Il Nord Stream sabotato e dimenticato, escalation della Guerra Ibrida. Contro Germania e UE, silenti.

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Del sabotaggio dei gasdotti NS1 e NS2 si è parlato come un mero fatto di cronaca, dopo di che il tema è scomparso dai radar mainstream. Eppure è stato molto di più: un episodio di Guerra Ibrida Industrial Commerciale, condotto nella forma di un attacco terroristico a infrastrutture energetiche in acque internazionali, e segnala il collasso della regole internazionali (P. Escobar qui). Un attacco che potrebbe in futuro ripetersi, ai danni dell’Occidente, segnalava preoccupato il Financial Times.

Attacco da parte di chi? Ai danni di chi? Con quali obiettivi strategici? Proviamo ad esaminare la faccenda, le cui implicazioni economiche e politiche non sono da poco, secondo varie analisi non mainstream. E vanno ben oltre il conflitto ucraino, di cui la guerra del gas è l’antefatto (A.Negri qui); un attacco contro la Russia e Germania, e non solo, per cambiare d’autorità l’approvvigionamento energetico dell’Europa (T. Meyssan qui e qui in italiano); una guerra alla UE nei suoi rapporti con la Russia, vero obiettivo strategico di Washington al di là della stessa guerra in Ucraina (M. Whitney qui, e M.Hudson citato).

CHI E’STATO. La Russia ha infine accusato la Gran Bretagna. <I nostri servizi di intelligence hanno dati che indicano che specialisti militari britannici hanno coordinato questo attacco terroristico, ha detto Peskov, il portavoce di Putin. Qualche giorno prima il ministro della Difesa russo Shoibu aveva puntato il dito sul personale della marina militare britannica. A suo avviso la GB – peraltro punta avanzata dell’Occidente in Ucraina, come è ormai noto – sarebbe coinvolta anche nei recenti attacchi alle navi russe a Sebastopoli (non citato il ponte di Kerch). Entrambi non hanno addotto prove. E il primo ministro brit Sunak ha ovviamente bollato le accuse come false.

E’appurato ormai che le esplosioni ai danni dei NS1 e NS2: siano avvenute in acque internazionali nelle acque poco profonde lungo le coste di Svezia e Danimarca, al limite della zona economica esclusiva danese e vicino all’isoletta danese diBornholm; siano state un atto di sabotaggio (subito detto dalla Germania, confermato dalla premier danese Andersson); abbiano fatto uso di cariche multiple da varie centinaia di tonnellate di esplosivo in diversi nodi dei gasdotti. Secondo al Jazeera si sarebbero verificate in date differenti: al nodo del NS2 il 26 settembre, ai tre nodi vicinissimi del NS1 il 27 e il 29 settembre (vedi cartina). Azioni che non avrebbero potuto essere condotte da droni sottomarini (campo in cui la Nato è molto attiva) e probabilmente nemmeno da sommergibili, data la scarsa profondità. Più probabilmente da navi, che la Danimarca non avrebbe potuto ignorare. Notare che il mercoledì successivo all’attacco il ministro della Difesa danese ha incontrato urgentemente il segretario generale della Nato.

<Grazie USA>aveva subito twittato soddisfatto l’ex ministro della Difesa Polacco Radek Sikorski, un russofobo spostato con la giornalista e saggista americana Anne Applebaum. E verso gli US si erano appuntati i sospetti dei “filorussi” sui social, memori delle minacciose pubbliche parole di Biden davanti a Scholz: <Se la Russia dovesse invadere, il NS2 lo chiuderemo noi>. Una minaccia cruciale nel suo timing, lo vedremo meglio in seguito.

Come dire che la politica energetica della Germania non veniva più decisa a Berlino ma a Washington, osservavano sia Negri che Whitney.

Al Consiglio di Sicurezza ONU l’inviato Vassily Nebenzia, dopo aver sottolineato che un’azione così complessa e su vasta scala non avrebbe potuto svolgersi senza in coinvolgimento di uno Stato, aveva poi chiesto al rappresentante americano <se avesse potuto confermare “qui e ora” che il suo paese non era coinvolto in questo atto di sabotaggio>. Richiesta elusa dal vice ambasciatore americano all’ONU Richard Mills che si era limitato ad assicurare l’appoggio US agli sforzi investigativi degli Europei.

Era stato lo stesso Consiglio di Sicurezza a chiedere un’inchiesta indipendente. Ma Mosca ne era stata esclusa, e lo è ancora. Peskov aveva espresso <rammarico per il fatto che l’intero processo investigativo si svolgesse a porte chiuse, senza permesso di partecipazione e senza interazione con Mosca che è comproprietaria>. Da allora non si è saputo più nulla, a parte le accuse russe alla GB.

E quelle alla Russia, larvate, nella narrazione mediatica ma circolanti a vari livelli. <Risibili > secondo Pepe Escobar. Smontate da Kostantin Simonov, direttore del Fondo Nazionale Russo per la sicurezza energetica, intervistato dal Sole24Ore (6 ottobre). Alzare il prezzo del gas? Mosca avrebbe potuto più semplicemente chiudere il rubinetto. Lanciare un avvertimento per altre infrastrutture cruciali? Non avrebbe certo scelto di colpire un proprio impianto, giocandosi il controllo del rubinetto stesso. Recuperare le coperture assicurative da parte di Gazprom? I legami sono così compromessi che sarebbe difficile per Gazprom farsi ascoltare.

Fatto sta che la reazione immediata della Commissione UE è stata la richiesta di ulteriori sanzioni. Alla Russia.

I DANNI ECONOMICI. Non è certo se e quando i gasdotti si potranno riparare. Sicuri sono invece i danni economici ai giganti dell’energia. Non solo al russo Gazprom. L’elenco comprende le tedesche Wintershall Dea Ag e PEG/E.On; l’olandese N.V.Nederlandse Gasunie; e la francese ENGIE. Poi vengono i finanziatori del NS2: Di nuovo Wintershall e Uniper; l’austriaca PMV; ancora ENGIE, e l’anglo-olandese Shell. Wintershall Dea e ENGIE sono sia comproprietari che creditori. E dovranno rendere conto ai loro azionisti. (Escobar). Nessuno ne parla.

Come se non bastasse, la Germania è contrattualmente obbligata ad acquistare almeno 40miliardi di metri cubi di gas russo fino al 2030. E se rifiutasse? Gazprom è legalmente titolata ad essere pagata anche senza inviare gas. Questo è lo spirito del contratto, ed è quel che sta già avvenendo causa sanzioni. Berlino non riceve tutto il gas ma deve comunque pagare. Ma i costi economici e politici per la Germania, e l’intera UE, sono ben più vasti.  

Quest’inverno sarà senza gas russo, o quasi. L’unico passaggio rimasto in piedi, attraverso l’Ucraina, potrebbe saltare in ogni momento. Mentre Gazprom minaccia di far causa alla compagnia ucraina Naftogas per conti non pagati. A quel punto resterebbe solo il Turkish Stream, o TurkStream (che peraltro ha subito un tentativo di sabotaggio da parte di Kiev (Escobar). E la cui manutenzione è stata bloccata negli stessi giorni del sabotaggio ai NS (Meyssan). Il TurkStream, che trasporterebbe gas dalla Russia ma pure dall’Azerbajan e magari anche dall’Iran, con terminali fino in Egitto e Grecia, in realtà è stato costruito solo in parte, e completarlo comporta vari problemi, non ultime le garanzie di ferro sulla sua sicurezza e le probabili interferenze US-GB, con le loro multinazionali del gas, sulla Turchia, che diventerebbe un hub decisivo, secondo il progetto caro a Erdogan e allo stesso Putin. Che lo rilancia, vedi Sole24.Ore

<Putin è apparso rassegnato alla perdita del Nord Stream ma non ha rinunciato al mercato europeo e ha lanciato l’idea di un hub centrato sulla Turchia e rivolto all’Europa, conferma Simonov. Poco ottimista sul futuro europeo senza il gas russo. <L’anno scorso la Russia ha fornito all’Europa 150 miliardi di metri cubi di gas via gasdotti. L’Europa li troverà altrove sul mercato?>. Simonov ne dubita: <Non ce ne sono abbastanza, fisicamente>. Negri è dello stesso parere: <L’Algeria di gas da venderci ne ha poco, oltre a quello che scorre nel Transmed, meno ancora la Libia destabilizzata>.

