La grande spinta per i veicoli elettrici nasconde una truffa?

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25 frigoriferi.Questo è l’ammontare del consumo aggiuntivo di elettricità per famiglia se la casa media degli Stati Uniti adottasse veicoli elettrici (EV). Così esordisce l’articolo di Nick Gianbruno pubblicato qui https://internationalman.com/articles/3-reasons-theres-something-sinister-with-the-big-push-for-electric-vehicles/ sui veicoli elettrici che In Europa come in Usa vengono imposti ai cittadini “per combattere i cambiamento climatico”.

Precisa l’articolo, riferito agli US: Il deputato Thomas Massie, un ingegnere elettrico, ha rivelato queste informazioni mentre discuteva col ministro dei trasporti Pete Buttigieg del piano del presidente Biden per far sì che il 50% delle auto vendute negli Stati Uniti siano elettriche entro il 2030.

La rete attuale e futura nella maggior parte dei luoghi non sarà in grado di supportare ogni casa con 25 frigoriferi, nemmeno lontanamente. Basta guardare alla California, dove la rete sta già cedendo sotto il carico esistente.

Massie sostiene che l’idea di un’adozione diffusa dei veicoli elettrici in tempi brevi è una fantasia pericolosa basata sulla scienza politica, non su una solida ingegneria .

Stanno cercando di fabbricare il tuo consenso per una truffa di proporzioni quasi inimmaginabili – è la tesi sostenuta dall’articolo, non senza motivi.

Ma prima propone una doverosa precisazione sui cosiddetti “combustibili fossili” .

Quando la persona media sente “combustibili fossili”, pensa a una tecnologia sporca che appartiene al 1800. Pensa anche che i “combustibili fossili” distruggeranno il pianeta entro un decennio e si esauriranno presto, nonostante il fatto che, dopo l’acqua, il petrolio sia il secondo liquido più abbondante su questo pianeta.

Nessuna di queste idee ridicole è vera, ma molte persone ci credono. L’uso di termini propagandistici come “combustibili fossili” gioca un ruolo importante. Meglio eliminare i “combustibili fossili” dal vostro vocabolario a favore degli idrocarburi, una parola molto migliore e più precisa.

Un idrocarburo è una molecola composta da atomi di carbonio e idrogeno. Queste molecole sono gli elementi costitutivi di molte sostanze diverse, comprese le fonti energetiche come carbone, petrolio e gas. Queste fonti energetiche sono state per decenni la spina dorsale dell’economia globale, fornendo energia alle industrie, ai trasporti e alle case.

Passiamo ora ai tre motivi per cui i veicoli elettrici sono nella migliore delle ipotesi una gigantesca truffa e forse qualcosa di molto peggio.

Motivo n. 1: i veicoli elettrici (EV) non sono ecologici

La premessa centrale per i veicoli elettrici è che aiutano a salvare il pianeta dalle emissioni di carbonio perché utilizzano l’elettricità invece del gas.

È sorprendente che così pochi pensino di chiedersi: cosa genera l’elettricità che alimenta i veicoli elettrici?

Gli idrocarburi generano oltre il 60% dell’elettricità negli Stati Uniti. Ciò significa che ci sono ottime possibilità che dietro l’elettricità che carica un veicolo elettrico ci sia petrolio, carbone o gas.

È importante sottolineare che il carbonio è un elemento essenziale per la vita su questo pianeta. È ciò che gli esseri umani espirano e ciò di cui le piante hanno bisogno per sopravvivere.

Dopo decenni di propaganda, l’isteria malthusiana ha creato nella mente di molte persone la percezione distorta che il carbonio sia una sostanza pericolosa che deve essere ridotta per salvare il pianeta.

Prendiamo in considerazione per un momento questa premessa fasulla e supponiamo che il carbonio sia dannoso.

Anche secondo questa logica, i veicoli elettrici non riducono realmente le emissioni di carbonio; li riorganizzano e basta.

Inoltre, l’estrazione e la lavorazione dei materiali esotici necessari per produrre veicoli elettrici richiede un’enorme potenza in località remote, che solo gli idrocarburi possono fornire.

Ancora: i veicoli elettrici richiedono un’enorme quantità di elementi e metalli rari, come il litio e il cobalto, che le aziende estraggono in condizioni che non possono nemmeno lontanamente essere considerate rispettose dell’ambiente.

Gli analisti stimano che ogni veicolo elettrico richieda circa un chilogrammo di elementi di terre rare. L’estrazione e la lavorazione di questi elementi rari produce un’enorme quantità di rifiuti tossici. Ecco perché si verifica soprattutto in Cina, che non si preoccupa molto delle preoccupazioni ambientali.

In breve, l’idea che i veicoli elettrici siano ecologici è ridicola. È semplicemente la sottile patina di propaganda di cui i governi hanno bisogno come pretesto per giustificare i sussidi astronomici dei contribuenti per i veicoli elettrici.

Motivo n. 2: i veicoli elettrici non possono competere senza il sostegno del governo

Da molti anni, i governi stanno fortemente sovvenzionando i veicoli elettrici attraverso sconti, esenzioni dalle imposte sulle vendite, prestiti, sovvenzioni, crediti d’imposta e altri mezzi.

Secondo il Wall Street Journal, nei prossimi anni i contribuenti statunitensi sovvenzioneranno i veicoli elettrici per almeno 393 miliardi di dollari, più del PIL di Hong Kong.

E questo senza contare gli immensi sussidi e il sostegno governativo del passato. E che continuano ad essere attuati, anche in Europa, attraverso sovvenzioni, detassazioni e  sconti di ogni genere, diversi da paese a paese, Italia compresa. Vedi qui  https://insideevs.it/news/611864/incentivi-auto-elettriche-europa-paesi/.

Inoltre, i governi impongono normative e tasse gravose sui veicoli a benzina per far sembrare i veicoli elettrici relativamente più attraenti. Eppure, anche con questo enorme sostegno governativo, i veicoli elettrici riescono a malapena a competere con i veicoli a benzina.

Secondo JD Power, una società americana di ricerca sui consumatori, il veicolo elettrico medio costa ancora almeno il 21% in più rispetto al veicolo medio a benzina. Per non parlare dei costi delle ricariche, superiori – almeno in Italia – a quelli di benzina o diesel, specie per chi deve ricorrere a colonnine pubbliche non avendo prese di corrente domestiche accessibili, dove il prezzo è inferiore.

In altre parole, il mercato dei veicoli elettrici è un gigantesco miraggio sostenuto artificialmente da un ampio intervento del governo.

Sorge la domanda: perché i governi stanno facendo di tutto per promuovere una truffa antieconomica? Sebbene siano indubbiamente corrotti o semplicemente stupidi, potrebbe essere in gioco anche qualcosa di più nefasto.

Motivo n. 3: i veicoli elettrici servono a controllarti. E qui l’articolo avanza una teoria dichiaratamente cospirazionista, tutta da valutare.

I veicoli elettrici sono macchine spia.

Raccolgono una quantità inimmaginabile di dati su di te, a cui i governi possono accedere facilmente. Gli analisti stimano che le automobili generino circa 25 gigabyte di dati ogni ora.

Vedere come i governi potrebbero integrare i veicoli elettrici in una più ampia rete di controllo ad alta tecnologia non richiede molta immaginazione. Il potenziale per gli intriganti – o peggio – di abusare di un simile sistema è ovvio.

L’ultima cosa che un governo vuole, infatti, è un incidente come quello accaduto con i camionisti canadesi che si ribellavano contro l’obbligo dei vaccini.

Se i veicoli dei camionisti canadesi fossero stati veicoli elettrici, il governo sarebbe stato in grado di reprimere la resistenza molto più facilmente.

Ecco il punto.

I veri responsabili non vogliono che la persona media abbia un’autentica libertà di movimento o accesso a fonti di energia indipendenti.

Vogliono sapere tutto, mantenerti dipendente e avere la capacità di controllare tutto, proprio come farebbe un contadino con il suo bestiame. Pensano a te in termini simili.

Ecco perché i veicoli a benzina devono sparire e perché stanno cercando di spingerci verso i veicoli elettrici.

Conclusione dell’autore, che avanza una tesi dichiaratamente cospirazionista.

Per riassumere, i veicoli elettrici non sono ecologici, non possono competere con le auto a gas senza un enorme sostegno da parte del governo e sono probabilmente un elemento cruciale della emergente rete di controllo ad alta tecnologia.

La soluzione è semplice: eliminare tutti i sussidi e i sostegni governativi e lasciare che i veicoli elettrici competano in base ai propri meriti in un mercato totalmente libero.

Ma è improbabile che ciò accada. Invece, è facile aspettarsi che spingano i veicoli elettrici sempre più duramente.

Se i veicoli elettrici fossero semplicemente status symbol sovvenzionati dal governo per i ricchi liberali che vogliono segnalare con la virtù come pensano di salvare il pianeta, sarebbe già abbastanza grave.

Ma è probabile che la grande spinta verso i veicoli elettrici rappresenti qualcosa di molto peggio.

Insieme alle città in 15 minuti, ai crediti di carbonio, alle CBDC, agli ID digitali, all’eliminazione graduale di idrocarburi e carne, ai passaporti per i vaccini, a un sistema di credito sociale ESG e alla guerra agli agricoltori, i veicoli elettrici sono probabilmente parte integrante del Grande Reset: il futuro distopico l’élite globale ha previsto per l’umanità.

In realtà, il cosiddetto Grande Reset è una forma di feudalesimo ad alta tecnologia.

Purtroppo, la maggior parte dei cittadini non ha idea di cosa sta succedendo. Peggio ancora, molti sono diventati fans inconsapevoli di questo programma perché sono stati indotti a credere di salvare il pianeta o di agire per un bene superiore.

Questa tendenza è più che mai in atto…

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Il Nord Stream sabotato e dimenticato, escalation della Guerra Ibrida. Contro Germania e UE, silenti.

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Del sabotaggio dei gasdotti NS1 e NS2 si è parlato come un mero fatto di cronaca, dopo di che il tema è scomparso dai radar mainstream. Eppure è stato molto di più: un episodio di Guerra Ibrida Industrial Commerciale, condotto nella forma di un attacco terroristico a infrastrutture energetiche in acque internazionali, e segnala il collasso della regole internazionali (P. Escobar qui). Un attacco che potrebbe in futuro ripetersi, ai danni dell’Occidente, segnalava preoccupato il Financial Times.

Attacco da parte di chi? Ai danni di chi? Con quali obiettivi strategici? Proviamo ad esaminare la faccenda, le cui implicazioni economiche e politiche non sono da poco, secondo varie analisi non mainstream. E vanno ben oltre il conflitto ucraino, di cui la guerra del gas è l’antefatto (A.Negri qui); un attacco contro la Russia e Germania, e non solo, per cambiare d’autorità l’approvvigionamento energetico dell’Europa (T. Meyssan qui e qui in italiano); una guerra alla UE nei suoi rapporti con la Russia, vero obiettivo strategico di Washington al di là della stessa guerra in Ucraina (M. Whitney qui, e M.Hudson citato).

CHI E’STATO. La Russia ha infine accusato la Gran Bretagna. <I nostri servizi di intelligence hanno dati che indicano che specialisti militari britannici hanno coordinato questo attacco terroristico, ha detto Peskov, il portavoce di Putin. Qualche giorno prima il ministro della Difesa russo Shoibu aveva puntato il dito sul personale della marina militare britannica. A suo avviso la GB – peraltro punta avanzata dell’Occidente in Ucraina, come è ormai noto – sarebbe coinvolta anche nei recenti attacchi alle navi russe a Sebastopoli (non citato il ponte di Kerch). Entrambi non hanno addotto prove. E il primo ministro brit Sunak ha ovviamente bollato le accuse come false.

E’appurato ormai che le esplosioni ai danni dei NS1 e NS2: siano avvenute in acque internazionali nelle acque poco profonde lungo le coste di Svezia e Danimarca, al limite della zona economica esclusiva danese e vicino all’isoletta danese diBornholm; siano state un atto di sabotaggio (subito detto dalla Germania, confermato dalla premier danese Andersson); abbiano fatto uso di cariche multiple da varie centinaia di tonnellate di esplosivo in diversi nodi dei gasdotti. Secondo al Jazeera si sarebbero verificate in date differenti: al nodo del NS2 il 26 settembre, ai tre nodi vicinissimi del NS1 il 27 e il 29 settembre (vedi cartina). Azioni che non avrebbero potuto essere condotte da droni sottomarini (campo in cui la Nato è molto attiva) e probabilmente nemmeno da sommergibili, data la scarsa profondità. Più probabilmente da navi, che la Danimarca non avrebbe potuto ignorare. Notare che il mercoledì successivo all’attacco il ministro della Difesa danese ha incontrato urgentemente il segretario generale della Nato.

<Grazie USA>aveva subito twittato soddisfatto l’ex ministro della Difesa Polacco Radek Sikorski, un russofobo spostato con la giornalista e saggista americana Anne Applebaum. E verso gli US si erano appuntati i sospetti dei “filorussi” sui social, memori delle minacciose pubbliche parole di Biden davanti a Scholz: <Se la Russia dovesse invadere, il NS2 lo chiuderemo noi>. Una minaccia cruciale nel suo timing, lo vedremo meglio in seguito.

Come dire che la politica energetica della Germania non veniva più decisa a Berlino ma a Washington, osservavano sia Negri che Whitney.

Al Consiglio di Sicurezza ONU l’inviato Vassily Nebenzia, dopo aver sottolineato che un’azione così complessa e su vasta scala non avrebbe potuto svolgersi senza in coinvolgimento di uno Stato, aveva poi chiesto al rappresentante americano <se avesse potuto confermare “qui e ora” che il suo paese non era coinvolto in questo atto di sabotaggio>. Richiesta elusa dal vice ambasciatore americano all’ONU Richard Mills che si era limitato ad assicurare l’appoggio US agli sforzi investigativi degli Europei.

Era stato lo stesso Consiglio di Sicurezza a chiedere un’inchiesta indipendente. Ma Mosca ne era stata esclusa, e lo è ancora. Peskov aveva espresso <rammarico per il fatto che l’intero processo investigativo si svolgesse a porte chiuse, senza permesso di partecipazione e senza interazione con Mosca che è comproprietaria>. Da allora non si è saputo più nulla, a parte le accuse russe alla GB.

E quelle alla Russia, larvate, nella narrazione mediatica ma circolanti a vari livelli. <Risibili > secondo Pepe Escobar. Smontate da Kostantin Simonov, direttore del Fondo Nazionale Russo per la sicurezza energetica, intervistato dal Sole24Ore (6 ottobre). Alzare il prezzo del gas? Mosca avrebbe potuto più semplicemente chiudere il rubinetto. Lanciare un avvertimento per altre infrastrutture cruciali? Non avrebbe certo scelto di colpire un proprio impianto, giocandosi il controllo del rubinetto stesso. Recuperare le coperture assicurative da parte di Gazprom? I legami sono così compromessi che sarebbe difficile per Gazprom farsi ascoltare.

Fatto sta che la reazione immediata della Commissione UE è stata la richiesta di ulteriori sanzioni. Alla Russia.

I DANNI ECONOMICI. Non è certo se e quando i gasdotti si potranno riparare. Sicuri sono invece i danni economici ai giganti dell’energia. Non solo al russo Gazprom. L’elenco comprende le tedesche Wintershall Dea Ag e PEG/E.On; l’olandese N.V.Nederlandse Gasunie; e la francese ENGIE. Poi vengono i finanziatori del NS2: Di nuovo Wintershall e Uniper; l’austriaca PMV; ancora ENGIE, e l’anglo-olandese Shell. Wintershall Dea e ENGIE sono sia comproprietari che creditori. E dovranno rendere conto ai loro azionisti. (Escobar). Nessuno ne parla.

Come se non bastasse, la Germania è contrattualmente obbligata ad acquistare almeno 40miliardi di metri cubi di gas russo fino al 2030. E se rifiutasse? Gazprom è legalmente titolata ad essere pagata anche senza inviare gas. Questo è lo spirito del contratto, ed è quel che sta già avvenendo causa sanzioni. Berlino non riceve tutto il gas ma deve comunque pagare. Ma i costi economici e politici per la Germania, e l’intera UE, sono ben più vasti.  

Quest’inverno sarà senza gas russo, o quasi. L’unico passaggio rimasto in piedi, attraverso l’Ucraina, potrebbe saltare in ogni momento. Mentre Gazprom minaccia di far causa alla compagnia ucraina Naftogas per conti non pagati. A quel punto resterebbe solo il Turkish Stream, o TurkStream (che peraltro ha subito un tentativo di sabotaggio da parte di Kiev (Escobar). E la cui manutenzione è stata bloccata negli stessi giorni del sabotaggio ai NS (Meyssan). Il TurkStream, che trasporterebbe gas dalla Russia ma pure dall’Azerbajan e magari anche dall’Iran, con terminali fino in Egitto e Grecia, in realtà è stato costruito solo in parte, e completarlo comporta vari problemi, non ultime le garanzie di ferro sulla sua sicurezza e le probabili interferenze US-GB, con le loro multinazionali del gas, sulla Turchia, che diventerebbe un hub decisivo, secondo il progetto caro a Erdogan e allo stesso Putin. Che lo rilancia, vedi Sole24.Ore

<Putin è apparso rassegnato alla perdita del Nord Stream ma non ha rinunciato al mercato europeo e ha lanciato l’idea di un hub centrato sulla Turchia e rivolto all’Europa, conferma Simonov. Poco ottimista sul futuro europeo senza il gas russo. <L’anno scorso la Russia ha fornito all’Europa 150 miliardi di metri cubi di gas via gasdotti. L’Europa li troverà altrove sul mercato?>. Simonov ne dubita: <Non ce ne sono abbastanza, fisicamente>. Negri è dello stesso parere: <L’Algeria di gas da venderci ne ha poco, oltre a quello che scorre nel Transmed, meno ancora la Libia destabilizzata>.

Per il momento, conclude Simonov <chi esce avvantaggiato dal caso Nord Stream sono gli Stati Uniti, col loro messaggio alla UE: “Non vi conviene neppure pensare di ricreare un legame energetico con la Russia”>. Le conseguenze di tutto ciò, sanzioni comprese, saranno serie per la Russia, e aumenteranno, sostiene. <Ma lo stesso sarà per l’Europa. Chi vince, in questa situazione? Tutti gli altri giocatori. Di certo gli Usa che da 50 anni cercano di cacciarci dal mercato europeo, per prendere il nostro posto>.

ATTACCO A CHI. OBIETTIVI E STRATEGIA.  Quello diretto alla UE è molto più di un mero messaggio. Il cordone ombelicale che legava la Russia all’Europa sul gas, ormai spezzato, è un relitto. Sia a Est che a Ovest sanno che niente sarà più come prima.  Su questo tutti gli analisti non msm concordano. Ma un po’ diverse sono le valutazioni.

Sotto l’acqua ribollente di metano nel Baltico c’è uno dei motivi dell’escalation della guerra mossa da Putin all’Ucraina, ora al punto di non ritorno, scriveva Negri a caldo. A suo dire il caso NS2 è emblematico di come da tempo confliggevano gli interessi americani ed europei. <Non si trattava soltanto di una questione economica ma strategica. Voluto fortemente dalla ex Cancelliera Angela Merkel, il Nord Stream era la vera leva politica ed economica che tratteneva Putin da azioni dissennate, come la guerra in Ucraina (era ancora in sospeso l’accordo di Minsk II- [peraltro osteggiato dagli ipernazionalisti ucraini su ordine Usa]). Molti non lo avevano capito perché attribuivano al gas russo una valenza soltanto economica: aveva invece un enorme valore politico per tenere Mosca agganciata all’Europa>.

Michael Whitney, che scriveva prima del 24febbraio, è più drastico. La crisi in Ucraina a suo dire non riguarda tanto l’Ucraina quanto la Germania, in particolare il NS2 che Washintgon vedeva da tempo come una minaccia alla sua supremazia in Europa. Era quello il vero obiettivo strategico. L’Ucraina era uno strumento, un cuneo da insinuare fra Germania e Russia. Il loro rapporto rappresenta da sempre una minaccia per gli US, che l’ha combattuto in due guerre mondiali e nella guerra fredda, scrive Whitney citando George Friedman, Stratfor CEO del Chicago Council of Global Affairs.

Washington non voleva che la Germania [la terza economia globale, la locomotiva europea] si avvicinasse ancora di più alla Russia, accrescendo scambi commerciali, partnership, viaggi, turisti ecc, in prospettiva rendendo non più indispensabile lo stesso dollaro nonché gli acquisti di buoni del Tesoro US. Relazioni sempre più strette fra Germania [e UE] e Russia avrebbero finito per condurre alla fine di quell’ordine unipolare creato dagli US per 75 anni.

Insomma: per Negri il NS2 era uno dei motivi dell’escalation di Putin vs l’Ucraina. Per Withney – e l’economista Michael Hudson con lui – tutta la strategia di Washington verso l’Ucraina, in atto da anni, era finalizzata a spezzare i legami fra Germania e Russia. Fino a che l<l’unica strada rimasta alla diplomazia US è stata spingere Putin a una risposta militare (Hudson). Di qui ogni sorta di provocazione per indurre Mosca a intervenire in difesa dei russi del Donbass .

I NORD STREAM. Il primo progetto Nord Stream nasce già nel 1997, quando la situazione geopolitica di quel periodo consentiva di prevedere che il gasdotto non attraversasse né i Paesi Baltici né Polonia, Bielorussia e Ucraina. Nazioni escluse da eventuali diritti di transito e che non avrebbero potuto intervenire sul percorso per sospendere la fornitura di gas all’Europa e mettere la Russia sotto pressione negoziale. Completato nel maggio 2011, il NS1 entrava in funzione a settembre, poi nel 2012 con una seconda linea. Poco dopo nasce il progetto di un ulteriore potenziamento, il NS2 – completato nel 2021 – che raddoppiava il tracciato. Una volta in funzione, il NS2 avrebbe consentito a Mosca di trasportare verso la Germania ulteriori 55 miliardi di metri cubi di gas naturale all’anno [e a prezzi contenuti, concordati con la Russia].

Un valore economico e strategico enorme per la UE, in primis per la Germania. Ma anche per Mosca, sottolinea Negri. Che prosegue: uscita di scena Angela Merkel, gli Usa hanno avuto campo libero. La guardiana di Putin e del gas non c’era più e gli americani hanno capito che il presidente russo era diventato più pericoloso ma anche più vulnerabile. Per due mesi gli Usa hanno avvertito dell’invasione dell’Ucraina perché sapevano che contestando il NS2, come hanno fatto, si apriva una falla.

Quando Mosca ha capito che con Scholz il NS2 non sarebbe stato al sicuro ha cominciato le minacce all’Ucraina, che in precedenza russi e tedeschi avevano pagato perché non protestasse troppo per la realizzazione del gasdotto, assai temuto dalla Polonia. Gli americani avevano già messo alle corde Merkel, obbligandola ad acquistare quantitativi di gas liquido americano di cui Berlino, allora, non aveva alcun bisogno.

Così Negri. Per Whitney invece Biden ha cercato in tutti i modi di provocare Putin per indurlo a intervenire in Ucraina. Con una campagna mediatica massiccia e isterica che dipingeva il cattivissimo Zar che minacciava l’intera Europa. Mentre pressioni e minacce montavano negli US.

BIG OIL&GAS ALL’ATTACCO. Si inserisce qui un altro capitolo, sugli interessi corposi delle corporations che controllano il gas americano e sulle pressioni subite da Biden, le quali hanno avuto un peso significativo nell’avvio del conflitto (ancora incerto quando usciva questo articolo). Società come Chevron ExxonMobil, e Shell, con centinaia di contractors legati all’estrazione e al trasporto, da un pezzo miravano ad espandere massicciamente il loro export verso l’Europa. Ma di mezzo c’era la Russia con la sua Gazprom, che forniva all’UE il 30% di tutte le importazioni di gas naturale, il 40% a Germania e Francia [e Italia] mentre Cecoslovacchia e Romania utilizzavano solo gas russo.

Le pressioni si erano intensificate per tutto il 2021, i prezzi di mercato del gas erano balzati in alto per molteplici fattori, in Europa erano quintuplicati, e i produttori Usa volevano approfittarne. Gli Usa dal 2005 sono i maggiori produttori di gas shale estratto da sottoterra col fraking, dichiarato non nocivo all’ambiente da Bush jr, e la cui estrazione è stata incoraggiata da Obama, contro i movimenti ecologisti e i progressisti Dem. Grazie all’accordo fra amministrazione Trump e UE le vendite di LNG americano in Europa erano già salite dal 16% nel 2019 al 28% nel 2021.

Il problema restava il prezzo: lo shale gas è molto costoso, l’estrazione è complessa, per trasportarlo va liquefatto(LNG), il trasporto a sua volta costa molto, in più è più sporco e produce molta più CO2 (ma non lo si dice). Svantaggi non da poco rispetto al gas russo che viaggia nei gasdotti.

La minaccia per i produttori Usa era rappresentata soprattutto dal NS2, che avrebbe dovuto diventare operativo a fine 2021, bypassando l’Ucraina. <Quanto convenienti erano dunque le tensioni fra gli US e il suo alleato Ucraino da un lato, e la Russia dall’altro, nell’imminenza della sua operatività. Il governo di destra Ucraino ha premuto su Washinghton tutta l’estate 2021per imporre sanzioni sul NS2 e le società tedesche e russe dietro>. E qui si apre una pagina poco raccontata sui preludi e l’innesco della guerra. Che guarda a caso coincide con l’articolo di Withney.

2021. LO STALLO E LE PROVOCAZIONI. Il Congresso e il Senato Usa si consegnano ai governanti ucraini, facendo scivolare le sanzioni desiderate nel provvedimento di spesa per la Difesa. Biden rifiuta, conoscendo l’opposizione degli alleati, e dell’opinione pubblica tedesca a qualunque minaccia alle loro forniture energetiche. Sa che <più gli US minacciano sanzioni o criticano il NS2, più questo diventa popolare> come spiega Stefan Meister, esperto di Russia e Est Europa nel Council of Foreign Relations. Ma i legislatori Rep e Dem al Congresso non demordono e presentano le sanzioni come una <deterrenza nei confronti di un’aggressione della Russia contro l’Ucraina>. Il senatore Ted Cruz del Texas, primo produttore di gas da fraking e n.1 nella campagna di donazioni dell’industria, impone il blocco di oltre 50 nomine di Biden per il Dipartimento di Stato e altre posizioni, come rappresaglia verso il Presidente.

La situazione è ancora fluida. Esercitazioni Nato si tengono su Mar Nero e Mar Baltico con parallele esercitazioni russe ZAPAD 21. Nemmeno Kiev è rimasta ferma. Il 24 marzo 2021 Zelensky ha promulgato un decreto per la riconquista della Crimea. In violazione degli accordi di Minsk, che ha sempre ostacolato, effettua operazioni aeree nel Donbass utilizzando droni, compreso almeno un attacco contro un deposito di carburante a Donetsk nell’ottobre 2021. La stampa americana lo riprende, ma non gli europei e nessuno condanna le violazioni.

Biden sembra targiversare, più a lungo il NS2 può essere rinviato e più la paura di una morsa russa può essere incrementata, più i produttori di gas americani possono approfittarne, pronti a dare assistenza, nel caso, come scrive scrive il Wall Street Journal, citatonell’articolo di cui sopra. Intanto la corsa di truppe Nato e le armi all’Europa dell’est fanno il gioco.

Secondo Whitney invece a questo punto Biden passa a un piano B: creare la percezione che la Russia rappresenti una grave e imminente minaccia per l’Europa. Di qui la campagna mediatica orchestrata che diventata via via isterica e ossessiva e dipinge lo Zar imperiale assetato di territori europei e pronto all’invasione dell’Ucraina e non solo, novello Hitler, ecc ecc.

