem, per quanto abbia la stima di membri di Wall Street amici del partito>, è ancora Bloomberg Quint a scrivere.

Del resto il business primario della società, la gestione di ETF, è stato acclamato in quanto rende gli investimenti più facili ed economici. E, per quanto Fink sia la bestia nera degli ambientalisti perché alcuni dei suoi fondi detengono quote di società di energie fossili, ha messo le mani avanti per prepararsi al contrasto del cambiamento climatico. Scrivendo lui stesso una lettera di impegni, di cui ha dato notizia anche Startmag.it.

<La sua influenza va ben al di là degli Usa. La Bank of Canada in marzo lo ha preso come consulente per i suoi acquisti di commercial papers, il debito che le società fanno per finanziare giorno per giorno le loro spese. E il mese scorso la UE lo ha assunto per consulenze su come integrare le pratiche ambientali, sociali e di governance nei modi in cui le banche gestiscono il rischio>.

BlackRock in Europa. <Larry Fink, il capo dei più potenti fondi mondiali, è nel suo aereo, destinazione Europa. Sull’Atlantico, chiede al comandante di collegarsi con la Germania. Chiede al suo responsabile regionale a Francoforte ed esige un incontro con Angela Merkel. Possibilmente entro cinque ore dal suo atterraggio>. Comincia con questo aneddoto, raccontato da una ex dipendente, un articolo del del 2018 del sito di investigazione e opinione francese Mediapart intitolato “BlackRock, il Leviatano della finanza che pesa sulle scelte europee”. Il seguito per abbonati.

Attac-54 ne riassume i punti salienti, dopo varie cifre sulla dimensione del gigante, con clienti in 100 paesi, e un terzo degli assets sotto il suo controllo in Europa: <Contemporaneamente consigliere delle banche centrali e principale azionista dei fiori all’occhiello industriali, mormora all’orecchio degli Stati europei. Punti chiave: contrastare ogni regolamentazione finanziaria e imporre pensioni private a capitale per tutti>.

Dopo la crisi finanziaria ha accresciuto il suo potere ben al di là della gestione di attivi: lo si ritrova come uditore delle banche a richiesta delle autorità di regolazione, come consigliere di Stati sulle privatizzazioni. Nell’autunno 2017 è stato invitato dal governo francese a presiedere il comitato CAP2022 volto a designare i futuri contorni dello Stato.

BlackRock propone ad altre entità finanziarie di mettere a loro disposizione i suoi strumenti per la gestione del rischio. Ma offre anche servizi alle autorità finanziarie. Che lo sollecitano a valutare la salute di grandi istituti bancari considerati sistemici.

Solo in Francia è azionista tra il 5 e il 10% di una serie di grandi industrie (esempi) e spesso l’azionista principale di almeno 172 società quotate nella Borsa francese, oltre ad avere il voto in 17.000 imprese del mondo. Quanto all’Italia, Underblog nel 2015 aveva fatto un elenco delle sue partecipazioni. L’articolo più recente trovato oggi è di Financecommunity.it, 29 luglio 2020, dedicato alla squadra italiana.

<La presenza italiana del gigante Usa risale al 2000, nel 2006 la fusione con la banca di investimenti Merryl Linch gli porta in dote vari manager fra i quali il capo dell’attuale squadra italiana Andrea Viganò, già responsabile del Sud Europa. A fine 2013, in Italia gli asset in gestione da parte di BlackRock  valevano 52 miliardi di dollari con 8 miliardi raccolti nel corso dell’anno. Oggi i fondi esteri controllano il 38% di Piazza Affari, e il primo investitore estero, secondo in assoluto dietro lo Stato italiano, è la Roccia Nera che, attraverso 156 società, ha partecipazioni per 20 miliardi di euro, con un controvalore delle azioni italiane raddoppiato rispetto a un anno fa. Negli ultimi mesi la società ha aumentato le quote, in particolare nel settore bancario, in cui è presente con il 5% circa di Intesa Sanpaolo e Unicredit e il 6,8% del Banco Popolare>.

Ma torniamo a Mediapart, che segnala gli interventi europei di BlackRock già durante e dopo la crisi del 2008. In Irlanda, la banca centrale gli aveva chiesto di valutare lo stato di sei banche irlandesi, la Grecia, sotto pressione della Troika, si era rivolta alla società di Fink per dissequestrare i portafogli di prestiti di 18 banche (2011) poi ancora delle quattro maggiori (2013).

Anche l’Olanda aveva chiamato BlackRock per analizzare il portafoglio di ING, banca sull’orlo del fallimento, di cui il gigante Usa deteneva il 5%. Dijsselbloem, ministro delle finanze e allora presidente dell’Eurogruppo, si era giustificato. Sebbene, ironia, la banca centrale olandese da 2007 avesse assegnato proprio alla Roccia Nera la gestione dei fondi pensione dei suoi impiegati.

E a Bruxelles? Da una fonte interna all’Europarlamento si apprende che BlackRock organizza “giornate di informazione” per gli assistenti parlamentari scrive Attac54 raccontando Mediapart (nel 2018 ricordiamo). E fosse solo questo. Viene citata Daniela Gabor, docente di macroeconomia all’università di Bristol, che dal 2013 ha seguito i dibattiti sulla regolazione finanziaria quando il Commissario Michel Barnier prometteva di rinforzare le regole sul sistema finanziario (come oggi conta di fare Paolo Gentiloni equilibrando i sistemi fiscali e ridimensionando i paradisi, vedremo):

Ho capito che ad avere il potere non erano più le banche ma i gestori di attivi “, ha osservato Gabor, citata anche da Ellen Brown. Secondo la quale BlackRock riflette la rinuncia al welfare state da parte dello Stato. Il suo potere crescente si accompagna con i cambiamenti strutturali in corso, nella finanza ma anche nella natura dei contratti sociali fra i cittadini e lo Stato. E la BCE, che sollecita BlackRock come uditore delle banche, non ha alcun potere su quella società”.

<Il potere acquisito dalla Roccia nera sugli Stati è orizzontale, in quanto azionista di imprese a priori in concorrenza può spingere verso concentrazioni, specializzazioni, cessioni. Come accade già nella Chimica dove domina il settore con partecipazioni in tutti i grandi gruppi mondiali>.

Alle stesse conclusioni arrivava del resto nel 2018 l’articolo Blackrock – The Company That Owns the World del gruppo di ricerca multinazionale Investigate Europe, che rimandava poi a Mediapart.

In sintesi: <Minacce alla concorrenza attraverso il possesso di quote in società in competizione, offuscamento dei confini fra capitale privato e affari pubblici lavorando accanto ai regolatori, battaglie per la privatizzazione dei piani pensione così da canalizzare i risparmi nei suoi fondi>.  E sulle pressioni per riformare le pensioni europee insiste molto Le Monde Diplomatique .

La Roccia Nera consulente della BCE. Nel dicembre 2018 il Sole24Ore se ne usciva con la “rivelazione” dell’incarico a Black Rock da parte della Bce di eseguire gli stress test bancari. Una prassi non nuova, quella di esternalizzare tale compito per mancanza di tecnici qualificati. “Se ne accorge solo ora?”, commentava Startmag.it.

La notizia peraltro era stata pubblicata in ottobre da Don Qujones, pseudonimo di un analista economico su cose europee e non solo collaboratore del noto sito californiano Wolfstreet. Con considerazioni sui precedenti ben più interessanti.

<Nel 2014 la Bce ha assunto BlackRock Solutions come consulente su come implementare l’acquisto di titoli garantiti da attivi delle banche centrali europee. In altre parole – spiegava- prima di imbarcarsi in uno dei più vasti programmi di QE della storia, la Bce ha cercato i consigli del maggior gestore di asset, la società che più ha investito negli attivi che intendeva acquistare>.

La Bce era presieduta da Mario Draghi, che a gennaio 2015 lancerà l’atteso programma di Quantitative Easing da €60 miliardi.   

Nel 2016 la Roccia Nera viene di nuovo assunta dalla banca centrale europea, questa volta per condurre gli stress test. L’incarico del 2018 è un’estensione di quel contratto. Il costo, rivelato dalla stessa Bce dopo le pressioni tedesche, è relativamente basso: €8.2 milioni. <Ma l’importanza dell’incarico è nelle informazioni privilegiate che BlackRock si assicura su banche di molte delle quali, se non tutte, detiene pacchetti di azioni e in due terzi delle quali figura come consulente, aiutandole nelle verifiche>.

La società di Larry Fink esclude conflitti di interesse, e parla di una ’muraglia cinese’ tra le diverse branche della società stessa (dove peraltro per passare da un settore all’altro a un manager bastano solo due settimane di sospensione, scrive la Brown). Non tutti non tutti sono convinti . “Le dimensioni di BlackRock danno luogo a un potere di mercato che nessuno Stato è più in grado di controllare” aveva osservato il parlamentare tedesco Michael Theurer, membro dell’europarlamento dal 2009 al 2017, citato da Wolfstreet. Fosse solo un potere di mercato. La “piovra vampira”, vampire squid, definizione coniata a suo tempo da Matt Taibbi in un celebre pezzo su Goldman Sachs, è vista da alcuni come un vero e proprio “governo ombra”.

<Come Goldman Sachs, BlackRock sta estendendo i suoi tentacoli attraverso l’Europa e spende grandi somme in lobbying e nel catturare politici e funzionari come l’ex presidente della Swiss National Bank, la banca centrale svizzera, Phillip Hildebrand diventato vicepresidente con ruoli di primissimo piano nella società e l’ex capo del Tesoro britannico George Osborne>, racconta BloombergQuint.

A Jackson Hole, 2019. Non sorprende a questo punto la notizia data da Ellen Brown e riportata all’inizio di questo post, protagonista proprio Hildebrand.

<L’importanza e il peso politico di BlackRock sono apparsi evidenti quando quattro dei suoi manager esecutivi, capeggiati dall’ex capo della Swiss National Bank Phillip Hildebrand hanno presentato una proposta meeting annuale dei banchieri centrali a Jackson Hole dell’agosto 2019>. Un incontro come sempre dalla natura dichiaratamente economica e politica.

<Essendo a conoscenza che i banchieri centrali non avevano più munizioni per controllare la fornitura di denaro e l’economia, BlackRock ha detto che era tempo che le banche centrali abbandonassero l’indipendenza a lungo vantata e affiancassero alla politica monetaria (compito usuale delle banche centrali) una politica fiscale (compito tradizionale dei legislatori)>. La crisi del Covid ha offerto l’opportunità perfetta, scrive Brown, che mette in relazione quanto sopra con il piano americano di salvataggio, gestito da BlackRock. Un approccio che appare limitato.

Un governo ombra globale? E’ infatti significativo che quella della Roccia Nera non fosse semplicemente una “proposta”. Bensì un vero e proprio Piano, molto articolato, presentato il 15 agosto, qualche giorno prima del simposio di Jackson Hole, come si può leggere sul suo sito, a cui rimandiamo. Un Piano globale, ambiziosamente intitolato Dealing with the next downturn, ovvero come affrontare la prossima fase discendente. Che appariva già ben chiara un anno fa. Covid o meno.

Il Piano è stato messo in pratica, come la stessa BlackRock spiega sul suo sito nell’Outlook dell’11 giugno 2020, compiacendosi del fatto che <in questi due mesi la politica macroeconomica ha visto niente di meno di una Rivoluzione>. Parola chiave su cui insiste anche più avanti. Policy revolution, Rivoluzione delle politiche, è del resto il titolo.

<La risposta politica odierna è di una scala completamente diversa da quella data nella crisi finanziaria del 2008. Non solo è stata più rapida e di una ampiezza ben superiore a quella di ogni altro momento storico, ma i cardini delle strutture della politica globale e dei mercati finanziari sono stati del tutto trasformati>, viene spiegato, anche con tabelle. Aggiungendo già nel sottotitolo che <Senza appropriate barriere di sicurezza e una strategia di uscita, vediamo una china scivolosa>.

BlackRock indica tre aspetti della rivoluzione. In estrema sintesi: *dare liquidità direttamente a famiglie e business * politiche monetarie e fiscali mescolate esplicitamente *sostegno alle imprese con condizioni stringenti, aprendo le porte a un intervento senza precedenti nel funzionamento dei mercati finanziari e di governance delle imprese. Seguono maggiori dettagli.

<Questa rivoluzione politica era inevitabile, data l’insufficienza delle politiche monetarie nel rispondere a una significativa, drammatica fase discendente> – dell’economia globale si presume.  Una discesa invero poco raccontata nelle cronache mediatiche, sempre propense all’ottimismo, e a presentare gli Stati Uniti, guardando essenzialmente a Wall Street, come un solido blocco economico, a dispetto di allarmi da parte degli economisti più avveduti. Le ricette di BlackRock sono rivolte anche all’Europa.

Conclusioni. Che il sistema sempre più globalizzato e intrecciato sia ormai gestito dalle banche centrali, con la Fed in primo piano e con un ruolo di guida, era da tempo evidente, così come il crescente peso di BlackRock come gestore di asset e consulente, dominante nell’ambito dei Big Three.

La novità sembra essere l’approdo della RocciaNera a pianificatore e controllore globale, con l’avvallo delle banche centrali stesse. Mentre il ruolo dei governi, e della stessa Ue, sembra scivolare quasi in secondo piano. A dispetto dei sovranisti, che se la prendono con falsi bersagli.

Un destino inesorabile e inevitabile, nel tentativo di puntellare la supremazia occidentale? Probabilmente sì.