Per il momento, conclude Simonov <chi esce avvantaggiato dal caso Nord Stream sono gli Stati Uniti, col loro messaggio alla UE: “Non vi conviene neppure pensare di ricreare un legame energetico con la Russia”>. Le conseguenze di tutto ciò, sanzioni comprese, saranno serie per la Russia, e aumenteranno, sostiene. <Ma lo stesso sarà per l’Europa. Chi vince, in questa situazione? Tutti gli altri giocatori. Di certo gli Usa che da 50 anni cercano di cacciarci dal mercato europeo, per prendere il nostro posto>.

ATTACCO A CHI. OBIETTIVI E STRATEGIA.  Quello diretto alla UE è molto più di un mero messaggio. Il cordone ombelicale che legava la Russia all’Europa sul gas, ormai spezzato, è un relitto. Sia a Est che a Ovest sanno che niente sarà più come prima.  Su questo tutti gli analisti non msm concordano. Ma un po’ diverse sono le valutazioni.

Sotto l’acqua ribollente di metano nel Baltico c’è uno dei motivi dell’escalation della guerra mossa da Putin all’Ucraina, ora al punto di non ritorno, scriveva Negri a caldo. A suo dire il caso NS2 è emblematico di come da tempo confliggevano gli interessi americani ed europei. <Non si trattava soltanto di una questione economica ma strategica. Voluto fortemente dalla ex Cancelliera Angela Merkel, il Nord Stream era la vera leva politica ed economica che tratteneva Putin da azioni dissennate, come la guerra in Ucraina (era ancora in sospeso l’accordo di Minsk II- [peraltro osteggiato dagli ipernazionalisti ucraini su ordine Usa]). Molti non lo avevano capito perché attribuivano al gas russo una valenza soltanto economica: aveva invece un enorme valore politico per tenere Mosca agganciata all’Europa>.

Michael Whitney, che scriveva prima del 24febbraio, è più drastico. La crisi in Ucraina a suo dire non riguarda tanto l’Ucraina quanto la Germania, in particolare il NS2 che Washintgon vedeva da tempo come una minaccia alla sua supremazia in Europa. Era quello il vero obiettivo strategico. L’Ucraina era uno strumento, un cuneo da insinuare fra Germania e Russia. Il loro rapporto rappresenta da sempre una minaccia per gli US, che l’ha combattuto in due guerre mondiali e nella guerra fredda, scrive Whitney citando George Friedman, Stratfor CEO del Chicago Council of Global Affairs.

Washington non voleva che la Germania [la terza economia globale, la locomotiva europea] si avvicinasse ancora di più alla Russia, accrescendo scambi commerciali, partnership, viaggi, turisti ecc, in prospettiva rendendo non più indispensabile lo stesso dollaro nonché gli acquisti di buoni del Tesoro US. Relazioni sempre più strette fra Germania [e UE] e Russia avrebbero finito per condurre alla fine di quell’ordine unipolare creato dagli US per 75 anni.

Insomma: per Negri il NS2 era uno dei motivi dell’escalation di Putin vs l’Ucraina. Per Withney – e l’economista Michael Hudson con lui – tutta la strategia di Washington verso l’Ucraina, in atto da anni, era finalizzata a spezzare i legami fra Germania e Russia. Fino a che l<l’unica strada rimasta alla diplomazia US è stata spingere Putin a una risposta militare (Hudson). Di qui ogni sorta di provocazione per indurre Mosca a intervenire in difesa dei russi del Donbass .

I NORD STREAM. Il primo progetto Nord Stream nasce già nel 1997, quando la situazione geopolitica di quel periodo consentiva di prevedere che il gasdotto non attraversasse né i Paesi Baltici né Polonia, Bielorussia e Ucraina. Nazioni escluse da eventuali diritti di transito e che non avrebbero potuto intervenire sul percorso per sospendere la fornitura di gas all’Europa e mettere la Russia sotto pressione negoziale. Completato nel maggio 2011, il NS1 entrava in funzione a settembre, poi nel 2012 con una seconda linea. Poco dopo nasce il progetto di un ulteriore potenziamento, il NS2 – completato nel 2021 – che raddoppiava il tracciato. Una volta in funzione, il NS2 avrebbe consentito a Mosca di trasportare verso la Germania ulteriori 55 miliardi di metri cubi di gas naturale all’anno [e a prezzi contenuti, concordati con la Russia].

Un valore economico e strategico enorme per la UE, in primis per la Germania. Ma anche per Mosca, sottolinea Negri. Che prosegue: uscita di scena Angela Merkel, gli Usa hanno avuto campo libero. La guardiana di Putin e del gas non c’era più e gli americani hanno capito che il presidente russo era diventato più pericoloso ma anche più vulnerabile. Per due mesi gli Usa hanno avvertito dell’invasione dell’Ucraina perché sapevano che contestando il NS2, come hanno fatto, si apriva una falla.

Quando Mosca ha capito che con Scholz il NS2 non sarebbe stato al sicuro ha cominciato le minacce all’Ucraina, che in precedenza russi e tedeschi avevano pagato perché non protestasse troppo per la realizzazione del gasdotto, assai temuto dalla Polonia. Gli americani avevano già messo alle corde Merkel, obbligandola ad acquistare quantitativi di gas liquido americano di cui Berlino, allora, non aveva alcun bisogno.

Così Negri. Per Whitney invece Biden ha cercato in tutti i modi di provocare Putin per indurlo a intervenire in Ucraina. Con una campagna mediatica massiccia e isterica che dipingeva il cattivissimo Zar che minacciava l’intera Europa. Mentre pressioni e minacce montavano negli US.

BIG OIL&GAS ALL’ATTACCO. Si inserisce qui un altro capitolo, sugli interessi corposi delle corporations che controllano il gas americano e sulle pressioni subite da Biden, le quali hanno avuto un peso significativo nell’avvio del conflitto (ancora incerto quando usciva questo articolo). Società come Chevron ExxonMobil, e Shell, con centinaia di contractors legati all’estrazione e al trasporto, da un pezzo miravano ad espandere massicciamente il loro export verso l’Europa. Ma di mezzo c’era la Russia con la sua Gazprom, che forniva all’UE il 30% di tutte le importazioni di gas naturale, il 40% a Germania e Francia [e Italia] mentre Cecoslovacchia e Romania utilizzavano solo gas russo.

Le pressioni si erano intensificate per tutto il 2021, i prezzi di mercato del gas erano balzati in alto per molteplici fattori, in Europa erano quintuplicati, e i produttori Usa volevano approfittarne. Gli Usa dal 2005 sono i maggiori produttori di gas shale estratto da sottoterra col fraking, dichiarato non nocivo all’ambiente da Bush jr, e la cui estrazione è stata incoraggiata da Obama, contro i movimenti ecologisti e i progressisti Dem. Grazie all’accordo fra amministrazione Trump e UE le vendite di LNG americano in Europa erano già salite dal 16% nel 2019 al 28% nel 2021.

Il problema restava il prezzo: lo shale gas è molto costoso, l’estrazione è complessa, per trasportarlo va liquefatto(LNG), il trasporto a sua volta costa molto, in più è più sporco e produce molta più CO2 (ma non lo si dice). Svantaggi non da poco rispetto al gas russo che viaggia nei gasdotti.

La minaccia per i produttori Usa era rappresentata soprattutto dal NS2, che avrebbe dovuto diventare operativo a fine 2021, bypassando l’Ucraina. <Quanto convenienti erano dunque le tensioni fra gli US e il suo alleato Ucraino da un lato, e la Russia dall’altro, nell’imminenza della sua operatività. Il governo di destra Ucraino ha premuto su Washinghton tutta l’estate 2021per imporre sanzioni sul NS2 e le società tedesche e russe dietro>. E qui si apre una pagina poco raccontata sui preludi e l’innesco della guerra. Che guarda a caso coincide con l’articolo di Withney.

2021. LO STALLO E LE PROVOCAZIONI. Il Congresso e il Senato Usa si consegnano ai governanti ucraini, facendo scivolare le sanzioni desiderate nel provvedimento di spesa per la Difesa. Biden rifiuta, conoscendo l’opposizione degli alleati, e dell’opinione pubblica tedesca a qualunque minaccia alle loro forniture energetiche. Sa che <più gli US minacciano sanzioni o criticano il NS2, più questo diventa popolare> come spiega Stefan Meister, esperto di Russia e Est Europa nel Council of Foreign Relations. Ma i legislatori Rep e Dem al Congresso non demordono e presentano le sanzioni come una <deterrenza nei confronti di un’aggressione della Russia contro l’Ucraina>. Il senatore Ted Cruz del Texas, primo produttore di gas da fraking e n.1 nella campagna di donazioni dell’industria, impone il blocco di oltre 50 nomine di Biden per il Dipartimento di Stato e altre posizioni, come rappresaglia verso il Presidente.