2022. L’INNESCO DELLA GUERRA. MINACCE e AZIONI. Spinta dalla crisi Ucraina e dalle aumentate vendite in Europa, nel gennaio 2022 gli Usa sono già diventati in primo esportatore di LNG del mondo. E in Europa i prezzi del gas volano. Eppure la Germania ancora resiste. Lenta nel salire a bordo della strategia US/Nato in Ucraina, riluttante a mettere in pericolo in NS2. Sa che le importazioni di gas dagli US, pur accresciute, non sono abbastanza per le necessità di famiglie e imprese, teme di restare a secco.

Finché il piano B entra nel vivo con le minacce esplicite di Biden a Scholz, richiamato a Washington per mostrare la sua fedeltà di alleato. In conferenza stampa alla Casa Bianca, in un’atmosfera di crisi alimentata da dichiarazioni della portavoce Jen Psaki sull’invasione ormai imminente, possibile “in ogni momento, anche domani” secondo Jake Sullivan, consigliere per la Sicurezza nazionale, alla presenza di uno Scholz muto e teso, Biden annuncia che <Se la Russia invade, non ci sarà più NS2. Lo faremo finire noi>. Le stesse parole anticipate già il 27 gennaio 2022 dal “falco” Victoria Nuland, l’orchestratrice del colpo di Stato in Ucraina del 2014, ora vice al Dipartimento di Stato.

E ’il 7 febbraio 2022. Nello stesso giorno Macron riafferma a Putin il suo attaccamento agli accordi di Minsk, impegno che ripete il giorno dopo in un’intervista a Zelensky. Ma l’11 febbraio un incontro dei consiglieri del “Formato Normandia” (Francia Germania Ucraina più Russia) si risolve con un nulla di fatto.  Scholz fa concessioni per soddisfare Biden e Zelensky, dilaziona l’attivazione del NS2 a fine 2022. Annuncia un piano per costruire altri terminali LNG.  Ma il processo è andato ormai troppo avanti. Il 14 febbraio il WaPo se ne esce con un articolo sui preparativi del Tiger Team americano per proteggere l’Ucraina dall’attacco.

Putin ha ormai capito l’antifona. Alle sue proposte a dicembre 2021 non è stata data né risposta né pubblicità. E ormai non c’è Minsk, né Macron, né Scholz che tengano. Truppe russe vengono minacciosamente amassate alla frontiera. La Duma chiede di proclamare l’indipendenza delle due repubbliche autoproclamate del Donbass. Putin ancora resiste.

Il 17 febbraio Biden annuncia che Putin attaccherà a giorni. Ne è certo. E non a caso: dal 16 febbraio sono iniziati bombardamenti quotidiani ucraini sul Donbass, certificati dall’OCSE ( vedi qui e qui la tabella sugli attacchi giorno per giorno). Al culmine dei quali, il 21 febbraio Putin infine proclama l’indipendenza delle repubbliche. Queste il 23 invocano l’aiuto di Mosca che decide di venir loro in soccorso con l’”operazione speciale”. La lunga fila di carri armati che da settimane premono minacciosi ai confini, il 24 entrano in Ucraina. E scatta l’”invasione”.

E I NORD STREAM? Per quasi sette mesi si parla solo della guerra, delle sanzioni alla Russia, degli approvvigionamenti di gas alternativi che i vari paesi UE rincorrono qua è la, a prezzi crescenti. Pur di “superare la dipendenza” dal gas dello Zar al quale la Germania non rinuncia e che non vuole mettere a rischio con un (peraltro improbabile) price cap, al quale è ostile anche l’Olanda, che guadagna dal TTF, la borsa del gas di Amsterdam – che usa l’ICE, una camera di compensazione americana. A dispetto della tanto decantata unità UE, ciascuno pensa per sé, e la Commissione per mesi appare paralizzata.

Quand’ecco che a fine settembre i due Nord Stream esplodono. Non solo il contestatissimo NS2 ma, già che ci sono, pure il NS1.

LA GUERRA SOTTERRANEA .  Per Escobar è una vera e propria dichiarazione di guerra, rivolta alla UE ma in primo luogo alla Germania, l’ex locomotiva d’Europa. <Disabilitare i NS rappresenta la definitiva chiusura di ogni possibile accordo sulle forniture di gas, col beneficio aggiuntivo di relegare la Germania a uno status minore di assoluto vassallo degli US>.

Escobar, che scrive a caldo, si chiede quale apparato di intelligence abbia pianificato il sabotaggio: i primi candidati sono CIA e MI6, con la Polonia accanto e la Danimarca che gioca un ruolo ambiguo, impossibile che non abbia avuto almeno un briefing dall’intelligence. E cita varie coincidenze sospette, droni navali con ID in inglese in Crimea, elicotteri US sui futuri nodi del sabotaggio, navi inglesi nelle acque danesi da metà settembre, la Nato che il giorno cruciale twittava sui test di nuovi sistemi in mare senza uomini. 

Ma il punto vero è che ci si possa trovare nella situazione in cui un paese EU/Nato sia coinvolto in un’azione contro il numero uno dell’economia EU/Nato. Un casus belli, in teoria.

Meyssan, che scrive qualche giorno dopo (4/10) è sulla stessa lunghezza d’onda, e va ancora oltre.

Anche per lui il sabotaggio dei gasdotti Nord Stream è un atto di guerra contro Germania, più Olanda, e Francia. Le tre vie di approvvigionamento di gas dell’Europa Occidentale sono state interrotte simultaneamente ed è stato contemporaneamente inaugurato in gran pompa un nuovo gasdotto dalla Norvegia con terminali in Polonia, il Baltic Pipe  e la manutenzione dl TurkStream è stata sospesa>.

La lotta degli Stati Uniti per conservare l’egemonia mondiale è entrata nella terza fase, scrive Meyssan: dopo l’estensione della NATO a Est, in violazione degli impegni occidentali presi; dopo aver messo a Kiev nel 2014 dei “nazionalisti integrali”(i “nazi” secondo il Kremlino) che hanno perseguitato i russofoni e bombardato il Donbass; è la volta del cambiamento autoritario dell’approvvigionamento energetico dell’Europa occidentale e centrale.  Fino al 26 settembre l’economia dell’UE era fondata principalmente sulla produzione industriale tedesca. Eliminando i NS gli Usa hanno praticamente distrutto l’industria tedesca [e quella italiana molto legata a quella, quanto meno le hanno messe a serio rischio].

<È il più importante sabotaggio della storia. Un atto di guerra ibrida contro Russia (51%) e Germania (30%), comproprietarie di questi colossali investimenti, ma anche contro Olanda (9%) e Francia (9%). Al momento nessuna delle vittime ha reagito pubblicamente. Gli Stati interessati sanno con certezza chi è il colpevole, ma, o non intendono reagire, nel qual caso saranno radiati dalla mappa politica; oppure stanno segretamente preparando una replica a quest’operazione clandestina, sicché quando la realizzassero diventerebbero veri protagonisti politici>. E sul come e il perché Meyssan si interroga in un altro articolo il 18 ottobre (Che gioco fanno Stati Uniti e Germania.

<La Germania, che ha perso la fornitura di gas russo e potrà recuperarne nella migliore delle ipotesi un terzo dalla Norvegia, s’impantana nella guerra in Ucraina. È diventata crocevia delle azioni segrete della Nato, che a conti fatti agisce a suo danno. L’attuale conflitto risulta impenetrabile se si trascurano i legami tra Straussiani Usa, sionisti revisionisti e nazionalisti integralisti ucraini>, scrive Meyssan qui .

Fantasie? Del ruolo nella vicenda ucraina degli Straussiani– più comunemente detti Neoconservatori o Neocon – ha del resto parlato esplicitamente anche il noto economista Jeffery Sachs, non sospettabile di complottismo ma certo controcorrente, e non da oggi.

Il PIANO RAND CORPORATION . Era tutto già scritto? Sembra di sì, a leggere il piano del 2019 della Rand Corporation, il think tank fondato nel 1946 col contributo del Dipartimento della Difesa americano, da sempre legato al Pentagono. Lo studio dal titolo “Over-extending and Un-balancing Russia”  si rivolge anche agli alleati Usa, che sembrano seguirne pedissequamente i “consigli”.

La Russia deve essere attaccata dove è più vulnerabile, cioè nella sua economia molto dipendente da esportazioni di petrolio e gas, è una delle premesse. Quindi: espandere la produzione energetica americana; imporre sanzioni commerciali e finanziarie più pesanti, possibilmente multilaterali (malgrado costi e rischi); accrescere la capacità dell’Europa di importare gas da altri fornitori, non russi, aumentando il numero rigassificatori [per importare il LNG dagli US]. E poi: Fornire aiuti letali all’Ucraina; incoraggiare l’emigrazione dalla Russia di giovani preparati e bene educati; rimuovere la Russia da forum non ONU, boicottare eventi come la Coppa del Mondo per danneggiarne il prestigio…e altro ancora.

Interessanti le misure “ideologiche e informazionali” (mediatiche, ma alcune sembrano vere azioni di disturbo in Russia): diminuire la fiducia nel sistema elettorale russo per creare scontento; creare la percezione che il regime non favorisce l’interesse pubblico russo; incoraggiare proteste domestiche e forme di resistenza non violenta; colpire l’immagine della Russia all’estero.

Seguono molte misure militari, tra le quali spiccano: accrescere le forze US in Europa; aumentare la capacità della Nato europea sul terreno; dispiegare armi atomiche aggiuntive; riposizionare sistemi di difesa e missili balistici US e alleati; spezzare il regime di controllo delle armi nucleari per costringere la Russia a una gara per armi più costose.

Un articolo su questo tema era uscito su affariitaliani.it già a marzo. Un altro più recente è stato rifiutato dal Manifesto, e l’autore Manlio Dinucci, da anni collaboratore, è stato bandito dal giornale.

AGGIORNAMENTI. 1. Un suo peso nella pianificazione delle politiche energetiche ha certo anche l’iniziativa di BlackRock, il maggior fondo di investimenti del mondo con $7000 miliardi gestiti. Il suo CEO Larry Fink in una lettera a wall Street nel 2020 annuncia una radicale disinvestimento nei settori energetici convenzionali, petrolio e gas, in nomme dell’agenda ONU 20230 sul clima. Biden d’accordo. Fink entra nel board del World Economic Forum.

2. Il Financial Times a dicembre segnala che i consumi di gas in Europa nel 2022 sono diminuiti 24% rispetto alla media in gran parte a causa di una diminuita domanda. Per via delle temperature più miti ma anche di imprese meno attive.

3. Scholz è infine uscito dal suo isolamento con un articolo su Foreign Affairs in cui, malgrado il titolo pomettente (La svolta epocale globale. Come evitare una nuova Guerra Fredda in un’era mutipolare) appare totalmente prono agli Usa: alla visione americana dominante su Russia imperiale e Ucraina; totalmente pro Nato, dove alla Germania spetterà il compito di garante della Sicurezza europea grazie agli nvestimenti sul suo esercito; disposto solo a maggiore aperture commerciali verso la Cina e a un dialogo più costruttivo con altri paesi del mondo. E sull’energia? Stop a oil e gas russi. <Abbiamo imparato la lezione – scrive . La sicurezza dell’Europa è legata alla diversificazione e a investimenti per l’indipendenza energetic. In Settembre il sabotaggio dei NS ci ha consegnato questo messaggio>. Testuale. No comment.

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Le ONG umanitarie: George Soros e la crisi europea dei rifugiati (2017)

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Ripubblichiamo un post di Underblog del maggio 2017, col titolo originale, ritenendolo sì controverso ma ancora valido per capire i retro-scena di quel che si muove in materia di immigrazione. Era il terzo di una serie dedicata alle ONG sul sito de LaStampa. Ma il giornale, dove era arrivato il nuovo direttore Molinari, lo aveva tolto dal sito. Il post era stato però rilanciato subito dal Blog delle Stelle di Beppe Grillo, dal quale ora lo trascriviamo. Pur senza voler tirare volate a Salvini. (Consigliamo la lettura del post precedente, il n 2, qui ).

Nel panorama frastagliato delle Ong umanitarie che abbiamo delineato nei post precedenti, già emergeva il ruolo centrale del controverso magnate, finanziere e ‘filantropo americano di origini ungheresi George Soros, e della sterminata rete di Ong che fanno capo alla sua Open Society Foundations – OSF basata a New York, con le sue varie diramazioni che si estendono in 37 paesi.

Attiva dal 1983 come Soros Foundation in Ungheria e presto nell’Europa Centrale e Orientale per ‘aiutare a uscire dal comunismo e diffondere ideee anti-totalitarie e capitaliste’, diventa Open Society nel 1993 ma solo nel 2010 Open Society Foundations che raggruppa tutte le fondazioni nel frattempo sparse nel mondo, enorme rete a sostegno dei Democratici in patria e di una globalizzazione economica e politica, liberista, ‘‘imperiale’ e anti-Russa nel mondo – ben oltre la ” Open Society and its Enemies”, il libro di Karl Popper del 1945 dal quale si è ispirato il suo nome.

Negli Usa la vasta rete dell’OSF funziona da supporto al partito Democratico e alla sua politica. Nel resto del mondo, con l’appoggio del Dipartimento di Stato e di organismi bipartisan come NED-National Endowment for Democracy e USAID (braccio pubblico della CIA) ha un ruolo centrale nel supportare la politica estera americana, fino al sostegno di ‘rivoluzioni colorate’ e regime change. Clamoroso il caso dell’Ucraina.

La sua estensione in Europa, l’Open Society Policy Institute di cui abbiamo parlato nel post n.2, programmaticamente si propone di ”influenzare e dare forma alle politiche dell’Unione Europea per assicurare che i valori della società aperta siano al cuore dell’azione dell’UE, sia all’interno che all’esterno dei suoi confini” .
Aperta anche all’immigrazione, centrale negli obiettivi e nelle azioni dell’ OSF e delle sue Ong . Umanitarie, ma fino a un certo punto. Obiettivi umanitari, politici e economici si intrecciano.

SOROS, MIGRANTI E RIFUGIATI.
Tenendo anche conto dell’invecchiamento della popolazione in Occidente, specialmente in Europa, e della bassa natalità, aprire le porte agli immigrati è essenziale per il sistema economico-finanziario e per l’élite che lo governa di cui Soros è uno dei fulcri. Oltre ad essere un modo per alleggerire la pressione in regioni (il M. O., l’Eurasia) e continenti (l’Africa) dove sono in atto interventi e guerre che sono parte integrante della strategia geopolitica americana e occidentale. Anche in funzione di contrasto dell’espansione della Cina e dei paesi BRICS.
Vedremo come questi scopi di fondo si mescolino a interessi diretti delle corporations.

Lo scorso settembre (2016), nel pieno della crisi europea dei rifugiati, mentre Angela Merkel si pentiva pubblicamente di aver accolto l’anno prima un milione di profughi in Germania, sul Wall Street Journal appariva un editoriale a firma George Soros in cui il finanziere annunciava che avrebbe investito $500 milioni per incontrare i bisogni di immigrati e rifugiati, spiegando il perchè del suo gesto. L’America era in piena campagna elettorale, e l’immigrazione era un tema cruciale nella campagna della destra nazionalista e anti-musulmana di Donald Trump.

“Confermando ancora una volta di essere il silente burattinaio dietro alla crisi europea dei rifugiati…” scriveva Zerohedge – forse esagerando – nel raccontare la novità non da poco. E richiamava quanto emerso in proposito un mese prima dai DCLeaks, oggetto di un post precedente dello stesso ZH , molto pesante nell’insinuare la parte giocata dal finanziere nelle crisi degli immigrati.

Soros e la crisi europea.
“La crisi dei rifugiati in Europa è la ‘nuova normalita’ – e dovrebbe essere accettata in quanto tale; l’OSF ha avuto successo nell’influenzare la politica globale dell’immigrazione; la crisi europea dei rifugiati presenta ‘nuove opportunità ‘ per l’organizzazione” .
Questi i tre punti chiave – segnalati da Zerohedge – nel memo di 9 pagine del 12 maggio ( Migration Governance and Enforcement Portfolio Revew) scritto da due funzionari dell’OSF e trapelato dai DCleaks, i files piratati e resi pubblici da un gruppo americano (vedi post n.2), in piena campagna elettorale, una vasta parte dei quali sono i Soros Leaks.

Nell’introduzione, gli autori del memo parlano dell’ ‘”efficacia degli approcci‘ che hanno adottato ‘per ottenere un cambiamento a livello internazionale”. E in una sezione intitolata Our work, il nostro lavoro, descrivono come abbiano lavorato ‘ con leaders sul campo’, ‘per dar forma alla politica dell’immigrazione e influenzare i processi globali che si ripercuotono sul modo in cui l’immigrazione è governata e sostenuta”.

“Ciò può essere interessante soprattutto per i tedeschi, alla maggioranza dei quali non piacciono le politiche della ‘porta aperta’ della Merkel, specie dopo i recenti attacchi terroristi in Germania”, commenta ZH, alludendo a un influsso diretto della OSF sulla politica della Cancelliera (che nel frattempo stava correggendo il tiro, premuta dalla sua opinione pubblica).

“Dobbiamo sostenere personaggi sul campo che si attivino per cambiare politiche, regole e regolamenti che governano l’immigrazione” si legge nella sezione Our Goals, i nostri obiettivi. E più avanti ” Abbiamo sostenuto iniziative, organizzazioni e reti il cui lavoro si lega direttamente ai nostri scopi nei corridoi” .

In un’altra sezione si cita l’IMI [ International Migration Institute che fa capo all’università di Oxford, UK] che inizialmente aveva identificato alcune organizzazioni capaci di impegnarsi sull’immigrazione a livello globale e internazionale…. E ha avuto un ruolo centrale nello stabilire e suggerire gli obiettivi di due nuovi fondi [del Programma Europeo per l’Integrazione e la Migrazione] sul Sistema Comune Europeo di Asilo (CEAS) e la detenzione degli immigrati.
Ancora più importante, sottolinea ZH, è il fatto che il memo “spiega come la crisi europea dei rifugiati stia aprendo le porte per l’organizzazione di Soros per influenzare ulteriormente la politica globale dell’immigrazione.”

“La crisi dei rifugiati – si legge – sta aprendo nuove opportunità per ‘un coordinamento e una collaborazione’ con donatori abbienti”.

“I governi devono giocare un ruolo di leader nell’affrontare la crisi creando un’infrastruttura fisica e sociale per migranti e rifugiati. Ma è necessario anche incanalare la forza del settore privato”.

Nelle conclusioni, si ribadisce la necessità di accettare l’attuale crisi europea come “nuova normalità“.

…Guardando le risposte dei nostri partner, osserviamo che poca attenzione viene data a una pianificazione a lungo termine o ad approcci fondamentalmente nuovi al patrocinio”. Si mette poi l’accento sul bisogno di respingere la “crescente intolleranza nei confronti dei migranti”. Come?

Per promuovere l’agenda Rifugiati l’organizzazione di Soros ha bisogno di alleati. Nel post n. 2 abbiamo visto come l’ Open Society European Policy Institute abbia predisposto un memo intitolato “Alleati affidabili nel Parlamento Europeo 2014-2109” in cui annota l’importanza di costruire “relazioni durature e degne di fiducia” con europarlamentari ‘credibili nel sostenere il lavoro di Open Society“. Una sorta di mappatura degli europarlamentari attuali già convinti o propensi ad appoggiare i valori della Open Society (è il file centrale dei tre che vengono fuori, qui un nudo elenco dei 226 nomi)

Ce n’è abbastanza per tornare all’editoriale del WSJ, e capirne meglio il senso.
SOROS AL WSJ
: perché investo $500 milioni sui migranti (fatelo anche voi, è pure un business).
Soros richiamava la Call for action – la chiamata all’azione del presidente Obama, che aveva chiesto ai privati di giocare un ruolo più incisivo nel venire incontro ai problemi posti dall’immigrazione forzata. Decine di milioni di persone che fuggono dai loro paesi in cerca di una vita migliore altrove, scappano da guerre o regimi oppressivi, o sono indotti da povertà estreme, premetteva il finanziere.

“Come risposta ho deciso di destinare $500 milioni ad investimenti indirizzati ai bisogni di migranti, rifugiati e comunità ospiti. Investirò in startup, società già esistenti, iniziative di impatto sociale e business fondati dagli stessi migranti e rifugiati. Sebbene la mia preoccupazione principale sia aiutare migranti e rifugiati che arrivano in Europa, cercherò buone idee che li aiutino in tutto il mondo”.
Tra gli esempi Soros citava l’emergente tecnologia digitale, promettente nell’offrire soluzioni a problemi che si trovano ad affrontare i profughi, come riuscire a contattare i governi o i servizi legali, finanziari, sanitari. Società d’affari – scriveva – stanno già investendo miliardi di dollari per sviluppare tali servizi per comunità di non-migranti.

Soros citava il denaro che si muove istantaneamente via smartphone, gli autisti che trovano clienti nello stesso modo, e come un dottore in America può avere un paziente in Africa. “Estendere queste innovazioni ai migranti aiuterà a migliorare la qualità della vita a milioni nel mondo”, scriveva.

Eppure il finanziere-filantropo sentiva il bisogno di rassicurare sul fatto che “da lungo tempo campioni della società civile, assicuriamo che il nostro investimento conduca a prodotti e servizi che beneficino davvero i migranti e le comunità ospiti” Non solo.
“Lavoreremo a stretto contatto con organismi come l’ufficio dell’Alto Commissario per i Rifugiati nell’ONU (UNHCR) e l’International Rescue Committee- Comitato Internazionale per il Soccorso per stabilire principi-guida ai nostri investimenti”.

Benemerita OSF? In fondo non solo ‘salva i profughi ma li vuole aiutare a destreggiarsi. (Perché non aiutare invece i ‘poveri dei paesi europei? si chiede un post italiano di Orizzonte48. Osservazione pertinente che però ci porterebbe troppo lontano).

Al di là delle belle parole, in quel che appare un appello ad altri investitori suoi pari affinché si uniscano alla sua missione, Soros sembra sottolineare molto chiaramente il ritorno economico della faccenda: migranti e rifugiati saranno e sono già oggi dei consumatori, utenti di servizi che i privati possono fornire, anche sostituendo servizi pubblici inadeguati o sicuramente meno efficienti, magari anche usufruendo di sovvenzioni statali/europee.
L’immigrazione come business insomma, per chi sa coglierlo.
Anche favorendo direttamente l’arrivo di migranti & profughi come sostiene ZH?

TRAFFICI SOSPETTI CON LA LIBIA.
Il dibattito ferve oggi sulle Ong che contribuiscono a salvare i profughi in arrivo in Italia dalla Libia, alimentato dalle destre pregiudizialmente anti-immigrati.

GEFIRA, il sito che per primo ha monitorato tra ottobre e novembre 2016 il traffico di navi di alcune Ong che si spingono fin sotto le coste libiche ( ripreso da Zerohedge con aggiunte ), arrivando a indicare complicità con i trafficanti e con alcune capitanerie italiane; e inducendo Frontex a preoccuparsi, già a dicembre 2016 segnalava il FT (qui e qui, qui già a dicembre 2015). Venivano citate alcune Ong ‘sospette’.

Tra queste Médicins Sans Frontères risulta effettivamente fra i partners dell’ Open Society Foundations, come segnalato nel nostro post n. 2. Mentre la maltese MOAS- Migrants Offshore Aid Station fondata dalla coppia Regina e Christopher Catrambone, che secondo ZH avrebbe donato $416.000 dollari alla campagna elettorale di Hillary Clinton, a sua volta avrebbe ricevuto $500.000 da AVAAZ, Ong legata a MoveOn.Org, organizzazione Democratica finanziata direttamente da Soros. I Catrambone hanno negato collusioni con trafficanti e ogni altra scorrettezza.

SERVIZI MINIMI MA UTILI AI PROFUGHI.
Privati e Ong intanto si stanno già dando da fare nel fornire quanto meno servizi minimi ai profughi, a quanto emerge da vari post di GEFIRA.

Proponiamo la traduzione italiana fornita da associazioneeuropalibera. Abbiamo controllato i siti. E tuttavia, vien fuori che l’ “assistenza “di cui si parla non è una novità ma risale al 2015, anno della ‘crisi’ dalla Siria, via Turchia, dove venivano verosimilmante distribuiti i manuali multilingue ricchi di utili consigli. Del 16 settembre 2015 è del resto lo scoop di SkyNews che ha ‘scoperto’ i manuali. Che poi c’entri Soros è da dimostrare, SkyNews non ne parla. Se pure non riferite direttamente alla Libia, appaiono notizie interessanti.

Il corrispondente di SkyNews Jonathan Samuels e il suo team hanno scoperto un manuale cartaceo, stampato in arabo , sulla riva dell’isola di Lesbo, che fornisce ai migranti informazioni dettagliate sui percorsi, numeri di telefono importanti, le organizzazioni non governative che aiutano i migranti e sui loro diritti in paesi di destinazione. WatchTheMed (watchthemed.net e alarmphone.org) e w2eu (w2eu.info e w2eu.net) sono tra le organizzazioni elencate in questa guida approssimativa.

Il sito w2eu.info, in un post dal tiolo “informazione indipendente per rifugiati e migranti che arrivano in Europa”, ci racconta che intende sostenere gli sforzi dei migranti perché “la libertà di movimento è un diritto di tutti”. I suoi attivisti, che si trovano in differenti paesi UE, affermano che prestano il loro lavoro gratuitamente. Il sito fornisce informazioni su argomenti quali: i Contatti, una Panoramica, la Sicurezza in mare, il trattato Dublino III in materia di Asilo, Genere, Minori, Regolarizzazione, Detenzione, Deportazione, Soggiorno, Famiglia, Assistenza medica, e Lavoro relativi a tutti i paesi dell’UE.

Per esempio, sotto il titolo di Sicurezza in mare, il migrante – al quale viene fornito un numero di emergenza satellitare operativo h 24 – viene informato che può chiamare WatchTheMed, che a sua volta informerà dell’avaria o del naufragio la Guardia Costiera, coordinerà l’operazione di salvataggio delle imbarcazioni in pericolo; diffonderà tra i media la notizia ed eserciterà una pressione (morale) sulle autorità centrali o locali perché agiscano.

Sotto il titolo Genere i migranti vengono ragguagliati sui loro diritti; per esempio in Danimarca, dove, se dicono di essere perseguitati, discriminati, degradati o altrimenti trattati in modo disumano a causa del loro sesso o dell’orientamento sessuale, non saranno deportati . Alla voce Deportazione si indica al migrante come evitare di essere deportato o come rendere inefficace una tale decisione. Alla voce della Famiglia, per quanto riguarda l’Austria, si spiega come opera il diritto al ricongiungimento familiare. E così via.

Lo stesso sito fornisce volantini, istruzioni e “biglietti da visita” da stampare in lingue come l’inglese, il francese, l’arabo, il farsi, il pashtu, il tigrino (Etiopia ed Eritrea) e il somali. Il biglietto da visita di WatchTheMed illustra l’allarme via telefono su un lato e una breve guida su due casi: Pericolo in mare e Pericolo di respingimento.

L’opuscolo intitolato “I rischi, i diritti e la sicurezza in mare” (ci sono versioni per il Mediterraneo Occidentale, Centrale e per il Mare Egeo) fornisce istruzioni su come prepararsi per il viaggio in barca attraverso il mare. Al migrante è detto di assicurarsi che la barca sia in condizioni di navigare; che abbia abbastanza cibo, acqua e vestiario; che sia equipaggiata di GPS e di telefono cellulare con le batterie completamente cariche, con abbonamento pagato per le chiamate all’estero; gli si consiglia di informare i suoi parenti e amici nel paese di destinazione, nonché nel suo paese d’origine del luogo e dell’ora di partenza e di arrivo, in modo da sapere quando informare i servizi nel caso in cui l’arrivo stia ritardando; di avere a bordo segnali di allarme per attirare l’attenzione delle navi di passaggio, in quanto ogni capitano ha l’obbligo di salvare la gente di mare, quali che siano le loro nazionalità o status giuridico.