Con buona pace degli analisti anche i più critici che si attardano ancora a puntare il dito sui conflitti di interessi, e della stessa Brown . Dopo aver sottolineato come le politiche pubbliche siano oggi condotte a favore del mercato azionario, considerato il barometro dell’economia sebbene abbia ben poco a che fare con l’economia reale e che BlackRock sia ormai nelle condizioni di controllare l’economia, e aver assodato, col citato Peter Ewart, che “oggi il sistema economico non è più il capitalismo classico ma un capitalismo monopolistico dove i confini fra Stato e oligarchia finanziaria sono virtualmente inesistenti”, da strenua fautrice del pubblico nell’economia e nelle stesse banche, Brown avanza una proposta utopica, o quanto meno irrealistica :

<Se tali oligarchi sono troppo grandi e strategicamente importanti per essere spezzati secondo le leggi antitrust, dovrebbero essere nazionalizzati e messi al servizio del pubblico. Quanto a BlackRock dovrebbe per lo meno essere regolato come un istituto Finanziario di importanza Sistemica (cosa che è finora riuscita ad evitare per sfuggire alle pur blande regole della legge Dodd-Frank, aggiungiamo). Meglio ancora regolarla come una utility pubblica. Quale amministrazione lo farà mai?

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Cinese o americano o…? Il giallo del coronavirus uscito da un laboratorio si allarga.

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Sul virus “fabbricato” o meglio, fuoriuscito da un laboratorio ora indagano i Five Eyes, le intelligence che fanno capo ai paesi anglofoni. E chissà che non saltino fuori sorprese interessanti, ancorché diverse dalle aspettative di Trump, disperatamente in caccia di capri espiatori per il disastro pandemico nel suo paese e ansioso guadagnare credito in vista del voto di novembre.

La Virus Connection appare infatti assai più ampia di quanto l’abbia descritta l’ottimo recente articolo di Alberto Negri.

Pipistrelli catturati e spediti qua e là per via aerea in Australia, virus che viaggiano da un continente all’altro dal Canada, legalmente o meno, ma anche negli US, ricercatori cinesi al lavoro in laboratori occidentali e laboratori cinesi con finanziamenti americani e francesi, virus vecchi e nuovi replicati e conservati per anni ovunque, manipolazioni e ingegnerizzazioni genetiche azzardate. E discusse, bloccate negli US dopo vari incidenti, e permesse di nuovo.

Vicende che vanno avanti da tempo, come ammmette infine una ricerca americana.

Dal 2002, quando nella provincia cinese del Guandong è comparso il virus della SARS, sindrome acuta respiratoria severa, un’epidemia con oltre 8000 casi e 774 vittime in 17 paesi ma quasi tutti tra Cina, Hong Kong e Singapore, si sono mobilitati ricercatori di Canada, Francia, Rotterdam, Usa  e naturalmente Cina. Soprattutto, la SARS ha lanciato ricerche a tutto campo sui coronavirus da pipistrelli, prima ignorate.

Tanto più dopo che nel 2014 spunta misteriosamente a Jedda un altro coronavirus, ancora più letale, il MERS-CoV, detto Sindrome respiratoria Mediorientale in quanto si è propagato soltanto in Medio Oriente (il che ha rafforzato le teorie complottiste su virus mirati geneticamente, cosa in teoria possibile, a quanto pare).

Intanto epidemie di virus influenzali zoonotiche si susseguono con effetti anche gravi, dall’H5N1 “aviaria”, nota da fine secolo, alla pandemia dell’H1N1 “suina” del 2009-2010, che produce milioni di infettati e decine di migliaia di morti, quasi tutti nel continente americano, oltre a valanghe di polemiche per i molti milioni spesi da molti Stati (Italia compresa) per vaccini inutili comprati su indicazione dell’OMS.

Progetti di studi e grandi Piani di Prevenzione con finanziamenti pubblici si infittiscono, insieme ad esperimenti di ingegneria genetica. In una gara spasmodica verso test diagnostici, farmaci e soprattutto vaccini, business miliardario. In primo luogo negli Usa a partire dal 2009. Ma anche altrove, e in Cina naturalmente, che oggi si vanta di essere in testa a una produzione vaccinale per il SARS-CoV2 con tre progetti molto avanzati.

INIZIO. Da Jedda a Winnipeg via Rotterdam, e poi in Cina. Chissà se le intelligence troveranno interessante la rocambolesca vicenda lanciata dal sito alternativo filo-Trump Zerohedge già il 26 gennaio 2020, pochi giorni dopo il lockdown di Wuhan, col titolo provocatorio “La Cina ha rubato un coronavirus dal Canada e l’ha armato?”.

Una storia ambigua, che ha però alcuni punti fermi, e comincia il 13 giugno del 2012. Quando da un paziente saudita 66enne ricoverato all’ospedale di Jedda con febbre e sintomi respiratori gravi, Mohammed Zaki, virologo egiziano noto per aver identificato il virus MERS, isola un coronavirus SARS sconosciuto. E contatta Ron Foucher, eminente virologo dell’Erasmus Medical Center di Rotterdam per un consiglio. Foucher lo sequenzia usando un campione mandatogli da Zaki.   

Il virologo olandese è esperto del ramo. Fa esperimenti di ingegneria genetica sui virus e, raccontava il Corriere della sera nel 2011, <ha scoperto che bastano cinque variazioni genetiche per trasformare il virus dell’aviaria – H5N1- in un agente patogeno altamente contagioso, tale da poter uccidere metà della popolazione mondiale>.

Se /quali nuove manipolazioni vengono fatte all’Erasmus su quel nuovo coronavirus SARS non è dato sapere. Fatto sta che 4 maggio 2013 quel virus lo ritroviamo in Canada, acquisito da Frank Plummer, direttore scientifico del Laboratorio Nazionale di Microbiologia (NML) di Winnipeg. Dove il coronavirus viene replicato in quantità per ricerche su test diagnostici, e su quali animali sono più soggetti ad essere infettati. Cose sulle quali quel lab ha esperienza.

Plummer morirà misteriosamente nel febbraio 2020 in Kenia, dove collaborava con due università keniote sull’HIV, di questo virus era specialista e lavorava da tempo a un vaccino. (Di qui le ipotesi indiane sul SARS-Cov2 combinato con pezzi di HIV poi smentite dagli scienziati?)

La storia di Zerohedge continua raccontando il caso di un virus pericoloso finito in Cina dal Canada nel marzo 2019 e di come, a suo dire, l’indagine sia ancora in mano ad esperti di guerra batteriologica. Il NML di Winnipeg è l’unico lab di massimo livello di sicurezza (BSL4), uno dei pochissimi in Nord America (un altro è il laboratorio militare Usa di Fort Dietrick, Maryland , chiuso improvvisamente lo scorso agosto, su cui hanno ricamato alcuni post complottisti uno dei quali russo, smentiti da un altro sito altrettanto alternativo-complottista).

Si tratta sempre di quel coronavirus SARS-CoV o addirittura modificato, come insinua ZH? Contrabbandato da agenti cinesi o magari semplicemente trasferito per scopi di ricerca?

Al centro della scena c’è la dr. Xianguo Qio, scienziata laureata nell’Hubei e ma nel 1985 in Canada, dove è rimasta al NML, dal 2006 al lavoro sui virus più a rischio insieme al marito cinese pure lui. Responsabili del presunto ‘contrabbando’? Mah.  La dott Xianguo Qio, che in una foto si vede ritratta con colleghi, fra i quali uno di Harvard, tra il 2017 e il 2018 risulta essersi recata almeno cinque volte in Cina, proprio nel National Biosafety Laboratory dell’Istituto di Virologia di Wuhan (WIV), BSL4 dal 2015. Sul quale oggi si è appuntata l’attenzione mediatica, dal momento che proprio in quella città è scoppiato il COVID-19.

L’ISTITUTO VIROLOGIA DI WUHAN (WIV) e LA FRANCIA. Fondato nel 1956 da due scienziati cinesi sotto l’egida dell’Accademia Cinese delle Scienze, come Istituto di Microbiologia, diventa WIV nel 1978. Ma il salto di qualità lo fa nel 2004, quando nell’ambito dei buoni rapporti fra Chirac e Hu Jintao, deciso dopo la SARS a dare impulso alla lotta contro le infezioni, progetta di trasformarlo in un laboratorio di massima sicurezza.

L’accordo viene firmato da Michel Barnier, allora ministro degli Esteri. Ma poi non succede nulla, e Sarkozy, annuncia l’inizio dei lavori solo nel 2010, quando sono già stati varati Piani e Progetti da parte degli Stati Uniti, ai quali US Sarko’ è certo più legato del suo predecessore. Il WIV avrà il suo laboratorio BSL-4 soltanto nel 2015 (costo $44 milioni) fra varie polemiche in Francia, sulle aziende francesi inadatte, i 55 ricercatori del lab di Lione previsti ma mai arrivati, i sospetti sulla Cina dei servizi francesi e americani – secondo Le Figaro e Challenges.fr. In Cina da tre anni c’è ormai Xi Jinping, forse più interessato a buoni rapporti con gli US.

E GLI SPECIALISTI DI PIPISTRELLI. Al WIV le intelligences indagheranno certo su Peng Zhou, che tra il 2011 e il 2014 ha speso ben tre anni  all’Australian Animal Health Laboratory di Victoria dove era stato spedito dalla Cina per completare il suo dottorato, preso al WIV. Lì svolge ricerche, dandosi da fare per trasportare pipistrelli vivi dal Queensland  ( o dalla Cina? azzardiamo) alla struttura di bio contenimento di quel lab di Victoria, dove sono stati vivisezionati e per studiare virus letali in ricerche finanziate dal CSIRO, agenzia governativa federale australiana responsabile della ricerca scientifica e dall’Accademia Cinese delle Scienze. Così racconta il Daily Telegraph australiano.

Diventato il massimo specialista nel sistema immunologico dei pipistrelli – “come mai quei mammiferi che sono i serbatoi naturali di coronavirus non si ammalano?” Si era chiesto, ancora studente di bio ingegneria, dopo aver contratto la SARS nel 2003 – Zhou ritorna a Wuhan e, con 30 pubblicazioni scientifiche anche su riviste internazionali, diventa capo del  Bat Virus Infection and Immunization Group al National Biosafety Lab del WIV.

 “C’è quest’uomo dietro la pandemia globale di coronavirus?” Titolava di nuovo Zerohedge il 29 gennaio, insinuando dubbi su di lui senza uno straccio di prova, l’articolo corredato da una foto schifosissima dell’ormai famigerato mercato Huanan di pesci e animali selvatici vivi, chiuso dal 1 gennaio, dal quale si ipotizzava fosse originato il nuovo virus . Un post che a ZH è costato la sospensione da Twitter, previa denuncia di Buzzfeed  – sito sospetto che in pieno Russiagate aveva pubblicato il famigerato dossier fake di Christopher Steel: un segnale del mescolarsi di notizie, provocazioni e perduranti conflitti fra pezzi di intelligence.

La Bat Woman. Indagano certo i Five Eyes sulla dottoressa Shi Zheng-Li, che nel medesimo WIV dirige il Center for Emerging Infectious Diseases. Con lei Peng Zhou collabora attivamente da anni, anche nella ricerca di pipistrelli “ferro di cavallo” (horseshoe bats) nelle grotte dello Yunnan e del Guanxi, le regioni del sudest della Cina dove si trovano queste specie portatrici di coronavirus simil-SARS, come hanno scoperto.

Shi Zheng-Li, 55 anni, è la maggiore esperta al mondo di coronavirus & pipistrelli, nella sua carriera oltre a importanti articoli ha messo insieme una banca ragguardevole di dati, virus e campioni fecali ragguardevole, tanto da essere soprannominata Bat Woman, o la Signora dei pipistrelli, nel più gentile appellativo di Negri. Dottorato a Montpellier nel 2000, dove ha speso qualche anno, la Francia l’ha in seguito onorata del titolo di Chevalier de l’Ordre del Palmes academiques. Non sappiamo se per ricerche comuni.

Anche Shi Zheng-Li comunque usa muoversi fuori dalla Cina.

Dal 22 febbraio al 21 maggio del 2006 per esempio era in Australia, è sempre il Telegraph a raccontare. E poi chissà. Fatto sta che nel 2019 la dottoressa diventerà membro dell’American Academy of Microbiology. E’ormai la beniamina della ricerca USA sui coronavirus. Come dimostra il lungo articolo divulgativo che le ha da poco dedicato Scientific American, con molte foto (qui in italiano) elogiando le sue qualità e capacità. Indubbie.

Dimenticando tuttavia di citare non solo il suo soggiorno in Australia. Ma altre ricerche e, soprattutto, un passaggio delicato e molto controverso: la creazione di un virus chimera, un coronavirus nuovo frutto di ingegneria genetica. Un esperimento condotto nel 2014 insieme a un team internazionale, la cui premessa è però un’altra importante ricerca longitudinale che si snoda negli anni precedenti. E dopo ancora.  

Il percorso scientifico di Shi. Dopo aver scoperto per prima già nel 2005 che il coronavirus della SARS veniva da un pipistrello (Science e Journal of General Virology 2005), la dottoressa Zheng-Li era andata in caccia di pipistrelli portatori di quel virus setacciando grotte e villaggi nelle regioni del sud est della Cina, Yunnan e Guanxi, da sola e insieme a Peng Zhou. Finalmente ne trovano una dozzina con anticorpi di virus SARS: sono pipistrelli di un tipo particolare, “a ferro di cavallo” (horseshoebat), che diventeranno centrali nelle successive ricerche. 