La situazione è ancora fluida. Esercitazioni Nato si tengono su Mar Nero e Mar Baltico con parallele esercitazioni russe ZAPAD 21. Nemmeno Kiev è rimasta ferma. Il 24 marzo 2021 Zelensky ha promulgato un decreto per la riconquista della Crimea. In violazione degli accordi di Minsk, che ha sempre ostacolato, effettua operazioni aeree nel Donbass utilizzando droni, compreso almeno un attacco contro un deposito di carburante a Donetsk nell’ottobre 2021. La stampa americana lo riprende, ma non gli europei e nessuno condanna le violazioni.

Biden sembra targiversare, più a lungo il NS2 può essere rinviato e più la paura di una morsa russa può essere incrementata, più i produttori di gas americani possono approfittarne, pronti a dare assistenza, nel caso, come scrive scrive il Wall Street Journal, citatonell’articolo di cui sopra. Intanto la corsa di truppe Nato e le armi all’Europa dell’est fanno il gioco.

Secondo Whitney invece a questo punto Biden passa a un piano B: creare la percezione che la Russia rappresenti una grave e imminente minaccia per l’Europa. Di qui la campagna mediatica orchestrata che diventata via via isterica e ossessiva e dipinge lo Zar imperiale assetato di territori europei e pronto all’invasione dell’Ucraina e non solo, novello Hitler, ecc ecc.

2022. L’INNESCO DELLA GUERRA. MINACCE e AZIONI. Spinta dalla crisi Ucraina e dalle aumentate vendite in Europa, nel gennaio 2022 gli Usa sono già diventati in primo esportatore di LNG del mondo. E in Europa i prezzi del gas volano. Eppure la Germania ancora resiste. Lenta nel salire a bordo della strategia US/Nato in Ucraina, riluttante a mettere in pericolo in NS2. Sa che le importazioni di gas dagli US, pur accresciute, non sono abbastanza per le necessità di famiglie e imprese, teme di restare a secco.

Finché il piano B entra nel vivo con le minacce esplicite di Biden a Scholz, richiamato a Washington per mostrare la sua fedeltà di alleato. In conferenza stampa alla Casa Bianca, in un’atmosfera di crisi alimentata da dichiarazioni della portavoce Jen Psaki sull’invasione ormai imminente, possibile “in ogni momento, anche domani” secondo Jake Sullivan, consigliere per la Sicurezza nazionale, alla presenza di uno Scholz muto e teso, Biden annuncia che <Se la Russia invade, non ci sarà più NS2. Lo faremo finire noi>. Le stesse parole anticipate già il 27 gennaio 2022 dal “falco” Victoria Nuland, l’orchestratrice del colpo di Stato in Ucraina del 2014, ora vice al Dipartimento di Stato.

E ’il 7 febbraio 2022. Nello stesso giorno Macron riafferma a Putin il suo attaccamento agli accordi di Minsk, impegno che ripete il giorno dopo in un’intervista a Zelensky. Ma l’11 febbraio un incontro dei consiglieri del “Formato Normandia” (Francia Germania Ucraina più Russia) si risolve con un nulla di fatto.  Scholz fa concessioni per soddisfare Biden e Zelensky, dilaziona l’attivazione del NS2 a fine 2022. Annuncia un piano per costruire altri terminali LNG.  Ma il processo è andato ormai troppo avanti. Il 14 febbraio il WaPo se ne esce con un articolo sui preparativi del Tiger Team americano per proteggere l’Ucraina dall’attacco.

Putin ha ormai capito l’antifona. Alle sue proposte a dicembre 2021 non è stata data né risposta né pubblicità. E ormai non c’è Minsk, né Macron, né Scholz che tengano. Truppe russe vengono minacciosamente amassate alla frontiera. La Duma chiede di proclamare l’indipendenza delle due repubbliche autoproclamate del Donbass. Putin ancora resiste.

Il 17 febbraio Biden annuncia che Putin attaccherà a giorni. Ne è certo. E non a caso: dal 16 febbraio sono iniziati bombardamenti quotidiani ucraini sul Donbass, certificati dall’OCSE ( vedi qui e qui la tabella sugli attacchi giorno per giorno). Al culmine dei quali, il 21 febbraio Putin infine proclama l’indipendenza delle repubbliche. Queste il 23 invocano l’aiuto di Mosca che decide di venir loro in soccorso con l’”operazione speciale”. La lunga fila di carri armati che da settimane premono minacciosi ai confini, il 24 entrano in Ucraina. E scatta l’”invasione”.

E I NORD STREAM? Per quasi sette mesi si parla solo della guerra, delle sanzioni alla Russia, degli approvvigionamenti di gas alternativi che i vari paesi UE rincorrono qua è la, a prezzi crescenti. Pur di “superare la dipendenza” dal gas dello Zar al quale la Germania non rinuncia e che non vuole mettere a rischio con un (peraltro improbabile) price cap, al quale è ostile anche l’Olanda, che guadagna dal TTF, la borsa del gas di Amsterdam – che usa l’ICE, una camera di compensazione americana. A dispetto della tanto decantata unità UE, ciascuno pensa per sé, e la Commissione per mesi appare paralizzata.

Quand’ecco che a fine settembre i due Nord Stream esplodono. Non solo il contestatissimo NS2 ma, già che ci sono, pure il NS1.

LA GUERRA SOTTERRANEA .  Per Escobar è una vera e propria dichiarazione di guerra, rivolta alla UE ma in primo luogo alla Germania, l’ex locomotiva d’Europa. <Disabilitare i NS rappresenta la definitiva chiusura di ogni possibile accordo sulle forniture di gas, col beneficio aggiuntivo di relegare la Germania a uno status minore di assoluto vassallo degli US>.

Escobar, che scrive a caldo, si chiede quale apparato di intelligence abbia pianificato il sabotaggio: i primi candidati sono CIA e MI6, con la Polonia accanto e la Danimarca che gioca un ruolo ambiguo, impossibile che non abbia avuto almeno un briefing dall’intelligence. E cita varie coincidenze sospette, droni navali con ID in inglese in Crimea, elicotteri US sui futuri nodi del sabotaggio, navi inglesi nelle acque danesi da metà settembre, la Nato che il giorno cruciale twittava sui test di nuovi sistemi in mare senza uomini. 

Ma il punto vero è che ci si possa trovare nella situazione in cui un paese EU/Nato sia coinvolto in un’azione contro il numero uno dell’economia EU/Nato. Un casus belli, in teoria.

Meyssan, che scrive qualche giorno dopo (4/10) è sulla stessa lunghezza d’onda, e va ancora oltre.

Anche per lui il sabotaggio dei gasdotti Nord Stream è un atto di guerra contro Germania, più Olanda, e Francia. Le tre vie di approvvigionamento di gas dell’Europa Occidentale sono state interrotte simultaneamente ed è stato contemporaneamente inaugurato in gran pompa un nuovo gasdotto dalla Norvegia con terminali in Polonia, il Baltic Pipe  e la manutenzione dl TurkStream è stata sospesa>.

La lotta degli Stati Uniti per conservare l’egemonia mondiale è entrata nella terza fase, scrive Meyssan: dopo l’estensione della NATO a Est, in violazione degli impegni occidentali presi; dopo aver messo a Kiev nel 2014 dei “nazionalisti integrali”(i “nazi” secondo il Kremlino) che hanno perseguitato i russofoni e bombardato il Donbass; è la volta del cambiamento autoritario dell’approvvigionamento energetico dell’Europa occidentale e centrale.  Fino al 26 settembre l’economia dell’UE era fondata principalmente sulla produzione industriale tedesca. Eliminando i NS gli Usa hanno praticamente distrutto l’industria tedesca [e quella italiana molto legata a quella, quanto meno le hanno messe a serio rischio].

<È il più importante sabotaggio della storia. Un atto di guerra ibrida contro Russia (51%) e Germania (30%), comproprietarie di questi colossali investimenti, ma anche contro Olanda (9%) e Francia (9%). Al momento nessuna delle vittime ha reagito pubblicamente. Gli Stati interessati sanno con certezza chi è il colpevole, ma, o non intendono reagire, nel qual caso saranno radiati dalla mappa politica; oppure stanno segretamente preparando una replica a quest’operazione clandestina, sicché quando la realizzassero diventerebbero veri protagonisti politici>. E sul come e il perché Meyssan si interroga in un altro articolo il 18 ottobre (Che gioco fanno Stati Uniti e Germania.