Ancora, lo si istruisce su come comportarsi durante le operazioni di soccorso e, una volta sul suolo europeo, come rivendicare il diritto di asilo ai sensi della Convenzione di Ginevra del 1951. Ai migranti viene detto, senza mezzi termini, che cosa devono dichiarare per ottenere l’asilo, che viene concesso in caso di procedimenti giudiziari per razza, religione, nazionalità, appartenenza a un gruppo sociale o politico. Il migrante è inoltre incoraggiato a segnalare qualsiasi violazione dei suoi diritti.

L’opuscolo intitolato “Benvenuti in Grecia” dell’ottobre 2015, spiega che, anche se ai sensi del regolamento di Dublino, il migrante deve poter chiedere asilo nel primo paese in cui arriva, i paesi dell’UE non hanno ancora rinunciato a questa convenzione; viene suggerito senz’altro di procedere con il viaggio verso l’interno dell’Europa. Lo si informa, inoltre che ai migranti economici, non sarà concesso l’asilo; ancora una volta un chiaro accenno a cosa dire per essere accettato. Si fornisce anche il calendario per i traghetti e le navi complete dei prezzi del biglietto. E ci sono informazioni sulla geografia di Atene, gli indirizzi di organizzazioni umanitarie e pure un breve elenco di frasi utili in greco.
Anche in questo caso, che c’entri Soros resta da dimostrare, sebbene lo zampino di qualche Ong ‘amica’ sarebbe coerente con la sua agend.

E vero invece che nel 2015 l’ondata di profughi dal Medio Oriente via Turchia fu immane, provocando reazioni di rigetto in vari stati. La Germania ne accolse subito un milione, fino allo stop grazie all’accordo di Merkel con Erdogan che frutta tuttora alla Turchia €6 miliardi in tre anni. Versati dall’UE, non dalla Germania.

La Libia tenta di emulare da Turchia? C’è chi lo sospetta.


AGGIUNTE ODIERNE: Negli stessi mesi del 2017 la Open Society Foundations difendeva la propria politica a favore degli immigrati e delle ONG impegnate nel salvataggio, ammettendo di contribuire al loro finanziamento, ma non direttamente a quello delle navi. Ciò in polemica con le critiche che montavano in Italia, dopo che lo stesso direttore di Frontex aveva dichiarato che le ONG stavano “sostenendo gli affari delle reti criminali e dei trafficanti in Libia attraverso le imbarcazioni europee che raccolgono i migranti sempre più vicino alla costa libica”. <Stando a questa macabra logica, se le possibilità di affogare sono abbastanza alte, le persone eviteranno di imbarcarsi. Ma una tale politica richiede un grande numero di morti, e si basa su un presupposto errato…> rispondeva la OSF.

Da allora, se in Italia dopo il governo Conte1, Salvini ministro dell’Interno, le polemiche sembravano essersi acquietate, l’immigrazione è rimasto un tema caldo in tutti i movimenti di destra che hanno guadagnato terreno in Europa, e perfino tra i conservatori inglesi. Anche dopo la sconfitta negli US di Trump, ferocemente anti immigrati.

Siti estremisti anche in Italia hanno continuato a rinfocolare le critiche, con accuse estreme al sistema Alarm Phone che permette di individuare i migranti in difficoltà, secondo i critici facendo la sponda agli scafisti . Vedi per es qui un sito considerato di informazione ultradestra e fake.

Avevamo peraltro letto che a finanziare Alarm Phone era stata la stessa OSF. Ma non siamo più riusciti a ritrovare l’articolo. Un errore?

Pur senza voler prendere posizione su un problema così grande e controverso, Underblog continua a ritenere in ogni caso necessario far luce sui retro-scena di politiche magari orientate a buoni fini, ma pure a interessi precisi. Sempre meglio sapere che ignorare.

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Un mondo diviso in due: La strategia globale Usa, l’Ucraina e il prezzo per l’Europa.

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<È ormai chiaro che l’odierna escalation della Nuova Guerra Fredda è stata pianificata più di un anno fa, con una seria strategia associata al piano americano di bloccare il Nord Stream 2 come parte del suo obiettivo di impedire all’Europa occidentale (“NATO”) di cercare la prosperità attraverso il commercio e gli investimenti reciproci con Cina e Russia>.

E’ l’incipit dell’articolo di Michael Hudson, economista americano tra i più noti, già analista di Wall Street, ricercatore, consulente, commentatore e autore di vari libri, l’ultimo di prossima uscita. Economista “classico” ma “di sinistra” e contrario all’ultraliberista Scuola di Chicago. Pubblichiamo la traduzione del suo articolo, intitolato The dollar devours the euro, che descrive la strategia globale americana volta a contrastare la Cina, superpotenza in crescita che minaccia quella americana in declino, dividendo il mondo in due e costringendo i paesi a schierarsi di qua o di là. Cominciando dall’Ucraina casus belli. Una strategia a cui l’Europa politica acconsente- almeno finora- pur essendone la prima vittima. Segue l’articolo di Hudson.

<Come annunciato dal Presidente Biden e dai rapporti sulla sicurezza nazionale degli Stati Uniti, la Cina è stata vista come il principale nemico. Nonostante il ruolo utile della Cina nel consentire alle aziende americane di abbassare i salari dei lavoratori attraverso la deindustrializzazione dell’economia statunitense a favore dell’industrializzazione cinese, la crescita della Cina è stata riconosciuta come il Terrore Finale: la prosperità attraverso il socialismo. L’industrializzazione socialista è sempre stata percepita come il grande nemico dell’economia rentier [della rendita] che si è impadronita della maggior parte delle nazioni nel secolo successivo alla fine della Prima Guerra Mondiale, e soprattutto a partire dagli anni Ottanta. Il risultato oggi è uno scontro tra sistemi economici: industrializzazione socialista e capitalismo finanziario neoliberista.

Ciò rende la nuova guerra fredda contro la Cina un atto di apertura implicito di quella che rischia di essere una terza guerra mondiale di lunga durata. La strategia degli Stati Uniti consiste nell’allontanare i più probabili alleati economici della Cina, in particolare la Russia, l’Asia centrale, l’Asia meridionale e l’Asia orientale. La domanda era: da dove iniziare la spartizione e l’isolamento?

La Russia è stata vista come la più grande opportunità per iniziare l’isolamento, sia dalla Cina che dalla zona euro della NATO. È stata elaborata una sequenza di sanzioni sempre più severe – e si spera fatali – contro la Russia, per impedire alla NATO di commerciare con essa. Tutto ciò che serviva per innescare il terremoto geopolitico era un casus belli.

Questo è stato organizzato abbastanza facilmente. L’escalation della Nuova Guerra Fredda avrebbe potuto essere lanciata nel Vicino Oriente – per la resistenza all’accaparramento dei giacimenti petroliferi iracheni da parte dell’America, o contro l’Iran e i Paesi che lo aiutano a sopravvivere economicamente, o in Africa orientale. In tutte queste aree sono stati elaborati piani per colpi di Stato, rivoluzioni colorate e cambi di regime, e l’esercito africano dell’America è stato costruito con particolare rapidità nell’ultimo anno o due. Ma l’Ucraina è stata sottoposta a una guerra civile sostenuta dagli Stati Uniti per otto anni, a partire dal colpo di Stato di Maidan del 2014, e ha offerto la possibilità di ottenere la prima grande vittoria in questo confronto contro la Cina, la Russia e i loro alleati.

Così le regioni russofone di Donetsk e Luhansk sono state bombardate con crescente intensità e, quando la Russia si è ancora astenuta dal rispondere, secondo quanto riferito, sono stati elaborati piani per una grande resa dei conti che avrebbe avuto inizio alla fine di febbraio – iniziando con un attacco dell’Ucraina occidentale organizzato dai consiglieri statunitensi e armato dalla NATO [attacco effettivamente iniziato il 14 febbraio con bombardamenti sempre più intensi sul Donbass, come ha documentato l’OSCE, vedi articolo di Jaques Baud ]

La difesa preventiva della Russia delle due province ucraine orientali e la successiva distruzione militare dell’esercito, della marina e dell’aeronautica ucraina negli ultimi due mesi sono state usate come scusa per iniziare a imporre il programma di sanzioni progettato dagli Stati Uniti che stiamo vedendo oggi. L’Europa occidentale si è comportata in modo diligente assecondando integralmente tali piani. Invece di acquistare gas, petrolio e generi alimentari russi, li acquisterà dagli Stati Uniti, insieme a un forte aumento delle importazioni di armi.

La prospettiva di una caduta del tasso di cambio euro/dollaro

È quindi opportuno esaminare come tutto ciò possa influire sulla bilancia dei pagamenti dell’Europa occidentale e quindi sul tasso di cambio dell’euro rispetto al dollaro.

Prima della guerra per l’imposizione delle sanzioni, il commercio e gli investimenti europei promettevano una crescente prosperità reciproca tra Germania, Francia e altri Paesi della NATO nei confronti di Russia e Cina. La Russia forniva energia in abbondanza a un prezzo competitivo, e questa energia avrebbe fatto un salto di qualità con il Nord Stream 2. L’Europa avrebbe guadagnato la valuta estera necessaria a pagare questo crescente commercio d’importazione grazie a una combinazione di esportazione di un maggior numero di prodotti industriali in Russia e di investimenti di capitale nello sviluppo dell’economia russa, ad esempio da parte di aziende automobilistiche tedesche e di investimenti finanziari. Questi scambi e investimenti bilaterali sono ora fermi – e lo saranno per molti, molti anni, data la confisca da parte della NATO delle riserve estere russe in euro e sterline britanniche e la russofobia europea alimentata dai media di propaganda statunitensi.

Al suo posto, i Paesi della NATO acquisteranno GNL statunitense, ma dovranno spendere miliardi di dollari per costruire una capacità portuale sufficiente, il che potrebbe richiedere fino al 2024 (Buona fortuna fino ad allora). La carenza di energia farà aumentare sensibilmente il prezzo mondiale del gas e del petrolio. Anche i Paesi della NATO intensificheranno gli acquisti di armi dal complesso militare-industriale statunitense. L’acquisto quasi in preda al panico farà aumentare pure il prezzo delle armi. Anche i prezzi dei generi alimentari aumenteranno a causa della disperata carenza di cereali dovuta alla cessazione delle importazioni dalla Russia e dall’Ucraina, da un lato, e alla carenza di fertilizzante ammoniacale ricavato dal gas, dall’altro.

Tutte e tre queste dinamiche commerciali rafforzeranno il dollaro rispetto all’euro. La domanda è: come farà l’Europa a bilanciare i suoi pagamenti internazionali con gli Stati Uniti? Che cosa ha da esportare che l’economia statunitense accetterà mentre i suoi interessi protezionistici acquistano influenza, ora che il libero scambio globale sta morendo rapidamente?

La risposta è: non molto. Allora cosa farà l’Europa? [Qui Hudson avanza un’idea che può apparire paradossale: una provocazione? ]

Potrei fare una modesta proposta. Ora che l’Europa ha praticamente smesso di essere uno Stato politicamente indipendente, sta cominciando ad assomigliare a Panama e alla Liberia – centri bancari offshore “bandiera di convenienza” che non sono veri e propri “Stati” perché non emettono una propria moneta, ma utilizzano il dollaro statunitense. Poiché l’eurozona è stata creata con manette monetarie che limitano la sua capacità di creare denaro da spendere nell’economia oltre il limite del 3% del PIL, perché non gettare semplicemente la spugna finanziaria e adottare il dollaro americano, come l’Ecuador, la Somalia e le Isole Turks e Caicos? Questo darebbe agli investitori stranieri la sicurezza contro il deprezzamento della valuta nei loro crescenti scambi commerciali con l’Europa e il finanziamento delle esportazioni.

Per l’Europa, l’alternativa è che il costo in dollari del debito estero assunto per finanziare il crescente deficit commerciale con gli Stati Uniti per petrolio, armi e cibo esploderà. Il costo in euro sarà ancora più elevato, dato che la valuta scende rispetto al dollaro. I tassi di interesse aumenteranno, rallentando gli investimenti e rendendo l’Europa ancora più dipendente dalle importazioni. L’eurozona si trasformerà in una zona economica morta.

Per gli Stati Uniti si tratta di un’egemonia del dollaro con gli steroidi, almeno nei confronti dell’Europa. Il continente diventerebbe una versione un po’ più grande di Porto Rico.

Il dollaro nei confronti delle valute del Sud Globale

La versione in piena regola della Nuova Guerra Fredda, che si trasformerà nella salva di apertura della Terza Guerra Mondiale innescata dalla “Guerra d’Ucraina”, durerà probabilmente almeno un decennio, forse due, poiché gli Stati Uniti estenderanno la lotta tra neoliberismo e socialismo a un conflitto mondiale. Oltre alla conquista economica dell’Europa, gli strateghi statunitensi stanno cercando di agganciare i Paesi africani, sudamericani e asiatici in modo analogo a quanto pianificato per l’Europa.

Il forte aumento dei prezzi dell’energia e dei generi alimentari colpirà duramente le economie con deficit alimentare e petrolifero, nello stesso momento in cui i loro debiti esteri denominati in dollari verso gli obbligazionisti e le banche stanno scadendo e il tasso di cambio del dollaro sta aumentando rispetto alla loro valuta. Molti Paesi dell’Africa e dell’America Latina, in particolare del Nord Africa, si trovano a dover scegliere se soffrire la fame, ridurre l’uso di benzina ed elettricità o prendere in prestito i dollari per coprire la loro dipendenza dal commercio statunitense.

Si è parlato di emissioni di nuovi DSP da parte del FMI per finanziare i crescenti deficit commerciali e di pagamento. Ma questo tipo di credito ha sempre dei vincoli. Il FMI ha una propria politica di sanzioni nei confronti dei Paesi che non obbediscono alla politica statunitense. La prima richiesta degli Stati Uniti sarà che questi Paesi boicottino la Russia, la Cina e la loro emergente alleanza di auto-aiuto commerciale e valutario. “Perché dovremmo darvi i DSP o concedervi nuovi prestiti in dollari, se avete intenzione di spenderli in Russia, Cina e altri Paesi che abbiamo dichiarato nemici?”, chiederanno i funzionari statunitensi.

Almeno, questo è il piano. Non mi sorprenderebbe vedere qualche Paese africano diventare la “prossima Ucraina”, con truppe per procura statunitensi (ci sono ancora molti sostenitori e mercenari wahabiti) che combattono contro gli eserciti e le popolazioni di Paesi che cercano di nutrirsi con il grano proveniente dalle fattorie russe e di alimentare le loro economie con il petrolio o il gas dei pozzi russi – per non parlare della partecipazione alla Belt and Road Initiative cinese che, dopo tutto, è stata la causa scatenante del lancio da parte dell’America della sua nuova guerra per l’egemonia neoliberale globale.

L’economia mondiale si sta infiammando e gli Stati Uniti hanno preparato una risposta militare e l’armamento del proprio commercio di esportazione di petrolio e di prodotti agricoli, il commercio di armi e la richiesta ai Paesi di scegliere da che parte della nuova cortina di ferro vogliono unirsi.

Ma cosa c’è in tutto questo per l’Europa? I sindacati greci stanno già manifestando contro le sanzioni imposte. In Ungheria, il primo ministro Viktor Orban ha appena vinto le elezioni con una visione del mondo fondamentalmente anti-UE e anti-USA, a partire dal pagamento del gas russo in rubli. Quanti altri Paesi romperanno le righe – e quanto tempo ci vorrà?

Cosa c’è in tutto questo per i Paesi del Sud globale che vengono schiacciati – non solo come “danno collaterale” alla profonda carenza e all’impennata dei prezzi di energia e cibo, ma come obiettivo stesso della strategia statunitense che inaugura la grande spaccatura in due dell’economia mondiale? L’India ha già detto ai diplomatici statunitensi che la sua economia è naturalmente collegata a quelle di Russia e Cina.

Dal punto di vista degli Stati Uniti, tutto ciò a cui si deve rispondere è: “Cosa ci guadagnano i politici locali e le oligarchie clienti che noi premiamo per aver consegnato i loro Paesi?”.

Questo è ciò che rende l’incombente terza guerra mondiale una vera e propria guerra di sistemi economici. Quale parte sceglieranno i Paesi: il proprio interesse economico e la coesione sociale, o la diplomazia statunitense messa nelle mani dei loro leader politici insieme all’ingerenza degli Stati Uniti, sulla falsariga dei 5 miliardi di dollari che l’Assistente del Segretario di Stato Victoria Nuland si è vantata di aver investito nei partiti neonazisti ucraini otto anni fa per dare il via ai combattimenti che sono scoppiati nella guerra di oggi?

Di fronte a tutte queste ingerenze politiche e alla propaganda dei media, quanto tempo ci vorrà al resto del mondo per rendersi conto che è in corso una guerra globale che si sta espandendo nella Terza Guerra Mondiale? Il vero problema è che quando capirà cosa sta succedendo, la frattura globale avrà già permesso alla Russia, alla Cina e all’Eurasia di creare un vero e proprio Nuovo Ordine Mondiale non neoliberale che non ha bisogno dei Paesi della NATO e ha perso la fiducia e la speranza di guadagni economici reciproci con loro. Il campo di battaglia militare sarà disseminato di cadaveri economici>.

[Una prospettiva non esaltante, specie per noi europei].

Il nuovo libro di Michael Hudson, The Destiny of Civilization, sarà pubblicato da CounterPunch Books il mese prossimo.

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Il vero Zelensky : da celebrità populista all’impopolare neoliberista in stile Pinochet

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L’accademica ucraina Olga Baysha descrive nei dettagli l’abbraccio di Volodymyr Zelensky alle politiche neoliberali ampiamente detestate, la sua repressione dei rivali e il modo in cui le sue azioni hanno alimentato l’attuale guerra con la Russia.

Riproduciamo il testo dell’articolo/intervista di Natylie Baldwin apparso su Grayzone con lo stesso titolo,che getta luce anche sulla politica e la società n Ucraina (i termini neoliberale e neoliberista sono usati indifferentemente, link originali, nostre le sottolineature)

Attore comico che nel 2019 è salito alla più alta carica del Paese, Volodymyr Zelensky era praticamente sconosciuto all’americano medio, se non forse come attore minore nel teatro dell’impeachment di Trump. Ma quando la Russia ha attaccato l’Ucraina il 24 febbraio 2022, Zelensky si è improvvisamente trasformato in una celebrità di primo piano nei media statunitensi. I consumatori americani di notizie sono stati bombardati da immagini di un uomo che appariva sopraffatto dai tragici eventi, forse in difficoltà, ma in definitiva simpatico. Non c’è voluto molto perché quell’immagine si evolvesse in quella di un eroe instancabile, vestito di kaki, che governa una piccola democrazia e che da solo riesce a tenere lontano i barbari dell’autocrazia dall’est.

Ma al di là dell’immagine accuratamente costruita dai media occidentali c’è qualcosa di molto più complicato e meno lusinghiero. Zelensky è stato eletto con il 73% dei voti grazie alla promessa di perseguire la pace, mentre il resto della sua piattaforma era vago. Alla vigilia dell’invasione, tuttavia, il suo indice di gradimento era sceso al 31% a causa del perseguimento di politiche profondamente impopolari.

L’accademica ucraina Olga Baysha, autrice di Democracy, Populism, and Neoliberalism in Ukraine: On the Fringes of the Virtual and the Real, ha studiato l’ascesa al potere di Zelensky e il modo in cui ha esercitato tale potere da quando è diventato presidente. Nell’intervista che segue, Baysha parla dell’abbraccio di Zelensky al neoliberismo e del crescente autoritarismo, di come le sue azioni abbiano contribuito all’attuale guerra, della sua leadership controproducente ed egocentrica durante la guerra, delle complesse visioni e identità culturali e politiche degli ucraini, della partnership tra i neoliberali e la destra radicale durante e dopo Maidan e della possibilità che una presa di controllo russa dell’intera regione del Donbass sia meno popolare tra la popolazione locale di quanto lo sarebbe stata nel 2014.

Ci parli un po’ del suo background.  Da dove viene e come si è interessata alla sua attuale area di studio?

Sono di etnia ucraina e sono nata a Kharkov, una città ucraina al confine con la Russia, dove vivono ancora mio padre e altri parenti. Prima dell’attuale guerra, Kharkov era uno dei principali centri educativi e scientifici dell’Ucraina. Gli abitanti della città sono orgogliosi di vivere nella “capitale intellettuale” dell’Ucraina. Nel 1990 vi è stata fondata la prima società televisiva libera dal controllo dei partiti e presto è andato in onda il suo primo notiziario. A quel tempo mi ero già laureata all’Università di Kharkov e un giorno fui invitata a lavorare come giornalista in questo programma da un compagno di università. Il giorno dopo, senza alcuna esperienza precedente, ho iniziato a fare la giornalista. Nel giro di un paio di mesi sono diventata presentatrice del telegiornale. La mia carriera fulminante non è stata un’eccezione.

I nuovi media incontrollati, il cui numero aumentava a dismisura ogni giorno, richiedevano sempre più lavoratori nel settore dei media. Nella stragrande maggioranza dei casi si trattava di giovani ambiziosi senza alcuna formazione giornalistica o esperienza di vita. Ciò che ci univa era il desiderio di occidentalizzazione, la mancanza di comprensione delle contraddizioni sociali che caratterizzano la transizione post-sovietica e la sordità alle preoccupazioni dei lavoratori che si opponevano alle riforme. Ai nostri occhi, questi ultimi erano “retrogradi”: non capivano cosa fosse la civiltà. Ci vedevamo come un’avanguardia rivoluzionaria e come riformatori progressisti scelti. Siamo stati noi – lavoratori dei media – a creare un ambiente favorevole alla neoliberalizzazione dell’Ucraina, presentata come occidentalizzazione e civilizzazione, con tutte le conseguenze disastrose per la società che hanno portato. Solo anni dopo me ne sono resa conto.

Più tardi, mentre supervisionavo la produzione di documentari storici in una società televisiva di Kiev, ho riconosciuto che la mitologia del progresso storico unidirezionale e dell’inevitabilità dell’occidentalizzazione per i “barbari” forniva un terreno ideologico per gli esperimenti neoliberali non solo negli Stati ex sovietici, ma in tutto il mondo. È questo interesse per l’egemonia globale dell’ideologia dell’occidentalizzazione che mi ha portato prima al programma di dottorato in studi critici sui media presso l’Università del Colorado a Boulder e poi alla ricerca che sto conducendo ora.

Secondo il lavoro accademico di alcuni sociologi ucraini, nel recente passato i sondaggi mostravano che la maggior parte degli ucraini non era molto interessata alla questione dell’identità, ma era più preoccupata di questioni come il lavoro, i salari e i prezzi. Il suo lavoro si concentra molto sulle riforme neoliberali attuate in Ucraina dal 2019 – contro il sentimento popolare. Può dirci qual è il punto di vista della maggior parte degli ucraini sulle questioni economiche e perché?

Negli ambienti sociali in cui ho vissuto – l’est dell’Ucraina, la Crimea e Kiev – c’erano pochissime persone interessate alla questione dell’identità etnica. Non sottolineo invano “i miei ambienti sociali”. L’Ucraina è un Paese complesso e diviso, con il suo estremo oriente ei l suo estremo occidente che hanno opinioni diametralmente opposte su tutte le questioni socialmente rilevanti. Dalla dichiarazione di indipendenza dell’Ucraina nel 1991, due idee di identità nazionale si sono confrontate in Ucraina: “etnia ucraina” e “slava orientale”. L’idea nazionale etnica ucraina, basata sull’idea che la cultura, la lingua e la storia ucraina, incentrate sull’etnia, debbano essere le forze integranti dominanti dello Stato nazionale ucraino, è stata molto più popolare nella parte occidentale dell’Ucraina. L’idea slava orientale, che prevede che la nazione ucraina sia fondata su due gruppi etnici, lingue e culture primarie – ucraino e russo – è stata accettata come normale nel sud-est ucraino. Tuttavia, in generale, posso concordare sul fatto che la maggior parte degli ucraini è molto più interessata alle questioni economiche, come è sempre stato.

In effetti, l’indipendenza dell’Ucraina del 1991 è stata in larga misura anche una questione economica. Molti ucraini hanno appoggiato l’idea del divorzio politico dalla Russia perché si aspettavano che l’Ucraina sarebbe stata meglio dal punto di vista economico, come promettevano i volantini propagandistici. Questa speranza economica non si è realizzata. Per molti versi, il crollo dell’Unione Sovietica ha cambiato radicalmente in peggio la vita delle persone a causa della neo-liberalizzazione dell’Ucraina – la commercializzazione della sfera sociale e la rovina dello stato sociale (welfare) sovietico.

Che dire delle riforme neoliberali avviate da Zelensky? Si può giudicare la loro popolarità dai sondaggi d’opinione – fino al 72% degli ucraini non ha sostenuto la sua riforma agraria, il fiore all’occhiello del programma neoliberale di Zelensky. Dopo che il suo partito l’ha approvata nonostante l’indignazione della gente, il rating di Zelensky è sceso dal 73% della primavera 2019 al 23% del gennaio 2022. Il motivo è semplice: un profondo senso di tradimento. Nella sua piattaforma elettorale non ufficiale – lo spettacolo “Servo del popolo” – Zelesnky-Holoborodko [Holoborodko era il personaggio di Zelensky nella serie televisiva – NB] aveva promesso che se avesse potuto governare il Paese per una sola settimana, avrebbe “fatto vivere l’insegnante come il presidente, e il presidente come l’insegnante”. Per usare un eufemismo, questa promessa non è stata mantenuta. La gente si è resa conto di essere stata ingannata ancora una volta: le riforme sono state realizzate nell’interesse non degli ucraini ma del capitale globale.

In che misura pensa che la priorità della sicurezza economica rispetto alle questioni identitarie sia cambiata con l’invasione russa?  Come pensa che si risolverà la fortuna politica dei nazionalisti/ultranazionalisti rispetto ai moderati o alla sinistra?

È una domanda interessante. Da un lato, la priorità della gente ora è sopravvivere, il che rende la sicurezza la preoccupazione principale. Per salvarsi la vita, milioni di ucraini, tra cui mia madre e mia sorella con figli, hanno lasciato l’Ucraina per l’Europa. Molti di loro sono pronti a rimanere lì per sempre, a imparare lingue straniere e ad adottare uno stile di vita straniero: tutti questi sviluppi non possono certo dare priorità alle preoccupazioni legate all’identità. D’altra parte, però, è evidente anche l’intensificazione dei sentimenti etnici e il consolidamento della nazione di fronte all’invasione. Lo posso giudicare dalle discussioni pubbliche sui social media: alcuni kharkoviani che conosco personalmente hanno persino iniziato a scrivere post in lingua ucraina, che non avevano mai usato prima, per sottolineare la loro identità nazionale e segnalare che sono contrari a qualsiasi invasione straniera.

Questo è un altro aspetto tragico di questa guerra. La rivoluzione di Maidan del 2014, che molte persone nel sud-est non hanno sostenuto, ha trasformato queste persone in “schiavi”, “sovki” e “vatniki” – termini dispregiativi per indicare la loro arretratezza e barbarie. È così che i rivoluzionari di Maidan, che si consideravano la forza progressista della storia, vedevano gli “altri” anti-Maidan a causa della loro adesione alla lingua e alla cultura russa. Mai e poi mai questa popolazione filorussa avrebbe potuto immaginare che la Russia avrebbe bombardato le loro città e rovinato le loro vite. La tragedia di queste persone è duplice: prima il loro mondo è stato rovinato simbolicamente dal Maidan, ora viene distrutto fisicamente dalla Russia.