Dal 2011 al 2012 Zhang-Li conduce quindi una ricerca longitudinale su diversi coronavirus simil-Sars raccolti in 117 campioni fecali in una colonia di pipistrelli a Kunmig, Yunnan, un villaggio dove diversi minatori si erano infettati da un fungo cresciuto su guano di pipistrello.

Alla fine da quei pipistrelli “ferro di cavallo” identifica e sequenzia due coronavirus, i più vicini mai trovati al SARS-Cov, il virus della SARS: al 99,9%, con altre caratteristiche uguali. E inoltre da un campione fecale isola un primo virus vivo simil-SARS, praticamente identico al SARS-CoV (99,9%, con altre caratteristiche uguali).

Risultati che provano con grande forza: 1. che i pipistrelli cinesi horseshoe sono i serbatoi naturali dei coronavirus SARS (che sono più d’uno); e 2. Che ospiti intermedi possono non essere necessari per infettare gli uomini, come di solito non succede con i Coronavirus.

C’è il condizionale: il contagio diretto è ancora una possibilità.

La ricerca successiva, quella più controversa, prosegue su quella linea. Partendo dalla mera possibilità di una trasmissione diretta dal virus nel pipistrello horseshoe all’uomo, produce il virus chimera inserendo la proteina di quel coronavirus nel genoma di un virus adattato a crescere nei topi . E dimostra che quel coronavirus è veramente in grado di infettare cellule umane in vitro.

Suggerendo che virus in circolazione in certi pipistrelli in Cina sono potenzialmente capaci di infettare l’uomo. Anche senza mutare e passare da un altro animale, come si credeva necessario.

<Quel virus ibrido ci ha permesso di valutare la capacità della nuova proteina spike di causare infezioni indipendentemente da altre mutazioni adattive nel suo ‘ospite’ naturale> spiegherà, in difesa, Ralph Baric, dell’University of North Carolina, nel dibattito che ne è seguito, rilanciato quest’anno quando di quella ricerca si è ricominciato a discutere a fine febbraio, quando narrazioni mediatiche ipotizzavano la natura artificiale, manmade del virus portatore del COVID-19, smentite con forza su Lancet da un pool di scienziati.

Alla Cina veniva addirittura imputato di aver prodotto una bio-arma e di essersi lasciata sfuggire quel virus, che veniva fatto coincidere con quello odierno che causa il COVID-19. Ipotesi che arrivate pure in Italia, via Business Insider e riprese più tardi via Rai Tgr Leonardo (cavalcate persino da Salvini per dare addosso alla Cina, e magari farsi bello con Trump)

L’ipotesi viene smentita recisamente dai ricercatori in quanto il virus odierno NON è quello ingegnerizzato di quella ricerca. <Se quel virus chimerico fosse sfuggito dal laboratorio, la sua sequenza dovrebbe essere identica o per lo meno simile al coronavirus del COVID-19 > ha spiegato Antonio Lanzavecchia, immunologo italiano a Zurigo. Intervistato dal Manifesto dopo le polemiche sul Tgr. Resta il fatto che, come vedremo, ingegnerizzazioni del genere sono ad alto rischio per la popolazione, dovessero quei virus saltar fuori da qualche parte per errore.

Ma cosa c’entrano Baric e Lanzavecchia? C’entrano eccome, in quanto non si tratta affatto di ricerche cinesi, quanto meno non soltanto cinesi.

PROGRAMMI e FINANZIAMENTI USA. La prima ricerca appare su Nature, 30 ottobre 2013, firmata da Shi Zheng-Li insieme a Peter Doszak, zoologo americano esperto in malattie infettive degli animali, ma soprattutto presidente dell’EcoHealth Alliance, “organizzazione di ricerca globale” no profit di New York dal nome tranquillizzante, oltre a un altro scienziato dell’Animal Health Institute di Victoria, Australia e vari altri.

Alla seconda prende parte la solita Shi Zheng-Li (Laboratory of Special Pathogens and Biosafety, Wuhan Institute of Virology, Chinese Academy of Sciences, Wuhan, China, si legge). Ma il coordinatore, è Ralph Baric, del Department of Epidemiology, University of North Carolina, Chapel Hill, con vari ricercatori della stessa università americana, un altro della Harvard Medical School, oltre all’italiano Lanzavecchia, del Bellinzona Institute of Microbiology di Zurigo, come elenca Nature, 9 novembre 2015 .

Nessuno dei due studi può dunque dirsi cinese. Sebbene cinesi siano sicuramente i virus e i pipistrelli, compresi i campioni fecali, che il Wuhan Institute of Virology conserva con cura, specie da quando il suo laboratorio nel 2015 è diventato BLS 4.

Ma dove si sono svolte le ricerche, in particolare quella del virus chimera? In un laboratorio americano o cinese? A Wuhan o in North Carolina, o nel laboratorio della FDA (Food and Drug Administration, che fra l’altro licenzia i nuovi farmaci) in Arkansas, come insinua un sito ‘alternativo’?  Da Nature non risulta nulla.

Quel che è certo è che anche la ricerca in questione ha avuto finanziamenti statunitensi, come precisa un “Addendum” di Nature Medicine del 20 novembre 2015 che accenna a una dimenticanza precedente e cita: “USAID-EPT-PREDICT funding from EcoHealth Alliance”.

Decrittiamo: PREDICT è uno dei quattro progetti dell’Emerging Pandemc Threat (EPT), vasto programma dell’USAID – United States Agency for International Developement (collegato alla CIA, secondo alcuni), in partnership con l’Eco Health Alliance l’organizzazione caritatevole globale finanziata al 91% da grants governativi presieduta da  Peter Deszak, quello della ricerca del 2012-13, vedi sopra.

Un programma vasto, globale e ambizioso lanciato già nel 2009 – amministrazione Obama, in continuità con un altro del 2005 varato dopo l’influenza aviaria H5N1, che seguiva la SARS. Con lo scopo di prevenire pandemie virali, individuando in anticipo nuove infezioni e preparando risposte. Finanziato ogni 5 anni, dal 2019 al 2019 ($200 milioni) ha raccolto 145.000 campioni animali e umani scoperto 931 nuovi virus e analizzato 218 conosciuti, addestrato 6000 persone in 30 paesi-si legge sul sito. Un ombrello dietro il quale c’è di tutto. Comprese le ricerche finanziate da istituti o centri che fanno capo al NIH, il National Institute of Health  americano che comprende vari centri.

Fra i quali spicca il NIAID- National Institute of Allergy and Infectious Deseases diretto da Antony Fauci fin dal 1984, in continuità con tutti presidenti da Ronald Reagan in poi. Immunologo distintosi per il suo lavoro su HIV/AIDS nel 1990, Fauci è membro del Consiglio che supervisiona il Global Vaccine Action Plan lanciato nel 2010 dalla Gates Foundation, la fondazione di Bill e Melinda Gates, nonché il Decennio di Collaborazione sui Vaccini della stessa fondazione.

E’ con il sostegno del NIAID che passa il finanziamento del NIH di $3.7 milioni all’Istituto di Virologia di Wuhan per le ricerche sul coronavirus. La seconda fase, dal 2019, per altri 5 anni, ne prevedeva altri $3.7 milioni. E tralasciamo un altro importante studio della dr. Zheng-Li con Peter Deszack e altri ricercatori cinesi, apparso nel 2017 su Journals.plos.org

Finché Trump non blocca il tutto nel marzo 2020. Proprio mentre un funzionario dell’amministrazione chiede alla Cina di poter <lavorare direttamente con laboratori di Wuhan con ricerche sul nuovo coronavirus, per salvare vite globalmente>, racconta Reuters.

LA MORATORIA USA SULLE RICERCHE A RISCHIO. E GLI INCIDENTI. Nel frattempo era successo qualcosa di importante. Nell’ottobre 2014, l’amministrazione Obama aveva <sospeso temporaneamente nuove ricerche che rendono certi virus più letali o più trasmissibili> chiedendo espressamente ai ricercatori di valutare il rapporto rischi/benefici di ricerche spinte e su virus manipolati in laboratorio di influenza, SARS e MERS. Vedi Nature, che ne discute, dopo aver dato la notizia .

Con la moratoria vengono stoppati 21 progetti, chiusi due laboratori del CDC (il centro USA per il controllo e la prevenzione delle malattie), fermata la spedizione di campioni biologici.

La ricerca di Baric & Zheng Li, è in corso, rientra fra quelle e l’anno dopo susciterà infatti un mucchio di critiche, come dal successivo articolo di Nature rilanciato oggi.

Sotto accusa è il cosiddetto metodo “Gain of Function” (GOF), in sostanza gli esperimenti di ingegneria genetica volti ad accrescere la trasmissibilità e la virulenza del patogeno: <per capirne meglio caratteristiche, debolezze e potenzialità, così da riuscire a identificare i bersagli di nuovi farmaci antivirali per prevenire infezioni nei soggetti a rischio o trattarle meglio>, li difendeva il dr Fauci già nel 2011, quando questo dibattito è cominciato.

Ma ben 200 scienziati si opponevano, sottolineando i rischi di bio-sicurezza di queste ricerche, in grado di provocare vere e proprie pandemie in caso di incidenti, ricorda oggi Newsweeek in un articolo durissimo dal titolo significativo: Dr Fauci backed controversial Wuhan Lab.

E di incidenti ce ne sono stati eccome negli USA, culminati in quell’anno 2014 in cui Obama decide lo stop, informa Sciencemag.org , citato da Asiatimes qui. La chiusura dei due laboratori federali del CDC e l’alt ai trasferimenti avviene dopo l’accidentale invio di virus dell’antrace e la scoperta di sei fiale contenenti vaiolo dimenticati, scoperte in un magazzino refrigerato in un lab della Federal Drug Administration e del NIH a Bethesda, Maryland.  

In un altro incidente un pericoloso ceppo di influenza era stato accidentalmente inviato da un laboratorio all’altro: magari è proprio il virus ingegnerizzato da quello H5N1 dell’influenza aviaria che si diffonde per via aerea nei furetti di cui scrive Nature nel dare la notizia della moratoria. 

Un laboratorio CDC dove si studiano i virus influenzali a metà marzo 2014 ha spedito un ceppo poco patogeno di H9N2 a un laboratorio del Dipartimento dell’Agricoltura che studia il pollame. Salvo scoprire poi che era contaminato con il ceppo H5N1 dell’aviaria, molto più virulenta e capace di infettare anche gli uomini.

Si citano poi gli esperimenti di Yoshiro Kawaoka dell’Università del Wisconsin, a Madison, sulla trasmissione aerea tra mammiferi di un virus che combina l’H1N1 con geni simili al ceppo dell’influenza Spagnola.

Per dire l’andazzo degli esperimenti ad alto rischio, compiuti a volte a mero scopo dimostrativo. Come la ricostruzione in laboratorio del virus del vaiolo ormai scomparso (ma conservato negli US e in Russia) : finanziata non da fondi federali ma da una azienda farmaceutica di New York con soli $100mila, viene però condotta nel 2017, in Canada, da un virologo dell’Università di Alberta, David Evans, incollando come in un puzzle frammenti di DNA comprati su Internet, dove viene poi divulgata. Segue polemica.

E che dire dei dubbi avanzati nell’ormai lontano nel 2009 sul virus dell’influenza suina H1N1, quello della pandemia proclamata anzi tempo dall’OMS e dei milioni di vaccini fatti comprare – inutilmente – ai governi mezzo mondo, Italia compresa? Secondo tre ricercatori australiani potrebbe essere stato un prodotto artificiale, magari solo frutto di un “errore” di laboratorio. All’esame genetico, quel virus secondo loro risultava infatti prodotto da tre linee virali suine diverse, apparsi in tre diversi continenti e in anni diversi.

RICERCHE OUTSOURCED? Dopo la messa al bando delle ricerche su virus potenzialmente pandemici, Fauci decide di esternalizzare gli studi più rischiosi sui coronavirus nell’istituto di virologia di Wuhan al quale vengono garantiti finanziamenti. Ne parla Asiatimes ma pure Newsweek. E non si tratta solo della ricerca di Baric & Zheng Li, e della successiva del 2017 della stessa BatWoman con altri.

Altri studi vengono compiuti, come quello dell’aprile 2018 che identifica un nuovo coronavirus che fa strage di suini in Cina, collaborazione fra WIV, EcohealthAlliance, Duke-NUS Medical School e altri, finanziamento arrivato dal NIAID di Fauci.

Si spiega allora come mai nel gennaio 2018 l’ambasciatore Usa in Cina invii due cables allarmati a Washington, per i livelli di sicurezza a suo dire scarsi nel laboratorio del WIV di Wuhan dove avrebbe fatto compiere un’ispezione, come ha “rivelato” in aprile il Washington Post con grande pompa. Notizia inspiegabile senza conoscere il contesto.   

Nel dicembre 2017amministrazione Trump– la moratoria era stata infatti sospesa, sia pure con nuove regole: i progetti pericolosi possono riprendere dopo che un panel di esperti avesse valutato se i rischi sono giustificati. Ma le valutazioni restano segrete. E dopo che Science scopre il via libera dato a due progetti su virus dell’influenza usando i famigerati metodi GOF, scienziati contrari denunciano con violenza queste ricerche in un editoriale sul Washington Post

Successive ricerche erano previste dal 2019 sui coronavirus- continua Newsweek –  con esperimenti ingegneristici in vitro e in vivo e analisi dei recettori umani ACE2,  per predire le potenzialità di spillover, ovvero la capacità di quei virus di saltare direttamente dagli animali agli uomini.