<La Germania, che ha perso la fornitura di gas russo e potrà recuperarne nella migliore delle ipotesi un terzo dalla Norvegia, s’impantana nella guerra in Ucraina. È diventata crocevia delle azioni segrete della Nato, che a conti fatti agisce a suo danno. L’attuale conflitto risulta impenetrabile se si trascurano i legami tra Straussiani Usa, sionisti revisionisti e nazionalisti integralisti ucraini>, scrive Meyssan qui .

Fantasie? Del ruolo nella vicenda ucraina degli Straussiani– più comunemente detti Neoconservatori o Neocon – ha del resto parlato esplicitamente anche il noto economista Jeffery Sachs, non sospettabile di complottismo ma certo controcorrente, e non da oggi.

Il PIANO RAND CORPORATION . Era tutto già scritto? Sembra di sì, a leggere il piano del 2019 della Rand Corporation, il think tank fondato nel 1946 col contributo del Dipartimento della Difesa americano, da sempre legato al Pentagono. Lo studio dal titolo “Over-extending and Un-balancing Russia”  si rivolge anche agli alleati Usa, che sembrano seguirne pedissequamente i “consigli”.

La Russia deve essere attaccata dove è più vulnerabile, cioè nella sua economia molto dipendente da esportazioni di petrolio e gas, è una delle premesse. Quindi: espandere la produzione energetica americana; imporre sanzioni commerciali e finanziarie più pesanti, possibilmente multilaterali (malgrado costi e rischi); accrescere la capacità dell’Europa di importare gas da altri fornitori, non russi, aumentando il numero rigassificatori [per importare il LNG dagli US]. E poi: Fornire aiuti letali all’Ucraina; incoraggiare l’emigrazione dalla Russia di giovani preparati e bene educati; rimuovere la Russia da forum non ONU, boicottare eventi come la Coppa del Mondo per danneggiarne il prestigio…e altro ancora.

Interessanti le misure “ideologiche e informazionali” (mediatiche, ma alcune sembrano vere azioni di disturbo in Russia): diminuire la fiducia nel sistema elettorale russo per creare scontento; creare la percezione che il regime non favorisce l’interesse pubblico russo; incoraggiare proteste domestiche e forme di resistenza non violenta; colpire l’immagine della Russia all’estero.

Seguono molte misure militari, tra le quali spiccano: accrescere le forze US in Europa; aumentare la capacità della Nato europea sul terreno; dispiegare armi atomiche aggiuntive; riposizionare sistemi di difesa e missili balistici US e alleati; spezzare il regime di controllo delle armi nucleari per costringere la Russia a una gara per armi più costose.

Un articolo su questo tema era uscito su affariitaliani.it già a marzo. Un altro più recente è stato rifiutato dal Manifesto, e l’autore Manlio Dinucci, da anni collaboratore, è stato bandito dal giornale.

AGGIORNAMENTI. 1. Un suo peso nella pianificazione delle politiche energetiche ha certo anche l’iniziativa di BlackRock, il maggior fondo di investimenti del mondo con $7000 miliardi gestiti. Il suo CEO Larry Fink in una lettera a wall Street nel 2020 annuncia una radicale disinvestimento nei settori energetici convenzionali, petrolio e gas, in nomme dell’agenda ONU 20230 sul clima. Biden d’accordo. Fink entra nel board del World Economic Forum.

2. Il Financial Times a dicembre segnala che i consumi di gas in Europa nel 2022 sono diminuiti 24% rispetto alla media in gran parte a causa di una diminuita domanda. Per via delle temperature più miti ma anche di imprese meno attive.

3. Scholz è infine uscito dal suo isolamento con un articolo su Foreign Affairs in cui, malgrado il titolo pomettente (La svolta epocale globale. Come evitare una nuova Guerra Fredda in un’era mutipolare) appare totalmente prono agli Usa: alla visione americana dominante su Russia imperiale e Ucraina; totalmente pro Nato, dove alla Germania spetterà il compito di garante della Sicurezza europea grazie agli nvestimenti sul suo esercito; disposto solo a maggiore aperture commerciali verso la Cina e a un dialogo più costruttivo con altri paesi del mondo. E sull’energia? Stop a oil e gas russi. <Abbiamo imparato la lezione – scrive . La sicurezza dell’Europa è legata alla diversificazione e a investimenti per l’indipendenza energetic. In Settembre il sabotaggio dei NS ci ha consegnato questo messaggio>. Testuale. No comment.

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Il vero Zelensky : da celebrità populista all’impopolare neoliberista in stile Pinochet

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L’accademica ucraina Olga Baysha descrive nei dettagli l’abbraccio di Volodymyr Zelensky alle politiche neoliberali ampiamente detestate, la sua repressione dei rivali e il modo in cui le sue azioni hanno alimentato l’attuale guerra con la Russia.

Riproduciamo il testo dell’articolo/intervista di Natylie Baldwin apparso su Grayzone con lo stesso titolo,che getta luce anche sulla politica e la società n Ucraina (i termini neoliberale e neoliberista sono usati indifferentemente, link originali, nostre le sottolineature)

Attore comico che nel 2019 è salito alla più alta carica del Paese, Volodymyr Zelensky era praticamente sconosciuto all’americano medio, se non forse come attore minore nel teatro dell’impeachment di Trump. Ma quando la Russia ha attaccato l’Ucraina il 24 febbraio 2022, Zelensky si è improvvisamente trasformato in una celebrità di primo piano nei media statunitensi. I consumatori americani di notizie sono stati bombardati da immagini di un uomo che appariva sopraffatto dai tragici eventi, forse in difficoltà, ma in definitiva simpatico. Non c’è voluto molto perché quell’immagine si evolvesse in quella di un eroe instancabile, vestito di kaki, che governa una piccola democrazia e che da solo riesce a tenere lontano i barbari dell’autocrazia dall’est.

Ma al di là dell’immagine accuratamente costruita dai media occidentali c’è qualcosa di molto più complicato e meno lusinghiero. Zelensky è stato eletto con il 73% dei voti grazie alla promessa di perseguire la pace, mentre il resto della sua piattaforma era vago. Alla vigilia dell’invasione, tuttavia, il suo indice di gradimento era sceso al 31% a causa del perseguimento di politiche profondamente impopolari.

L’accademica ucraina Olga Baysha, autrice di Democracy, Populism, and Neoliberalism in Ukraine: On the Fringes of the Virtual and the Real, ha studiato l’ascesa al potere di Zelensky e il modo in cui ha esercitato tale potere da quando è diventato presidente. Nell’intervista che segue, Baysha parla dell’abbraccio di Zelensky al neoliberismo e del crescente autoritarismo, di come le sue azioni abbiano contribuito all’attuale guerra, della sua leadership controproducente ed egocentrica durante la guerra, delle complesse visioni e identità culturali e politiche degli ucraini, della partnership tra i neoliberali e la destra radicale durante e dopo Maidan e della possibilità che una presa di controllo russa dell’intera regione del Donbass sia meno popolare tra la popolazione locale di quanto lo sarebbe stata nel 2014.

Ci parli un po’ del suo background.  Da dove viene e come si è interessata alla sua attuale area di studio?

Sono di etnia ucraina e sono nata a Kharkov, una città ucraina al confine con la Russia, dove vivono ancora mio padre e altri parenti. Prima dell’attuale guerra, Kharkov era uno dei principali centri educativi e scientifici dell’Ucraina. Gli abitanti della città sono orgogliosi di vivere nella “capitale intellettuale” dell’Ucraina. Nel 1990 vi è stata fondata la prima società televisiva libera dal controllo dei partiti e presto è andato in onda il suo primo notiziario. A quel tempo mi ero già laureata all’Università di Kharkov e un giorno fui invitata a lavorare come giornalista in questo programma da un compagno di università. Il giorno dopo, senza alcuna esperienza precedente, ho iniziato a fare la giornalista. Nel giro di un paio di mesi sono diventata presentatrice del telegiornale. La mia carriera fulminante non è stata un’eccezione.