Gli esiti di questi sviluppi non sono chiari, così come non è chiaro come finirà la guerra. Se le regioni sudorientali rimarranno in Ucraina, la rovina di tutto ciò che resiste al nazionalismo aggressivo sarà molto probabilmente completata. Sarà probabilmente la fine di questa singolare cultura di confine che non ha mai voluto essere né completamente ucrainizzata né russificata. Se la Russia stabilirà il controllo su queste regioni, come si vanta ora, non riesco a prevedere come affronterà il risentimento di massa – almeno nelle città che sono state danneggiate in modo significativo, come a Kharkov.

Passando a Zelensky nello specifico, una cosa che lei sottolinea nel suo libro è come Zelensky sia stato una sorta di pifferaio magico, in quanto ha usato la sua celebrità e le sue doti di attore per convincere la gente a sostenerlo in nome di un’agenda vaga e positiva (pace, democrazia, progresso, lotta alla corruzione), ma che in realtà ha oscurato un’altra agenda che non sarebbe stata popolare, nello specifico un’agenda economica neoliberista.  Può parlare di come ha fatto, come ha condotto la sua campagna elettorale e quali sono state le sue priorità una volta entrato in carica?

L’argomentazione di base presentata nel mio recente libro è che la sorprendente vittoria di Zelensky e del suo partito, poi trasformato in una macchina parlamentare per sfornare e approvare riforme neoliberiste (in un “turbo regime”, come lo chiamavano loro), non può essere spiegata se non con il successo della sua serie televisiva, che, come molti osservatori ritengono, è servita come piattaforma elettorale informale di Zelensky. A differenza del suo programma ufficiale, che era lungo solo 1.601 parole e conteneva poche specifiche politiche, i 51 episodi di mezz’ora del suo show hanno fornito agli ucraini una visione dettagliata di ciò che dovrebbe essere fatto per far progredire l’Ucraina.

Il messaggio trasmesso da Zelensky agli ucraini attraverso il suo show è chiaramente populista. Il popolo ucraino viene dipinto come una totalità non problematica, priva di spaccature interne, da cui sono esclusi solo gli oligarchi e i politici/funzionari corrotti. Il Paese diventa sano solo dopo essersi liberato degli oligarchi e dei loro burattini. Alcuni di loro vengono imprigionati o fuggono dal Paese; le loro proprietà vengono confiscate senza alcun riguardo per la legalità. In seguito, il presidente Zelensky farà lo stesso con i suoi rivali politici.

È interessante notare che la serie ignora il tema della guerra del Donbass, scoppiata nel 2014, un anno prima dell’inizio della trasmissione. Poiché il Maidan e le relazioni tra Russia e Ucraina sono temi molto divisivi nella società ucraina, Zelensky li ha ignorati per non mettere a rischio l’unità della sua nazione virtuale, dei suoi spettatori e, in ultima analisi, dei suoi elettori.

Le promesse elettorali di Zelensky, fatte ai margini del virtuale e del reale, riguardavano prevalentemente il “progresso” dell’Ucraina, inteso come “modernizzazione”, “occidentalizzazione”, “civilizzazione” e “normalizzazione”. È questo discorso di modernizzazione progressiva che ha permesso a Zelensky di camuffare i suoi piani di riforme neoliberali, lanciati appena tre giorni dopo l’insediamento del nuovo governo. Per tutta la campagna elettorale, l’idea di “progresso” evidenziata da Zelensky non è mai stata collegata a privatizzazioni, vendite di terreni, tagli di bilancio, ecc. Solo dopo che Zelensky ha consolidato il suo potere presidenziale stabilendo il pieno controllo sui rami legislativo ed esecutivo del potere, ha chiarito che la “normalizzazione” e la “civilizzazione” dell’Ucraina significavano la privatizzazione della terra e della proprietà statale/pubblica, la deregolamentazione dei rapporti di lavoro, la riduzione del potere dei sindacati, l’aumento delle tariffe dei servizi e così via.

Lei ha sottolineato che molti stranieri sono stati nominati a importanti cariche economiche e sociali dopo il colpo di Stato del 2014 e prima del mandato di Zelensky. Allo stesso modo, molti dei funzionari di Zelensky hanno stretti legami con le istituzioni neoliberali globali e lei ha suggerito che ci sono prove del fatto che essi manipolano Zelensky, che ha una comprensione non sofisticata dell’economia/finanza. Può discutere questo aspetto delle ramificazioni del cambio di governo filo-occidentale del 2014?  Quali sono gli interessi più grandi in gioco e hanno in mente gli interessi della popolazione ucraina in generale?

Sì, il cambio di potere di Maidan nel 2014 ha segnato l’inizio di un’era completamente nuova nella storia dell’Ucraina in termini di influenza occidentale sulle sue decisioni sovrane. A dire il vero, da quando l’Ucraina ha dichiarato la propria indipendenza nel 1991, questa influenza è sempre esistita. Camera di commercio americana, Centro per le relazioni USA-Ucraina, Consiglio d’affari USA-Ucraina, Associazione imprenditoriale europea, FMI, EBDR, OMC, UE: tutte queste istituzioni di lobby e di regolamentazione hanno influenzato in modo significativo le decisioni politiche ucraine.

Tuttavia, nella storia dell’Ucraina precedente al Maidan, il Paese non aveva mai nominato cittadini stranieri per ricoprire incarichi ministeriali di primo piano: ciò è diventato possibile solo dopo il Maidan. Nel 2014, Natalie Jaresko, cittadina statunitense, è stata nominata Ministro delle Finanze ucraino, Aivaras Abromavičius, cittadino lituano, è diventato Ministro dell’Economia e del Commercio ucraino, Alexander Kvitashvili, cittadino georgiano, Ministro della Sanità. Nel 2016, Ulana Suprun, cittadina statunitense, è stata nominata Ministro della Sanità ad interim. Altri stranieri hanno assunto cariche di rango inferiore. Inutile dire che tutte queste nomine non sono frutto della volontà degli ucraini, ma delle raccomandazioni delle istituzioni neoliberali globali, il che non sorprende se si considera che lo stesso Maidan non è stato sostenuto da metà della popolazione ucraina.

Come già detto, la maggior parte di questi “altri” anti-Maidan risiede nelle regioni sud-orientali. Più si guardava a est, più forte e unificato era il rifiuto del Maidan e della sua agenda europea. Più del 75% di coloro che vivono negli oblast di Donetsk e Luhansk (due regioni orientali dell’Ucraina prevalentemente popolate da russofoni) non hanno sostenuto il Maidan, mentre solo il 20% degli abitanti della Crimea lo ha appoggiato.

Questi dati statistici, forniti dall’Istituto di Sociologia di Kiev nell’aprile 2014, non hanno impedito alle istituzioni di potere occidentali di sostenere che il Maidan fosse la rivolta del “popolo ucraino” presentato come una totalità non problematica – un trucco ideologico molto potente. Visitando la piazza Maidan e incoraggiando i suoi rivoluzionari a protestare, i membri della “comunità internazionale” hanno mancato di rispetto a milioni di ucraini che sostenevano opinioni contrarie al Maidan, contribuendo così all’escalation del conflitto civile, che alla fine ha portato al disastro che stiamo osservando impotenti oggi.

E gli interessi stranieri investiti nella neoliberalizzazione dell’Ucraina, portata avanti in nome del popolo ucraino? Sono diversi, ma dietro la riforma agraria, che ho analizzato attentamente, c’erano lobby finanziarie occidentali. I fondi pensione e i fondi di investimento occidentali volevano investire denaro che si stava deprezzando. Alla ricerca di attività in cui investire, hanno chiesto il sostegno del FMI, della Banca Mondiale, della BERS e di vari gruppi di pressione per promuovere i loro interessi e preparare tutte le basi necessarie. Tutto ciò non ha nulla a che vedere con gli interessi degli ucraini, ovviamente.

Come si è comportato Zelensky in materia di democrazia – libertà di parola e di stampa, pluralismo politico e trattamento dei diversi partiti politici? Come si colloca rispetto ai precedenti presidenti dell’Ucraina post-sovietica?

Sono d’accordo con Jodi Dean che sostiene che la democrazia è una fantasia neoliberale, nel senso che non può esistere in sistemi di governo neoliberali controllati non da persone ma da istituzioni sovranazionali. Come già detto, questo è diventato particolarmente evidente dopo il Maidan, quando i ministri degli Esteri sono stati nominati da queste istituzioni per presentare i loro interessi in Ucraina. Tuttavia, nel suo zelo riformatore, Zelensky è andato oltre. All’inizio del febbraio 2021, i primi tre canali televisivi di opposizione – NewsOne, Zik e 112 Ukraine – sono stati chiusi. Un altro canale di opposizione, Nash, è stato bandito all’inizio del 2022, prima dell’inizio della guerra. Dopo lo scoppio della guerra, a marzo, sono stati arrestati decine di giornalisti, blogger e analisti indipendenti; la maggior parte di loro è di sinistra. Ad aprile sono stati chiusi anche i canali televisivi di destra, Canale 5 e Pryamiy. Inoltre, Zelensky ha firmato un decreto che obbliga tutti i canali ucraini a trasmettere un unico telethon, presentando solo un punto di vista filogovernativo sulla guerra.

Tutti questi sviluppi non hanno precedenti nella storia dell’Ucraina indipendente. I sostenitori di Zelensky sostengono che tutti gli arresti e i divieti dei media dovrebbero essere cancellati per ragioni di opportunità militare, ignorando il fatto che le prime chiusure dei media sono avvenute un anno prima dell’invasione russa. Per quanto mi riguarda, Zelensky usa questa guerra solo per rafforzare le tendenze dittatoriali all’interno del suo regime di governo, che ha iniziato a formarsi subito dopo l’ascesa al potere di Zelensky, quando ha creato una macchina partitica per controllare il parlamento e imporre riforme neoliberiste senza tener conto dell’umore dell’opinione pubblica.

Il Consiglio di Sicurezza e Difesa Nazionale (NSDC) è stato utilizzato da Zelensky nel 2021 per sanzionare alcune persone, soprattutto rivali politici.  Può spiegare cos’è il NSDC e perché Zelensky faceva questo e se era legale o meno.

Dopo il crollo del suo sostegno popolare nel 2021, Zelensky ha avviato un processo incostituzionale di sanzioni extragiudiziali contro i suoi avversari politici, imposte dal Consiglio di sicurezza e difesa nazionale (NSDC). Queste sanzioni hanno comportato il sequestro extragiudiziale di proprietà senza alcuna prova di attività illegali delle persone fisiche e giuridiche interessate. Tra i primi a essere sanzionati dall’NSDC sono stati due deputati della Piattaforma di opposizione “Per la vita” (OPZZh) – Victor Medvedchuk (poi arrestato e mostrato in TV con il volto picchiato dopo l’interrogatorio) e Taras Kozak (riuscito a fuggire dall’Ucraina), oltre ai membri delle loro famiglie. Ciò è avvenuto nel febbraio 2021; nel marzo 2022 sono stati messi al bando 11 partiti di opposizione. Le decisioni di bandire i partiti di opposizione e di sanzionare i leader dell’opposizione sono state prese dal NSDC e sono state attuate con decreti presidenziali.

La Costituzione ucraina stabilisce che il Consiglio di sicurezza e difesa nazionale è un organo di coordinamento: “coordina e controlla l’attività degli organi del potere esecutivo nella sfera della sicurezza e della difesa nazionale”. Questo non ha nulla a che vedere con il perseguire gli oppositori politici e confiscare le loro proprietà, cosa che l’NSDC fa dal 2021. Va da sé che questo know-how del regime di Zelensky è incostituzionale: solo i tribunali possono decidere chi è colpevole o meno e confiscare le proprietà. Ma il problema è che i tribunali ucraini si sono rivelati impreparati a servire come burattini di Zelensky. Dopo che il capo della Corte Costituzionale ucraina Oleksandr Tupytskyi ha definito le riforme incostituzionali di Zelensky un “colpo di Stato”, Zelensky non ha potuto fare altro che affidarsi all’NSDC per portare avanti le sue politiche impopolari. E il “dissidente” Tupytskyi?  Il 27 marzo 2021 – anche in violazione della Costituzione ucraina – Zelensky ha firmato un decreto che annulla la sua nomina a giudice del tribunale.

Sotto il governo di Stalin, il Commissariato del Popolo per gli Affari Interni (NKVD) creava le “troike” per emettere sentenze contro le persone dopo indagini semplificate e rapide e senza un processo pubblico ed equo. Quello che osserviamo nel caso dell’NSDC è uno sviluppo molto simile, solo che i processi incostituzionali dell’NSDC hanno un numero maggiore di partecipanti: tutte le figure chiave dello Stato, tra cui il presidente, il primo ministro, il capo dei servizi di sicurezza ucraini, il procuratore generale dell’Ucraina, ecc. Una riunione dell’NSDC può decidere i destini di centinaia di persone. Solo nel giugno 2021, Zelensky ha reso effettiva una decisione del NSDC di imporre sanzioni contro 538 persone e 540 aziende.

Vorrei chiederle della lista “Peacemaker” (Myrotvorets) che, secondo quanto riferito, è affiliata al governo ucraino e ai servizi segreti SBU.  A quanto mi risulta, si tratta di una lista di “nemici dello Stato” e pubblica le informazioni personali di tali nemici.  Molti di coloro che vi comparivano sono stati successivamente uccisi.  Può parlare di questa lista, di come le persone vi finiscono e di come si inserisce in un governo che ci è stato detto essere democratico?

Il sito web nazionalista Myrotvorets è stato lanciato nel 2015 “da un deputato del popolo che ricopre una posizione di consigliere del Ministero degli Interni dell’Ucraina” – così lo descrive il rapporto delle Nazioni Unite. Il nome di questo deputato del popolo è Anton Gerashchenko, ex consigliere dell’ex ministro degli Interni Arsen Avakov. È sotto il patrocinio di Avakov che nel 2014 sono stati creati battaglioni punitivi nazionalisti da inviare nel Donbass per reprimere la resistenza popolare contro il Maidan. Myrotvorets fa parte della strategia generale di intimidazione degli oppositori del colpo di Stato. Qualsiasi “nemico del popolo” – chiunque osi esprimere pubblicamente opinioni anti-Maidan o sfidare l’agenda nazionalista dell’Ucraina – può essere inserito in questo sito web. Anche gli indirizzi di Oles Buzina, un famoso pubblicista [giornalista], ucciso dai nazionalisti vicino al suo appartamento a Kiev, e di Oleg Kalashnikov, un deputato dell’opposizione ucciso dai nazionalisti nella sua casa, erano su Myrotvorets, che ha aiutato gli assassini a trovare le loro vittime. I nomi degli assassini sono noti, ma non sono stati incarcerati perché nell’Ucraina contemporanea, la cui vita politica è controllata dai radicali, sono considerati eroi.

Il sito non è stato chiuso nemmeno dopo uno scandalo internazionale, quando Myrotvorets ha pubblicato i dati personali di noti politici stranieri, tra cui l’ex cancelliere tedesco Gerhard Schröder. Ma, a differenza di Schröder che risiede in Germania, migliaia di ucraini i cui dati sono presenti su Myrotvorets non possono sentirsi al sicuro. Tutte le persone arrestate nel marzo 2022 erano state anche su Myrotvorets. Alcuni di loro li conosco personalmente: Yuri Tkachev, l’editore del quotidiano di Odessa Timer e Dmitry Dzhangirov, l’editore di Capital, un canale YouTube.

Molti di coloro i cui nomi sono presenti su Myrotvorets sono riusciti a fuggire dall’Ucraina dopo il Maidan; alcuni sono riusciti a farlo dopo gli arresti di massa di marzo. Uno di loro è Tarik Nezalezhko, collega di Dzhangirov. Il 12 aprile 2022, essendo già al sicuro fuori dall’Ucraina, ha pubblicato un post su YouTube, definendo il Servizio di sicurezza ucraino “Gestapo” e dando consigli ai suoi spettatori su come evitare di essere catturati dai suoi agenti.

Detto questo, l’Ucraina non è un Paese democratico. Più osservo ciò che sta accadendo in quel Paese, più penso al percorso di modernizzazione di Augusto Pinochet, che, di fatto, è ammirato dai nostri neoliberisti. Per un lungo periodo di tempo, i crimini del regime di Pinochet non sono stati indagati. Ma alla fine l’umanità ha scoperto la verità. Spero solo che in Ucraina questo accada prima.

L’accademico ucraino Volodymyr Ishchenko ha dichiarato in una recente intervista a NLR che, a differenza dell’Europa occidentale, nell’Europa orientale post-sovietica esiste una maggiore collaborazione tra nazionalismo e neoliberismo. Questo è stato osservato anche nel Donbass tra i più abbienti. È d’accordo con questa affermazione?  Se sì, può spiegare come si è evoluta questa combinazione?

Sono d’accordo con Volodymyr. Quello che osserviamo in Ucraina è un’alleanza tra nazionalisti e liberali basata sulla comune intolleranza verso la Russia e, rispettivamente, verso tutti coloro che sostengono la cooperazione con essa. Alla luce dell’attuale guerra, questa unità di liberali e nazionalisti può apparire giustificata. Tuttavia, l’alleanza è stata creata molto prima di questa guerra, nel 2013, durante la formazione del movimento Maidan. Per i liberali, l’accordo di associazione con l’Unione Europea, sostenuto dal Maidan, è stato visto prevalentemente in termini di democratizzazione, modernizzazione e civilizzazione: è stato immaginato come un mezzo per portare l’Ucraina agli standard di governo europei. Al contrario, l’Unione economica eurasiatica, guidata dalla Russia, è stata associata alla regressione della civiltà verso lo statalismo sovietico e il dispotismo asiatico. È qui che le posizioni dei liberali e dei nazionalisti convergono: Questi ultimi hanno sostenuto attivamente il Maidan non per la democratizzazione, ma per la sua chiara posizione anti-Russia.

Fin dai primi giorni delle proteste, i nazionalisti radicali sono stati i più attivi combattenti del Maidan. L’unità tra i liberali che associavano l’Euromaidan al progresso, alla modernizzazione, ai diritti umani, ecc. e i radicali che cooptavano il movimento per la loro agenda nazionalistica è stato un prerequisito importante per la trasformazione della protesta civica in una lotta armata che ha portato a un rovesciamento incostituzionale del potere. Il ruolo decisivo dei radicali nella rivoluzione è diventato anche un fattore cruciale nella formazione di un movimento di massa anti-Maidan nell’est dell’Ucraina contro il “colpo di Stato”, come il discorso egemonico anti-Maidan ha definito il cambio di potere a Kiev. Almeno in parte, quello che osserviamo oggi è il tragico risultato di questa alleanza miope e sfortunata, formatasi durante il Maidan.

Può spiegare qual è stato il rapporto di Zelensky con l’estrema destra ucraina?

Zelensky stesso non ha mai espresso opinioni di estrema destra. Nella sua serie “Servo del popolo”, che è stata utilizzata come piattaforma elettorale non ufficiale, i nazionalisti ucraini sono ritratti in modo negativo: appaiono solo come stupide marionette degli oligarchi. Come candidato alla presidenza, Zelensky ha criticato la legge sulla lingua firmata dal suo predecessore Poroshenko, che ha reso la conoscenza della lingua ucraina un requisito obbligatorio per i dipendenti pubblici, i soldati, i medici e gli insegnanti. “Dobbiamo avviare e adottare leggi e decisioni che consolidino la società, e non viceversa”, ha affermato Zelensky-candidato nel 2019.

Tuttavia, dopo aver assunto l’incarico presidenziale, Zelensky si è dedicato all’agenda nazionalistica del suo predecessore. Il 19 maggio 2021, il suo governo ha approvato un piano d’azione per la promozione della lingua ucraina in tutte le sfere della vita pubblica, rigorosamente in linea con la legge linguistica di Poroshenko, per la gioia dei nazionalisti e lo sgomento dei russofoni. Zelensky non ha fatto nulla per perseguire i radicali per tutti i loro crimini contro gli oppositori politici e la popolazione del Donbass. Il simbolo della trasformazione a destra di Zelensky è stato il suo appoggio al nazionalista Medvedko – uno degli accusati dell’omicidio di Buzina – che ha approvato pubblicamente il divieto di Zelensky di trasmettere i canali di opposizione in lingua russa nel 2021.

La domanda è: perché? Perché Zelenskij ha fatto un’inversione di rotta verso il nazionalismo, nonostante le speranze della gente di perseguire una politica di riconciliazione? Secondo molti analisti, ciò è dovuto al fatto che i radicali, pur rappresentando una minoranza della popolazione ucraina, non esitano a usare la forza contro i politici, i tribunali, le forze dell’ordine, gli operatori dei media e così via – in altre parole, sono semplicemente bravi a intimidire la società, compresi tutti i rami del potere. I propagandisti possono ripetere il mantra “Zelensky è un ebreo, quindi non può essere un nazista” tutte le volte che vogliono, ma la verità è che i radicali controllano il processo politico in Ucraina attraverso la violenza contro coloro che osano confrontarsi con i loro programmi nazionalistici e suprematisti. Il caso di Anatoliy Shariy – uno dei più popolari blogger ucraini che vive in esilio – è un buon esempio per illustrare questo punto. Non solo lui, insieme ai suoi familiari, riceve costantemente minacce di morte, ma i radicali intimidiscono costantemente gli attivisti del suo partito (bandito da Zelensky nel marzo 2022), picchiandoli e umiliandoli. Questo è ciò che i radicali ucraini chiamano “safari politico”.

In questo momento, Zelensky è la figura più influente sulla scena mondiale per quanto riguarda un conflitto che ha gravi implicazioni se si inasprisce. Mi preoccupa il fatto che stia usando le stesse abilità manipolatorie dello show biz per raccogliere consensi dietro l’immagine di una qualche incarnazione personale della democrazia e della rettitudine contro le forze del male e dell’autocrazia. È come un film basato sul mondo dei fumetti Marvel. È proprio il tipo di inquadratura che sembra antitetica alla diplomazia. Pensa che Zelensky stia svolgendo un ruolo costruttivo come leader di guerra dell’Ucraina o no?

Seguo regolarmente i discorsi di guerra di Zelensky e posso dire con certezza che il modo in cui inquadra il conflitto difficilmente può portare a una risoluzione diplomatica, poiché ripete costantemente che le forze del bene sono attaccate dalle forze del male. È chiaro che non ci può essere una soluzione politica per un simile Armageddon. Ciò che esce da questo quadro di riferimento mitico per la guerra è il contesto più ampio della situazione: il fatto che da anni l’Ucraina si rifiuta di attuare gli accordi di pace di Minsk, firmati nel 2015 dopo la sconfitta dell’esercito ucraino nella guerra del Donbass. Secondo questi accordi, il Donbass doveva ricevere un’autonomia politica all’interno dell’Ucraina – un punto inconcepibile e inaccettabile per i radicali. Invece di attuare il documento, ratificato dalle Nazioni Unite, Kiev ha combattuto con il Donbass lungo la linea di demarcazione per otto lunghi anni. La vita degli ucraini che vivono in questi territori si è trasformata in un incubo. Per i radicali, i cui battaglioni hanno combattuto in quei territori, gli abitanti del Donbass – immaginati come sovki e vatniki – non meritano pietà e indulgenza.

L’attuale guerra è un prolungamento di quella del 2014, iniziata quando Kiev ha inviato truppe nel Donbass per reprimere la ribellione anti-Maidan con la premessa della cosiddetta “operazione antiterrorismo”. Il riconoscimento di questo contesto più ampio non presuppone l’approvazione dell'”operazione militare” della Russia, ma implica il riconoscimento che anche l’Ucraina è responsabile di quanto sta accadendo. Inquadrare la questione della guerra in corso in termini di lotta della civiltà contro la barbarie o della democrazia contro l’autocrazia non è altro che una manipolazione, essenziale per comprendere la situazione. La formula di Bush “o siete con noi o con i terroristi”, propagandata da Zelensky nei suoi appelli al “mondo civilizzato”, si è rivelata molto comoda per evitare la responsabilità personale del disastro in corso.

Per vendere al mondo questa storia unidimensionale, le capacità artistiche di Zelensky appaiono inestimabili. Finalmente è sul palcoscenico globale e il mondo lo applaude. L’ex comico non cerca nemmeno di nascondere la sua soddisfazione. Rispondendo alla domanda di un giornalista francese il 5 marzo 2022 – il decimo giorno dell’invasione russa – su come fosse cambiata la sua vita con l’inizio della guerra, Zelensky ha risposto con un sorriso di gioia: “Oggi la mia vita è bella. Credo di essere necessario. Sento che è il significato più importante della vita: essere necessari. Sentire che non sei solo un vuoto che respira, cammina e mangia qualcosa. Si vive”.

Per me questa costruzione è allarmante: implica che Zelensky gode dell’opportunità unica di esibirsi su un palcoscenico globale offerta dalla guerra. Essa ha reso la sua vita bella; egli vive. Al contrario di milioni di ucraini la cui vita non è affatto bella e di migliaia di quelli che non sono più vivi.

Alexander Gabuev ha suggerito che la leadership russa ha una mancanza di competenza sul Paese che ha contribuito a questo conflitto.  Ho anche sentito commentatori russi suggerire che l’Ucraina ha un atteggiamento di superiorità nei confronti dei filo-occidentali rispetto ai filo-russi. Ritiene che questo sia un fattore significativo per entrambe le parti?

Sono propensa a concordare con l’affermazione relativa alla mancanza di un’adeguata comprensione da parte della leadership russa dei processi sociali in atto in Ucraina dopo il Maidan. In effetti, metà della popolazione ucraina non l’ha accolto con favore e milioni di persone che vivono nel sud-est volevano che la Russia intervenisse. Lo so per certo perché tutti i miei parenti e vecchi amici risiedono in questi territori. Tuttavia, ciò che era vero nel 2014 potrebbe non esserlo più. Sono passati otto anni, è cresciuta una nuova generazione di giovani, cresciuta in un nuovo ambiente sociale, e molte persone si sono semplicemente abituate a nuove realtà. Infine, anche se la maggior parte di loro disprezza i radicali e la politica di ucrainizzazione, odia ancora di più la guerra. La realtà sul campo si è rivelata più complessa di quanto i decisori politici si aspettassero.

Che dire del senso di superiorità degli ucraini che si identificano con gli occidentali piuttosto che con i russi?

È vero e, per quanto mi riguarda, questa è la parte più tragica dell’intera storia post-Maidan, perché è proprio questo senso di superiorità che ha impedito alle forze “progressiste” pro-Maidan di trovare un linguaggio comune con i loro compatrioti “arretrati” pro-russi. Questo ha portato alla rivolta del Donbass, all'”operazione antiterrorismo” dell’esercito ucraino contro il Donbass, all’intervento della Russia, agli accordi di pace di Minsk, alla loro mancata realizzazione e, infine, alla guerra attuale.

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La guerra in Ucraina è cominciata PRIMA del 24 febbraio. Ma non lo si dice.

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La CIA e altri vantano la divulgazione di info di intelligence inaccurate e perfino false non solo come strumento di infowar ma soprattutto come mezzo per destabilizzare Putin, prevenire e ostacolare le sue mosse, modificare la sua campagna, oltre a impedire alla Russia di definire la percezione della guerra nel mondo. Lo scrive un recente articolo di NBCnews. Un metodo copiato da Israele, suggerisce @ItalianPolitics.

Un paio di esempi: l’uso di agenti chimici che Mosca stava preparando, secondo Biden, smentite a NBCnews da funzionari intel. L’uscita dei russi da Kiev, non ritirata ma riposizionamento strategico verso sud est secondo l’interpretazione di Jack Sullivan: è una mera ipotesi del capo della National Security.

Ma il principale vanto degli US, scrive NBCnews, è aver “rivelato” in anticipo, e per settimane, l’intenzione di Putin di invadere l’Ucraina (la Francia e molti altri, anche analisti non ci credevano) inducendo così Putin a ritardare l’inizio della sua operazione speciale, non i primi di gennaio ma a febbraio. Consentendo agli US di compattare gli alleati e prepararsi a quanto sarebbe accaduto.