Finché Trump non blocca quella nuova tranche di progetti e finanziamenti federali. E, nel tentativo di considerare la Cina responsabile della pandemia Covid-19, sulla scia di analoghe richieste da parte di alcuni Stati americani si spinge a minacciare cause legali alla Cina da parte degli Stati Uniti con richieste di rimborsi miliardari.

E tuttavia, osserva AsiaTimes, non è chiaro quali ramificazioni legali vi potrebbero essere se il virus che ha causato la pandemia attuale fosse sì uscito da un laboratorio Cinese, ma come esito di un progetto di ricerca esternalizzato e finanziato dal governo americano.

Di più. Dei ceppi di coronavirus non potrebbero invece provenire da laboratori americani, dal momento che la moratoria sulle ricerche GOF è stata sospesa dalla fine del 2017 e che da allora le ricerche su quei virus di a rischio pandemico sono poi andati avanti negli stessi US ?

L’accusa in ballo non è la creazione artificiale del SARS-CoV2  ma la fuoriuscita del virus da un laboratorio, per un errore umano.  Un incidente.

Eventualità che per quanto riguarda il WIV viene negata recisamente da Shi Zheng-Li, tanto più dopo aver controllato uno a uno tutti i campioni di virus conservati nelle sue banche virali, nessuno dei quali coincide o è compatibile con il SARS-CoV2, afferma.

IL SECONDO LAB DI WUHAN. Ma a Wuhan non c’è solo quel laboratorio. E chissà se le intelligence indagheranno anche su quello del Wuhan Center for Disease Control & Prevention, il CDC di Wuhan. L’ipotesi che il virus del COVID-19 possa essere fuoriuscito da lì, in alternativa al WIV, era stata avanzata da due ricercatori cinesi già a febbraio, ripresa da Zerohedge e circolata in UK e pure in Italia, ben raccontata da Wired:

Botao Xiao, della South China University of Technology di Guangzhou, e Lei Xiao della Wuhan University of Science and Technology ne avevano parlato in un breve report pubblicato in pre-print.

Osservavano: 1. che il SARS-CoV-2 è geneticamente identico tra l’89 al 96% a quello scoperto nei pipistrelli horseshoebat che abitano in province – Yunnan e Zhejiang – distanti ben 900 km da Wuhan, dove pipistrelli non se ne vendono né se ne consumano. Potrebbe essere arrivato a infettare gli umani dopo essere passato, mutando, attraverso qualche altro animale – come affermano vari scienziati, animali finiti magari su banchi del famigerato mercato Huanan di animali vivi, che però secondo altre ricerche non sarebbe all’origine del virus. Ai due ricercatori non pare probabile.

 2. Nel lab CDC di Wuhan, che sorge ad appena 280 metri dal mercato, i due ricercatori hanno accertato l’utilizzo proprio di quel tipo di pipistrelli. Una ricerca in particolare ne avrebbe coinvolti circa 150 , catturati nella provincia di Zhejiang, sui quali sarebbero state effettuate operazioni chirurgiche e biopsie e i cui prodotti di scarto, se smaltiti in modo sub-ottimale, rappresenterebbero una possibile fonte di infezione situata ad appena pochi passi dall’ epicentro dell’epidemia. Quel laboratorio, a differenza del WIV, ha un livello di sicurezza BLS2, non 4 come afferma il professor Pregliasco su Wired.

Aggiungiamo tre coincidenze significative: il report dei due ricercatori è poi scomparso (anche se ancora reperibile) e uno dei due si poi tirato indietro; anche la dr: Zheng-Li si era meravigliata che il nuovo coronavirus fosse apparso proprio a Wuhan; il CDC di Wuhan appare il responsabile dei ritardi nella comunicazione al Centro di Pechino dello strano virus, non ancora identificato ma che sembrava causare quelle nuove gravi infezioni polmonari osservate e segnalate da diversi medici locali, in primis l’oftalmologo Li Wenliang che, inizialmente screditato, alla fine ne morirà diventando un eroe in Cina e fuori. Tanto che Xi Jinping ne azzererà i vertici.  

Come dire che, se proprio si vuole puntare su un errore della Cina, bisognerebbe guardare lì? Chissà.

Un articolo di Kristian Andersen  (Scripps Research Institute, La Jolla, California) e altri americani, apparso il 17 marzo su Nature-Medicine, pretende di dire l’ultima parola sulle origini del SARS-CoV-2.

<Ricerche di base che comportano il passaggio di coronavirus di pipistrelli simili ai SARS-CoV in culture e/o modelli animali sono andate avanti per molti anni in laboratori di livelli di sicurezza 2 in giro per il mondo – afferma citando proprio la ricerca di Zhen-Li e Derszak del 2013 – e ci sono documentati esempi di fughe da laboratori di virus SARS-CoV. Dobbiamo quindi esaminare la possibilità di una fuoriuscita inavvertita del SARS-CoV-2 >.

Una ammissione molto grave, appena sminuita dal giudizio successivo:

<Sebbene le evidenze mostrino che il SARS-CoV2 non è un virus manipolato di proposito, è attualmente impossibile provare o negare le altre teorie descritte sulle sue origini>. Servono altri studi.

Le intelligence hanno insomma materia su cui indagare. E torniamo in testa al post: la Virus Connection è davvero grande.

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“Documenti contraffatti, rapidi e sicuri”. Li offre un sito, incredibilmente.

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“Vuoi un passaporto legalmente registrato, una patente, una carta d’identità, un visto, un documento di qualsiasi genere? Abbiamo tecnici con esperienza decennale, e vantiamo più di 20.000 nostri documenti in circolazione. Lavoriamo con funzionari governativi di molti paesi….”. Così esordisce uno dei commenti ricevuti da Underblog.it, peraltro ancora in costruzione, rinviando al sito harveyexpressdocuments.com. Come se fornire documenti falsi, sia pure “legali”grazie alla complicità di apparati istituzionali, fosse una cosa normalissima. Clienti privilegiati, a loro dire, coloro che “hanno urgente bisogno di documenti di viaggio o nuove identità”, migranti par di capire ma pure criminali e persino evasori o truffatori che possono ottenere false fatture.

Chi siamo? “Siamo una società di consulenza globale, un gruppo di persone esperte in tecnologie dell’informazione. Forniamo ai nostri clienti documenti di ogni genere. Possiamo garantire loro nuove identità così da renderli in grado di di cominciare una nuova vita in un paese migliore“. Le nostre macchine e stampanti della più alta qualità sono in grado di stampare ogni documento nei dettagli con facilità e di renderlo esattamente uguale a uno originale, legale. Fosse pure una securuty card o una credit card.

Precisazioni anche sui documenti forniti: passaport, registrati o men, per i nostri clienti in Europa e America; Visa , Green Card (ambita negli Usa, consente anche di lavorare); certificati IELTS (che attestano la padronanza dell’inglese) “senza aver dato l’esame e senza un alto livello di istruzione”, viene precisato; documenti di cittadinanza; e fatture: “l’alta qualità dei nostri servizi comprende fatture per conti in euro, dollari e sterline”. Il tutto illustrato dalll’immagine di un giovane in camicia bianca e cravatta che sfodera un rassicurante sorriso.

Il sito offre altri dettagli. “Lavoriamo in stretta collaborazione con alti funzionari della maggio parte dei paesi e questo ci dà credibiltà, potendo registrare tutti i tuoi documenti nel database del tuo paese”, viene spiegato, sempre in un inglese talvolta approssimativo. “Procuriamo documenti realmente registrati o non registrati. Lo facciamo per coloro che hanno urgente bisogno di documenti di viaggio o nuove identità. Seguono un indirizzo email a cui rivolgersi e due numeri di telefono whatsapp i cui prefissi, abbiamo verificato, fanno capo all’Azerbajan e al Camerun.

Quanto ai pagamenti “si paga da tutto il mondo con bonifici banca su banca, Western Union, Moneygram World Remit (i trasferimenti di fondi più usati dagli immigrati) e in Ria Money Transfer – una consociata di Euronet world wide inc (società basata in California che negli ultimi anni ha aperto una rete capillare di ATM anche in Italia) specializzata in rimesse di denaro che ha una rete di agenti e negozi di proprietà in Nord Africa, America Latina, Europa, Asia Pacifico, Africa e online. I documenti arrivano al richiedente via EMS, DHL, FEDEX (servizi postali privati che giungono perfino in Cina, in particolare EMS). Una vera e propria industria del falso.

Ce n’è a sufficienza per chiedersi: se non è una facciata che millanta servizi a scopo di intascare i pagamenti, organizzazioni del genere gettano una luce inquietante sullo stesso concetto di “legalità”, cardine delle nazioni “liberali”, nel suo significato più vasto. Come possono operare alla luce del sole (del web) senza che forze dell’ordine e magistratura se ne occupino?

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Hiroshima, le menzogne e il falso mito. Fu un atto politico verso l’URSS, l’inizio della Guerra Fredda.

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“Il mondo rileverà che la prima bomba atomica è stata lanciata su Hiroshima, una base militare. Perché desideravamo evitare per quanto possibile in questo primo attacco, di uccidere dei civili”. Così il presidente Harry S. Truman in un discorso radiofonico alla nazione il 9 agosto 1945. Nello stesso giorno in cui il presidente si rivolgeva agli americani gli Usa lanciavano la seconda bomba nucleare. Hiroshima era stata colpita e annientata solo tre giorni prima: 70-80.000 vittime immediate, saranno 200.000 alla fine del 1945, quasi tutti civili.

Hiroshima non era affatto una base militare come voleva far credere il presidente americano per giustificare quella che non era stata nemmeno una decisione obbligata per indurre il Giappone ad arrendersi e por fine alla seconda Guerra Mondiale salvando migliaia di soldati americani – come da narrazione ufficiale: un mito costruito a tavolino per nascondere la verità: il Giappone era già sconfitto e stava per arrendersi. Gli alti gradi militari erano in gran maggioranza contrari alla bomba, come del resto gli scienziati.

E allora? Secondo la storiografia recente l’atomica dagli effetti consapevolmente dirompenti fu una scelta tutta politica, volta a dimostrare all’Unione Sovietica la supremazia americana e segnò l’inizio della Guerra Fredda, della corsa agli armamenti, della Russia “nemica”. E di una strategia della “deterrenza” che ha condotto il mondo a dotarsi di 18.000 testate atomiche attive possedute oggi da 9 paesi, 4 dei quali non aderenti nemmeno al Trattato di Non Proliferazione del 1970 (India, Pakistan, Israele e Corea del Nord che si sono aggiunti a Usa, Russia, Francia, UK, Cina).

Nel 1985 le testate attive erano addirittura 65.000.Lo raccontano vari post rilanciati per il 73° anniversario di quelle orrende stragi, occasione in cui ogni anno i media ripropongono la narrazione ‘patriottica’ delle due bombe lanciate sul Giappone per indurlo ad arrendersi, causando la fine della guerra e salvando le vite di centinaia di migliaia di soldati americani che non hanno più dovuto invadere le isole nipponiche.

Una scusa tirata fuori a caldo per giustificare la decisione inaudita, poi cuore del mito costruito ad arte per avvalorare quella scelta e i suoi obiettivi politici, che perdureranno nel tempo. Fino a oggi.La menzogna sulle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein insomma non è certo stata la prima e non sarà l’ultima, fabbricata a tavolino per giustificare decisioni già prese per motivi politici pubblicamente inconfessabili. Compresi i tanti “interventi umanitari” e le “sollevazioni popolari” alimentate nei tentativi di regime change.

LE PAROLE DI TRUMAN. Sono state recuperate da Global Research che ne fornisce anche il link audio: (Listen to Audio of Truman’s speech, Hiroshima audio video)“ Abbiamo scoperto la più terribile bomba della storia del mondo. Potrebbe provocare la distruzione totale profetizzata nella valle dell’Eufrate nell’era dopo Noè e la sua arca… Quest’arma deve essere usata contro il Giappone … La useremo così che militari e soldati e marinai siano il bersaglio e non le donne e i bambini. Anche i Giapponesi sono barbari, spietati, crudeli e fanatici, e noi in quanto leader del mondo per il bene comune non possiamo lanciare questa terribile bomba sulla vecchia capitale [tra i bersagli considerati c’era anche Kyoto]o su quella nuova ….Il bersaglio sarà puramente militare … Sembra essere la cosa più tremenda mai scoperta, ma può diventare la più utile”.

“Stava mentendo a sé stesso o era stupido o ignorante? – chiede il post di Global Research. https://www.globalresearch.ca/hiroshima-a-military-base-according-to-president-harry-truman-2/5602782 . Chiunque negli alti ranghi militari sapeva che Hiroshima era un’area urbana densamente popolata con circa 300.000 abitanti (1945)”.

“Ma quell’attacco è solo un avviso – proseguiva Truman. Se il Giappone non si arrende, altre bombe verranno lanciate sulle sue industrie belliche e sfortunatamente, migliaia di civili verranno colpiti. I civili giapponesi lascino le loro città industriali immediatamente e si salvino dalla distruzione. Sono consapevole del tragico significato della bomba atomica…La sua produzione è stata intrapresa da questo governo . Eravamo a conoscenza che i nostri nemici erano sulla stessa strada. Oggi sappiamo quanto erano vicini a realizzarla, ma già allora eravamo consapevoli che disastro sarebbe stato per questa nazione, per tutte le nazioni che amano la pace e per tutte le civiltà, se avessero centrato per primi l’obiettivo. Ecco perché ci sentivamo impegnati a intraprendere il lavoro incerto e costoso della sua scoperta e produzione.