I nuovi media incontrollati, il cui numero aumentava a dismisura ogni giorno, richiedevano sempre più lavoratori nel settore dei media. Nella stragrande maggioranza dei casi si trattava di giovani ambiziosi senza alcuna formazione giornalistica o esperienza di vita. Ciò che ci univa era il desiderio di occidentalizzazione, la mancanza di comprensione delle contraddizioni sociali che caratterizzano la transizione post-sovietica e la sordità alle preoccupazioni dei lavoratori che si opponevano alle riforme. Ai nostri occhi, questi ultimi erano “retrogradi”: non capivano cosa fosse la civiltà. Ci vedevamo come un’avanguardia rivoluzionaria e come riformatori progressisti scelti. Siamo stati noi – lavoratori dei media – a creare un ambiente favorevole alla neoliberalizzazione dell’Ucraina, presentata come occidentalizzazione e civilizzazione, con tutte le conseguenze disastrose per la società che hanno portato. Solo anni dopo me ne sono resa conto.

Più tardi, mentre supervisionavo la produzione di documentari storici in una società televisiva di Kiev, ho riconosciuto che la mitologia del progresso storico unidirezionale e dell’inevitabilità dell’occidentalizzazione per i “barbari” forniva un terreno ideologico per gli esperimenti neoliberali non solo negli Stati ex sovietici, ma in tutto il mondo. È questo interesse per l’egemonia globale dell’ideologia dell’occidentalizzazione che mi ha portato prima al programma di dottorato in studi critici sui media presso l’Università del Colorado a Boulder e poi alla ricerca che sto conducendo ora.

Secondo il lavoro accademico di alcuni sociologi ucraini, nel recente passato i sondaggi mostravano che la maggior parte degli ucraini non era molto interessata alla questione dell’identità, ma era più preoccupata di questioni come il lavoro, i salari e i prezzi. Il suo lavoro si concentra molto sulle riforme neoliberali attuate in Ucraina dal 2019 – contro il sentimento popolare. Può dirci qual è il punto di vista della maggior parte degli ucraini sulle questioni economiche e perché?

Negli ambienti sociali in cui ho vissuto – l’est dell’Ucraina, la Crimea e Kiev – c’erano pochissime persone interessate alla questione dell’identità etnica. Non sottolineo invano “i miei ambienti sociali”. L’Ucraina è un Paese complesso e diviso, con il suo estremo oriente ei l suo estremo occidente che hanno opinioni diametralmente opposte su tutte le questioni socialmente rilevanti. Dalla dichiarazione di indipendenza dell’Ucraina nel 1991, due idee di identità nazionale si sono confrontate in Ucraina: “etnia ucraina” e “slava orientale”. L’idea nazionale etnica ucraina, basata sull’idea che la cultura, la lingua e la storia ucraina, incentrate sull’etnia, debbano essere le forze integranti dominanti dello Stato nazionale ucraino, è stata molto più popolare nella parte occidentale dell’Ucraina. L’idea slava orientale, che prevede che la nazione ucraina sia fondata su due gruppi etnici, lingue e culture primarie – ucraino e russo – è stata accettata come normale nel sud-est ucraino. Tuttavia, in generale, posso concordare sul fatto che la maggior parte degli ucraini è molto più interessata alle questioni economiche, come è sempre stato.

In effetti, l’indipendenza dell’Ucraina del 1991 è stata in larga misura anche una questione economica. Molti ucraini hanno appoggiato l’idea del divorzio politico dalla Russia perché si aspettavano che l’Ucraina sarebbe stata meglio dal punto di vista economico, come promettevano i volantini propagandistici. Questa speranza economica non si è realizzata. Per molti versi, il crollo dell’Unione Sovietica ha cambiato radicalmente in peggio la vita delle persone a causa della neo-liberalizzazione dell’Ucraina – la commercializzazione della sfera sociale e la rovina dello stato sociale (welfare) sovietico.

Che dire delle riforme neoliberali avviate da Zelensky? Si può giudicare la loro popolarità dai sondaggi d’opinione – fino al 72% degli ucraini non ha sostenuto la sua riforma agraria, il fiore all’occhiello del programma neoliberale di Zelensky. Dopo che il suo partito l’ha approvata nonostante l’indignazione della gente, il rating di Zelensky è sceso dal 73% della primavera 2019 al 23% del gennaio 2022. Il motivo è semplice: un profondo senso di tradimento. Nella sua piattaforma elettorale non ufficiale – lo spettacolo “Servo del popolo” – Zelesnky-Holoborodko [Holoborodko era il personaggio di Zelensky nella serie televisiva – NB] aveva promesso che se avesse potuto governare il Paese per una sola settimana, avrebbe “fatto vivere l’insegnante come il presidente, e il presidente come l’insegnante”. Per usare un eufemismo, questa promessa non è stata mantenuta. La gente si è resa conto di essere stata ingannata ancora una volta: le riforme sono state realizzate nell’interesse non degli ucraini ma del capitale globale.

In che misura pensa che la priorità della sicurezza economica rispetto alle questioni identitarie sia cambiata con l’invasione russa?  Come pensa che si risolverà la fortuna politica dei nazionalisti/ultranazionalisti rispetto ai moderati o alla sinistra?

È una domanda interessante. Da un lato, la priorità della gente ora è sopravvivere, il che rende la sicurezza la preoccupazione principale. Per salvarsi la vita, milioni di ucraini, tra cui mia madre e mia sorella con figli, hanno lasciato l’Ucraina per l’Europa. Molti di loro sono pronti a rimanere lì per sempre, a imparare lingue straniere e ad adottare uno stile di vita straniero: tutti questi sviluppi non possono certo dare priorità alle preoccupazioni legate all’identità. D’altra parte, però, è evidente anche l’intensificazione dei sentimenti etnici e il consolidamento della nazione di fronte all’invasione. Lo posso giudicare dalle discussioni pubbliche sui social media: alcuni kharkoviani che conosco personalmente hanno persino iniziato a scrivere post in lingua ucraina, che non avevano mai usato prima, per sottolineare la loro identità nazionale e segnalare che sono contrari a qualsiasi invasione straniera.

Questo è un altro aspetto tragico di questa guerra. La rivoluzione di Maidan del 2014, che molte persone nel sud-est non hanno sostenuto, ha trasformato queste persone in “schiavi”, “sovki” e “vatniki” – termini dispregiativi per indicare la loro arretratezza e barbarie. È così che i rivoluzionari di Maidan, che si consideravano la forza progressista della storia, vedevano gli “altri” anti-Maidan a causa della loro adesione alla lingua e alla cultura russa. Mai e poi mai questa popolazione filorussa avrebbe potuto immaginare che la Russia avrebbe bombardato le loro città e rovinato le loro vite. La tragedia di queste persone è duplice: prima il loro mondo è stato rovinato simbolicamente dal Maidan, ora viene distrutto fisicamente dalla Russia.

Gli esiti di questi sviluppi non sono chiari, così come non è chiaro come finirà la guerra. Se le regioni sudorientali rimarranno in Ucraina, la rovina di tutto ciò che resiste al nazionalismo aggressivo sarà molto probabilmente completata. Sarà probabilmente la fine di questa singolare cultura di confine che non ha mai voluto essere né completamente ucrainizzata né russificata. Se la Russia stabilirà il controllo su queste regioni, come si vanta ora, non riesco a prevedere come affronterà il risentimento di massa – almeno nelle città che sono state danneggiate in modo significativo, come a Kharkov.

Passando a Zelensky nello specifico, una cosa che lei sottolinea nel suo libro è come Zelensky sia stato una sorta di pifferaio magico, in quanto ha usato la sua celebrità e le sue doti di attore per convincere la gente a sostenerlo in nome di un’agenda vaga e positiva (pace, democrazia, progresso, lotta alla corruzione), ma che in realtà ha oscurato un’altra agenda che non sarebbe stata popolare, nello specifico un’agenda economica neoliberista.  Può parlare di come ha fatto, come ha condotto la sua campagna elettorale e quali sono state le sue priorità una volta entrato in carica?

L’argomentazione di base presentata nel mio recente libro è che la sorprendente vittoria di Zelensky e del suo partito, poi trasformato in una macchina parlamentare per sfornare e approvare riforme neoliberiste (in un “turbo regime”, come lo chiamavano loro), non può essere spiegata se non con il successo della sua serie televisiva, che, come molti osservatori ritengono, è servita come piattaforma elettorale informale di Zelensky. A differenza del suo programma ufficiale, che era lungo solo 1.601 parole e conteneva poche specifiche politiche, i 51 episodi di mezz’ora del suo show hanno fornito agli ucraini una visione dettagliata di ciò che dovrebbe essere fatto per far progredire l’Ucraina.