A febbraio però Putin, che da dicembre aveva schierato larghe forze al confine ucraino ufficialmente per esercitazioni militari, ancora non si muoveva. Andava “stanato”, evidentemente. Ma come? E’ sempre NBCnews a scrivere che ben prima del 24 febbraio gli US erano pronti ad affermare di essere a conoscenza di un attacco russo false flag in Donbass per giustificare l’invasione: “l’intelligence preparava addirittura un video, che tuttavia poi non si è mai materializzato”.

Forse perché un attacco c’è stato davvero, anzi più d’uno. E non un pretestuoso false flag ma veri e ripetuti attacchi al Donbass da parte ucraina a partire dal 16 febbraio, che hanno innescato il conflitto.

A raccontare questi precedenti, ignorati da analisti e media, è Jaques Baud, ex colonnello dei servizi strategici svizzeri specialista in Est Europa ex, ONU, ex NATO per la quale ha seguito gli avvenimenti ucraini dal 2014, nonché autore di libri. In un documentato lungo articolo  di fine marzo in cui si propone proprio di far luce su tante questioni, facendo emergere fatti ignorati/trascurati finanche da esperti vari. 

L’innesco della guerra è preceduto da una serie di precisazioni non da poco sulle radici del conflitto compresi gli accordi di Minsk mai applicati da Kiev, e da importanti informazioni sull’esercito ucraino e la collaborazione della NATO. Le vedremo in uno o due post successivi. Concentriamoci ora sull’innesco della guerra lasciando la parola a Baud, che Grayzone.com ha intervistato  il 15 aprile per discutere le sue prese di posizione. Titolo dell’intervista: US, EU sacrificing Ukraine to ‘weaken Russia’: fmr. NATO adviser

L’INNESCO della guerra.

Dal novembre 2021 – scrive Baud – gli americani hanno costantemente brandito la minaccia di un’invasione russa contro l’Ucraina. Tuttavia, gli ucraini non sembrano essere d’accordo. Come mai ? Dobbiamo risalire al 24 marzo 2021. Quel giorno Volodymyr Zelensky ha emesso un decreto  per la riconquista della Crimea e ha iniziato a schierare le sue forze verso il sud del Paese.

Contemporaneamente, vengono condotte diverse esercitazioni NATO tra il Mar Nero e il Mar Baltico, accompagnate da un aumento significativo dei voli di ricognizione lungo il confine russo. La Russia conduce quindi a sua volta alcune esercitazioni per testare la prontezza operativa delle sue truppe e dimostrare che sta seguendo l’evolversi della situazione. Le cose si calmano fino a ottobre-novembre con la fine delle esercitazioni ZAPAD 21, i cui movimenti di truppe vengono interpretati a occidente come un rinforzo per un’offensiva contro l’Ucraina. Eppure anche le autorità ucraine confutano l’idea dei preparativi russi per una guerra e Oleksiy Reznikov, ministro della Difesa ucraino, afferma che non ci sono stati cambiamenti al suo confine dalla primavera.

In violazione degli accordi di Minsk, l’Ucraina sta effettuando operazioni aeree nel Donbass utilizzando droni, compreso almeno un attacco contro un deposito di carburante a Donetsk nell’ottobre 2021. La stampa americana lo riprende, ma non gli europei e nessuno condanna le violazioni.

Finché, nel febbraio 2022, gli eventi precipitano. Il 7 febbraio, durante la sua visita a Mosca, Emmanuel Macron riafferma a Vladimir Putin il suo attaccamento agli accordi di Minsk, impegno che ripeterà dopo l’intervista con Volodymyr Zelensky il giorno successivo. Ma l’11 febbraio, a Berlino, dopo 9 ore di lavoro, l’incontro dei consiglieri politici dei leader del “Formato Normandiasi conclude, senza alcun risultato concreto: gli ucraini si rifiutano ancora e sempre di applicare gli accordi di Minsk, a quanto pare per via di pressioni da parte degli Stati Uniti.

Vladimir Putin si rende allora conto che Macron gli ha fatto vuote promesse e che l’Occidente non è pronto a far rispettare gli accordi, come fanno da otto anni . La stessa UE non ha mai mosso un dito per spingere in questa direzione, che avrebbe impedito la guerra.

Continuano intanto i preparativi ucraini nella zona di contatto. [E non è un caso se il 14 febbraio il Washington Post se ne esca con un articolo sui preparativi del Tiger Team dell’amministrazione americana, in corso da mesi, per fronteggiare  diversi scenari, fino a una invasione russa dell’Ucraina].

 Il parlamento russo è allarmato e il 15 febbraio chiede a Vladimir Putin di riconoscere l’indipendenza delle Repubbliche, cosa che lui rifiuta.

Il 17 febbraio, il presidente Joe Biden annuncia che la Russia attaccherà l’Ucraina nei prossimi giorni. Come fa a saperlo? Mistero… Ma dal 16, i bombardamenti di artiglieria delle popolazioni del Donbass stanno aumentando vertiginosamente, come dimostrano i rapporti quotidiani degli osservatori OSCE [grafico giorno per giorno riportato da Baud].

Naturalmente, né i media, né l’Unione Europea, né la NATO, né alcun governo occidentale reagisce e interviene. Si dirà più avanti che questa è disinformazione russa. In effetti, sembra che l’Unione Europea e alcuni paesi abbiano volutamente sorvolato sul massacro del popolo del Donbass, sapendo che avrebbe provocato l’intervento russo.

Nel frattempo si segnalavano atti di sabotaggio nel Donbass. Il 18 gennaio, i combattenti del Donbass intercettavano sabotatori equipaggiati con materiali occidentale e parlanti polacco che cercavano di creare incidenti chimici a Gorlivka. Potrebbero essere stati mercenari della CIA, guidati o “consigliati” da americani e composti da combattenti ucraini o europei, per compiere azioni di sabotaggio nelle Repubbliche del Donbass, scrive Baud.

Infatti, già dal 16 febbraio Joe Biden sa che gli ucraini hanno cominciato a bombardare le popolazioni civili del Donbass, mettendo Vladimir Putin di fronte a una scelta difficile: aiutare militarmente il Donbass e creare un problema internazionale o restare a guardare i russofoni del Donbass farsi schiacciare? Se decide di intervenire, Vladimir Putin può invocare l’obbligo internazionale di “Responsability To Protect” (R2P). Ma sa che qualunque sia la sua natura o portata, l’intervento scatenerà una pioggia di sanzioni. Pertanto, sia che il suo intervento sia limitato al Donbass o che vada oltre per fare pressione sugli occidentali per lo status [di neutralità] dell’Ucraina, il prezzo da pagare sarà lo stesso.

Questo è quanto Putin spiega durante il suo discorso del 21 febbraio. Quel giorno acconsente alla richiesta della Duma e riconosce l’indipendenza delle due Repubbliche del Donbass e firma con loro trattati di amicizia e assistenza. I bombardamenti dell’artiglieria ucraina sulle popolazioni del Donbass continuano e, il 23 febbraio, le due Repubbliche chiedono aiuti militari alla Russia. Il 24 febbraio Vladimir Putin invoca l’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, che prevede l’assistenza militare reciproca nel quadro di un’alleanza difensiva.

Per rendere l’intervento russo totalmente illegale agli occhi del pubblico [la narrazione mediatica] oscura deliberatamente il fatto che la guerra sia effettivamente iniziata il 16 febbraio. L’esercito ucraino si preparava ad attaccare il Donbass già nel 2021, come ben sapevano alcuni servizi di intelligence russi ed europei… Giudicheranno i giuristi.

GLI OBIETTIVI DI PUTIN

Nella sua allocuzione del 24 febbraio Putin annuncia i due obiettivi della sua operazione: <demilitarizzare> e <denazificare> l’Ucraina – scrive Baud e aggiunge: non si tratta quindi di impadronirsi dell’Ucraina e neppure, verosimilmente, di occuparla, tanto meno di distruggerla.

La pianificazione russa non è conosciuta nei dettagli ma -secondo Baud – lo svolgimento delle operazione permette di verificare come gli obiettivi si stanno traducendo a livello operativo:

Demilitarizzazione: – distruzione a terra di aviazione, sistemi di difesa aerea e di riconoscimento, – neutralizzazione delle strutture di comando e di intelligence(C31) e delle principali vie logistiche; – accerchiamento del grosso dell’armata ucraina nel su est del paese.

Denazificazione: distruzione  o neutralizzazione dei battaglioni di volontari che operano nelle città di Odessa, Kharkov e Mariupol nonché in diverse installazioni sul territorio. (…) [Di tali battaglioni nel contesto dell’esercito ucraino,parleremo nel prossimo post].

L’idea che la Russia cerchi di impadronirsi della capitale Kiev per eliminare Zelensky  proviene dagli Occidentali: sono loro che l’hanno fatto in Afghanistan, in Irak, in Libia ed è quel che volevano fare in Siria con l’aiuto dello Stato Islamico.   Ma Putin – secondo Baud – non ha mai avuto l’intenzione di abbattere o rovesciare Zelensky. La Russia al contrario cerca di mantenerlo al potere spingendolo a negoziare con l’accerchiamento di Kiev. Fino a quel momento aveva rifiutato di applicare gli accordi di Minsk, ora i Russi vogliono ottenere la neutralità dell’Ucraina.

Il fatto che i Russi continuino a cercare una soluzione negoziata pur continuando le operazioni militari [come accadeva in marzo] stupisce molti commentatori occidentali. Ma la spiegazione è nella concezione strategica russa, fin dai tempi dell’Urss: si può combattere e trattare contemporaneamente. (…)

Il rallentamento che i nostri esperti attribuiscono a una cattiva logistica non è che una conseguenza di aver raggiunto gli obiettivi prefissati. La Russia non sembra intenzionata ad impegnarsi in un’occupazione dell’intero territorio ucraino ma cerca di limitare la sua avanzata alla frontiera linguistica del paese .

I nostri media parlano di bombardamenti indiscriminati contro le popolazioni civili, in particolare a Kharkov e immagini dantesche vengono diffuse a iosa. E però Gonzalo Lira, un latino americano che vive lì ci presenta una città tranquilla il 10 marzo e l’11 marzo (links). Non si vede tutto, ma sembra indicare che non si tratta della guerra totale che vediamo sui nostri teleschermi.

Quanto alle Repubbliche del Donbass, hanno “liberato” i loro propri territori e combattono nella città di Mariupol (Baud si ferma a fine marzo).Apri il pannello di pubblicazione

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I tamponi molecolari non distinguono fra virus Covid e influenza?

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A insinuare il dubbio è stato sei mesi fa il CDC americano (Centers for Desease Control and Prevention), la massima autorità in materia negli Usa, annunciando che dopo il 31 dicembre 2021 avrebbe ritirato l’autorizzazione concessa in emergenza alla FDA nel febbraio 2020 al test diagnostico RT-PCR per il SARS-CoV-2. Ovvero quello che da noi viene comunemente detto “tampone molecolare”.

Il CDC si rivolgeva in anticipo ai laboratori di analisi affinché adottassero una delle alternative autorizzate alla FDA (link alla lista) e cominciassero la transizione, adottando il metodo Multiplexed “che può facilitare l’individuazione e la differenziazione fra virus SARS-CoV-2 e virus dell’influenza stagionale” (un metodo, in particolare il test salivare SARSeq, sul quale si era espressa la rivista scientifica Nature in maggio.

Ce n’è abbastanza perché siti alternativi e convintamente No Vax come il canadese Global Research si interroghino sulla notizia bomba: se davvero nei prossimi giorni il PCR verrà dichiarato non valido negli Stati Uniti, come da tempo su sito si sostiene. Anche sulla scorta dell’OMS che in effetti ha via via modificato le sue linee guida diagnostiche (qui le ultime ) in quanto il PCR, con una soglia critica solitamente troppo alta, non distingue fra basse e alte cariche virali, considerando tutti ‘contagiati’ allo stesso modo . Adesso si aggiungerebbe l’ammissione, non da poco data la fonte, che il test molecolare, utilizzato da due anni dai governi di Usa e Europa per lockdown, mascherine e greenpass vari, non distingue fra SARS-CoV-2 e influenza.

<Il che spiega la sparizione dei casi di influenza negli USA nel 2020 . E anche l’inflazione di casi COVID, come il Dr. Fauci e le élites DC sapevano sarebbe accaduto>, si spinge a scrivere un articolo, ovviamente alternativo, apparso il 29 dicembre scorso su Instagram.

Ma è veramente così? No, ribatte a ruota il fact checking  di Usa Today, in risposta ai 1000 like arrivati in 24 ore a quel post, più centinaia ad altri simili. Non è che il PCR confonda i due virus, indicando dei falsi positivi che hanno in realtà solo l’influenza – viene spiegato – ma che il test è stato disegnato per il SARS-CoV-2 e non per individuare l’influenza. Il CDC non ha deciso di ritirarlo per quel motivo, si aggiunge.

Per quale altro motivo allora? Questo non viene detto.

https://www.globalresearch.ca/bombshell-cdc-no-longer-recognizes-the-pcr-test-as-a-valid-method-for-detecting-confirmed-covid-19-cases/5765179
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Great Reset: rivoluzione salvifica del mondo post Covid-19 o teoria cospirazionista? Entrambe le cose.

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Entrambe le cose, segnalava un fact checking della BBC a fine novembre 2020. Considerando < il revival dell’ultima teoria cospirazionista secondo la quale un gruppo di leader del mondo stanno orchestrando la pandemia per prendere il controllo dell’economia globale>. BBC ammetteva però che <tale teoria origina dal piano messo a punto dal World Economic Forum (WEF), che organizza a Davos conferenze annuali fra figure di alto profilo della politica e del business, un piano che indica come i paesi possono uscire dai danni causati dalla pandemia da coronavirus>. Dopo alcuni mesi il tema è sempre attuale, anzi, lo è forse più che mai.

Gli incontri di Davos di gennaio si sono tenuti solo online, in vista di un altro Forum a Tokio dedicato alla tecnologia in aprile e di quello in presenza a maggio a Singapore. A distanza ma molto allargati, partecipati e pubblicizzati dai media in contrasto con la quasi segretezza del passato. Tra gli intervenuti, Xi Jinping, Macron, Merkel, Conte,Von der Leyen, Lagarde, Georgieva (FMI), Guterres (ONU), persino Putin. Oltre a un buon numero di importanti CEO meno reclamizzati.

Focus la Great Reset Initiative, progetto della Davos Agenda al quale il WEF lavora da tempo. Klaus Schwab, del WEF fondatore e direttore, insieme all’economista Thierry Malleret gli ha dedicato un libro, aggiornato al post pandemia: COVID-19 the Great Reset, presentato a giugno 2020 con contributi, fra gli altri, di Carlo principe di Galles, assiduo del WEF, e del miliardario Ma Jun, del Comitato Finanziario Verde cinese (PCC) molto vicino a Xi (la Cina ospita vari incontri regionali del WEF). Un piano planetario per una nuova globalizzazione, ben oltre i cambiamenti climatici, che la pandemia renderebbe attuale e urgente. Offrendo <un’unica finestra di opportunità per ridisegnare la ripresa e costruire un mondo più sicuro, più uguale, più stabile: un nuovo contratto sociale che onori la dignità di ogni essere umano> [sic].

<Servono indirizzi comuni per guidare il grande reset dei nostri fondamenti economici e sociali… un reset del capitalismo…I cambiamenti già innescati dal COVID-19 provano che è possibile. Il mondo è interdipendente… E ogni paese dagli US alla Cina deve partecipare>.

Gli interventi di quelli che i media hanno chiamato il “Gotha del potere del mondo”, al di là dei temi sottolineati da ciascuno (rilancio del multilateralismo e impegni sull’ambiente di Xi, avviso di Putin sui Big Tech ormai più potenti degli Stati, superamento di povertà e disuguaglianze sottolineati dall’Onu via Guterres ) nell’insieme hanno messo a fuoco la “sfida al potere per il nuovo ordine globale” (titolo del Corriere), riconoscendo più o meno implicitamente la necessità di una Governance Globale, uno degli obiettivi centrali del WEF accanto alla 4a Rivoluzione Industriale in chiave digitale, tema di un altro suo testo, del 2016.

O Post-Industriale, come scrive Ilaria Bifarini nel suo ultimo libro Il Grande Reset, dalla pandemia alla nuova normalità, che prova a <sottrarre la comunicazione di un tema socioeconomico cruciale dall’accusa di negazionismo>. I libri sul Reset, entusiasti, critici o cospirazionisti non si contano.

I molti piani. Che il sistema economico non fosse da tempo in buona salute lo si sa da svariati anni a dispetto della propaganda mediatica, prima e ancor più dopo il 2008, tra debiti globali alle stelle, bassa crescita e ripetuti salvataggi di imprese e banche. Una nuova crisi era attesa da vari analisti (es N. Roubini ). Il tutto intrecciato a crescenti squilibri sociali, aumento di disuguaglianze e povertà nei paesi avanzati e in quelli emergenti, e ai temi della produzione alimentare e dell’acqua, dell’ambiente, del cambiamento climatico. Fenomeni globali ma più critici in Occidente il cui capitalismo liberista di mercato appare perdente di fronte al vincente capitalismo statale autoritario della Cina. Dove gli investimenti esteri hanno ormai superato quelli negli Usa.

Fatto sta che dal 2015 vari piani si susseguono, a diversi livelli: dall’Agenda ONU 2030 per uno sviluppo sostenibile, con ben 17 obiettivi, all’accordo di Parigi appena ri-sottoscritto da John Biden, dal One Planet Summit del 2017 a cui aderisce il WEF al Green New Deal propagandato da Greta Tunberg & C ma con dietro uno stuolo di banche e multinazionali (qui Underblog).

Fino al meno divulgato piano di Blackrock, il maggior detentore di asset del mondo, presentato nell’agosto 2019 al summit di Jackson Hole delle banche centrali, che preconizzava una Policy Revolution: Dealing with the next downturn, per gestire l’imminente fase discendente (qui Underblog). Il Covid-19 non era ancora affiorato. Ma secondo Anthony J. Hall (professore emerito all’università di Lethbridge, Canada e direttore dell’American Herald Tribune) in quell’agosto 2019 il nuovo collasso sistemico era già evidente, con segni chiari. Lo vedremo più avanti tra i critici.

Il Great Reset comprende tutti questi piani e li rilancia, precisandone gli obiettivi e andando oltre, verso un totale reset del mondo post Covid, dove nulla sarà più come prima. Illustrato in sintesi da Schwab in un articolo su Time che sponsorizza il piano dedicandogli vari contributi, nonché in una recentissima intervista. E articolato in una miriade di pezzi e video sul sito del WEF, centrati sui sette punti chiave della Davos Agenda 2021: 1. How to save the planet ; 2. Fairer Economies; 3.Tech for Good; 4. Society &Future of work; 5. Better Business; 6. Healthy future;7. Beyond Geopolitics. Con promesse entusiastiche che non rassicurano affatto i cospirazionisti.

Pubblico+privato. E’ l’autodefinizione del WEF su Twitter. Ed è la chiave di volta del Great Reset, ma non è una novità. Già i vari QE da delle banche centrali avevano rappresentato sostegni corposi all’economia e alle stesse aziende, in deroga al cosiddetto mercato. Il Green New Deal prospettava pesanti interventi pubblici per la riconversione verde. Mentre la rivoluzione di BlackRock <inevitabile data l’insufficienza delle politiche monetarie> imponeva di *dare liquidità direttamente a famiglie e business * mescolare esplicitamente politiche monetarie e fiscali *dare sostegno alle imprese con condizioni stringenti, aprendo le porte a un intervento senza precedenti nel funzionamento dei mercati finanziari e di governance delle imprese> (vedi Underblog cit).

Le banche centrali con i loro QE e salvataggi vari insomma non bastano più a sostenere il sistema: ma chi guida il gioco, il lato pubblico, gli Stati, o quello privato: la finanza, mai riformata? Dopo il ’29 F.D Roosevelt le aveva tagliato le gambe. Nel grande reset prospettato dal WEF sembra piuttosto il contrario, e a Big Money si è aggiunta Big Tech (e ora Big Pharma). Evocare John M. Keynes appare davvero fuori luogo. Anche se non mancano gli ottimisti, come Mariana Mazzucato.

Interessanti le raccomandazioni del WEF ai governi: coordinamento delle politiche fiscali, riforme a lungo attese (esempi), stimoli verso obiettivi comuni come uguaglianza e sostenibilità, investimenti (pubblici + privati) non per tappare i buchi del vecchio sistema ma per crearne uno nuovo, incanalare le innovazioni della 4° Rivoluzione Industriale. [Suonano familiari?]. Ma vediamo i temi della Davos Agenda, citando qua e là da Schwab e/o contributi vari nel sito WEF (qui e qui oltre ai citati).

1.Economie più eque. Schwab da molti anni teorizza la necessità di <andare oltre il neoliberismo> di Freeman & C . Al capitalismo degli shareholders, gli azionisti, contrappone un capitalismo degli stakeholders in cui gli azionisti restano tali ma le imprese devono diventare luoghi di mediazione fra interessi contrastanti e <le scelte di un’azienda nei confronti delle persone, del pianeta e dell’innovazione – compreso il modo in cui protegge e applica il valore aggiunto dei suoi dati – prendano più spazio nelle decisioni di allocazione del capitale>, come FT presentava il Great Reset su YouTube il 30/12/2019, titolo “Perché il capitalismo deve essere resettato nel 2020” (sebbene oggi, ripreso dal Foglio, il FT sembri scettico). <Servono indicatori nuovi, non più relativi ai profitti ma ad obiettivi sociali e ambientali>, e <la misura della prosperità di un paese deve andare oltre il PIL>, precisa oggi Schwab. Ci stanno già lavorando, con i grandi investitori, i Big Four, sotto la guida del CEO di City Group.

<Le economie vanno ridisegnate per renderle socialmente più sostenibili>, sostiene il WEF. Come? <Tagliare le tasse ai ricchi non le rafforza, mentre peggiora le disuguaglianze che minacciano la coesione sociale, come dimostrano studi in 18 paesi OCSE>. Bene invece gli aiuti pubblici. La crisi Covid-19 <ha rivitalizzato il contratto sociale> rafforzando le reti si sicurezza dei cittadini in una misura mai vista prima. Solo nei paesi del G20 i pacchetti fiscali di aiuti hanno totalizzato $10.000 miliardi, 10 volte di più che nel 2008 [No, molti di più allora], l’UE spenderà 2300$ per persona, gli US 6500$ in più. Il debito nel 2020 salirà del 16% (…) Ritornare indietro non è desiderabile(…) Lavoratori a basso reddito, giovani, donne e minoranze, i più colpiti, avranno bisogno di sostegno anche dopo la fine della crisi sanitaria>. Per accompagnare chi non ce la farà nella 4a Rivoluzione Industriale prospettata come inevitabile, risolutiva, desiderabile.

2. Salvare il Pianeta. E’ovviamente l’obiettivo di fondo, che giustifica sia la 4a Rivoluzione Industriale sia l’auspicato Governo Globale: <Siamo tutti insieme>, sulla Terra si suppone. Non nuove le forme e modalità: decarbonizzazione, comprese tasse che colpiscano le industrie basate sul fossile [oggetto peraltro di dubbi mercimoni] e i disinvestimenti da parte degli investitori Big (Blackrock ha appena tolto oltre un miliardo da Occidental Petroleum), energie pulite, economia circolare, mobilità sostenibile, futuro delle città, eccetera. Industrie ma anche “stili di vita sostenibili”. <La maggior minaccia per il mondo non è il coronavirus ma l’affluence, la prosperità …la sostenibilità ambientale si raggiunge tagliando l’eccessivo consumismo> [sic].

3. Società & futuro del lavoro. Tema chiave, insieme alla Tecnologia benefica a cui si intreccia nel delineare la Nuova Normalità post Covid-19. Vedi la conferenza del WEF 20-23 ottobre 2020, Resetting the Jobs, già tema di un libro di Schwab. Vari aspetti:

*Lavoro a distanza, da qualsiasi luogo. Scontata la sua futura prevalenza, si consigliano [per ora?] forme di lavoro ibrido <per preservare la salute mentale e sociale degli impiegati>[sic]. Ma <la parte maggiore della popolazione potrà partecipare a lavori non più ristretti alle grandi città>.

*Lavoro flessibile. Grazie alle tecnologie digitali si prevedono lavori a breve, a richiesta, freelance, una flessibilità che <consentirà di scegliere dove e quando lavorare>. Anche il business ne beneficerà <assumendo persone per riempire gap specifici e impiegati freelance>. Addio al posto fisso: <I giovani dovranno crearsi il loro lavoro>.E chi non ci riesce?

*Lavoro più smart*, grazie all’AI e alla collaborazione uomo macchina che prenderanno in carico i lavori più ripetitivi e di routine. Robot e automazione avranno un “ruolo stellare” rimpiazzando l’interfaccia umana in aree a rischio, come durante la pandemia. L’AI creerà direttamente o indirettamente nuovi impieghi. Esempi: cloud computing, big data analysis, internet of things, cybersecurity, robot non umanoidi e droni, realtà aumentata, stampa3D, nanotecnologie, biotecnologie, robot umanoidi. Anche nell’agricoltura.

*Lavoro per il pianeta. Sono i futuri lavori per la sostenibilità ambientale o volti dar luogo a uno stile di vita sostenibile. <Cresceranno a milioni (…). La pandemia ha fornito un’eccellente opportunità per ridisegnare i luoghi di lavoro in vista di una maggiore efficienza, inclusione, resilienza, sostenibilità… >. Consumare meno ma anche possedere meno e spostarsi meno.

4. Tecnologia benefica. E’ il cuore della 4a Rivoluzione Industriale. <L’era post Covid-19 sarà forgiata definitivamente dalla tecnologia più che qualsiasi altra forza nel teatro globale>. Quattro i punti cardine.

*La manifattura da reinventare. *Il 5G, <importantissimo per l’economia, e l’ambiente> [???]. <Nell’ultimo anno la sanità ha visto un +490% di visite e cure a distanza, +82% di giochi online, +75% di transazioni e commerci ecc, il 60% degli impiegati hanno usato teleconferenze e videocalls. <Con i vaccini c’è il rischio che la società cerchi di tornare indietro allo status quo pre-pandemia>: un “rischio” da evitare, accelerando con il 5G.

*I pagamenti digitali. <Il Covid 19 ha accelerato la digitalizzazione dell’economia, il distanziamento sociale ha favorito i pagamenti digitali (…) i governi del mondo dovranno continuare a promuovere l’inclusione finanziaria, anche di giovani, donne, minoranze, PMI>. Sono le stesse categorie da accompagnare nell’inclusione citate nelle High Level Policy Guidelines on digital financial inclusion recentemente adottate nell’incontro dei ministri dell’economia del G20. <La digitalizzazione finanziaria di individui e imprese può ridurre i costi e aprire nuovi mercati e opportunità di vita aiutando i paesi a riprendersi>. [Affidata anche ai Big Tech che già gestiscono commerci, connessioni e pagamenti online?]

*Identità digitale “umanocentrica”. Si punta molto su questo <che è diventato un tema globale>, ed è molto di più dello SPID italiano per dialogare con la nostra PA. Si tratta piuttosto di <impronte digitali digitalizzate> utili <per riconnettere la società in una nuova realtà in cui la popolazione dovrà relazionarsi fisicamente e virtualmente con le autorità pubbliche e il business>. Ma il suo potenziale è più ampio: offre la <possibilità di affermare chi siamo [sic] >, impattando su come viviamo, oltre che sulla ripresa globale.

Tra i vantaggi: <La possibilità di viaggiare – i viaggi sono fermi a causa del Covid e 174 milioni di impiegati sono a rischio di perdere il lavoro – partecipare a convegni, ottenere certificati educativi e di lavoro da remoto, firmare contratti di proprietà – in piena sicurezza>.