“Abbiamo vinto la corsa e l’abbiamo realizzata prima della Germania. “E avendo la bomba l’abbiamo utilizzata, contro quelli che ci hanno attaccati a sorpresa a Pearl Harbor, contro quelli che hanno affamato, picchiato e ucciso i prigionieri di guerra americani, che hanno abbandonato ogni pretesa di obbedienza alle leggi internazionali. L’abbiamo usata per accorciare l’agonia della guerra e salvare tante vite”.

Una retorica nobile quanto ipocrita, come vedremo. Tanto più se si dà retta alle teorie complottiste ma ben documentate, secondo le quali la stessa Pearl Harbor nel 1941 fu un clamoroso false flag, decisivo per indurre gli USA a entrare in guerra.

CONTRARI I MILITARI. Lanciare la bomba per far finire la II guerra Mondiale? La maggior parte degli alti ufficiali americani la pensava in altro modo, racconta il Washington’s Blog in un lungo post con molte citazioni. Per lo più tratte dal rapporto del luglio ’46 dell’U.S. Strategic Bombing Survey Group istituito da Truman per studiare gli attacchi aerei sul Giappone. Ne prendiamo alcune.

“In base a indagini dettagliate dei fatti e a testimonianze dei leader nipponici sopravvissuti, è opinione dei ricercatori che sicuramente entro il Dicembre 1945 e molto probabilmente entro il 1 Novembre ’45 il Giappone si sarebbe arreso anche se le bombe atomiche non fossero state lanciate, anche se la Russia fosse entrata in quella guerra, e anche se una invasione fosse stata pianificata o contemplata”.

Il generale Dwinght Eisenhower – allora Comandante Supremo delle Forze Alleate, al quale si deve la maggior parte dei piani dell’America per l’Europa e il Giappone nella II Guerra Mondiale, disse: “I Giapponesi erano pronti ad arrendersi e non era necessario colpirli con quella cosa infame” (link ). … Eisenhower racconta di essere stato informato dal segretario alla Guerra Stimpson – venuto a trovarlo in Germania – sul successo dei test in New Mexico e dei piani segreti per utilizzare la bomba, aspettandosi un suo vigoroso assenso. Che non ci fu.

Al contrario: Eisenhower era certo della completa inutilità della bomba, primo, perché il Giappone era già sconfitto e secondo perché il paese avrebbe dovuto evitare di scioccare il mondo con un’arma micidiale il cui uso, era convinto, non serviva affatto a risparmiare vite americane.Non era il solo ad avversare l’iniziativa.

L’elenco degli alti gradi militari contrari all’uso della bomba – convinti della sua inutilità da un punto di vista strategico, e tanto più ostili dal lancio in aree molto popolate al punto da esserne moralmente offesi – è lungo, come riferisce il W Blog. Ma la loro opinione si manifestò per lo più dopo. A quanto pare neppure gli alti ufficiali erano al corrente di quel che stava maturando. Persino il generale Douglas MacArthur, comandante supremo per il Giappone, avrebbe ignorato lo stato di avanzamento dei piani sull’atomica fino all’ultimo.

L’ordine venne direttamente da Washington e il Dipartimento della Guerra lo notificò a Mac Arthur solo cinque giorni prima del lancio su Hiroshima. Ad essere a conoscenza dei piani erano di sicuro Eisenhower, come abbiamo visto, e l’Ammiraglio William Leahy – il più alto in grado tra i militari tra il 1942 fino alla pensione nel 1049, capo di fatto del Joint Chiefs of Staff che fu al centro di tutte le decisioni militari del II Conflitto mondiale.

Entrambi si spesero col Presidente per indurlo a soprassedere, ha raccontato Gar Alperovitz nel suo libro The Decision to Use the Bomb che non si limita a spiegare le vere ragioni per cui l’atomica fu fatta esplodere ma anche il perché del mito. Qui una sintesi https://www.lewrockwell.com/2006/08/john-v-denson/the-hiroshima-myth/ .

L’Ammiraglio Leahy, probabilmente la persona più vicina a Truman dal punto di vista militare, deplorò l’uso della bomba (definita un’arma ‘barbara’), consigliò fortemente il Presidente a non utilizzarla e lo invitò invece a rivedere la politica della resa incondizionata, permettendo così al Giappone di arrendersi mantenendo sul trono il suo Imperatore. Una clausola decisiva.

Da parte sua Eisenhower – il futuro presidente americano che alla fine del suo secondo mandato non esiterà a mettere in guardia i concittadini sui rischi insiti nel crescente potere di quel che definì ‘apparato militar-industriale’- intorno al 20 luglio 1945 in un incontro col presidente Truman fece pressione affinché non facesse ricorso alla bomba. Non era necessario colpire i Giapponesi con una cosa così orribile… usare l’atomica, uccidere e terrorizzare civili senza neppure tentare [dei negoziati] era un doppio crimine. Eisenhower disse anche a Truman che non era necessario che “soccombesse” a James Byrnes.

LA DECISIONE FU POLITICA. Chi era Byrnes? La vera storia della bomba è più complicata di quanto la retorica abbia fatto credere. E ha che vedere con la resa senza condizioni da imporre al Giappone: una politica che Truman aveva ereditato da Franklin Delano Roosevelt e che pesava non poco nel rallentare la decisione dei nipponici, in quanto avrebbe comportato la destituzione del loro imperatore, considerato di discendenza divina .

Che l’obiettivo fosse politico e non militare lo ammise persino un generale che a posteriori fu favorevole alla decisione, come il generale George G. Marshall. E un certo numero di storici – racconta il W Blog – concordano nel dire che l’obiettivo fu dimostrare all’Urss la superiorità degli Usa e limitare la sua espansione piuttosto che la fine del conflitto mondiale. E anche limitare l’espansione dell’URSS in Asia, suggeriscono nuovi studi citati basati su archivi di Usa, Giappone e URSS.

Alperovitz non la pensa diversamente, ma nella sua puntigliosa ricostruzione dei fatti entra nei dettagli e assegna un ruolo chiave a Byrnes, personaggio poco noto ai più. Politico democratico di lungo corso, molto amico di Franklin Delano Roosevelt, aveva partecipato in febbraio col presidente alla conferenza di Yalta con Stalin e Churchill ed era poi stato incaricato di farne accettare le conclusioni al Congresso americano e all’opinione pubblica.

La Germania nazista era sconfitta ma la guerra continuava in Asia contro il Giappone, l’Urss avrebbe dovuto parteciparvi dopo la resa tedesca, avvenuta poi in maggio. Così era stato stabilito.Byrnes si aspettava di diventare il vice di Roosevelt, eppure questi aveva invece scelto Truman che pochi mesi dopo, alla mortedi FDR in aprile, si ritrova presidente. E proprio a Byrnes si rivolge il neopresidente, che oltre a tutto ben poco sa del segretissimo Progetto Manhattan.

Secondo Alperovitz tutti i (pochi) consiglieri militari e civili di Truman, e anche il primo ministro britannico Churchill e i suoi vertici militari consigliavano al presidente americano di rivedere la politica della resa incondizionata così da consentire al Giappone di arrendersi. Byrnes la pensa diversamente. E’ sospettoso e preoccupato per l’espansione dell’Urss, avanzata in Europa fino a Berlino inglobando tutta l’Europa dell’est, e per le rigidità di Stalin sui risarcimenti enormi da imporre alla Germania. (Churchill era più disponibile, grato all’Urss per aver fermato i nazisti, aveva accettato la partecipazione sovietica alla guerra asiatica e mirava a farla entrare nell’Organizzazione delle Nazioni Unite).

E’ Byrnes, che segue da vicino l’avanzamento della bomba, a convincere Truman non solo a mantenere la clausola della resa incondizionata nipponica ma anche a rinviare la conferenza di Potsdam a dopo che il test dell’atomica aveva avuto successo. La conferenza venne infatti convocata il 26 luglio, dopo che il 25 luglio era stato segretamente deciso il lancio dell’atomica (ma non ancora i bersagli definitivi).

Byrnes contava di impressionare Stalin e di dimostrare la superiorità degli Stati Uniti detentori della prima arma di distruzione di massa, inducendo Stalin a limitare le sue richieste e le sue attività nel periodo post bellico nonché le sue mire espansionistiche in Asia. Voleva dimostrare che l’America aveva un nuovo leader forte, uno “sceriffo di Dodge” che a differenza di Roosevelt sarebbe stato duro con i Russi, che andavano “cacciati indietro” in quella che sarà conosciuta come Guerra Fredda – scrive Aperovitz. E chissà se sia stato per questo modo di pensare che FDR, che lo conosceva bene, non abbia scelto Byrnes come suo vice. Pare che Stalin – che già sapeva del test – sia rimasto freddo: “La useremo in Giappone”, si limitò a dire. A Potsdam mancò la voce moderata di Churchill, depresso per la sconfitta elettorale nel Regno Unito. FDR era morto e lo scenario politico di Yalta era ormai cambiato.

CONTRARI GLI SCIENZIATI. La scelta di lanciare la bomba in zone molto popolate fu organica a questi obiettivi meramente politici. Il pubblico dibattito che ne nacque subito dopo fu molto aspro. Diversi alti gradi militari insorsero non solo mettendo in dubbio la mancanza di necessità e di giustificazioni militari, in molti si sentirono moralmente offesi dalla decisione di colpire deliberatamente città popolose come Hiroshima e Nagasaki. Nella discussione pubblica vennero messi di mezzo gli scienzati.

“Amano provare i giocattoli che inventano”, arrivò a dire l’Ammiraglio Willam F. Halsey, comandante della Terza Flotta, criticando quell’esperimento non necessario, un errore. Pronta la reazione di Albert Einstein, anello importante della scoperta sia pure non partecipe al Progetto Manhattan, pubblicata dal New York Times col titolo “Einstein deplora l’uso della bomba atomica”.

La sua opinione era che il lancio fosse stata una decisione politico-diplomatica piuttosto che militare o scientifica. Effettivamente la maggioranza degli scienziati impegnati nel Progetto Manhattan avevano avversato la possibilità di usare l’atomica in Giappone. Alcuni si erano spinti a scrivere direttamente e segretamente al segretario alla Difesa nel 1945. Con argomenti politicamente lucidi e lungimiranti: “Se gli Stati Uniti fossero i primi ad utilizzare sul genere umano questo nuovo mezzo di distruzione indiscriminata sacrificherebbero il sostegno nei loro confronti nel mondo, farebbero precipitare una corsa agli armamenti ponendo inoltre una pregiudiziale al raggiungimento di accordi internazionali per il futuro controllo di tali armi” (dal W Blog citato).

“Non ci fu nessuna illusione da parte mia che la Russia era il nostro nemico, e che il progetto veniva condotto su questa base”, testimoniò in seguito il Generale Leslie Groves, direttore del Progetto Manhattan.

IL MITO. A partire da quel settembre 1945 insomma i toni divennero incandescenti. Alti gradi militari come il capo delle operazioni navali Ernest King uscirono allo scoperto. L’ammiraglio della Marina Chester Nimitz (a cui sarà dedicata una porta-aerei) partecipò a una conferenza stampa, l’ammiraglio Leahy ripeté in una intervista le convinzioni che aveva espresso a Truman . L’articolo del NYT sulle posizioni di Einstein completo’ il quadro.

Ce n’era abbastanza per preoccupare il presidente Truman, e un personaggio a lui molto vicino, James Conant. Poco noto ai più quanto Byrnes, scienziato distintosi nella produzione di gas venefici durante la I guerra mondiale, Conant era diventato presidente della Harvard University nonché presidente del National Defense Reasearch Commitee dal 1941, una delle figure più importanti del Progetto Manhattan. Davanti all’escalation dei toni infuocati nel dibattito, Conant si preoccupa anche della sua futura carriera e conclude che qualcosa vada fatto. Serve che una persona importante dell’amministrazione dichiari pubblicamente che il lancio delle due bombe era una necessità militare per far finire il conflitto e impedire la morte di migliaia di soldati americani.

La persona adatta viene individuata nel Segretario alla Guerra Henry Stimson, che avrebbe dovuto scrivere un lungo articolo su una rivista nazionale di prestigio, da far circolare in lungo e in largo. L’articolo, rivisto da Conant e da suoi consulenti, esce su Harper’s Magazine nel febbraio 1947. A rilanciarlo ci pensa naturalmente il New York Times: “Non c’è alcun dubbio che il presidente e il sig. Stimson siano nel giusto quando sostengono che la bomba ha causato la resa del Giappone”, vi si legge. Più tardi, nel 1959, il presidente Truman farà ufficialmente propria questa conclusione, compresa l’idea del salvataggio delle vite dei soldati americani, il cui numero lievita a un milione.

E’ la narrazione della vicenda di Hiroshima e Nagasaki che, ripetuta dai media anno dopo anno in agosto in occasione degli anniversari, ha finito per sembrare così ‘vera’ da diventare quasi un luogo comune. Solo negli ultimi anni, complice Internet, cominciano a circolare narrazioni differenti.