Il messaggio trasmesso da Zelensky agli ucraini attraverso il suo show è chiaramente populista. Il popolo ucraino viene dipinto come una totalità non problematica, priva di spaccature interne, da cui sono esclusi solo gli oligarchi e i politici/funzionari corrotti. Il Paese diventa sano solo dopo essersi liberato degli oligarchi e dei loro burattini. Alcuni di loro vengono imprigionati o fuggono dal Paese; le loro proprietà vengono confiscate senza alcun riguardo per la legalità. In seguito, il presidente Zelensky farà lo stesso con i suoi rivali politici.

È interessante notare che la serie ignora il tema della guerra del Donbass, scoppiata nel 2014, un anno prima dell’inizio della trasmissione. Poiché il Maidan e le relazioni tra Russia e Ucraina sono temi molto divisivi nella società ucraina, Zelensky li ha ignorati per non mettere a rischio l’unità della sua nazione virtuale, dei suoi spettatori e, in ultima analisi, dei suoi elettori.

Le promesse elettorali di Zelensky, fatte ai margini del virtuale e del reale, riguardavano prevalentemente il “progresso” dell’Ucraina, inteso come “modernizzazione”, “occidentalizzazione”, “civilizzazione” e “normalizzazione”. È questo discorso di modernizzazione progressiva che ha permesso a Zelensky di camuffare i suoi piani di riforme neoliberali, lanciati appena tre giorni dopo l’insediamento del nuovo governo. Per tutta la campagna elettorale, l’idea di “progresso” evidenziata da Zelensky non è mai stata collegata a privatizzazioni, vendite di terreni, tagli di bilancio, ecc. Solo dopo che Zelensky ha consolidato il suo potere presidenziale stabilendo il pieno controllo sui rami legislativo ed esecutivo del potere, ha chiarito che la “normalizzazione” e la “civilizzazione” dell’Ucraina significavano la privatizzazione della terra e della proprietà statale/pubblica, la deregolamentazione dei rapporti di lavoro, la riduzione del potere dei sindacati, l’aumento delle tariffe dei servizi e così via.

Lei ha sottolineato che molti stranieri sono stati nominati a importanti cariche economiche e sociali dopo il colpo di Stato del 2014 e prima del mandato di Zelensky. Allo stesso modo, molti dei funzionari di Zelensky hanno stretti legami con le istituzioni neoliberali globali e lei ha suggerito che ci sono prove del fatto che essi manipolano Zelensky, che ha una comprensione non sofisticata dell’economia/finanza. Può discutere questo aspetto delle ramificazioni del cambio di governo filo-occidentale del 2014?  Quali sono gli interessi più grandi in gioco e hanno in mente gli interessi della popolazione ucraina in generale?

Sì, il cambio di potere di Maidan nel 2014 ha segnato l’inizio di un’era completamente nuova nella storia dell’Ucraina in termini di influenza occidentale sulle sue decisioni sovrane. A dire il vero, da quando l’Ucraina ha dichiarato la propria indipendenza nel 1991, questa influenza è sempre esistita. Camera di commercio americana, Centro per le relazioni USA-Ucraina, Consiglio d’affari USA-Ucraina, Associazione imprenditoriale europea, FMI, EBDR, OMC, UE: tutte queste istituzioni di lobby e di regolamentazione hanno influenzato in modo significativo le decisioni politiche ucraine.

Tuttavia, nella storia dell’Ucraina precedente al Maidan, il Paese non aveva mai nominato cittadini stranieri per ricoprire incarichi ministeriali di primo piano: ciò è diventato possibile solo dopo il Maidan. Nel 2014, Natalie Jaresko, cittadina statunitense, è stata nominata Ministro delle Finanze ucraino, Aivaras Abromavičius, cittadino lituano, è diventato Ministro dell’Economia e del Commercio ucraino, Alexander Kvitashvili, cittadino georgiano, Ministro della Sanità. Nel 2016, Ulana Suprun, cittadina statunitense, è stata nominata Ministro della Sanità ad interim. Altri stranieri hanno assunto cariche di rango inferiore. Inutile dire che tutte queste nomine non sono frutto della volontà degli ucraini, ma delle raccomandazioni delle istituzioni neoliberali globali, il che non sorprende se si considera che lo stesso Maidan non è stato sostenuto da metà della popolazione ucraina.

Come già detto, la maggior parte di questi “altri” anti-Maidan risiede nelle regioni sud-orientali. Più si guardava a est, più forte e unificato era il rifiuto del Maidan e della sua agenda europea. Più del 75% di coloro che vivono negli oblast di Donetsk e Luhansk (due regioni orientali dell’Ucraina prevalentemente popolate da russofoni) non hanno sostenuto il Maidan, mentre solo il 20% degli abitanti della Crimea lo ha appoggiato.

Questi dati statistici, forniti dall’Istituto di Sociologia di Kiev nell’aprile 2014, non hanno impedito alle istituzioni di potere occidentali di sostenere che il Maidan fosse la rivolta del “popolo ucraino” presentato come una totalità non problematica – un trucco ideologico molto potente. Visitando la piazza Maidan e incoraggiando i suoi rivoluzionari a protestare, i membri della “comunità internazionale” hanno mancato di rispetto a milioni di ucraini che sostenevano opinioni contrarie al Maidan, contribuendo così all’escalation del conflitto civile, che alla fine ha portato al disastro che stiamo osservando impotenti oggi.

E gli interessi stranieri investiti nella neoliberalizzazione dell’Ucraina, portata avanti in nome del popolo ucraino? Sono diversi, ma dietro la riforma agraria, che ho analizzato attentamente, c’erano lobby finanziarie occidentali. I fondi pensione e i fondi di investimento occidentali volevano investire denaro che si stava deprezzando. Alla ricerca di attività in cui investire, hanno chiesto il sostegno del FMI, della Banca Mondiale, della BERS e di vari gruppi di pressione per promuovere i loro interessi e preparare tutte le basi necessarie. Tutto ciò non ha nulla a che vedere con gli interessi degli ucraini, ovviamente.

Come si è comportato Zelensky in materia di democrazia – libertà di parola e di stampa, pluralismo politico e trattamento dei diversi partiti politici? Come si colloca rispetto ai precedenti presidenti dell’Ucraina post-sovietica?

Sono d’accordo con Jodi Dean che sostiene che la democrazia è una fantasia neoliberale, nel senso che non può esistere in sistemi di governo neoliberali controllati non da persone ma da istituzioni sovranazionali. Come già detto, questo è diventato particolarmente evidente dopo il Maidan, quando i ministri degli Esteri sono stati nominati da queste istituzioni per presentare i loro interessi in Ucraina. Tuttavia, nel suo zelo riformatore, Zelensky è andato oltre. All’inizio del febbraio 2021, i primi tre canali televisivi di opposizione – NewsOne, Zik e 112 Ukraine – sono stati chiusi. Un altro canale di opposizione, Nash, è stato bandito all’inizio del 2022, prima dell’inizio della guerra. Dopo lo scoppio della guerra, a marzo, sono stati arrestati decine di giornalisti, blogger e analisti indipendenti; la maggior parte di loro è di sinistra. Ad aprile sono stati chiusi anche i canali televisivi di destra, Canale 5 e Pryamiy. Inoltre, Zelensky ha firmato un decreto che obbliga tutti i canali ucraini a trasmettere un unico telethon, presentando solo un punto di vista filogovernativo sulla guerra.

Tutti questi sviluppi non hanno precedenti nella storia dell’Ucraina indipendente. I sostenitori di Zelensky sostengono che tutti gli arresti e i divieti dei media dovrebbero essere cancellati per ragioni di opportunità militare, ignorando il fatto che le prime chiusure dei media sono avvenute un anno prima dell’invasione russa. Per quanto mi riguarda, Zelensky usa questa guerra solo per rafforzare le tendenze dittatoriali all’interno del suo regime di governo, che ha iniziato a formarsi subito dopo l’ascesa al potere di Zelensky, quando ha creato una macchina partitica per controllare il parlamento e imporre riforme neoliberiste senza tener conto dell’umore dell’opinione pubblica.

Il Consiglio di Sicurezza e Difesa Nazionale (NSDC) è stato utilizzato da Zelensky nel 2021 per sanzionare alcune persone, soprattutto rivali politici.  Può spiegare cos’è il NSDC e perché Zelensky faceva questo e se era legale o meno.