L’identità digitale prospettata comprende tutta una serie di informazioni sugli individui, dai test sanitari ai vaccini, ma pure informazioni finanziarie e di altro tipo. Con essa sarà possibile registrarsi per accedere a servizi e commerci, compresa l’educazione online, fornire credenziali per un impiego, provare la salute di una persona, combattere le frodi>. E per ottenere i previsti sussidi pubblici, si presume. Ben oltre, quindi, quel Passaporto vaccinale per vaccinati o testati Covid, sollecitato da società aeree e turistiche, imminente in US e in vari paesi, vedi New York Times recente. E tuttavia, si insiste, “in piena trasparenza”.

 <La gente è preoccupata dell’impatto delle tecnologie sui suoi dati personali – il 60% lo è, si ammette – ma esiste un’infrastruttura digitale centrata sull’uomo in grado di assicurare trasparenza garantendo a ciascuno il controllo dei dati (…) Spetta ai governi costruire la fiducia dei cittadini e creare cornici adatte, ma rapidamente, per restare al passo con la tecnologia>.

Che tipo di infrastruttura? Il WEF non cita espressamente l’ID2020, progetto della ID2020 Alliance gestita dal 2015 da una corporation in collaborazione con agenzie ONU, Ong, Microsoft, Rockfeller Foundation e GAVI: la Vaccine Alliance volta ad assicurare un “pari accesso globale ai vaccini”. Questa considera l’identità digitale utile in primo luogo per offrire un’identità – “un diritto fondamentale” – a tutti, a partire dai moltissimi individui che nei paesi emergenti ne sono privi (una sperimentazione è in corso in Bangladesh), ma indispensabile per capire chi sono i vaccinati, contro il Covid-19 e non solo, in prospettiva.

Si parla di ’identità digitale biometrica, una app basata su impronte digitali della mano o impronta della voce o riconoscimento facciale, che contiene dati sensibili e si sperimenta già anche in Italia, vedi progetto PIDaaS, in Piemonte finanziato dall’UE (qui specifico e in italiano).

Ma allo studio ci sono sistemi più inquietanti come il Quantum Dot Dye a cui lavora il team di Kevin McHugh fra MIT e Rice University, sorta di tatuaggio a punti quantitici (Quantum Dot Tattoos), dove capsule biocompatibili su scala micron si dissolvono sottopelle inglobano punti quantici leggibili elettromagneticamente a distanza (vedi anche qui).

O addirittura microchip grandi come un chicco di riso da impiantare sottopelle progettati dalla svedese Biohax, presente pure in Italia. Ma il ministero della Salute italiano ha smentito la notizia, circolata sul web, che la si stia sperimentando o autorizzando). Così come Bill Gates ha negato che il “certificato digitale “per registrare eventualmente i dati sanitari possa utilizzare microchip”.

Ma torniamo all’agenda di Davos.

5. Futuro della salute globale. <Il Covid-19 è una crisi sanitaria senza precedenti, prendere il controllo del virus e assicurarsi che i cittadini del mondo siano vaccinati è una priorità…Vedere la Covid Action Platform , la strategia proposta dal WEF . <Non è l’unica sfida. La ripresa va oltre il virus…  e tutti i cittadini devono poter avere accesso alla sanità, attraverso una partnership fra pubblico e privato>. [Dimentichiamoci del welfare pubblico, già vanto dell’Europa?]

<La pandemia ha mostrato che tra gli strumenti utili per raggiungere una sanità universale vi è la telemedicina e l’uso dei dati. La sfida è non tornare alla normalità precedente>. Si parla di dare la priorità alla salute mentale – ansia e depressione nel 2020 sono cresciuti enormemente (…) Bisogna poi prevenire future pandemie che vengono dagli animali, combattendo deforestazione e traffico di animali selvatici>. [Al Forum, a dibattere sulla salute erano solo i CEO di Pfizer e AstraZeneca, il direttore dell’OMS, il dr. Fauci, oltre al ministro della Sanità tedesco e al premier greco].

6. Oltre la geopolitica. <Oggi ci sono 193 nazioni sovrane, una proliferazione di centri di potere, e un fatto sempre più ovvio: siamo tutti insieme>, sulla Terra, come si è già detto, e interdipendenti. <Quando ci impegniamo tutti insieme possiamo raggiungere obiettivi comuni>, vedi il livello di ozono o l’accordo di Parigi. <Dobbiamo passare dalla geopolitica della competizione internazionale a una completa collaborazione globale di defaultAnche le narrazioni devono cambiare>. [Cina e Russia incluse?]

LE CRITICHE “COSPIRAZIONISTE”. Sono tante, e proliferano. Molte pubblicate sul sito del canadese Center for Research on Globalization, da sempre molto critico del sistema. Niente a che vedere con Qanon e posizioni simili dell’ultradestra trumpiana, ostile al Great Reset come al Green New Deal, considerati “socialisti. Coerentemente: sostenitori di Trump erano/sono l’industria delle energie fossili che nega il riscaldamento climatico, i miliardari “libertari” e l’ala repubblicana “anti statalista”. Dopo di che, nel magma del web, tutto si tiene e si influenza.

In generale, il Great Reset è visto come progetto di una nuova forma di totale controllo globale e di una ulteriore formidabile concentrazione della ricchezza in mano a pochi, sempre gli stessi. Un’evoluzione dell’economia mondiale <neoliberista all’ennesima potenza>: <Un atto di Guerra economica che minaccia la sovranità degli stati nazionali, impoverisce le popolazioni, mina le democrazie… Senza bisogno di guerre né di regime change>. Capitalismo di Sorveglianza, grazie all’identità digitale elettromagnetica e ai vaccini collegati: One World Order. Altro che contratto sociale e lotta alle disuguaglianze, per i cospirazionisti.

Un’agenda che avrebbe vari precedenti e oggi accelera grazie al Covid-19, non tanto al virus in sé quanto alle <chiusure che hanno messo in ginocchio l’economia reale: scuole vuote, aeroporti vuoti, viaggi bloccati, negozi, bar e ristoranti verso la bancarotta, servizi sospesi>. Un lockdown che sarebbe stato imposto al mondo arbitrariamente o addirittura pianificato, con una strategia della paura supportata dai media, complici del piano. Il che permette di bollare tout court queste critiche come “negazioniste”.

In questo coro si distingue il citato Anthony Hall. Con l’ipotesi che il COVID-19 sia una copertura per una crisi finanziaria anticipata (forse addirittura pianificata?), i cui segni erano già chiari nel 2019. Dalla crisi del Repo Market (dove le banche si riforniscono di liquidità), confermata dai $9000 miliardi della Fed di New York per mantenerlo operativo, operazione “coperta” mentre la stessa Fed affermava che le banche erano in salute. La causa? L’attività speculativa specie sui derivati, come nel 2007-8. Altri segnali: i circa 1500 CEO che nel 2019 lasciarono l’azienda, con le loro quote azionarie. E i tassi negativi sui bond governativi del mondo, e la caduta dei valori azionari, in particolare banche, in testa Citi e JPMorgan. E la contrazione dell’economia in Germania.

Tutto ciò – ragiona Hall – sarebbe sufficiente per chiedersi se il collasso delle economie nel 2020 abbia altre cause dalla pandemia e dai lockdown (una politica pubblica sbagliata e anti costituzionale a suo dire) che pure hanno contribuito a un tracollo generale mai visto. A partire dalla Cina, con le chiusure che hanno interrotto la catena delle forniture. Tanto che alcuni arrivano ad affermare che tale crollo sia stato pianificato, e che la pandemia sia stato un pretesto per far collassare l’economia globale e il tessuto sociale sottostante, per poi resettarla.

Hall mette in dubbio i conteggi delle vittime e dei contagiati, testati con i discussi PCR (qui Underblog). <L’inflazione dei casi e dei morti è l’espressione dello zelo utile a giustificare i lockdown? I lockdown in Cina sono stati concepiti per aiutare a creare le condizioni di un piano capace di dar vita a una nuova politica economica nel mondo? E come considerare il fatto che coloro che si identificano col WEF hanno indicato la strada per enfatizzare il reset emergente dalla crisi sanitaria, reset che lo stesso WEF contribuisce a pubblicizzare già dall’ottobre 2019?

Precedenti. William Engdahl (laurea a Princeton, già consulente e conferenziere, autore di libri), vede nel Great Reset una riedizione dei War and Peace Studies, strategia elaborata da un gruppo coordinato da Isaia Bowman, geografo della John Hopkins University per il Council of Foreign Relations con finanziamenti della Rockefeller Foundation, che nel 1939 pianificava l’entrata in guerra degli US e il mondo post bellico in cui gli US avrebbero preso il posto dell’impero Britannico. Quel che Henry Luce nel ’41 definì “il Secolo Americano”, con Nazioni Unite dominate dagli US e gli accordi di Bretton Woods (questi sì keynesiani e infatti poi rinnegati) parte del piano.

Del resto <Klaus Schwab [ingegnere ed economista, 17 dottorati onorari da atenei di tutto il mondo, medaglie e onorificenze a schiovere] fondatore del WEF è un protegé di Henry Kissinger, a sua volta vicino ai Rockefeller, da quando erano insieme ad Harvard, e già nel 2016 nel libro Shaping the future of the Fourth Industrial Revolution (4IR) descriveva i cambiamenti tecnologici prossimi venturi>.

il prof Michel Chossudovsky, economista fondatore del CGR, ricorda invece il Chile 1973 Reset, il colpo di stato cileno ordito dalla CIA con Kissinger Segretario di Stato, da lui vissuto in prima persona a Santiago, e quello dell’Argentina nel 1976, prodromi del programma di Aggiustamenti Strutturali (SAP) imposti dal FMI e Banca Mondiale a 100 paesi. <Ora entriamo in una nuova fase di destabilizzazione macroeconomica, più devastante dei 40 anni di trattamenti shock e austerity imposti a beneficio degli interessi finanziari dominanti>.

Rockefeller, nome ricorrente con Rothschild nelle teorie cospirative, è citato anche da Chossudovsky nelle parole di David che su Aspen Times del 5/8/2011 auspicava “una sovranità super nazionale di una élite di intellettuale e banchieri mondiali sicuramente preferibile all’auto-determinazione nazionale praticata nei secoli scorsi”. Nel 2010 un report della Rockefeller Foundation, Scenarios for the future of Technology and International Development Area, contemplava azioni da intraprendere in caso di una pandemia mondiale. E comprendeva la simulazione di un Lock Step Scenario in caso di una influenza virulenta. Era da poco scoppiata l’epidemia da H1N1 [poi rientrata, con enormi quantità di vaccini acquistati ma rimasti inutilizzati].

Un’altra simulazione, l’Event 201, viene condotta il 18 ottobre 2019 dalla John Hopkins University, sponsor la Bill and Melinda Gates Foundation e il WEF. Un coronavirus partito dal Brasile causava nel mondo 65 milioni di vittime in 18 mesi e sovvertimenti economici. Il suo nome,  nCoV-2019, era lo stesso dato al virus identificato in Cina neppure tre mesi dopo, poi cambiato in Sars-CoV-2. Rilanci e sospetti dilagati sul web. <Non era una predizione>, hanno poi precisato. [Ma un’altra simulazione pandemica – Cladex – era già stata fatta nel 2018 al tempo di Ebola, ne parlò anche il Washington Post].

Il “collasso economico pianificato”.<La data chiave è l’11 marzo 2020 quando l’OMS proclama la pandemia globale, raccomandando i lockdown: i casi fuori dalla Cina erano 44.279, 1440 le vittime, su una popolazione globale di 6.8 miliardi. E i casi extra Cina erano solo 83 quando il 31 gennaio l’OMS aveva dichiarato l’Emergenza Sanitaria Pubblica, dopo una vivace discussione interna il 22 gennaio. Proprio in quei giorni (21-24/1) al WEForum di Davos, presente il direttore dell’OMS Tedros Adhanom, la CEPI, coalizione per innovazioni in preparazione di epidemie, partnership WEF e Gates, annunciava un vaccino mRNA di Moderna contro il nCoV-2019, il cui nome sarebbe cambiato solo in febbraio. Il 31 gennaio Trump chiudeva i voli dalla Cina. Eccetera eccetera. [I numeri ufficiali OMS sono inferiori l’11/3, poco superiori il 31/1, con 106 casi extra Cina, ma già in 19 paesi)].

Tanto basta perché Chossudowsky – in una dettagliata cronologia – parli di <collasso pianificato delle economie <Un “progetto diabolico” che viene dall’alto, da Wall Street, WEF, fondazioni miliardarie, presentato come “umanitario” e supportato dai media>. Anche con censure mediche (qui Koenig). Per es <Youtube non consente di postare informazioni che contraddicano o mettano in dubbio l’OMS o opinioni divergenti di medici locali – alcuni dei quali hanno perso il lavoro>. Ed è di oggi la cancellazione su Instagram dell’account di Robert Kennedy Jr, nipote di JKK, <per aver condiviso affermazioni smentite su coronavirus e vaccini> sul suo sito Childern’s Health Defence liquidato come No Vax .

Peter Koenig, una vita fra Banca Mondiale e OMS, uno dei più prolifici e estremi, arriva non solo a parlare di pandemia pianificata per collassare l’economia, in base ai piani/simulazioni del 2010 e 2019 e a letalità e diffusione dei contagi ingigantite dai test PCR utilizzati secondo indicazioni OMS. Lo scenario distopico che prevede vaccinazione massiccia, agenda elettronica planetaria, moneta digitale, 5G e poi 6G universale, venduti come Internet of things, comprenderebbe a suo dire anche il progetto, da tempo caro a Rockefeller e poi a Bill Gates, di riduzione della popolazione del globo: una delle variabili cruciali per diminuire le emissioni di CO2 e rendere più sostenibile in pianeta. A supporto, cita Gates al TED Talk 2010 Innovating to Zero: “Se facciamo un buon lavoro possiamo ridurla dal 10 al 15%”, la popolazione. <Siamo in guerra>, titola un altro post di Koenig.

Le forze trainanti <Sono Big Money, comprese le fondazioni miliardarie. E’ una complessa alleanza di Wall Street e dell’establishment bancario, Big Oil and Energy, i contractors della Difesa, Big Pharma, i conglomerati Biotech, le corporations dei media, i Giganti delle Comunicazioni e delle tecnologie Digitali, insieme a una rete di think tanks, gruppi di lobby, laboratori di ricerca (…) Una complessa rete di decisori che comprende FED, BCE, FMI, Banca Mondiale, banche regionali di sviluppo, e la BIS, la Bank for International Settlements basata a Basilea che ha un ruolo strategico chiave. Non mancano scampoli degli apparati di Stato. La prorietà intellettuale ha un ruolo importante>. (Chossudovsky).

<Dell’ondata di chiusure e bancarotte e disoccupazione responsabile non è il virus, come viene detto, ma i potenti finanzieri e miliardari che sono dietro al processo decisionale. La cui ricchezza totale negli ultimi nove mesi è cresciuta da $8000 a $10.000 miliardi, grazie ai pacchetti di stimolo governativi, alla campagna di paura del Covid-19 e al risultato di insider trading e manipolazioni dei mercati finanziari e delle materie prime> [i cui prezzi effettivamente stanno già aumentando]. <E’ la più grande redistribuzione di ricchezza globale della storia> (Chossudovsky)

<Ma nel capitalismo c’è anche una rivalità interna, un conflitto tra il Big Money Capital e il Capitalismo Reale delle imprese che operano in diversi settori dell’attività produttiva, comprese le piccole medie imprese. Quello in atto è un processo di concentrazione della ricchezza (e controllo delle tecnologie avanzate) senza precedenti dove l’establishment finanziario, vale a dire i creditori, sono destinati ad appropriarsi degli asset delle società che falliscono e degli asset di Stato>.(ibidem)

<Usando i lockdown e le restrizioni, il Great Reset viene portato avanti sotto forma di una “Quarta Rivoluzione Industriale” (4IR) in cui le vecchie imprese vengono spinte alla bancarotta o assorbite in monopoli, di fatto chiudendo interi settori dell’economia pre-Covid [enfasi originale]. Le economie si stanno ristrutturando e molti lavori saranno svolti da macchine guidate dall’Intelligenza Artificiale>.

<I senza lavoro (e ce ne saranno molti) saranno assistiti con qualche forma di “salario di base universale” e avranno i loro debiti (indebitamento e bancarotte su larga scala sono il deliberato esito di lockdown e restrizioni) cancellati in cambio del passaggio dei loro averi allo Stato, o meglio alle istituzioni finanziarie che aiutano a condurre questo Great Reset. Il WEF dice che il pubblico “affitterà quello di cui ha bisogno”, spogliandosi del diritto di proprietà in nome del ‘consumo sostenibile’ e del ‘salvataggio del pianeta’> (citazione da Colin Todhunter qui che a sua volta cita il video del WEF su YouTube <You’ll own nothing and you’ll be happy>. Nel 2030 “Non possiederai nulla e sarai felice”).

Vaccini e identità. <Il programma di vaccinazioni (compreso il passaporto digitale) è parte integrale del piano e del regime totalitario>. Chossudowsky rinvia a Peter Koening sul <famigerato ID2020…programma di una ID elettronica che usa la vaccinazione generalizzata come piattaforma per una identità digitale>.  Un summit della ID2020 Alliance già nel settembre 2019 aveva come focus i vaccini e il passaporto digitale. Oggi Koening torna sul tema con un nuovo post tutto dedicato all’ID elettromagnetica impiantabile nel corpo attraverso i vaccini o separatamente, citando anche i le visioni di Elon Musk . [Ma l’ID approvata in Germania non ci risulta].

Engdhal : <Nel suo libro sulla 4a rivoluzione industriale (2016) Schwab descrive i cambiamenti tecnologici prossimi venturi, i dati centralizzati in corporation private come Google, Facebook e Amazon per monitorare ogni nostro respiro (…) .Descrive come le tecnologie di nuova generazione, già lanciate da Google, Huawei e altri, permetteranno ai governi di <intromettersi negli spazi privati delle nostre menti, leggere i nostri pensieri e influenzare i nostri comportamenti … con una fusione della nostra identità fisica, digitale e biologica”>.

Fra queste tecnologie fusion ci sono “microchips che spezzano la barriera epidermica di nostri corpi”, “dispositivi impiantabili che potranno anche aiutare a comunicare pensieri normalmente espressi verbalmente, attraverso smartphone ‘interni’, e pensieri potenzialmente inespressi o stati d’animo, attraverso la lettura di onde cerebrali”>.

Pura fantascienza? E glissiamo qui sui programmi per la trasformazione dell’agricoltura in senso “sostenibile” iper meccanizzata e largamente basata su OGM, destinata a soppiantare i coltivatori diretti familiari, per arrivare a un cibo sintetico biologicamente modificato e creato in laboratorio, a partire dalla carne. Secondo i piani dell’EAT Forum, o Davos for food. Sui quali Engdahl insiste, avendoci scritto un libro.

<I maghi della tecnologia mirano a sostituire i contadini con i loro sporchi terreni e animali inquinanti e portatori di virus con robot, semi OGM e e carne artificiale in laboratori puliti> fa eco Diana Johnstone. Che prende in esame vari temi, avanzando dubbi.

Dubbi sull’uso esteso di teleconferenze, Zoom, Skype ecc e sul destino delle città, sull’educazione online e le minacce alla comunità umana, sul profetizzato semi collasso dell’aviazione civile (non di quella militare), e sul narcisismo cibernetico intrinseco al combinarsi di Ai, internet delle cose, senso e tecnologie indossabili. Dubbi, soprattutto, sulla perdita del lavoro, con la domanda dei consumatori che si intreccerà con il disperato bisogno di guadagnarsi la vita (…)Alla lotta contro lo sfruttamento si sostituirà quella per l’irrilevanza: la nuova” classe degli inutili”,inutili non alla comunità sociale ma al sistema politico-economico>.

E conclude considerando <la 4a Rivoluzione Industriale che impegnerà i governi insieme ai privati analoga, sul piano civile, a quella che ha dato vita al Complesso Militar Industriale. Come quello viene presentato come necessario al “proteggere la sicurezza”, questa sorta di Complesso Tecnologico Farmaceutico è promossa come indispensabile a “salvare l’ambiente”>.

CONCLUSIONI. Il reset post COVID-19 sarà salvifico o catastrofico per il mondo? Il piano del WEF – posto che sarà davvero messo in atto (la BBC ne dubitava, il FT è scettico) – è utopico o distopico? Chissà, sebbene alcune tendenze appaiano attuali. Come che sia, alla fine di questo post già troppo lungo (ce ne scusiamo) proponiamo le riflessioni di un filosofo politico, Brad Evans sul sito affatto complottista CounterPunch.

<Ogni catastrofe e crisi sono seguite da una litania di teorie cospirative. La pandemia Convid-19 non fa eccezione. Dalle storie sulla trasmissione di qualche agente letale attraverso il 5G, alle grandi teorie su una trama concepita dall’alto per destabilizzare il mondo, il fantastico e l’assurdo si sono diffusi tanto rapidamente quanto il virus. Se i primi colpevoli spaziavano da Bill Gates a George Soros agli Eco-fascisti, è diventato più frequente suggerire qualche congiura Cinese o una pandemia pianificata (sì, la Plandemic) per iniziare una vaccinazione di massa. (…). Ma le cospirazioni funzionano a beneficio delle forme di potere stabilite>.

<Il mondo in cui viviamo a livello personale può sembrare rallentato, quasi fermo. E’ un’illusione. I meccanismi del potere stanno muovendosi a una velocità inimmaginabile solo mesi fa. Non è una rottura o un lock down ma un’accelerazione poderosa di tendenze già in atto. (…) Le separazioni fisiche fra la gente stavano già consolidandosi – scrive Evans citando i muri con i quali l’Occidente si circonda contro rifugiati e indesiderabili, le restrizioni alla mobilità in US e UK. Che <non hanno a che fare con la sovranità ma con la riorganizzazione del capitalismo. Ma oggi non si tratta più solo di lockdown di nazioni. Ogni città, ogni strada, ogni parco, ogni casa diventano un confine. E non saranno misure temporanee. Davvero vogliamo vivere in un mondo dove tali segregazioni sono accettabili, dove ogni idea di presenza fisica e contatto diventa un tabù, dove serve un permesso per attraversare qualsiasi immaginario confine posto alla nostra vita?>

<I poteri finanziari sono già dominati da giganti della tecnologia che hanno ammassato ricchezze comparabili alla Gilded Age di fine ‘800. La loro visione è quella di una società interconnessa, dove la nuova globalizzazione non prevede che siamo a noi a viaggiare nel mondo, è il mondo che viene a noi, nei confini delle nostre case. Non è una coincidenza che a fare i maggiori profitti in questi tempi siano Amazon e Facebook. Non abbiamo scelta che vivere vite virtuali. Davvero desideriamo un’esistenza schermica dove ufficio e casa, pubblico e privato, sono indistinguibili? Dove è un’eccezione avventurarsi in qualche luogo sconosciuto e gioire del mondo reale?

<La guerra al Terrore ha già avanzato l’idea di un nemico invisibile…facendoci credere che le nostre vite sono insicure. Questa narrazione e questo linguaggio sembrano esauriti. Era davvero così? Non si è capito(…) Oggi ciascuno è l’origine di pericoli potenziali. E droni sperimentati su popolazioni del Sud potrebbero essere ammessi anche su cieli democratici. Vogliamo davvero vivere sotto una presenza continua di tali marchingegni, che a un certo punto potrebbero divenire armati e letali?> [Il presidente Biden all’ultimo G7 ha paragonato la Guerra al virus alla Guerra al Terrorismo].

<I nostri diritti alla privacy sono da tempo sotto attacco, grazie a tecnologie invasive e ad algoritmi per la sorveglianza e la manipolazione delle abitudini umane. Eppure, malgrado la disponibilità a rendere pubblici dettagli intimi delle nostre vite, abbiamo mantenuto segreta la nostra salute. Oggi è terrificante la velocità con cui delle app registrano, monitorano e analizzano la salute di intere nazioni, cosa che è entrata nel discorso pubblico senza nessun serio dibattito sulle implicazioni politiche, al di là di ogni “etica”. Vogliamo un mondo in cui ogni respiro, ogni sudore e ogni lacrima vengano monitorati? Un mondo in cui la nostra salute è un altro complesso di dati, che non solo alimenta il sistema ma prova le nostre credenziali sanitarie e il diritto di muoversi in ogni sfera sociale, ogni spazio pubblico, ogni paesaggio virtuale?> [magari pure di lavorare, aggiungiamo].

<Il modo in cui le società scelgono come rispondere a crisi come questa pandemia non è inevitabile. Dipende da quali valori in una società riteniamo primari e quali secondari>. Evans constata come la decimazione di arte e cultura al di fuori di istituzioni corporate. La stampa radicale e indipendente combatte già per la sopravvivenza, altrettanto avviene ai produttori di una cultura critica che, già ai margini, è spinta verso l’abisso. Con la complicità dei liberali (chiunque critica la matrice militarista tecno-farmaceutica è spinto nello stesso campo dell’estrema destra – dirà più avanti). Davvero vogliamo vivere in un mondo in cui la cultura è ridotta a visite virtuali in alcune gallerie d’arte e preferenze estetiche – e non solo – sono spogliate da ogni richiesta politica e cedute al potere di una ragione tecnocratica?

<Colpisce nel cosiddetto “Mondo Occidentale” l’atteggiamento verso l’educazione. Prima della pandemia era già in atto un attacco nei confronti di arte e scienze umanistiche e sociali, a partire dalle università. Con salvataggi e risorse dati primariamente a grandi business, imprese tecnologiche, ricerca medica e sanitaria, la precarietà di queste aree di studio è molto cresciuta. Eppure proprio questi settori sono critici per una nozione effettiva di democrazia capace di creare cittadini impegnati in grado di immaginare visioni alternative. Vogliamo davvero vivere in una società dove i temi e ricerche che incoraggiano a parlare di verità nei confronti del potere e a immaginare futuri migliori sono riservati a élites selezionate che hanno interesse allo status quo?

<Non c’è dubbio che questo virus sia devastante per persone e famiglie fragili che hanno perso i loro cari e che continui a spaventare parecchia gente, chiusa nelle proprie case temendo il contagio. Ma dobbiamo essere vigilanti verso la catastrofe in arrivo, potenzialmente altrettanto terrificante: l’accelerazione di dinamiche in grado di creare una falsa umanità che rischia di essere permanentemente segregata, isolata, quarantenata, intimorita dall’avventurarsi nel deserto reale.

Si dice che la realtà sia spesso più bizzarra della fiction. La linea fra le due in affetti non è chiarissima. Al mondo non serve un’altra cospirazione, ha bisogno di una comprensione critica della strada che gli si apre davanti e delle rotture che si stanno verificando>.

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#Vaccini. Le petizioni a FDA e EMA per sospenderne l’approvazione, ignorate e nascoste. Sotto accusa i test PCR, ma ora anche l’OMS ammette…

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Il vaccino anti Covid-19 Pfizer/BioNtech è già in corso in GB, Canada e USA, “autorizzato per uso in emergenza”, e adesso anche in Europa, con grandi fanfare. Era scontato che FDA e EMA non avrebbero neppure preso in considerazione le due petizioni inviate alle agenzie del farmaco americana ed europea. Petizioni urgenti (qui e qui) che chiedevano la sospensione immediata di tutti gli studi clinici sui vaccini, a partire proprio dallo Pfizer. Mettendone in dubbio l’efficacia ed elencando alcuni rischi.