CONCLUSIONI. Byrnes e Truman immaginavano che il monopolio atomico americano avrebbe rappresentato una leva nei confronti dei sovietici, bloccandone le aspirazioni con la dimostrazione dell’incomparabile superiorità americana.Invece innescò la corsa agli armamenti che ha cambiato il mondo, la Guerra Fredda, e una demonizzazione del Nemico Russo che continua ancora oggi dopo la scomparsa dell’URSS, l’unificazione della Germania e l’espansione della NATO nell’est Europa, fino circondare la Russia.

Il complesso militar-industriale, il cui potere in espansione inquietava già Einsenhower nel suo discorso alla nazione del 1961, ha bisogno di Nemici per giustificare budget sempre più alti e nuove tecnologie sempre più sofisticate. Tanto più ora che nella corsa è entrata pesantemente anche la Cina. L’industria bellica come volano di quella civile oltre che come strumento di dominio. Colpisce che da Truman in poi, questa linea sia stata sostenuta anche – e spesso soprattutto, come oggi – dai Democratici.

Eppure perfino il repubblicano Donald Trump favorevole al dialogo con il Kremlino ha portato il budget 2019 del Pentagono a una cifra record mai toccata prima: $716 miliardi. http://www.repubblica.it/esteri/2018/08/14/news/stati_uniti_aumenta_budget_per_la_difesa-204080685/ Il mondo è già stato vicino a una catastrofe nucleare. In chiusura vediamo e segnaliamo l’uscita del libro in cui Daniel Ellsberg, The Doomsday Machine: Confessions of a Nuclear War Planner edito Alpina Publisher. Sono i ricordi dell’ uomo che da analista militare e collaboratore della RAND nel 1971 trasmise alla stampa i Pentagon Papers sulla guerra del Vietnam e contribuì personalmente a stilare un piano che prevedeva di colpire preventivamente l’Urss e uccidere fino a mezzo miliardo di persone. https://it.sputniknews.com/mondo/201808146364212-confessa-creatore-piano-nucleare-usa-doomsday-machine-daniel-ellsberg/

NOTE 2020 : Il Washington’s Blog sembra non essere più operativo. Il post citato è stato però ri-pubblicato qui, il 2 maggio 2020: https://global-politics.eu/real-reason-america-nuclear-weapons-japan/. Segnaliamo anche l’articolo del Washington Post del 5 agosto 2020, in occasione dei 75 anni dell’atomica, dove si trova una mappa interattiva di tutti i numerosissimi test atomici fatti nel mondo da allora, che hanno causato migliaia di vittime, delle quali non si è mai parlato. https://www.washingtonpost.com/graphics/2020/world/hiroshima-anniversary-nuclear-testing/ .

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Salvini, Di Maio e Bannon, un filo che viene da lontano

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Nella sua ultima intervista da premier, a tre giorni dal voto, Paolo Gentiloni aveva lanciato una sorta di allarme:“Mi sembra che si stia andando tra il disinteresse e il cinismo alle elezioni più importanti degli ultimi 25 anni, come se il voto fosse una gara di nuoto sincronizzato da guardare con distacco, tanto poi i giochi veri si fanno dopo. Non è così. Qui si sta decidendo se proseguire su una strada di economia di mercato, società aperta, welfare sostenibile, o se andare fuori strada” . Il giorno dopo, era arrivato in Italia Steve Bannon per seguire da vicino le elezioni italiane, “molto importanti e indicative per l’Europa e per gli stessi Stati Uniti…” . “Il 4 marzo aprirà la strada a tutti i movimenti che si ribellano a Merkel e Macron, ….”l’attenzione si focalizzerà sul capitalismo elitario e su nuovi temi come l’immigrazione anche a livello globale”… “Siete parte di un movimento internazionale, più grande della Francia, dell’Italia, dell’Ungheria, più grande di tutti i singoli movimenti”.

Intervistato da Tgcom24, ripreso da Huffpost (1) , dalla Stampa (2) con info aggiuntive sui suoi rapporti con Matteo Salvini, Bannon viene subito dimenticato. Tranne che dal giornale diretto da Maurizio Molinari che dopo il voto ha con lui una conversazione a Milano. Titolo: “Cinquestelle e Lega, è in Italia il cuore della nostra rivoluzione (3). Il mio sogno è vederli governare assieme. Sarà Salvini la forza trainante”. Sulla scia di un pezzo del NYT: ” Dopo aver rottamato l’establishment americano Bannon si accinge a demolire quello europeo” (4). Dopo l’affair Cambridge Analytica sarà Riccardo Luna a ricostruire l’incontro milanese fra Bannon e Salvini, con altri a lui vicini fra cui Marcello Foa (4-A).

I “DUE FRONTI” QUALI SONO? Eppure si è dovuti arrivare alla crisi Siriana e alla decisa contrarietà della Lega ai missili di US-UK-Francia, il M5S molto più sfumato rispetto al no alle bombe di un anno fa , perché cominciasse a venir fuori quel che, per più di un mese di distacco sportivo su governi possibili impossibili, probabili o improbabili, era rimasto sotto traccia, sottinteso, non detto: le eventuali preoccupazioni Atlantiche e di Bruxelles per un governo più vicino alla Russia di Putin che all’America, Russofilo e magari anche antieuropeo e anti euro . Contrapposizioni semplici, binarie, quelle proposte dai commentatori. Atlantisti vs Russofili; America vs Russia, “partito occidentale” vs “partito di Putin”, pro UE vs euroscettici, globalisti vs protezionisti, liberal democratici vs autoritari.

Angelo Panebianco che un anno fa aveva paragonato il 2018 elettorale al 1948, rinnovava i timori. Poi tornati sotto traccia, salvo allusioni intermittenti a vaghi “pericoli” e “minacce” che cominciano ad esplodere oggi, dopo che il governo M5S/Lega sembra lo si faccia davvero.Atlantisti chi? Quale America? Negli Usa è in atto una feroce guerra di potere e il fronte anti-Russia, nonché globalista e filo UE, non comprende affatto il suo presidente. Fa capo invece ai Democratici che vedono in Putin il nemico n 1, “novello Hitler” (copyright Hillary Clinton), supportati dai media mainstream a loro legati da sempre e seguiti a ruota dai nostri, ma anche a una parte di Repubblicani, in particolare i neocon .

Antlantisti-europeisti per i quali la Nato è un pilastro incrollabile nei rapporti fra Usa e Europa, mentre Trump la considera un costo elevato per l’America ed è arrivato a minacciare di abbandonare l’alleanza e mollare gli europei al loro destino se non si decidono a investire di più nella loro difesa.The Donald è stato eletto dalla destra nazionalista (o nazional-populista) dei Repubblicani, per niente anti-Russa. Anti-Iran piuttosto, legata com’è alla destra israeliana di Benjamin Netanyahu, che con Obama non andava affatto d’accordo.

Nazionalista ovvero incline agli interessi economici americani, molto meno al ruolo ‘imperiale‘ degli USA, sul piano economico della globalizzazione come su quello geopolitico- militare . Sebbene poi il presidente, tenuto sotto scacco attraverso l’infinita, inconcludente inchiesta del Russiagate, sia costretto a lasciare la geo-politica americana in mano al sempre più pervasivo e potente deep-state, quegli ‘apparati federali ‘- Dipartimento di Stato, Pentagono, CIA, NSA ecc – che Trump, non avendo una sua fazione interna, cerca di blandire assoldando generali nell’amministrazione (5).

Anche in Europa del resto nei confronti della Russia si registrano sfumature diverse perfino fra atlantisti-europeisti come Germania e Francia macroniana, per non parlare del gruppo Visegrad, con la Polonia decisamente anti-russa per esempio, al contrario dell’Ungheria di Orban, nazionalista russofilo come Le Pen e Salvini, ostili piuttosto a UE e euro. E’ una destra nazionalista che negli USA, ma anche in Europa, precede Trump e la Brexit ed è l’esito di un progetto strutturato, affatto nuovo e tutt’altro che obsoleto . Val la pena di esaminarlo, a partire proprio dal personaggio Steve Bannon.

BANNON UOMO CHIAVE. Bannon infatti non è soltanto l’abile stratega della campagna elettorale di Trump, l’ex chief stategist della Casa Bianca, il Rasputin che il presidente a un certo punto è stato costretto ad allontanare premuto dall’opposizione interna e soprattutto esterna proprio a causa delle posizioni radicali del suo ex sodale. Bannon è l’uomo chiave della strategia della nuova, spregiudicata destra americana che prende corpo negli anni 2008-2009 della prima presidenza Obama, promuovendo e cavalcando la rivolta del Tea Party, il movimento che, nato dall’ostilità al salvataggio pubblico delle megabanche, finisce presto per dar voce ai timori dei conservatori bianchi che si sentono minacciati dal primo presidente nero.

Fino a far cambiar pelle al partito Repubblicano, che nel 2010 riesce a conquistare la maggioranza alla Camera dei Rappresentanti, poi nel 2014 al Senato, azzoppando del tutto Obama. Una nuova destra che grazie ad appoggi e cospicui finanziamenti – li vedremo – comincia ad espandersi anche in Europa, sostenendo, consigliando e probabilmente anche finanziando la nascita e/o la trasformazione di partiti destrorsi preesistenti, finalizzate alla sua strategia nazionalista, identitaria, anti globalista e anti-UE.

La prima grande vittoria europea sarà la Brexit, seguita dalla sconfitta di Le Pen e da altre vittorie in Austria e Ungheria. E’ il progetto rilanciato da Bannon nel suo tour di marzo scorso tra le destre nazionaliste europee, dall’amica Marine a Lille (dove accennerà al “Brother Salvini”) , da Orban acclamato come eroe, dal leader di AFG incontrato a Zurigo, e in Italia “suo quartier generale”. Così il NYT l’11/3, dalle cui colonne Bannon annuncia la prossima mossa: una proliferazione in Europa di siti Breitbart News o simili in diverse lingue, infrastruttura comunicativa “per diffondere sotto la sua guida le idee nazionaliste e addestrare armate di soldati populisti al linguaggio e agli strumenti dei social”, scrive il NYTimes.

BREITBART NEWS. Figlio di operai Dem di Norfolk, Virginia, ufficiale di Marina, banchiere da Goldman Sachs fino a diventarne vice presidente, fondatore con colleghi di GS di una società di investimento specializzata in media e lui stesso produttore, il nome di Bannon è soprattutto legato a Breitbart News che è tornato a dirigere dopo aver lasciato la Casa Bianca. A fondarlo era stato nel 2007 Andrew Breitbart, collaboratore del conservatore Drudge Report, meno di Huffington Post, sito liberal in ascesa. Durante una cena a Gerusalemme, riesce a convincere Larry Solov, come lui ebreo, a lasciare la sua carriera di avvocato per lanciarsi con lui in una guerra al “Democratic media complex” e al progressismo, contrastando le narrazioni dominanti (così Vox) .

Un “HuffPost di destra”, sintetizzerà Bannon, dal 2010 con loro nel board in cerca di investitori – pur continuando a fare il produttore, tanto che un documentario su Sarah Palin, apprezzatissimo, lo proietta da eroe nel mondo del Tea Party, del quale è già un fervente supporter Andrew Breitbart. Se al fondatore interessa una battaglia culturale che smascheri le ‘falsità’ dei media mainstream, Bannon ha mire più politiche e trasforma Breitbart News da aggregatore di links in un sito vero e proprio con un’impronta di destra ancor più marcata.

Nazionalista, anti-Stato e anti-establishment, xenofobo, anti-immigrati e anti-islam, persino misogino, insomma sempre più “piattaforma dell’ alt-right”, dirà Bannon, riferendosi alla destra alternativa in che non esita a pescare ovunque consensi “contro le élites globaliste e le loro lobby, difensori del sistema di economie interconnesse creato dalla seconda Guerra Mondiale in poi, a favore dei ‘lasciati indietro’, del ceto medio privato del lavoro e del benessere da due fattori convergenti, il libero commercio e i migranti.

“Pretese ridicole, dal momento che dietro di loro ci sono fior di miliardari”, sfotte David Axelrod a lungo consigliere di Obama. Già. Ma sono miliardari diversi da quelli di riferimento dei liberals.Un sito noto per le teorie cospirazioniste, la negazione del climate change, le campagne fake, a partire dalla storia di Obama nato in Kenia e musulmano . Temi che rimbalzano su blog ad hoc e social, grazie a professionisti esperti in movimenti dal basso che, stato per stato, istruiscono gli attivisti. E il Tea Party cresce e si afferma, sempre più dirottato verso tematiche care ai finanziatori o comunque più capaci di attirare consensi.

“L’IMPORTANTE E’ VINCERE”. “Se vuoi riprenderti il paese devi mettere da parte le differenze in nome del nazionalismo economico: si tratta di vincere, nient’altro conta”, ha spiegato Bannon qualche mese fa a una convention Rep in California (7) . Flessibile e senza scrupoli nel rivolgersi a destra e a manca. Ogni somiglianza ai ‘populisti’ nostrani è puramente casuale.“Abbiamo vinto grazie a un lavoro di squadra: abbiamo messo insieme populisti nazionalisti, cristiani evangelici, conservatori e repubblicani per far vincere Trump” che per quanto non particolarmente apprezzato (Bannon e i finanziatori preferivano Ted Cruz) “era il solo in grado di battere la Clinton”.Alt-right antisemita? “Disprezzano gli ebrei liberal quanto la destra israeliana detesta gli ebrei di sinistra” ha scritto Haaretz. Bannon ritiene Breitbat News il sito oggi più vicino a Israele. Rigetta anche le accuse di razzismo.