Dopo il crollo del suo sostegno popolare nel 2021, Zelensky ha avviato un processo incostituzionale di sanzioni extragiudiziali contro i suoi avversari politici, imposte dal Consiglio di sicurezza e difesa nazionale (NSDC). Queste sanzioni hanno comportato il sequestro extragiudiziale di proprietà senza alcuna prova di attività illegali delle persone fisiche e giuridiche interessate. Tra i primi a essere sanzionati dall’NSDC sono stati due deputati della Piattaforma di opposizione “Per la vita” (OPZZh) – Victor Medvedchuk (poi arrestato e mostrato in TV con il volto picchiato dopo l’interrogatorio) e Taras Kozak (riuscito a fuggire dall’Ucraina), oltre ai membri delle loro famiglie. Ciò è avvenuto nel febbraio 2021; nel marzo 2022 sono stati messi al bando 11 partiti di opposizione. Le decisioni di bandire i partiti di opposizione e di sanzionare i leader dell’opposizione sono state prese dal NSDC e sono state attuate con decreti presidenziali.

La Costituzione ucraina stabilisce che il Consiglio di sicurezza e difesa nazionale è un organo di coordinamento: “coordina e controlla l’attività degli organi del potere esecutivo nella sfera della sicurezza e della difesa nazionale”. Questo non ha nulla a che vedere con il perseguire gli oppositori politici e confiscare le loro proprietà, cosa che l’NSDC fa dal 2021. Va da sé che questo know-how del regime di Zelensky è incostituzionale: solo i tribunali possono decidere chi è colpevole o meno e confiscare le proprietà. Ma il problema è che i tribunali ucraini si sono rivelati impreparati a servire come burattini di Zelensky. Dopo che il capo della Corte Costituzionale ucraina Oleksandr Tupytskyi ha definito le riforme incostituzionali di Zelensky un “colpo di Stato”, Zelensky non ha potuto fare altro che affidarsi all’NSDC per portare avanti le sue politiche impopolari. E il “dissidente” Tupytskyi?  Il 27 marzo 2021 – anche in violazione della Costituzione ucraina – Zelensky ha firmato un decreto che annulla la sua nomina a giudice del tribunale.

Sotto il governo di Stalin, il Commissariato del Popolo per gli Affari Interni (NKVD) creava le “troike” per emettere sentenze contro le persone dopo indagini semplificate e rapide e senza un processo pubblico ed equo. Quello che osserviamo nel caso dell’NSDC è uno sviluppo molto simile, solo che i processi incostituzionali dell’NSDC hanno un numero maggiore di partecipanti: tutte le figure chiave dello Stato, tra cui il presidente, il primo ministro, il capo dei servizi di sicurezza ucraini, il procuratore generale dell’Ucraina, ecc. Una riunione dell’NSDC può decidere i destini di centinaia di persone. Solo nel giugno 2021, Zelensky ha reso effettiva una decisione del NSDC di imporre sanzioni contro 538 persone e 540 aziende.

Vorrei chiederle della lista “Peacemaker” (Myrotvorets) che, secondo quanto riferito, è affiliata al governo ucraino e ai servizi segreti SBU.  A quanto mi risulta, si tratta di una lista di “nemici dello Stato” e pubblica le informazioni personali di tali nemici.  Molti di coloro che vi comparivano sono stati successivamente uccisi.  Può parlare di questa lista, di come le persone vi finiscono e di come si inserisce in un governo che ci è stato detto essere democratico?

Il sito web nazionalista Myrotvorets è stato lanciato nel 2015 “da un deputato del popolo che ricopre una posizione di consigliere del Ministero degli Interni dell’Ucraina” – così lo descrive il rapporto delle Nazioni Unite. Il nome di questo deputato del popolo è Anton Gerashchenko, ex consigliere dell’ex ministro degli Interni Arsen Avakov. È sotto il patrocinio di Avakov che nel 2014 sono stati creati battaglioni punitivi nazionalisti da inviare nel Donbass per reprimere la resistenza popolare contro il Maidan. Myrotvorets fa parte della strategia generale di intimidazione degli oppositori del colpo di Stato. Qualsiasi “nemico del popolo” – chiunque osi esprimere pubblicamente opinioni anti-Maidan o sfidare l’agenda nazionalista dell’Ucraina – può essere inserito in questo sito web. Anche gli indirizzi di Oles Buzina, un famoso pubblicista [giornalista], ucciso dai nazionalisti vicino al suo appartamento a Kiev, e di Oleg Kalashnikov, un deputato dell’opposizione ucciso dai nazionalisti nella sua casa, erano su Myrotvorets, che ha aiutato gli assassini a trovare le loro vittime. I nomi degli assassini sono noti, ma non sono stati incarcerati perché nell’Ucraina contemporanea, la cui vita politica è controllata dai radicali, sono considerati eroi.

Il sito non è stato chiuso nemmeno dopo uno scandalo internazionale, quando Myrotvorets ha pubblicato i dati personali di noti politici stranieri, tra cui l’ex cancelliere tedesco Gerhard Schröder. Ma, a differenza di Schröder che risiede in Germania, migliaia di ucraini i cui dati sono presenti su Myrotvorets non possono sentirsi al sicuro. Tutte le persone arrestate nel marzo 2022 erano state anche su Myrotvorets. Alcuni di loro li conosco personalmente: Yuri Tkachev, l’editore del quotidiano di Odessa Timer e Dmitry Dzhangirov, l’editore di Capital, un canale YouTube.

Molti di coloro i cui nomi sono presenti su Myrotvorets sono riusciti a fuggire dall’Ucraina dopo il Maidan; alcuni sono riusciti a farlo dopo gli arresti di massa di marzo. Uno di loro è Tarik Nezalezhko, collega di Dzhangirov. Il 12 aprile 2022, essendo già al sicuro fuori dall’Ucraina, ha pubblicato un post su YouTube, definendo il Servizio di sicurezza ucraino “Gestapo” e dando consigli ai suoi spettatori su come evitare di essere catturati dai suoi agenti.

Detto questo, l’Ucraina non è un Paese democratico. Più osservo ciò che sta accadendo in quel Paese, più penso al percorso di modernizzazione di Augusto Pinochet, che, di fatto, è ammirato dai nostri neoliberisti. Per un lungo periodo di tempo, i crimini del regime di Pinochet non sono stati indagati. Ma alla fine l’umanità ha scoperto la verità. Spero solo che in Ucraina questo accada prima.

L’accademico ucraino Volodymyr Ishchenko ha dichiarato in una recente intervista a NLR che, a differenza dell’Europa occidentale, nell’Europa orientale post-sovietica esiste una maggiore collaborazione tra nazionalismo e neoliberismo. Questo è stato osservato anche nel Donbass tra i più abbienti. È d’accordo con questa affermazione?  Se sì, può spiegare come si è evoluta questa combinazione?

Sono d’accordo con Volodymyr. Quello che osserviamo in Ucraina è un’alleanza tra nazionalisti e liberali basata sulla comune intolleranza verso la Russia e, rispettivamente, verso tutti coloro che sostengono la cooperazione con essa. Alla luce dell’attuale guerra, questa unità di liberali e nazionalisti può apparire giustificata. Tuttavia, l’alleanza è stata creata molto prima di questa guerra, nel 2013, durante la formazione del movimento Maidan. Per i liberali, l’accordo di associazione con l’Unione Europea, sostenuto dal Maidan, è stato visto prevalentemente in termini di democratizzazione, modernizzazione e civilizzazione: è stato immaginato come un mezzo per portare l’Ucraina agli standard di governo europei. Al contrario, l’Unione economica eurasiatica, guidata dalla Russia, è stata associata alla regressione della civiltà verso lo statalismo sovietico e il dispotismo asiatico. È qui che le posizioni dei liberali e dei nazionalisti convergono: Questi ultimi hanno sostenuto attivamente il Maidan non per la democratizzazione, ma per la sua chiara posizione anti-Russia.

Fin dai primi giorni delle proteste, i nazionalisti radicali sono stati i più attivi combattenti del Maidan. L’unità tra i liberali che associavano l’Euromaidan al progresso, alla modernizzazione, ai diritti umani, ecc. e i radicali che cooptavano il movimento per la loro agenda nazionalistica è stato un prerequisito importante per la trasformazione della protesta civica in una lotta armata che ha portato a un rovesciamento incostituzionale del potere. Il ruolo decisivo dei radicali nella rivoluzione è diventato anche un fattore cruciale nella formazione di un movimento di massa anti-Maidan nell’est dell’Ucraina contro il “colpo di Stato”, come il discorso egemonico anti-Maidan ha definito il cambio di potere a Kiev. Almeno in parte, quello che osserviamo oggi è il tragico risultato di questa alleanza miope e sfortunata, formatasi durante il Maidan.