Petizioni ignorate dai media, impegnati a tessere lodi sperticate dei vaccini “salvifici”, sull’onda del generale entusiasmo politico per una possibile – e certo sperabile – fine della pandemia, nonché dai corposi interessi industriali in gioco. La gigantesca macchina da guerra contro il Sars-CoV-2 è da tempo partita. E però proprio adesso dall’OMS arrivano nuove linee guida che danno ragione alla principale obiezione avanzata dei firmatari, e non solo da loro, quella sui test PCR usati per individuare i “positivi” al Covid-19, i ben noti tamponi molecolari: producono molti falsi positivi.

Una ragione in più per dare notizia di tali petizioni, divulgate da siti alternativi (es qui, qui e qui e qui in italiano), in odore di negazionismo, petizioni che anche Underblog avrebbe forse ignorato, se non fosse per il principio di precauzione, e per i nomi degli autori, non proprio gli ultimi venuti. Personaggi discussi e oggi relegati ai margini proprio per le loro non nuove posizioni eterodosse, ma con una storia più che rispettabile.

GLI AUTORI

Wolfgang Wodarg, pneumologo tedesco e politico di rilievo nell’SPD, per lunghi anni al Bundestag, già presidente dell’associazione dei socialdemocratici tedeschi per la salute dove si è occupato di etica e medicina, a capo del Comitato per la Salute del Consiglio d’Europa e in questa veste firmatario di una risoluzione che nel 2009-10 promuove un’inchiesta sulle pressioni esercitate dalle case farmaceutiche nella campagna sulll’H1N1, il virus dell’influenza ‘suina’ arrivato dagli Usa, una “campagna di panico” a suo dire, volta a indurre l’OMS a dichiarare una “pandemia falsa” per vendere vaccini nel mondo, come di fatto è accaduto. I vaccini acquistati da molti governi, fra i quali l’Italia, in gran parte inutilizzati, vennero buttati via.

 Michael Yeadon, inglese, specialista in pneumologia e allergologia, per sedici è stato a capo della ricerca allergologica e respiratoria alla Pfizer di cui era anche vicepresidente, poi fondatore e CEO della Ziarco, società di biotecnologia che conduce ricerche innovative e sviluppa terapie per malattie infiammatorie e allergiche, con l’aiuto della stessa Pfizer.

Quanto a Sin Hang Lee, il firmatario della petizione alla FDA, patologo molecolare di origine cinese laureato a Wuhan e approdato negli Stati Uniti dove ha esercitato anche all’Università di Yale, è un esperto mondiale di diagnostica basta sul sequenziamento del DNA, molti riconoscimenti e articoli peer revewed. Tra i primi ad accorgersi che i test PCR licenziati dalla FDA non sono accurati nell’identificare l’RNA del Sars-CoV2, a marzo 2020 aveva perfino mandato una lettera all’OMS e al dottor Fauci al National Institute of Health spiegando perché quei test generavano falsi positivi e falsi negativi.

LE PETIZIONI.

I firmatari chiedono che gli studi non continuino fino a quando non sarà disponibile un progetto di studio in grado di affrontare i seri problemi di efficacia e sicurezza espressi da un numero crescente di scienziati, scettici anche sulla rapidità con cui i vaccini vengono sviluppati.

Il punto chiave, centrale – e unico nella petizione all’FDA – è la nota mancanza di accuratezza dei test PCR (usati in Usa, Europa e nel mondo per provare la positività al virus) adoperati anche nelle validazioni dei vaccini da parte dei produttori, i cosiddetti trials di fase 2 e 3. I firmatari chiedono che a causa di tale mancanza di accuratezza venga utilizzato come conferma degli esiti dei test il “sequenziamento Sanger” (dal nome del suo inventore, metodo già imposto per altri vaccini, per es quello contro il papilloma virus). Questo – sostengono – è l’unico modo per fare affermazioni affidabili sull’efficacia di vaccini contro il Covid-19.

Sulla base dei limiti dei test PCR, oltre che dalla qualità molto variabile dei vari differenti test utilizzati nei trials, né il rischio di malattia né la trasmissibilità, né quindi un possibile beneficio dal vaccino possono essere determinati con la certezza necessaria. L’efficacia dei vaccini non verrà garantita. Motivo per cui testare il vaccino su esseri umani non solo non è etico di per sé. Soprattutto, una volta autorizzati vaccini non propriamente testati, importanti decisioni politiche pubbliche sul loro uso saranno basate su prove fuorvianti.

Rilevanti le conseguenze mediche ed economiche per gli stati americani e i membri dell’UE, e i loro cittadini/residenti. Nel caso che il vaccino venisse reso obbligatorio, in generale o in certi casi come nei viaggi aerei internazionali, aggiunge il firmatario americano (che non lo esclude, richiamando un documento dell’Ordine degli avvocati di  New York , e peraltro le compagnie aeree già ventilano l’idea di un passaporto vaccinale) o venisse fortemente raccomandato, i cittadini non potrebbero obiettare né affermare che l’obiettivo non è stato raggiunto.

I RISCHI

I firmatari della petizione all’EMA chiedono inoltre che venga escluso, in base ad esperimenti sugli animali, che possano verificarsi rischi conosciuti da studi precedenti, in parte originati dalla stessa natura dei coronavirus. Le preoccupazioni espresse riguardano alcuni punti:

  • La formazione di “anticorpi non neutralizzanti” che può essere indotta dal vaccino può produrre una reazione immunitaria esagerata, quindi un’infezione molto grave, quando dopo la vaccinazionela persona si confronta con il virus reale, “selvaggio” . Questa amplificazione anticorpo-dipendente – ADE (antibody-dependent Enhancement)- è nota da tempo e non vale per tutti i virus ma è la prima ragione per cui i tentativi di vaccini contro i coronavirus hanno finora fallito. Come hanno dimostrato vari studi sugli animali, per es macachi vaccinati con la proteina Spike del Sars-Cov.
  • I vaccini dovrebbero indurre la produzione di anticorpi contro le proteine Spike del SARS-CoV-2. Tuttavia, le proteine Spike contengono anche proteine sincitino-omologhe, che sono essenziali per la formazione della placenta nei mammiferi come gli esseri umani. Deve essere assolutamente escluso che un vaccino contro il SARS-CoV-2 inneschi una reazione immunitaria contro la Sincitina-1, perché altrimenti potrebbe provocare l’infertilità a tempo indeterminato nelle donne vaccinate.
  • I vaccini mRNA di Pfizer/BioNTech (e Moderna) contengono polietilenglicole (PEG). Il 70% delle persone sviluppa anticorpi contro questa sostanza – questo significa che molte persone possono sviluppare reazioni allergiche al vaccino, potenzialmente fatali.

Infine, osservano i firmatari:

La durata decisamente troppo breve degli studi non consente una stima realistica degli effetti collaterali tardivi. Come nei casi di narcolessia (sonnolenza) in seguito alla vaccinazione contro l’influenza suina H1N1, milioni di persone sane sarebbero esposte a un rischio inaccettabile se fosse pianificata un’approvazione d’emergenza con la possibilità di monitorare solo successivamente gli effetti tardivi.

CASI RECENTI POST VACCINO

Allergie: i primi vaccini Pfizer/BioNtech effettuati in GB hanno subito evidenziato reazioni allergiche in due pazienti, poi in un terzo. Di altri due casi verificatisi in Alaska ha dato notizia il NYTimes, uno dei quali un vero chock anafilattico molto grave. La donna ha dovuto essere ricoverata in terapia intensiva.

L’agenzia regolatoria britannica ha subito aggiornato le linee guida e consigliato di non vaccinare i soggetti allergici, quanto meno con una storia di reazioni allergiche importanti a vaccini, medicine, alimenti o altro. In ogni caso in GB i vaccini vengono eseguiti negli ospedali.

Negli USA l’epidemiologo Thomas Clark ha sollevato il problema e divulgato informazioni. I casi di reazioni gravi, anafilattiche al 18/12 erano già sei – su 272.000 vaccinati! ha obiettato il CDC, che in ogni caso ha deciso di monitorare da vicino le reazioni allergiche. Le reazioni allergiche sono del resto contemplate dagli stessi produttori Pfizer e Moderna, che raccomandano la disponibilità di cure immediate e appropriate dopo il vaccino (terapie intensive disponibili?). Tra i primi vaccinati col vaccino Moderna un medico di Boston ha avuto un shock anafilattico.

Il problema insomma esiste. E al CDC, che ora ritiene necessario investigare su quale componente dei vaccini causino allergia, Clark risponde che è noto che a provocarle sia il PEG, poliethilene glicole usato come adiuvante da Pfizer/BioNtech e Moderna. Come si sostiene anche qui.

Reazioni immediate, non gravi ma che hanno reso impossibile tornare al lavoro, si sono verificate negli USA in 3.150 vaccinati, è ancora Clark ad informare.

Gravidanze e vaccini. E’ la stessa Pfizer a raccomandare di non vaccinare le donne che allattano e le donne in gravidanza, a rimandare la vaccinazione in caso di incertezza sullo stato, a non fare la seconda dose se nel frattempo la donna resta gravida. Soprattutto, suggerisce che le donne vaccinate non rimangano incinte nei due mesi seguenti alla seconda dose di vaccino. Lo dice l’agenzia inglese per la salute (Public Health England), qui e anche qui.

“Non è noto se il vaccino BNT 162b2 Covid-19 mRNA ha un impatto sulla fertilità”. Gli studi sulla tossicità riproduttiva negli animali non sono completi”. Il vaccino è nuovo e mancano ancora dati certi, precisa Pfizer.

Stranamente l’OMS nelle sue informazioni sui vaccini non ne fa cenno, e neppure l’EMA, a quanto viene raccontato dai media.  

TEST PCR SOTTO ACCUSA.

E’il punto centrale delle petizioni, l’unico in quella alla FDA che ne tratta in modo approfondito, esaminando i trials condotti da Pfizer e i diversi test PCR utilizzati. Si tratta dei test molecolari, i cosiddetti tamponi molecolari, predisposti da svariate aziende, il firmatario americano cita in particolare quelli della svizzera Roche, delle americane ThermoFisher, presente anche in Italia, Abbott e IDT, utilizzati nei trials Pfizer. Ma non ci addentreremo nei dettagli.

In realtà non sono tutti uguali. Né sono uguali i protocolli a cui fanno riferimento – li vedremo – diversi negli Usa e in Europa, questi ultimi avvalorati dall’OMS che tuttavia suggerisce cautela sottolineando, come fa anche la FDA, che l’esito è presuntivo .

Il PCR non è un test nuovo: inventato nel 1986 da Kary Mullis, premio Nobel 1993 per la chimica, viene utilizzato per individuare viruse e altri agenti a scopo di ricerca, non come strumento diagnostico sul quale lo stesso inventore aveva dei dubbi. Siccome si può fare in tempo reale, è diventato RT-PCR, RealTime Polymerase Chain Reaction, o RT-qPCR (in realtà un po’diversi, ma non ci addentriamo).

“E’ usato per l’individuazione sensibile e specifica e per quantificare degli acidi nucleici (RNA) del virus obiettivo”, sostengono i produttori (ThermoFisher per es). E’ così? I critici sostengono di no.

<Se un test non è abbastanza sensibile, l’agente non si trova e l’esito risulta negativo. Se un test non è abbastanza specifico il test può identificare qualcosa d’altro, e l’esito risultare comunque positivo. Potrebbe voler dire che il test reagisce a un altro virus o un’altra fonte genetica. Oppure potrebbe individuare la presenza di residui di SarsCov2 di un individuo che non è più malato; infine, anche piccole contaminazioni da laboratorio possono generare falsi positivi>, osservava già ad aprile Kevin Ryan, Deputy Director Vaccine Research Program, Division AIDS del National Institute Health, uno dei tanti critici del test PCR, che se ne preoccupava in generale e pure per il conto dei morti Covid.

E’ quel che accade con i test RT-PCR che non sono sempre sensibili e soprattutto non sono specifici.

Non rilevano l’intero RNA del virus che cercano ma solo alcuni tratti  o geni della sua sequenza genomica, decisi a priori in base ai protocolli ritenuti specifici, in realtà discussi. A seconda dei geni selezionati possono individuare anche frammenti di virus, compresi vari altri coronavirus (4 i ceppi in circolazione, endemici, anche legati al raffreddore) con cui siamo venuti in contatto. Soprattutto, individuano anche frammenti dello stesso virus Sars-Cov2 che di fatto sono solo pezzi di virus ormai inerti.

Come può accadere? Succede in quanto il test RT-PCR è qualitativo, non quantitativo: determina la positività/negatività in base alla presenza/assenza del virus (ovvero dei geni cercati) ma non stabilisce “quanto” virus è eventualmente presente. I geni per essere individuati vengono amplificati un certo numero di volte. Eppure per determinare la positività la quantità di virus è essenziale, e dipende proprio da tale amplificazione.

La quantità di virus (ovvero la cosiddetta “carica virale”) viene stimata induttivamente sulla base della soglia di amplificazione (CT) che è variabile, dipende dal numero di cicli di amplificazione a cui il campione è sottoposto. Più è alta la soglia del numero di cicli (CT)– sicuramente sopra i 35 cicli, quando individuare l’intera sequenza diventa impossibile – meno alta è la certezza di aver individuato il virus, ma solo frammenti inerti.

Ecco perché, amplificando fino a 40 cicli come viene fatto – anche fino a 42-46 cicli negli Usa, denuncia il firmatario della petizione all’FDArisultano molti falsi positivi, oltre che alcuni falsi negativi. Tanto più accade con i test RT-qPCR. Il numero dei falsi positivi/falsi negativi non sarebbe affatto piccolo, un errore casuale diciamo. Ma molto grande, una certezza oltre una certa soglia CT. Secondo alcuni ricercatori, quando la soglia supera i 35 cicli la probabilità che la persona testata è realmente infettata è del 3%, e ne consegue che con tali CT i falsi positivi sarebbero il 97%. Tra i 30 ei 35 CT l’esito sarebbe incerto.

Quali conseguenze per i vaccini? Secondo il protocollo Pfizer/BioNtech nei trials dei vaccini i partecipanti se hanno anche solo un sintomo tra quelli elencati, affatto specifici del Covid-19, ma confermato dal test RT-PCR o, peggio, RT-qPCR, vengono considerati infetti/malati COVID-19, e questo viene considerato un punto di arrivo. Un certo numero di “punti finali” determina l’efficacia: questa si basa quindi solo su sintomi non specifici e esiti di test RT-PCR considerati positivi ma non affidabili.

Efficacia? In realtà – sottolineano ancora i firmatari – il protocollo Pfizer NON è disegnato per determinare l’obiettivo che vuole raggiungere. NON si dice se il vaccino bloccherà la trasmissione del virus e/o ridurrà la gravità della malattia e la morte.  Si parla solo di PREVENZIONE nei pazienti vaccinati. Peraltro, se anche l’obiettivo fosse specificato, aggiungono, dal momento che i casi non possono essere determinati con certezza nessun obiettivo potrebbe essere raggiunto in modo affidabile.

Ecco perché i firmatari delle petizioni affermano che, prima di approvare una autorizzazione di emergenza tutti i casi utilizzati per determinarne l’efficacia dovrebbero avere lo status di infezione confermato col metodo del cosiddetto sequenziamento Sanger, suggerito dalla stessa FDA e considerato il gold standard. Fra l’altro i test RT-qPCR, più brevi e utilizzati con gli altri nei trials Pfizer, a differenza degli RT- PCR non possono essere validati col sequenziamento Sanger.

CT E CARICA VIRALE. I TEST DI MASSA

Al di là dei vaccini il metodo, assai approssimativo, che abbiamo visto è lo stesso utilizzato nei “tamponi di massa” a cui sono sottoposti i cittadini, con l’idea di determinare la circolazione del virus, dell’infezione, e dei malati Covid-19. Senza mai esplicitare la quantità di virus stimata, ovvero la carica virale. Che pure è cruciale.

Il prof Giuseppe Remuzzi direttore dell’Istituto Mario Negri già lo scorso luglio ne sottolineava l’importanza e spiegava bene il nesso fra la soglia di amplificazione e la carica virale, ovvero la concentrazione del virus nell’organismo. <Più alto è il cosidetto Cycle Threshold, il ciclo soglia, meno RNA virale è presente in chi ha fatto il tampone> scriveva Remuzzi. E aggiungeva: <Sotto le 100 mila copie di RNA non c’è essenzialmente rischio di contagio. Mentre nei campioni esaminati in Lombardia sono state trovate meno di 10.000 copie, che corrispondono a 34-36 cicli>. Già meglio che negli Usa, osserviamo.  

Una bassa concentrazione non dà problemi per qualsiasi agente tossico, spiegava facendo l’esempio dell’arsenico, presente in bassissime concentrazioni nell’acqua del rubinetto. <Lo stesso discorso vale per il tampone: se la carica virale è alta il paziente sarà infettivo, se è bassa o bassissima lo è anche la contagiosità. Il che non vuol dire che tutti i nuovi positivi testati lo siano debolmente, alcuni possono anche avere cariche virali alte. Per questo – suggeriva – sarebbe opportuno che i laboratori nel definire positivo un tampone ne quantifichino la carica virale, come si fa con glicemia, azotemia o colesterolo>.

Invece si continua a non farlo, nei trials dei vaccini e nei “test di massa” a cui sono sottoposti i cittadini. Cosa significhi il numero di “positivi” rispetto al numero di tamponi effettuati a questo punto non è molto chiaro. Eppure con questo dato si valutano giorno per giorno i “contagi” in un territorio, e si calcola il cosiddetto “indice RT”, base per le misure restrittive conseguenti. Il tutto sulla base del postulato: casi positivi al RT-PCR=pazienti COVID o quanto meno contagiati, magari senza sintomi e non contagiosi. I critici lo dicono da tempo, ma vengono tacciati di negazionismo. Negazionista anche il prof. Remuzzi ?

“Andando avanti con queste pratiche di test e con questi risultati il Covid-19 potrebbe non sparire mai”, concludeva il prof.Carl Heneghan, dell’Università di Oxford alla fine di un articolo su diagnosi e falsi positivi.  

Cautele sui test di massa esprime dall’Istituto Mario Negri anche Antonio Clavenna, responsabile Unità di Farmcoepidemiologia: <Il problema è il metodo, i test sono strumenti come i vaccini. …Nei report non si specifica se ci si basa su test molecolari o rapidi [quasi uno su due falsi negativi]… Avremmo bisogno di conoscere la percentuale di falsi negativi e falsi positivi…l’esito del test dipende anche da quando viene effettuato …il solo tampone non deve essere l’unico criterio di valutazione>. 

 (E si potrebbe andare avanti con i test sierologici, che rilevano soltanto gli anticorpi Ig, e non altri tipi di immunità trasversale, innata o specifica delle cellule T. Il sistema immunitario è molto complesso, e nemmeno ben conosciuto, mettono in guardia vari immunologi ed epidemiologi),

Clavenna ridimensiona peraltro anche le aspettative sui vaccini anti Covid-19: <I risultati sembrano promettenti, ma la realtà è che non siamo in grado di capire, adesso, quale sarà l’efficacia concreta del vaccino anti Covid-19; quanto durerà la protezione che il vaccino garantisce; se il vaccino sarà anche in grado di ridurre la contagiosità o se eviterà solo alle persone di manifestare i sintomi della malattia, tante domande ancora senza risposta>…<Da parte di molti esperti credo ci sia un sostanziale consenso nel sostenere che difficilmente, nei prossimi mesi, il vaccino costituirà la soluzione che bloccherà l’epidemia o, addirittura, che eliminerà il virus… sarà un aiuto per tentare di gestirla>…<La sicurezza appare paragonabile a quella di altri vaccini, la differenza è che l’approvazione è stata data quando i dati non permettono di stabilire la reale efficacia… infatti è stata concessa sub judice>.

I firmatari delle petizioni invece come abbiamo visto sottolineano anche i rischi. E Wodarg in un recente articolo col microbiologo indiano, prof Sucharit Bhadi, ne aggiunge altri, relativi ai vaccini Pfizer e Moderna, vaccini non tradizionali basati sulla nuova tecnica dell’RNA ricombinante. Tali vaccini, realizzati con interventi di ingegneria genetica interverrebbero nei complessi processi biologici di comunicazione del nostro sistema immunitario. Dubbi anche sulla composizione di tali vaccini, che comporta frammenti di informazioni di RNA o DNA in cellule umane. <L’RNA ricombinante, introdotto nelle cellule umane, altera i processi genetici e può essere classificato come una modificazione delle cellule dell’organismo>.

Un rischio temuto da altri, fra i quali il biologo molecolare Pieter Borger . Mentre altri , e nella stessa EMA (da contatti personali) smentiscono. Ma essendo la tecnologia nuova, certezze non ve ne sono.

PROTOCOLLI E COINCIDENZE

I protocolli sui quali si sono basati finora i test PCR sono cruciali in questa storia. E colpisce la celerità con la quale sono stati messi a punto, di là e di qua dell’Atlantico, prima ancora che fossero disponibili i campioni fisici del nuovo coronavirus, ancora poco conosciuto e poco diffuso.

I protocolli in uso sono due, tre con quello cinese, modificato in seguito, probabilmente dopo che un articolo peer revewed  sul Chinese Journal of Epidemiology il 5 marzo aveva concluso che <circa la metà o forse di più dei pazienti testati non avevano il virus, erano falsi-positivi>. L’articolo era stato ritirato misteriosamente dopo qualche giorno, per ragioni politiche ha spiegato a mezza bocca l’autore, Dr. GH Zhuang. Era apparso un mese dopo il lockdown di 36 milioni di cinesi!

Ne parla Kevin Ryan nell’articolo citato sopra, dove racconta la vicenda di quello americano, le cui contestazioni sono cominciate quasi subito e sono arrivate poi fino al Congresso con una lettera di 100 virologi, costringendo la CDC ad ammettere che gli esiti positivi “non escludono infezioni batteriche o co-infezioni da altri virus. L’agente individuato può insomma non essere la causa della malattia. Questo perché, come scritto da Scientist e poi dal Washington Post i “geni” del virus selezionati non sono specifici”. In laboratori USA hanno persino trovato contaminazioni da Sars-Cov 2.

Alla lettera accenna anche il firmatario della petizione alla FDA, sottolineando i tempi strettissimi della definizione del protocollo Usa.

Il 7 gennaio le autorità cinesi annunciano la presenza del nuovo coronavirus, chiamato ancora   2019-Sars Cov. Il 10 gennaio la sequenza del genoma viene rilasciata online, sul sito virology.org, seguita da altre il 12 gennaio. Negli Usa quello stesso 10 gennaio, un gruppo di scienziati americani, la maggior parte del CDC, disegnano immediatamente due panel di primers, i geni ritenuti specifici del nuovo virus, e mettono a punto il protocollo americano. Diverso da quello europeo fatto poi proprio dall’OMS.

Questo è il “Protocollo Drosten”o anche “Corman-Drosten”, non meno discusso peraltro, e disegnato con altrettanta celerità dal team di Christian Drosten, del Charité Hospital di Berlino, selezionando tre primers. Anche questo si è basato sulla sola sequenza divulgata online, non disponendo del virus in vitro né di casi clinici, non ancora divulgati alla comunità internazionale. Il 13 gennaio la prima versione 0.1 del protocollo viene inviata all’OMS, che lo stesso giorno la pubblica sul suo sito ufficiale, e la aggiorna il 17 gennaio. Senza attendere la pubblicazione dell’articolo.  

 L’articolo, sottoposto il 21 gennaio alla rivista Eurosurveillance spiega che il design e la valutazione del test, non essendoci ancora campioni di virus disponibili, sono stati ottenuti grazie alla somiglianza del nuovo coronavirus con il Sars-Cov del 2003, oltre alla nota tecnologia degli acidi nucleici sintetici. Accettato il 22 gennaio, l’articolo viene pubblicato online il 23, senza peer revew.

Eppure al 20 gennaio erano stati confermati all’OMS soltanto 282 casi clinici. E al 21, stando a BBC e Google Statistics, i morti nel mondo erano ancora solo 6. Lo osserva fra l’altro il gruppo gli scienziati internazionali (fra i quali il biologo molecolare Pieter Borger Yeadon) che hanno effettuato una peer revew esterna al protocollo Drosten. Dove rilevano una serie di carenze e errori, anche gravi, a loro dire. E conflitti di interesse. Drosten stesso, e un altro collega del team, fanno parte del comitato editoriale di Eurosurveillance. Mentre un altro ricercatore è il CEO di Tib-Malbiol, la società con sede a Berlino ma presente anche in altri paesi, compresa l’Italia, che produce sintesi di acidi nucleici, Dna sintetico, sistemi analitici per RT-PCR, e gli stessi test. Un altro ricercatore, della GENEExpress, ne è consulente.

Fatto sta che, senza nessuna ulteriore verifica indipendente, a parte quella delle aziende commerciali che producono test PCR o suoi componenti, il protocollo Drosten diventa il riferimento, anche per molti paesi. Altri sceglieranno quello Usa.

L’OMS, solo l’11 marzo decreta la pandemia da Sars-Cov-2 (118.00 i casi in 114 paesi, 4.291 le vittime a quella data). E il 19 marzo pubblica linee guida per testare il Covid-19, basate sul test RT-PCR di Drosten, ma indicando la necessità di conferme dal sequenziamento quando necessario. E consigliando il metodo Sanger, quello indicato dalle petizioni.

Del resto anche la FDA, in una lettera del 4 febbraio al direttore del CDC, nell’autorizzare l’uso in emergenza, validando il test americano sosteneva che l’esito è presuntivo.

Eppure già l’11 febbraio Pfizer e Moderna ricevono finanziamenti pubblici per sviluppare il vaccino.

Il giovane Drosten, l’esperto di riferimento Covid del governo, “il Dr Fauci” di Frau Merkel, è ormai famoso in Germania dove gli hanno fatto persino una statuina da presepe (mostrata da RaiNews). Ma ha due cause legali in corso, una per la sua tesi di dottorato, le cui copie sono diventate introvabili, e un’altra intentata da un sito mediatico per aver accusato Wodarg di essere un negazionista e persino un estremista di destra! Ma questi sono gossip, come le ironie sul ministro della Sanità tedesco, un ex banchiere senza alcuna specializzazione medica ma noto come lobbista di Big Pharma.

ORA L’OMS AMMETTE RISCHI ELEVATI DI FALSI POSITIVI DAI PCR

La vera novità è che il 14 dicembre scorso l’OMS ha infine pubblicato un Memo, avvisando che un alto numero nella soglia di cicli nei test PCR produce risultati falsi positivi. E fornendo nuove Istruzioni d’uso.

<Abbiamo ricevuto dei feedback su un elevato rischio di risultati falsi per il SARS-CoV2 quando si testano campioni usando i test RT-PCR>, esordisce. E precisa che tali rischi sorgono dall’usare alte soglie di CT, la famosa soglia di amplificazione… <I risultati di campioni analizzati manualmente con tali alte soglie CT possono essere interpretati come esiti positivi>, scrive ancora. E mette in guardia: … <in certe circostanze, la distinzione fra rumore di fondo e attuale presenza del virus può essere difficile da interpretare>. Seguono cinque nuove istruzioni per l’uso (IFU). Fra queste:

*considerare ogni esito positivo o negativo al SARS-CoV-2 in combinazione con il tipo di campione, osservazioni cliniche, storia del paziente e informazioni epidemiologiche;

*fornire il valore del CT nei report al gestore – Come già suggerivano in tanti, da noi il prof. Remuzzi.

L’OMS dà infine ragione non solo ai firmatari, ma ai tanti esperti, scienziati, giornalisti scientifici che effettivamente da mesi criticano gli attuali test PCR. Il governo Australiano lo aveva scritto sul suo sito, denunciando la scarsa utilità clinica dei test, in Portogallo una corte d’appello ha sentenziato che i test non sono adatti allo scopo. Persino il dr.Fauci aveva pubblicamente ammesso che sopra la soglia di 35 cicli non si individua il virus ma solo “nucleotidi morti”.

Allora perché l’OMS se ne vien fuori solo adesso con queste nuove istruzioni e decide di ammettere che quel che era consentito è sbagliato? Come mai infine riconosce questa realtà ?