E boccia il liberismo internazionalista in nome del primato della politica sull’economia: “Non siamo un’economia, siamo un Paese”.“Il nazionalismo economico non ha a che fare con la razza, il genere, la religione, l’etnia o le preferenze sessuali. E non si tratta di redistribuire la ricchezza ma di non dover competere con la concorrenza sleale della Cina” . Bush è “ il presidente più distruttivo della storia americana per aver permesso alla Cina di crescere e entrare nel WTO: un errore strategico dalle conseguenze incalcolabili” .

Una posizione, quella illustrata da Bannon, che comporta un progetto geopolitico diverso da quello Atlantista-Russofobo proposto dai media, quasi tutti di imporonta Democratica.“La Russia appartiene al nostro mondo euroamericano che deve invece guardarsi dai veri avversari ovvero Cina, Iran e Turchia”: tre nazioni, frutto di civiltà antiche e combattive, tutte estranee alla cultura giudeo-cristana”, ribadisce a Molinari. Il NYT ipotizza che Bannon prossimamente potrebbe dirottare l’attenzione delle destre nazionaliste europee su questo tema strategico, dal momento che dell’immigrazione si stanno occupando i governi. Ma è un tema popolare?

SOSTENITORI & FINANZIATORI: gli anti Bilderberg? La conquista repubblicana della Camera nel 2010 convince della bontà della strategia. E’ qui che Bannon entra in scena, porta a Breitbart News nuovi finanziatori e dal 2012, con la morte di Andrew, diventa presidente della società. Dal quartier generale di Los Angeles il sito si espande, moltiplica le sezioni per coprire a tutto campo le news trascurate/distorte dai media classici (Hollywood, sicurezza nazionale, governo, esteri, media, terrorismo, e sport, tech, radio). E sezioni regionali: edizioni specifiche per California, Florida, Texas, Londra dove collabora Nigel Farage, dal 2014 Gerusalemme e il Cairo. Diventerà popolarissimo, più del Washington Post. Nel 2011, anno della svolta, nella proprietà entra la famiglia Mercer con una dote di $11 milioni. Parliamo di Robert Mercer lo schivo miliardario la cui notorietà è legata a Cambridge Analytica, la società che ha fatto scandalo per aver utilizzato i dati Facebook di 50 milioni di utenti, 230 con quelli degli amici. Mercer l’ha fondata negli Usa nel 2013 insieme a Bannon – che ne ha inventato il nome – per profilare elettori – grazie a dati raccolti nel web, sofisticati algoritmi e metodi psicografici messi a punto all’Università di Cambridge – così da influenzarne il voto con messaggi mirati. Metodi che faranno buona prova nelle elezioni presidenziali americane del 2016 ma a quanto pare già nelle votazioni sulla Brexit . CA nega, un’inchiesta è in corso in UK. Del resto la casa madre di CA è l’inglese SCL Group che tra i finanziatori ha due ex ministri Tory, si occupa comunicazione, strategie e modifiche del comportamento – aka propaganda e psy-op – per conto di governi, partiti e militari, ha fra i suoi clienti la Difesa Britannica e sostiene di aver seguito le campagna elettorali in molti paesi del mondo. Sempre da destra.

I MERCER. Il 71 enne Mercer non è soltanto un miliardario, è un matematico. PhD in Computer science, a lungo all’IBM dove lavorava a un progetto di intelligenza artificiale per il riconoscimento del linguaggio, ha ideato un modello probabilistico che aprirà la strada al deep learning oggi tanto in voga e gli varrà nel 2014 il massimo riconoscimento da parte dell’ ACL- Association of Computational Linguistic. Nel ’93 lascia IBM per entrare in Renaissance Technologies, non un hedge fund qualunque, tra i primi a credere nella matematica applicata alla finanza, diventato la più formidabile macchina per far soldi del mondo. E’ così che Mercer, dal 2009 Co-CEO, diventa miliardario. Miliardario anomalo anche per la sua passione per la politica.

Di fede repubblicana, grande donatore del GOP ($34.9 milioni dal 2006), il maggiore nel 2016, l’anno prima il WaPo lo aveva indicato fra i 10 personaggi più influenti. Mercer però la pensa a modo suo, disdegna il lato establishment del GOP, troppo vicino a Big Business e a Wall Street, scrive Bloomberg (8). Per esempio critica il sistema bancario basato sulla riserva frazionale, lo preoccupano le ingerenze governative nel sistema monetario, crede nel gold standard. Considera il climate change una bufala della scienza corrotta, pensa altrettanto male della medicina ufficiale.

I KOCH. Idee non molto diverse da quelle da Charles e David alla cui rete di donatori, fondamentale nel successo del Tea Party, Mercer inizialmente si unisce, racconta uno studio del Brookings Institute, finché non si fa una Foundation di famiglia. Valutati da Forbes $82 miliardi, anche i fratelli Koch amano l’ombra, sebbene siano da tempo tra i grandi finanziatori Rep riuscendo pian piano a selezionare candidati vicini alle loro idee: in origine libertarie, comunque ultraliberiste, a favore di uno stato leggero, poche regole a cominciare da ambiente e clima (vedi Underblog. 9) .

Un’agenda che corrisponde ai loro interessi. Industriali dell’energia fossile con raffinerie e oleodotti, più società di ogni genere ma con solida base negli Usa, i Koch fanno parte della lobby dei petrolieri (Oil &Gas), alleata alla lobby chimico-farmaceutica contraria alle regole quanto loro, hanno a cuore le manifatture e le infrastrutture americane, e poco da spartire con megabanche e finanza, ben più vicine ai liberal come lo sono telecomunicazioni e mass media, hi-tech e web economy : i ‘lord della tecnologia della Silicon Valley”, come li chiama Bannon. Tutti “feudi”, questi, dei Dem, non a caso fautori delle energie rinnovabili e del globalismo, mentre i Koch &C. sono nazionalisti, freddi verso l’Europa che minaccia gli interessi nazionali americani – un’Europa che non controllano e a cui sono sostanzialmente estranei. Tranne la Russia che, con le sue riserve di gas e petrolio, è un’alleata ‘naturale’.

Gli ‘anti-Bilderberg’ che mirano a scalzare la centenaria egemonia dei Rockefeller, Rothschild & C? Forse, e non sarebbe cosa da poco. L’unico settore comune è la Difesa, sebbene il Financial Times che con l’arrivo del nuovo inquilino alla Casa Bianca disegnava i settori tendenzialmente up and down, lo considerasse in ascesa . Infatti Trump ne aumenta subito il budget, così come dà il via libera a un oleodotto bloccato da Obama, si ritira dagli accordi di Parigi. E taglia massicciamente le tasse alle imprese.

La rete dei Koch conta una quantità di fondazioni caritatevoli e organizzazioni ad hoc, think tank come Heritage Foundation, classico pensatoio Rep, o fondati da loro come Cato Institute, Mercatus Center, Freedom Works e American for Prosperity, fondamentali nel lancio del Tea Party, sia negli US sia in Europa. “Loro” uomini sono finiti dritti nell’amministrazione di Trump: l’ultraconseratore Mike Pence diventato vicepresidente; Mike Pompeo, il politico più finanziato dai Koch da quando era attivo nel Tea Party, nominato capo della CIA e Segretario di Stato dopo l’uscita di scena di Rex Tillerson, già AD di Exxon Mobil. Nell’orbita Koch è anche Paul Ryan, dal 2015 speaker della House grazie al suo decisivo ruolo di unificatore delle varie anime repubblicane (Underblog sulle diverse anime nell’amministrazione Trump. (10).

ALTRI SUPPORTERS. Multinazionali europee della chimica/farmaceutica come le tedesche BASF, Bayer e la belga Solvay già nel 2010 hanno dato più dei Koch a senatori ‘amici’ per sabotare regolamenti ambientali globale (11) Guardian).Taxpayer Alliance, inflluente gruppo di pressione contro tasse e spesa pubblica, è stata aiutata da Freedom Works nel destabilizzare Obama attraverso la mobilitazione dei suoi 800.000 aderenti. AIPAC. La potente lobby israelita americana è tra i supporters della destra nazionalista? Vari i segnali. Favori e finanziamenti della lobby secondo Opensecrets si sono via via spostati dai Dem ai Repubblicani, specie nel 2016. E alla freddezza di Obama verso Netanyahu e la sua politica fa seguito l’indubbia vicinanza di Trump che lo segue sulla capitale a Gerusalemme e sulle critiche all’accordo sul nucleare Iraniano staccandone gli US contro gli alleati europei.

Del resto i temi anti-islam e anti-immigrazione e diventano centrali già nel Tea Party dove proliferano gruppi anti-Islamisti, come l’International Civil Liberties Alliance contro la Sharia, Atlas Shrugs guidato da Pamela Geller alla testa della protesta contro la presunta moschea a Ground Zero (in realtà un centro culturale) e siti come Jihad Watch. Anti–islam anche gruppi Cristiano Evangelici ai quali si rivolgerà Bannon . Tutti citati dal Guardian nella sua inchiesta del 2010 sul Tea Party in Europa, ripresa a suo tempo da Underblog (12).

IL TEA PARTY SBARCA IN EUROPA. In quell’inchiesta e in altri articoli il giornale britannico segnalava i legami fra il Tea Party americano e i movimenti di destra, nazionalisti e contrari a immigrazione e islam che spuntavano in Europa, dalla Germania alla Svezia, all’Olanda dove il PVV(Partito della Libertà) di Geert Wilders era già al 15%, all’Austria, al Belgio Fiammingo. In Gran Bretagna si punta inizialmente sull’EDL, l’English Defense League che cerca di allargarsi in Europa. (All’ EDL si era avvicinato Anders Breivik, autore del massacro del luglio 2011 dove morirono 77 persone. Un caso che in Norvegia in maggio fosse arrivato il presidente di American for Prosperity per insegnare a mettere in piedi in quattro e quattr’otto un movimento destrorso dal basso, come raccontava Voxeurop.eu ? ) .

Nel 2014 i sostenitori di EDL confluiranno poi nell’Ukip di Nigel Farage, nato proprio nel 2010, meno destrorso ma apertamente euroscettico, protagonista della Brexit. Farage l’avevamo incontrato come collaboratore del sito di Bannon. E proprio nel 2014 Beppe Grillo tenterà di legare il M5S all’Ukip a Strasburgo, suscitando reazioni negative interne e da parte del Fattoquotidiano. Il Guardian sottolinea i legami diretti e i finanziamenti da parte di think tank e organismi conservatori: in sostanza quelli della rete Koch di cui sopra (l’elenco è poi stato espunto dal post aggiornato, è rimasto in quello di Underblog).

E giunti attraverso la Chambre of Commerce, vicina al GOP: lo aveva già denunciato Obama criticando multinazionali e privati che per quella via finanziavano senatori del Tea Party. La ritroveremo parlando del M5S.Il giornale liberal britannico enfatizza anche il ruolo della potente World Taxpayers Alliance, presente in 60 stati del mondo, molti in Europa fra cui l’Italia. E il suo attivismo europeo sui temi cari: stato leggero, poche regole, ampie privatizzazioni dei servizi pubblici, no tasse, ecc . Sono gli anni in cui Marine Le Pen diventa presidente del Front National (2011) dopo averlo reso meno estremo ma più apertamente anti-islam. Raccogliendo per la prima volta il favore della comunità ebraica francese desiderosa di “far fronte contro un nemico comune”, scriveva Le Point (13).

E raccontava come Le Pen, volata negli Usa, si fosse recata in Florida per incontrare William Diamond, responsabile della sinagoga di Palm Beach e soprattutto membro dell’AIPAC. L’incontro era stato combinato grazie a tal Guido Lombardi, “un italo-americano francofono esponente della Lega Nord ben introdotto nella comunità ebraica americana”. Nonché direttore della North Atlantic League: “un’ associazione no profit che promuove la cultura italiana negli Usa e le relazioni fra Italia, Usa e Israele”, dirà lui stesso al Sole 24Ore che lo intervista (14) dopo averlo ritrovato attivista nella campagna di Trump. Con Le Pen dice di essere amico da molti anni “me la presentò Francesco Speroni”.

Il nuovo Front di Le Pen è vicino al PVV di Wilders, al tedesco AFD e ai partiti nazionalisti anti-immigrazione e critici verso l’UE che si affermano in Austria, Slovacchia, Ungheria, nonché alla nostrana Lega di Matteo Salvini (2013), all’Ukip di Farage, il primo politico europeo che sarà ricevuto dal neo-eletto Trump. Farage e Speroni avevano dato vita nel 2009 a Strasburgo al gruppo EFD- Europa per la Libertà e la Democrazia, nel 2014 Farage incontra Grillo e malgrado le polemiche M5S e Ukip fanno parte insieme dell’EFD diventato EFDD: Europa per la Libertà e la Democrazia Diretta. Mentre la Lega fuoriesce e dà vita col Front National a Europa delle Nazioni e della Libertà, gruppo più destrorso, e per un’uscita dall’euro, presieduto da Matteo Salvini.

LEGA e M5S PARI SONO? Per gli Atlantisti russofobi lo sono, o almeno lo erano fino a poco tempo fa. “Salvini e Di Maio spingono l’Italia verso la Russia?” titolava ancora l’11 marzo un editoriale sul NYT esplicitando i “timori per uno spostamento dell’asse di riferimento dell’Italia verso Putin (E’ proprio così? Mette in dubbio Formiche.net (15).