Può spiegare qual è stato il rapporto di Zelensky con l’estrema destra ucraina?

Zelensky stesso non ha mai espresso opinioni di estrema destra. Nella sua serie “Servo del popolo”, che è stata utilizzata come piattaforma elettorale non ufficiale, i nazionalisti ucraini sono ritratti in modo negativo: appaiono solo come stupide marionette degli oligarchi. Come candidato alla presidenza, Zelensky ha criticato la legge sulla lingua firmata dal suo predecessore Poroshenko, che ha reso la conoscenza della lingua ucraina un requisito obbligatorio per i dipendenti pubblici, i soldati, i medici e gli insegnanti. “Dobbiamo avviare e adottare leggi e decisioni che consolidino la società, e non viceversa”, ha affermato Zelensky-candidato nel 2019.

Tuttavia, dopo aver assunto l’incarico presidenziale, Zelensky si è dedicato all’agenda nazionalistica del suo predecessore. Il 19 maggio 2021, il suo governo ha approvato un piano d’azione per la promozione della lingua ucraina in tutte le sfere della vita pubblica, rigorosamente in linea con la legge linguistica di Poroshenko, per la gioia dei nazionalisti e lo sgomento dei russofoni. Zelensky non ha fatto nulla per perseguire i radicali per tutti i loro crimini contro gli oppositori politici e la popolazione del Donbass. Il simbolo della trasformazione a destra di Zelensky è stato il suo appoggio al nazionalista Medvedko – uno degli accusati dell’omicidio di Buzina – che ha approvato pubblicamente il divieto di Zelensky di trasmettere i canali di opposizione in lingua russa nel 2021.

La domanda è: perché? Perché Zelenskij ha fatto un’inversione di rotta verso il nazionalismo, nonostante le speranze della gente di perseguire una politica di riconciliazione? Secondo molti analisti, ciò è dovuto al fatto che i radicali, pur rappresentando una minoranza della popolazione ucraina, non esitano a usare la forza contro i politici, i tribunali, le forze dell’ordine, gli operatori dei media e così via – in altre parole, sono semplicemente bravi a intimidire la società, compresi tutti i rami del potere. I propagandisti possono ripetere il mantra “Zelensky è un ebreo, quindi non può essere un nazista” tutte le volte che vogliono, ma la verità è che i radicali controllano il processo politico in Ucraina attraverso la violenza contro coloro che osano confrontarsi con i loro programmi nazionalistici e suprematisti. Il caso di Anatoliy Shariy – uno dei più popolari blogger ucraini che vive in esilio – è un buon esempio per illustrare questo punto. Non solo lui, insieme ai suoi familiari, riceve costantemente minacce di morte, ma i radicali intimidiscono costantemente gli attivisti del suo partito (bandito da Zelensky nel marzo 2022), picchiandoli e umiliandoli. Questo è ciò che i radicali ucraini chiamano “safari politico”.

In questo momento, Zelensky è la figura più influente sulla scena mondiale per quanto riguarda un conflitto che ha gravi implicazioni se si inasprisce. Mi preoccupa il fatto che stia usando le stesse abilità manipolatorie dello show biz per raccogliere consensi dietro l’immagine di una qualche incarnazione personale della democrazia e della rettitudine contro le forze del male e dell’autocrazia. È come un film basato sul mondo dei fumetti Marvel. È proprio il tipo di inquadratura che sembra antitetica alla diplomazia. Pensa che Zelensky stia svolgendo un ruolo costruttivo come leader di guerra dell’Ucraina o no?

Seguo regolarmente i discorsi di guerra di Zelensky e posso dire con certezza che il modo in cui inquadra il conflitto difficilmente può portare a una risoluzione diplomatica, poiché ripete costantemente che le forze del bene sono attaccate dalle forze del male. È chiaro che non ci può essere una soluzione politica per un simile Armageddon. Ciò che esce da questo quadro di riferimento mitico per la guerra è il contesto più ampio della situazione: il fatto che da anni l’Ucraina si rifiuta di attuare gli accordi di pace di Minsk, firmati nel 2015 dopo la sconfitta dell’esercito ucraino nella guerra del Donbass. Secondo questi accordi, il Donbass doveva ricevere un’autonomia politica all’interno dell’Ucraina – un punto inconcepibile e inaccettabile per i radicali. Invece di attuare il documento, ratificato dalle Nazioni Unite, Kiev ha combattuto con il Donbass lungo la linea di demarcazione per otto lunghi anni. La vita degli ucraini che vivono in questi territori si è trasformata in un incubo. Per i radicali, i cui battaglioni hanno combattuto in quei territori, gli abitanti del Donbass – immaginati come sovki e vatniki – non meritano pietà e indulgenza.

L’attuale guerra è un prolungamento di quella del 2014, iniziata quando Kiev ha inviato truppe nel Donbass per reprimere la ribellione anti-Maidan con la premessa della cosiddetta “operazione antiterrorismo”. Il riconoscimento di questo contesto più ampio non presuppone l’approvazione dell'”operazione militare” della Russia, ma implica il riconoscimento che anche l’Ucraina è responsabile di quanto sta accadendo. Inquadrare la questione della guerra in corso in termini di lotta della civiltà contro la barbarie o della democrazia contro l’autocrazia non è altro che una manipolazione, essenziale per comprendere la situazione. La formula di Bush “o siete con noi o con i terroristi”, propagandata da Zelensky nei suoi appelli al “mondo civilizzato”, si è rivelata molto comoda per evitare la responsabilità personale del disastro in corso.

Per vendere al mondo questa storia unidimensionale, le capacità artistiche di Zelensky appaiono inestimabili. Finalmente è sul palcoscenico globale e il mondo lo applaude. L’ex comico non cerca nemmeno di nascondere la sua soddisfazione. Rispondendo alla domanda di un giornalista francese il 5 marzo 2022 – il decimo giorno dell’invasione russa – su come fosse cambiata la sua vita con l’inizio della guerra, Zelensky ha risposto con un sorriso di gioia: “Oggi la mia vita è bella. Credo di essere necessario. Sento che è il significato più importante della vita: essere necessari. Sentire che non sei solo un vuoto che respira, cammina e mangia qualcosa. Si vive”.

Per me questa costruzione è allarmante: implica che Zelensky gode dell’opportunità unica di esibirsi su un palcoscenico globale offerta dalla guerra. Essa ha reso la sua vita bella; egli vive. Al contrario di milioni di ucraini la cui vita non è affatto bella e di migliaia di quelli che non sono più vivi.

Alexander Gabuev ha suggerito che la leadership russa ha una mancanza di competenza sul Paese che ha contribuito a questo conflitto.  Ho anche sentito commentatori russi suggerire che l’Ucraina ha un atteggiamento di superiorità nei confronti dei filo-occidentali rispetto ai filo-russi. Ritiene che questo sia un fattore significativo per entrambe le parti?

Sono propensa a concordare con l’affermazione relativa alla mancanza di un’adeguata comprensione da parte della leadership russa dei processi sociali in atto in Ucraina dopo il Maidan. In effetti, metà della popolazione ucraina non l’ha accolto con favore e milioni di persone che vivono nel sud-est volevano che la Russia intervenisse. Lo so per certo perché tutti i miei parenti e vecchi amici risiedono in questi territori. Tuttavia, ciò che era vero nel 2014 potrebbe non esserlo più. Sono passati otto anni, è cresciuta una nuova generazione di giovani, cresciuta in un nuovo ambiente sociale, e molte persone si sono semplicemente abituate a nuove realtà. Infine, anche se la maggior parte di loro disprezza i radicali e la politica di ucrainizzazione, odia ancora di più la guerra. La realtà sul campo si è rivelata più complessa di quanto i decisori politici si aspettassero.

Che dire del senso di superiorità degli ucraini che si identificano con gli occidentali piuttosto che con i russi?

È vero e, per quanto mi riguarda, questa è la parte più tragica dell’intera storia post-Maidan, perché è proprio questo senso di superiorità che ha impedito alle forze “progressiste” pro-Maidan di trovare un linguaggio comune con i loro compatrioti “arretrati” pro-russi. Questo ha portato alla rivolta del Donbass, all'”operazione antiterrorismo” dell’esercito ucraino contro il Donbass, all’intervento della Russia, agli accordi di pace di Minsk, alla loro mancata realizzazione e, infine, alla guerra attuale.

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