Una risposta non c’è. Ma un’ipotesi è stata avanzata da Zerohedge, “cinica e potenzialmente scioccante”. <Ora abbiamo i vaccini. Non abbiamo più bisogno di falsi positivi.

Dopo che ciascuno sarà vaccinato, tutti i test PCR che si faranno verranno fatti secondo le nuove linee guida dell’OMS, e ammetteranno solo 25-30 cicli invece di più di 35. Il numero di “casi postivi” crollerà, e avremo la conferma che i miracolosi vaccini hanno funzionato>.

Ipotesi effettivamente cinica, e malevola. Vedremo, pur augurandoci che l’incubo Covid-19 comunque si dissolva.

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BlackRock e la sua Rivoluzione nel sistema finanziario, economico e politico globale

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Accordo Ue, svolta dell’Europa. Il coro è quasi unanime. Mentre BlackRock esorta gli investitori a puntare sul Vecchio Continente, più avanti rispetto agli Usa. Come stupirsi? Dietro alla ‘svolta’ a ben vedere c’è lo zampino – o zampone – della Roccia Nera, che negli Usa a marzo si è aggiudicata la gestione totale del salvataggio miliardario delle imprese americane da parte della Federal Reserve, diventando ormai la “quarta branca del governo”. Non solo.

La Ue da parte sua , nel suo piano di aiuti da €1000 miliardi emetterà bond comuni ed elargirà fondi e prestiti ai paesi membri, ma lo farà in cambio di riforme, ovvero di interventi nelle politiche fiscali dei governi europei. Una rotta globale indicata giusto un anno nel corso del meeting annuale a Jackson Hole dei banchieri centrali, dietro proposta di emissari della Roccia Nera, sulla base del suo Documento o Libro Bianco pubblicato una settimana prima. Un piano in atto, che un anno dopo Black Rock nell’Outlook sul suo sito definisce <una Rivoluzione>.

Il Covid-19 poi ha aiutato, capitando come si usa dire ‘ a fagiolo’. E oggi Black Rock oltre a gestire gli stress test delle banche europee per conto della Bce, è diventata pure consulente dell’Ue su come incorporare le pratiche ambientali, sociali e di governance nella gestione del rischio da parte delle banche, di gran parte delle quali è azionista e quasi tutte sue clienti. Pratica in cui peraltro eccelle.

Un protagonismo ormai anche politico, quello del maggior gestore di attivi del mondo, che impensierisce non poco gli osservatori più attenti, nel generale silenzio mediatico. In un quadro in cui tre soli grandi giganti gestori di assets- i Big Three, in testa Black Rock con Fidelity e State Street –non solo gestiscono una grandissima parte degli investimenti globali ma detengono quote, anche di controllo, in un numero grandissimo e crescente di corporations e imprese, dentro e fuori dagli Usa a partire dall’Europa, con diritto di voto. Mentre il fondatore e CEO della Roccia Nera Larry Fink è in predicato per diventare Segretario al Tesoro in una eventuale amministrazione di Joe Biden.

Ma ricominciamo dall’inizio.

Black Rock, l’irresistible ascesa. Sulla scia di un articolo di Limes (a firma del prof Germano Dottori) Underblog si era già occupato della Roccia Nera nel 2015, chiedendosi se davvero il ‘Moloch della finanza globale’ fosse responsabile del cambio di scena in Italia nel 2011, quando Deutsche Bank, di cui BlackRock era azionista di controllo, aveva per prima ritirato i suoi capitali nei titoli di Stato italiani, spingendo il nostro paese sull’orlo del famigerato ‘baratro’. Non era Berlino, non erano i poteri di Francoforte a provocare il tracollo, era molto probabilmente stata la RocciaNera, concordava Underblog. Quasi certamente, a giudicare dai fatti successivi.

La Roccia nera era già un gigante e gestiva i rischi di $15.trilioni di attivi segnalava l’Economist che già nel 2103 le aveva dedicato una copertina con una gigantesca roccia nera incombente sull’orizzonte.

Nel contesto della finanziarizzazione globale promossa da Reagan e poi da Clinton, BlackRock aveva visto la luce nel 1988, in partnership al 50% con BlackStone, la mega finanziaria globale di private equity, che qualcuno vede connessa con i Rothschild (il barone Nathaniel Jacob in ogni caso entra nel 2007 nel board), nota dopo il 2008 per essersi impossessata a prezzi stracciati di case pignorate durante la crisi poi rivendute a prezzi gonfiati, racconta Ellen Brown (giugno 2020), avvocato e attivista favore delle banche pubbliche, autrice di vari libri. Che nel raccontare Jackson Hole 2019, ne riassume anche la storia.

<Staccatasi nel1995 dalla partner, BlackRock negli anni ’90 e 2000 accresce i suoi bilanci promuovendo gli MBS, i mutui cartolarizzati ovvero titoli garantiti da ipoteca che hanno fatto crollare l’economia nel 2008. Conoscendo bene il business dall’interno nel 2008-9 era stata incaricata dalla Fed di acquistare i titoli tossici fuori mercato da Bear Stearns e AIG, cosa che la Fed non avrebbe potuto fare da sé>. Le fortune della Roccia Nera sono tuttavia legate soprattutto agli ETF, titoli comprati e venduti come azioni ma che operano come fondi indicizzati, seguendo passivamente indici specifici come l’S&P 500, l’indice delle big corporations in cui investe la maggior parte della gente. Con gli ETF BlackRock si è assicurata trilioni di attivi, in particolare dopo aver acquisito la serie di iShares quando si è impossessata di Barclay Global Investors nel 2009. Al 2020 iShares comprende 800 fondi e $1.9 trilioni di attivi in gestione diretta.

I Big Three. Oggi il settore ETF comprende circa la metà di tutti gli investimenti in azioni Usa ed è altamente concentrato. Il settore è dominato dai tre maggiori gestori di denaro al mondo, i cosiddetti Big Three: Black Rock, Vanguard e State Street, con BlackRock leader assoluto: insieme detengono l’80% di tutti i fondi indicizzati.

Come si vede dalla tabella sui top money managers (non solo di ETF) pubblicata nel recente articolo di BloombergQuint, società indiana partecipata al 30% da Bloomberg News in un articolo recente. Black Rock in testa con $7.4 trilioni di assets globali sotto controllo (un terzo di quali in Europa, e $625 miliardi di piani pensione), seguita da Vanguard Group con $6.2 trilioni , State Street Global Adv con $5.1 trilioni, seguono Fidelity Investment ($3.2) e JP Morgan Asset Mgt ($2.4).

“The spectre of the Giant Three” titolava un anno fa uno studio di due docenti di Harvard, ben riassunto in italiano da Startmag.it, e sui Big Three è oggi puntato l’occhio dell’antitrust americana. Da notare gli intrecci azionari fra gli stessi Big Three, oltre che con le maggiori mega banche, come riferiva già nel 2015 Underblog, citato sopra.

Non solo. <Al 2017 i Big Three sono diventati anche i maggiori singoli azionisti nel 90% delle società S&P 500, comprese Apple, Microsoft, Exxon Mobil, General Electric, Coca Cola ecc, per restare negli Usa . La Roccia nera detiene inoltre principali interessi in quasi ogni mega banca e nei media più importanti.> Così la Brown, cui fa eco Le Monde Diplomatique, gennaio 2020:

<Insieme i tre giganti nella gestione di attivi comulano 15.000 miliardi di capitalizzazione, l’equivalente del PIL della Cina, e controllano un blocco maggioritario di azioni nel 90% delle imprese S&P 500, ma gli altri non sono che nani davanti al Leviatano finanziario, che investe in 5 continenti e, con un giro di affari superiore a $15.000 miliardi ($15 trilioni) e quasi 14.000 collaboratori in 30 paesi, gestisce da sola oltre $6000 miliardi, due volte e mezzo il Pil francese>.

Le quote nelle imprese S&P 500 sono solo la punta dell’iceberg. <La società di Larry Fink ha quote nel 40% di tutte le imprese americane e vota in 17.000 cda, possiede più azioni in Google, Amazon, Apple, Microsoft  dei fondatori di tali società>.

La mira, spiega Le Monde Diplomatique, è acquisire un peso sufficiente nel capitale in concorrenza nello stesso settore, consentendole di influire sulle decisioni: come è accaduto per i prezzi nelle società aeree Usa, che fanno capo alla Roccia Nera. E in Europa? Lo vedremo più avanti

Aladdin. E’ la carta vincente della Roccia Nera, per la precisione di Black Rock Solutions: una piattaforma software iper sofisticata, “una rete di codici, scambi commerciali, chat, algoritmi, modelli predittivi”, che funziona come una Intelligenza Collettiva, spiega sul suo sito, (vedi anche Seekingalpha), ma anche sorta di oracolo . Attraverso tale rete la Roccia Nera scopre le vulnerabilità e valuta e prevede opportunità e rischi per i suoi clienti, diretti indiretti, piccoli e grandi, privati e istituzionali come governi, assicurazioni e quant’altro- compresi i gestori di assets suoi rivali (come Bloomberg LP, parente di Bloomberg News), monitorando ben $20 trilioni – $20.000 miliardi – di assets nel mondo. Niente a che vedere con le Mille e una Notte, il nome è l’acronimo di Asset, Liability, Debt and Derivative Investment Network)

L’incarico dalla Fed . Non sorprende che <quando la Fed ha avuto bisogno di aiuto per la sua missione di salvataggio pandemico si sia rivolta direttamente a Larry Fink, diventato il più importante suggeritore industriale del governo>, scrive BloomberQuint. Espertise e capacità di azione immediata hanno guidato la scelta nell’urgenza, ha ammesso il presidente Fed Jerome Powell in audizione.

In marzo la  Roccia Nera si è così aggiudicata, senza gara e senza alcun dibattito al Congresso, un contratto in base alla legge CARES (Coronavirus Aid, Relief, and Economic Security Act) per utilizzare $454 miliardi di fondi sciolti assegnati dal Tesoro insieme alla Fed. Questi fondi potrebbero avere un effetto leva per fornire oltre $ 4000 miliardi di crediti Fed. <Mentre il pubblico era distratto da proteste, sommosse e lockdown – commenta Ellen Brown – Black Rock è di colpo emersa come “quarta branca del governo” – secondo la definizione del prof Willam Birdthistle, del Law College dell’università di Chicago – gestendo il controllo sul denaro stampato su richiesta dalla banca centrale>.

Il nuovo compito assegnato a Black Rock è molto più vasto di quello svolto durante la crisi del 2008. La prima parte, in atto dal 12 maggio, consiste nell’acquisto di ETF. E che gli ETF e i bond sottostanti siano al cuore della crisi da Covid e avessero bisogno di un salvataggio lo riconoscono esperti citati da Brown. Ma la società potrebbe finire per comprare i fondi che gestisce – come sta già accadendo per il 47% degli ETF acquistati – con evidenti conflitti di interesse.

La Roccia nera si difende sostenendo di non averne la proprietà ma di agire come mera custode. A differenza delle banche non fa investimenti per sé. “Agiamo come fiduciario della Fed di New York  (il cuore della banca centrale) afferma un portavoce della società”.

Con i suoi ultimi incarichi è un argomento difficile da far valere, osserva Graham Steele dall’Università di Stanford, che è ha lavorato per la Fed di S.Francisco, citato da BloombergQuint. “Sono così intrecciati nel mercato e col governo che è un groviglio di conflitti davvero interessante”.

 “Perché assegnare tutto il denaro da gestire a una sola società?”, chiede Birdthistle. E polemiche, anche sull’assegnazione dei fondi ai grandi di Wall Street , ce ne sono già se Powell il 29 luglio scorso ha tenuto a dichiarare che “Black Rock è solo il nostro agente, le decisioni le prendiamo noi, BlackRock esegue i nostri piani”. Nessuna replica dalla diretta interessata.

<BR gestirà i portafogli dei corporate bonds e dei debiti ETF. Farà lo stesso per i nuovi bond, talvolta agendo come unico compratore- e fino al 25% dei prestiti sindycated dalle banche. E acquisterà gli MBS da agenzie semigovernative come Fannie Mae e Freddie Mac. Otterrà $48 milioni annui di compensi, poco per una società i cui profitti l’anno scorso ammontavano a $4.5 miliardi – ulteriormente saliti del 21% nel primo trimestre 2010 – ma potrà cementare i legami dei suoi gestori con i politici>. Peraltro già assai forti.

Larry Fink e i suoi tentacoli. <La sfera di influenza di BlackRock  – che si è costruito anche un potente ufficio legale – va oltre la banca centrale e comprende avvocati, presidenti e capi di agenzie governative di entrambi i partiti, sebbene più volto ai Democratici>, secondo BloombergQuint. <Solo un pugno di executives vengono dall’amministrazione di George W Bush, più di una dozzina da quella di Obama, sonocompreso il consigliere per la Sicurezza nazionale di Obama, il consigliere per la politica del clima, l’ex vicepresidente della Fed, e numerosi economisti della Casa Bianca, del Tesoro e della stessa Fed.>

Fink, il fondatore e CEO di BlackRock è da sempre considerato più vicino ai Dem. <Nel 2012 era nella lista per sostituire il segretario al Tesoro Tim Geithner in uscita. E ora è ampiamente considerato per quel posto in una eventuale amministrazione Biden, anche se non è chiaro come sarebbe visto dall’ala sinistra dei Dem, per quanto abbia la stima di membri di Wall Street amici del partito>, è ancora Bloomberg Quint a scrivere.

Del resto il business primario della società, la gestione di ETF, è stato acclamato in quanto rende gli investimenti più facili ed economici. E, per quanto Fink sia la bestia nera degli ambientalisti perché alcuni dei suoi fondi detengono quote di società di energie fossili, ha messo le mani avanti per prepararsi al contrasto del cambiamento climatico. Scrivendo lui stesso una lettera di impegni, di cui ha dato notizia anche Startmag.it.

<La sua influenza va ben al di là degli Usa. La Bank of Canada in marzo lo ha preso come consulente per i suoi acquisti di commercial papers, il debito che le società fanno per finanziare giorno per giorno le loro spese. E il mese scorso la UE lo ha assunto per consulenze su come integrare le pratiche ambientali, sociali e di governance nei modi in cui le banche gestiscono il rischio>.

BlackRock in Europa. <Larry Fink, il capo dei più potenti fondi mondiali, è nel suo aereo, destinazione Europa. Sull’Atlantico, chiede al comandante di collegarsi con la Germania. Chiede al suo responsabile regionale a Francoforte ed esige un incontro con Angela Merkel. Possibilmente entro cinque ore dal suo atterraggio>. Comincia con questo aneddoto, raccontato da una ex dipendente, un articolo del del 2018 del sito di investigazione e opinione francese Mediapart intitolato “BlackRock, il Leviatano della finanza che pesa sulle scelte europee”. Il seguito per abbonati.

Attac-54 ne riassume i punti salienti, dopo varie cifre sulla dimensione del gigante, con clienti in 100 paesi, e un terzo degli assets sotto il suo controllo in Europa: <Contemporaneamente consigliere delle banche centrali e principale azionista dei fiori all’occhiello industriali, mormora all’orecchio degli Stati europei. Punti chiave: contrastare ogni regolamentazione finanziaria e imporre pensioni private a capitale per tutti>.

Dopo la crisi finanziaria ha accresciuto il suo potere ben al di là della gestione di attivi: lo si ritrova come uditore delle banche a richiesta delle autorità di regolazione, come consigliere di Stati sulle privatizzazioni. Nell’autunno 2017 è stato invitato dal governo francese a presiedere il comitato CAP2022 volto a designare i futuri contorni dello Stato.

BlackRock propone ad altre entità finanziarie di mettere a loro disposizione i suoi strumenti per la gestione del rischio. Ma offre anche servizi alle autorità finanziarie. Che lo sollecitano a valutare la salute di grandi istituti bancari considerati sistemici.

Solo in Francia è azionista tra il 5 e il 10% di una serie di grandi industrie (esempi) e spesso l’azionista principale di almeno 172 società quotate nella Borsa francese, oltre ad avere il voto in 17.000 imprese del mondo. Quanto all’Italia, Underblog nel 2015 aveva fatto un elenco delle sue partecipazioni. L’articolo più recente trovato oggi è di Financecommunity.it, 29 luglio 2020, dedicato alla squadra italiana.

<La presenza italiana del gigante Usa risale al 2000, nel 2006 la fusione con la banca di investimenti Merryl Linch gli porta in dote vari manager fra i quali il capo dell’attuale squadra italiana Andrea Viganò, già responsabile del Sud Europa. A fine 2013, in Italia gli asset in gestione da parte di BlackRock  valevano 52 miliardi di dollari con 8 miliardi raccolti nel corso dell’anno. Oggi i fondi esteri controllano il 38% di Piazza Affari, e il primo investitore estero, secondo in assoluto dietro lo Stato italiano, è la Roccia Nera che, attraverso 156 società, ha partecipazioni per 20 miliardi di euro, con un controvalore delle azioni italiane raddoppiato rispetto a un anno fa. Negli ultimi mesi la società ha aumentato le quote, in particolare nel settore bancario, in cui è presente con il 5% circa di Intesa Sanpaolo e Unicredit e il 6,8% del Banco Popolare>.

Ma torniamo a Mediapart, che segnala gli interventi europei di BlackRock già durante e dopo la crisi del 2008. In Irlanda, la banca centrale gli aveva chiesto di valutare lo stato di sei banche irlandesi, la Grecia, sotto pressione della Troika, si era rivolta alla società di Fink per dissequestrare i portafogli di prestiti di 18 banche (2011) poi ancora delle quattro maggiori (2013).

Anche l’Olanda aveva chiamato BlackRock per analizzare il portafoglio di ING, banca sull’orlo del fallimento, di cui il gigante Usa deteneva il 5%. Dijsselbloem, ministro delle finanze e allora presidente dell’Eurogruppo, si era giustificato. Sebbene, ironia, la banca centrale olandese da 2007 avesse assegnato proprio alla Roccia Nera la gestione dei fondi pensione dei suoi impiegati.

E a Bruxelles? Da una fonte interna all’Europarlamento si apprende che BlackRock organizza “giornate di informazione” per gli assistenti parlamentari scrive Attac54 raccontando Mediapart (nel 2018 ricordiamo). E fosse solo questo. Viene citata Daniela Gabor, docente di macroeconomia all’università di Bristol, che dal 2013 ha seguito i dibattiti sulla regolazione finanziaria quando il Commissario Michel Barnier prometteva di rinforzare le regole sul sistema finanziario (come oggi conta di fare Paolo Gentiloni equilibrando i sistemi fiscali e ridimensionando i paradisi, vedremo):

Ho capito che ad avere il potere non erano più le banche ma i gestori di attivi “, ha osservato Gabor, citata anche da Ellen Brown. Secondo la quale BlackRock riflette la rinuncia al welfare state da parte dello Stato. Il suo potere crescente si accompagna con i cambiamenti strutturali in corso, nella finanza ma anche nella natura dei contratti sociali fra i cittadini e lo Stato. E la BCE, che sollecita BlackRock come uditore delle banche, non ha alcun potere su quella società”.

<Il potere acquisito dalla Roccia nera sugli Stati è orizzontale, in quanto azionista di imprese a priori in concorrenza può spingere verso concentrazioni, specializzazioni, cessioni. Come accade già nella Chimica dove domina il settore con partecipazioni in tutti i grandi gruppi mondiali>.

Alle stesse conclusioni arrivava del resto nel 2018 l’articolo Blackrock – The Company That Owns the World del gruppo di ricerca multinazionale Investigate Europe, che rimandava poi a Mediapart.

In sintesi: <Minacce alla concorrenza attraverso il possesso di quote in società in competizione, offuscamento dei confini fra capitale privato e affari pubblici lavorando accanto ai regolatori, battaglie per la privatizzazione dei piani pensione così da canalizzare i risparmi nei suoi fondi>.  E sulle pressioni per riformare le pensioni europee insiste molto Le Monde Diplomatique .

La Roccia Nera consulente della BCE. Nel dicembre 2018 il Sole24Ore se ne usciva con la “rivelazione” dell’incarico a Black Rock da parte della Bce di eseguire gli stress test bancari. Una prassi non nuova, quella di esternalizzare tale compito per mancanza di tecnici qualificati. “Se ne accorge solo ora?”, commentava Startmag.it.

La notizia peraltro era stata pubblicata in ottobre da Don Qujones, pseudonimo di un analista economico su cose europee e non solo collaboratore del noto sito californiano Wolfstreet. Con considerazioni sui precedenti ben più interessanti.

<Nel 2014 la Bce ha assunto BlackRock Solutions come consulente su come implementare l’acquisto di titoli garantiti da attivi delle banche centrali europee. In altre parole – spiegava- prima di imbarcarsi in uno dei più vasti programmi di QE della storia, la Bce ha cercato i consigli del maggior gestore di asset, la società che più ha investito negli attivi che intendeva acquistare>.

La Bce era presieduta da Mario Draghi, che a gennaio 2015 lancerà l’atteso programma di Quantitative Easing da €60 miliardi.   

Nel 2016 la Roccia Nera viene di nuovo assunta dalla banca centrale europea, questa volta per condurre gli stress test. L’incarico del 2018 è un’estensione di quel contratto. Il costo, rivelato dalla stessa Bce dopo le pressioni tedesche, è relativamente basso: €8.2 milioni. <Ma l’importanza dell’incarico è nelle informazioni privilegiate che BlackRock si assicura su banche di molte delle quali, se non tutte, detiene pacchetti di azioni e in due terzi delle quali figura come consulente, aiutandole nelle verifiche>.

La società di Larry Fink esclude conflitti di interesse, e parla di una ’muraglia cinese’ tra le diverse branche della società stessa (dove peraltro per passare da un settore all’altro a un manager bastano solo due settimane di sospensione, scrive la Brown). Non tutti non tutti sono convinti . “Le dimensioni di BlackRock danno luogo a un potere di mercato che nessuno Stato è più in grado di controllare” aveva osservato il parlamentare tedesco Michael Theurer, membro dell’europarlamento dal 2009 al 2017, citato da Wolfstreet. Fosse solo un potere di mercato. La “piovra vampira”, vampire squid, definizione coniata a suo tempo da Matt Taibbi in un celebre pezzo su Goldman Sachs, è vista da alcuni come un vero e proprio “governo ombra”.

<Come Goldman Sachs, BlackRock sta estendendo i suoi tentacoli attraverso l’Europa e spende grandi somme in lobbying e nel catturare politici e funzionari come l’ex presidente della Swiss National Bank, la banca centrale svizzera, Phillip Hildebrand diventato vicepresidente con ruoli di primissimo piano nella società e l’ex capo del Tesoro britannico George Osborne>, racconta BloombergQuint.

A Jackson Hole, 2019. Non sorprende a questo punto la notizia data da Ellen Brown e riportata all’inizio di questo post, protagonista proprio Hildebrand.

<L’importanza e il peso politico di BlackRock sono apparsi evidenti quando quattro dei suoi manager esecutivi, capeggiati dall’ex capo della Swiss National Bank Phillip Hildebrand hanno presentato una proposta meeting annuale dei banchieri centrali a Jackson Hole dell’agosto 2019>. Un incontro come sempre dalla natura dichiaratamente economica e politica.

<Essendo a conoscenza che i banchieri centrali non avevano più munizioni per controllare la fornitura di denaro e l’economia, BlackRock ha detto che era tempo che le banche centrali abbandonassero l’indipendenza a lungo vantata e affiancassero alla politica monetaria (compito usuale delle banche centrali) una politica fiscale (compito tradizionale dei legislatori)>. La crisi del Covid ha offerto l’opportunità perfetta, scrive Brown, che mette in relazione quanto sopra con il piano americano di salvataggio, gestito da BlackRock. Un approccio che appare limitato.

Un governo ombra globale? E’ infatti significativo che quella della Roccia Nera non fosse semplicemente una “proposta”. Bensì un vero e proprio Piano, molto articolato, presentato il 15 agosto, qualche giorno prima del simposio di Jackson Hole, come si può leggere sul suo sito, a cui rimandiamo. Un Piano globale, ambiziosamente intitolato Dealing with the next downturn, ovvero come affrontare la prossima fase discendente. Che appariva già ben chiara un anno fa. Covid o meno.

Il Piano è stato messo in pratica, come la stessa BlackRock spiega sul suo sito nell’Outlook dell’11 giugno 2020, compiacendosi del fatto che <in questi due mesi la politica macroeconomica ha visto niente di meno di una Rivoluzione>. Parola chiave su cui insiste anche più avanti. Policy revolution, Rivoluzione delle politiche, è del resto il titolo.

<La risposta politica odierna è di una scala completamente diversa da quella data nella crisi finanziaria del 2008. Non solo è stata più rapida e di una ampiezza ben superiore a quella di ogni altro momento storico, ma i cardini delle strutture della politica globale e dei mercati finanziari sono stati del tutto trasformati>, viene spiegato, anche con tabelle. Aggiungendo già nel sottotitolo che <Senza appropriate barriere di sicurezza e una strategia di uscita, vediamo una china scivolosa>.

BlackRock indica tre aspetti della rivoluzione. In estrema sintesi: *dare liquidità direttamente a famiglie e business * politiche monetarie e fiscali mescolate esplicitamente *sostegno alle imprese con condizioni stringenti, aprendo le porte a un intervento senza precedenti nel funzionamento dei mercati finanziari e di governance delle imprese. Seguono maggiori dettagli.

<Questa rivoluzione politica era inevitabile, data l’insufficienza delle politiche monetarie nel rispondere a una significativa, drammatica fase discendente> – dell’economia globale si presume.  Una discesa invero poco raccontata nelle cronache mediatiche, sempre propense all’ottimismo, e a presentare gli Stati Uniti, guardando essenzialmente a Wall Street, come un solido blocco economico, a dispetto di allarmi da parte degli economisti più avveduti. Le ricette di BlackRock sono rivolte anche all’Europa.

Conclusioni. Che il sistema sempre più globalizzato e intrecciato sia ormai gestito dalle banche centrali, con la Fed in primo piano e con un ruolo di guida, era da tempo evidente, così come il crescente peso di BlackRock come gestore di asset e consulente, dominante nell’ambito dei Big Three.

La novità sembra essere l’approdo della RocciaNera a pianificatore e controllore globale, con l’avvallo delle banche centrali stesse. Mentre il ruolo dei governi, e della stessa Ue, sembra scivolare quasi in secondo piano. A dispetto dei sovranisti, che se la prendono con falsi bersagli.

Un destino inesorabile e inevitabile, nel tentativo di puntellare la supremazia occidentale? Probabilmente sì.

Con buona pace degli analisti anche i più critici che si attardano ancora a puntare il dito sui conflitti di interessi, e della stessa Brown . Dopo aver sottolineato come le politiche pubbliche siano oggi condotte a favore del mercato azionario, considerato il barometro dell’economia sebbene abbia ben poco a che fare con l’economia reale e che BlackRock sia ormai nelle condizioni di controllare l’economia, e aver assodato, col citato Peter Ewart, che “oggi il sistema economico non è più il capitalismo classico ma un capitalismo monopolistico dove i confini fra Stato e oligarchia finanziaria sono virtualmente inesistenti”, da strenua fautrice del pubblico nell’economia e nelle stesse banche, Brown avanza una proposta utopica, o quanto meno irrealistica :

<Se tali oligarchi sono troppo grandi e strategicamente importanti per essere spezzati secondo le leggi antitrust, dovrebbero essere nazionalizzati e messi al servizio del pubblico. Quanto a BlackRock dovrebbe per lo meno essere regolato come un istituto Finanziario di importanza Sistemica (cosa che è finora riuscita ad evitare per sfuggire alle pur blande regole della legge Dodd-Frank, aggiungiamo). Meglio ancora regolarla come una utility pubblica. Quale amministrazione lo farà mai?

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