Qualche mese prima l’ex vice di Obama Joe Biden e John Carpenter avevano firmato un articolo accusatorio su Foreign Affairs rilanciato in Italia (qui Underblog) dalla solita Stampa, che è poi andata avanti sulle relazioni (viaggi, interviste ecc) sia di Salvini sia di Grillo (tra il 2014 e il 2015) con esponenti russi. La Lega dal 2013-14 avrebbe pure rapporti con l’associazione Lombardia-Russia e perfino firmato un accordo di cooperazione con‘Russia Unita’, il partito di Putin.

Le colpe di entrambi i partiti sarebbero l’avversare le sanzioni contro Mosca e aver detto che in Ucraina “ci fu un colpo di stato” (Di Maio). Oltre a un atteggiamento ‘sovranista’ verso l’UE, attribuito anche questo a un’influenza russa destabilizzatrice piuttosto che a relazioni con la destra nazionalista americana, di cui poco o nulla si dice o si scrive. Siti Web vicini e in contatto. Il Report sulla Disinformazione n 1 del PD (16) basandosi sull’inchiesta di un blogger citava un sito – Adessobasta.org – con una molto frequentata pagina FB e link diretti con account FB e TW vicini alla Lega e/o al M5S che si scambiano condivisioni e hanno amministratori comuni o con nomi fasulli.

Il sito fa parte di una rete di siti internazionali anti Brexit, anti islam. Legati a Putin? Affatto. I tre citati, dai portali quasi identici, fanno capo a una società di propaganda di estrema destra basata in Texas (Conservative Post LLC, Dallas). Legata alla rete Breitbart?

Cambridge Analytica. Sul sito della società c’è una scheda sull’Italia: “Nel 2012”, si legge, “CA ha realizzato un progetto per un partito italiano che stava rinascendo e che aveva avuto successo per l’ultima volta negli anni ‘80”. Usando l’Analisi dell’ Audience Target, CA ha rimesso gli attuali e i passati membri del partito assieme con i potenziali simpatizzanti per sviluppare una riorganizzazione della strategia che soddisfacesse i bisogni di entrambi i gruppi. La struttura organizzativa moderna e flessibile emersa dal lavoro ha suggerito riforme che hanno consentito al partito di ottenere risultati molto superiori alle aspettative in un momento di grande turbolenza politica in Italia”.

Sembra la fotografia della Lega, dal 2013 a guida Salvini che la rivoluziona con successo. E’ vero che CA è stata costituita nel 2013. Ma nella scheda si nota una certa sovrapposizione fra CA e SCL Group, casa-madre inglese di SCL Elections che di CA è co-proprietaria. Sia Maroni sia Salvini negano qualsiasi rapporto con entrambe le società, secondo il post AGI di Riccardo Luna citato sopra.

L’ENDORSEMENT DI BANNON. Mentre era in Italia Bannon non avrebbe incontrato l’impegnatissimo Salvini. Ma ha parlato con i giornalisti. Il nostro paese a suo dire è “il cuore della rivoluzione” perché di partiti espressione della “rivolta dei disagiati” stritolati dalla tenaglia convergente di libero commercio e immigrazione, in Europa e Usa, ve ne sono ben due: Cinquestelle e Lega. <Il mio sogno è vederli governare assieme” in quanto <sono espressioni diverse dello stesso fenomeno e superano la metà dei votanti”. Ma preferisce Matteo Salvini “perché il leader leghista rappresenta il Nord, ovvero tre quarti del Pil nazionale, mentre Di Maio propone il reddito di cittadinanza, una versione dell’economia sussidiata che manderà in fallimento le casse pubbliche in meno di due anni>.

Secondo La Stampa sarebbero stati i collaboratori di Salvini a far conoscere meglio a Bannon la realtà politica ed economica italiana. Lui godeva già di buoni rapporti in Vaticano, avendo sempre avuto stretti contatti con Raymond Burke, il cardinale Usa intransigente punto di riferimento del mondo tradizionalista, oppositore di Papa Francesco con un seguito nel clero statunitense. Un mondo al quale si è molto avvicinato Salvini, che contesta le posizioni di apertura nei confronti degli immigrati di Papa Francesco e fa ormai parte di questa sorta di internazionale nazional-populista. Così la Stampa che sembra saperla lunga.

E LA SVOLTA DEL M5S Appare più ambiguo della Lega fin dalle origini, in un certo modo pionieristiche. Dall’incontro di Beppe Grillo con Casaleggio Sr, che il comico presenta subito ad Antonio Di Pietro, l’ex PM di Mani Pulite che ha posto fine alla prima Repubblica azzerandone i partiti. Teorie complottiste hanno ipotizzato relazioni poco chiare con gli Usa. La Casaleggio Associati nel 2005 ne diventa consulente e cura il sito di Italia dei Valori, insieme al blog di Grillo.

Solo nel 2009, dopo il successo dei Vaffa Day e del blog (9° tra i più influenti al mondo nel 2008 secondo l’Observer) Grillo si mette in proprio dando vita con Casaleggio al M5S. Aiutati (e magari finanziati) dall’esterno? Chissà. Si è scritto dei rapporti con l’American Chambre of Commerce, sorta di lobby delle corporations legata alla destra Repubblicana, che negli Usa era stata accusata da Obama di finanziare candidati del Tea Party (Guardian). In Italia trait d’union con il M5S ne è stato a lungo Enrico Sassoon, che siede ancora nel folto board of directors pur avendo lasciato il M5S. Partner strategico della Casaleggio Ass è da subito la Enamics, società americana leader in Business Technology Management con una rete di relazioni aziendali di alto livello (Vedi Underblog nel 2012 (17) .

La svolta.Per anni il Vaffa è a 360°, dalla Nato all’UE, dalle banche all’euro, dalla casta alle istituzioni “da aprire come scatolette di tonno”. Fino alla “svolta atlantista “inaugurata a novembre 2017 dal candidato premier del M5S a Washington e proseguita alla Link University a Roma. Titoli: <Di Maio vola a Washington, “Fedeli agli Usa, non a Mosca>, <Torna istituzionale e tranquillizza gli Usa>, <Vuol far l’Americano>. <La svolta di Di Maio: ‘Noi al centro, Garanti per la Lega’>. L’ aspirante premier è anche a favore di un’UE “più bilanciata ed inclusiva”.

Una giravolta il cui punto di riferimento, secondo la solita Stampa sarebbe stato Paolo Gentiloni, “custode dell’alleanza con gli Usa” (18).“Dobbiamo essere i garanti per i nostri alleati e per l’UE, sia della permanenza nella Nato sia dell’euro, soprattutto se ci alleeremo con la Lega”, ragiona Di Maio in margine al convegno di Ivrea della Casaleggio (7 aprile) e secondo fonti dell’ambasciata Usa a Roma. Dove il candidato del M5S ha incontrato l’ambasciatore Lew Eisenberg (amico personale di Trump ma Rep moderato nonché ex tesoriere del GOP), al quale ha fatto “un’ottima impressione”. Migliore di quella di Salvini, che a colloquio al Quirinale aveva difeso le ragioni di Putin. Di Maio ne aveva preso le distanze.

Dopo che la partecipazione a un governo si allontana Grillo rispolvera l’idea di un referendum sull’euro . Un nuovo dietro front? “Grillo è un libero pensatore”, replica l’ineffabile candidato premier a Lucia Annunziata riferendosi al Garante del suo Movimento. E aggiunge: “Se i vincenti verranno lasciati fuori dal governo sarà nostro diritto consultare gli italiani”. L’UE deve preoccuparsi? <L’UE è molto ‘elastica e tollerante>, risponde Mario Monti intervistato a ruota. <Orban da anni partecipa alle riunioni del Consiglio Europeo, e fa capo al PPE come la CDU di Angela Merkel e Forza Italia>.

CONCLUSIONI. 1. Rapporti, influenze e ‘donazioni’ da parte di partiti/istituzioni straniere sono da sempre all’ordine del giorno. L’importante sarebbe saperlo. Il fatto che il M5S sia un partito ‘privato’, proprietà della Casaleggio Associati non aiuta. Tanto più dopo che la demagogica battaglia pseudo anti-casta dei pentastellati ha spinto all’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti. Senza che sia stata neppure varata una legge sui partiti come enti giuridici responsabili, primo passo verso norme che impongano la trasparenza ed eventuali conflitti di interesse. Strano che il Fatto Quotidiano così attento alla legalità non se ne sia fatto promotore. 2. Contrapposizioni nette fra Atlantisti e Russofili hanno poco senso. Lo scenario è ben più variegato, complesso e contraddittorio. 3. Come stanno i nazionalisti? “La presa di Goldman Sachs sulla Casa Bianca questa volta è fallita”, titolava il NYT a fine gennaio.

Dei 5 alumni Goldman nell’amministrazione ne è rimasto solo uno, Steve Mnuchin al Tesoro. “Ci si chiedeva in che misura i liberals di New York avrebbero cambiato Trump … Chi avrebbe dominato la Casa Bianca, se sarebbe stato Bannon o la mafia di Manhattan ” diceva il destrorso Newt Gingrich al NYT. Un anno dopo è chiaro che è Trump”, conclude il NYT. Per ora, e non è detto sia un vantaggio.

Bannon, di nuovo vicino a Trump , è ottimista. “Se ci manterremo uniti vinceremo per altri 50 anni”. Ma un altro colpo ai nazionalisti è stato il recente polverone su Cambridge Analytica. Facebook, la vittima apparente, ne è uscito indenne mentre la società di Bannon e Mercer, sotto inchiesta in UK e abbandonata dai clienti, ha chiuso. Resta da vedere che fine faranno i dati e i profili dei milioni di elettori. Intanto Bannon si è buttato sull’Europa. E sicuramente festeggerà se a palazzo Chigi ci sarà un emissario di Lega e M5S. Il primo governo integralmente nazional-populista, ha scritto qualcuno. Sarà davvero così?

LINKS(1) http://www.huffingtonpost.it/2018/02/28/in-italia-un-selezionato-gruppo-delite-gestisce-leconomia-a-discapito-della-gente-ritorno-del-neofascismo-fake-news_a_23373357/ (2) http://www.lastampa.it/2018/03/01/italia/speciali/elezioni/2018/politiche/lex-stratega-di-trump-arriva-a-roma-sedotto-dalle-scelte-sovraniste-della-lega-pOR5KWZZCUuY893MZYfsxM/pagina.html (3) http://www.lastampa.it/2018/03/11/esteri/steve-bannon-cinquestelle-e-lega-in-italia-il-cuore-della-nostra-rivoluzione-8wHGjOtueiNykKRXWNgIPJ/pagina.html (4) https://www.nytimes.com/2018/03/09/world/europe/horowitz-europe-populism.html (4-A) https://www.agi.it/politica/salvini_bannon_cambridge_analytica_facebook-3676464/news/2018-03-24/(5) Limes, Lo Stato del Mondo, 4/2018, pag 37 e pag 51(6) https://www.vox.com/2018/1/14/16875288/bannon-breitbart-conservative-media (7) https://rivoluzioneromantica.com/2017/10/21/bannon-leuropa-e-un-protettorato-americano-neanche-ci-prova-a-difendersi-da-sola-video/ (8) https://www.bloomberg.com/news/features/2016-01-20/what-kind-of-man-spends-millions-to-elect-ted-cruz- Vedi anche : https://www.theguardian.com/politics/2017/feb/26/robert-mercer-breitbart-war-on-media-steve-bannon-donald-trump-nigel-farage ; e anche https://www.agi.it/estero/cambridge_analytica_facebook_trump_partito_italiano-3639342/news/2018-03-18/ che riassume il caso Cambridge Analytica(9)http://www.lastampa.it/2016/11/27/blogs/underblog/trump-erede-del-tea-party-miliardari-e-lobbies-allorigine-dei-neopopulismi-usa-e-ue-i-koch-i-mercer-ecc-WSixTUxkiLEwnxEjMgJVjK/pagina.html (10) https://www.facebook.com/notes/underblog/chi-governa-lamerica-dopo-che-trump-%C3%A8-stato-sopraffatto-dal-partito-della-guerra/1455817147821002/(11) https://www.theguardian.com/world/2010/oct/24/tea-party-climate-change-deniers (12) http://www.lastampa.it/2010/11/01/blogs/underblog/i-tea-party-sbarcano-in-europa-d11SDXItjbufoPQfZt6wPN/pagina.html (13) http://www.lepoint.fr/politique/marine-le-pen-fait-la-cour-aux-juifs-03-12-2011-1403435_20.php (14) http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2017-01-31/io-donald-e-destra-europea-225513.shtml?uuid=AEzYLRL (15) http://formiche.net/2018/03/salvini-di-maio-italia-russia-new-york-times/ (16) https://www.democratica.com/focus/report-pd-fake-news-1/ . Il post del blogger citato é https://www.davidpuente.it/blog/2017/12/04/il-sito-adessobasta-org-la-mano-della-propaganda-di-estrema-destra-americana/ (17) nel 2012http://www.lastampa.it/2012/09/10/blogs/underblog/grillo-casaleggio-e-le-illusioni-di-democrazia-diretta-zTCHPooVOmVif1zlL9qwUN/pagina.html(18) http://www.lastampa.it/2018/04/08/italia/la-svolta-atlantista-di-di-maio-noi-al-centro-garanti-per-la-lega-u8j6rFuQZ2dvnzwJqQBPQP/premium.html

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