Un mondo diviso in due: La strategia globale Usa, l’Ucraina e il prezzo per l’Europa.

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<È ormai chiaro che l’odierna escalation della Nuova Guerra Fredda è stata pianificata più di un anno fa, con una seria strategia associata al piano americano di bloccare il Nord Stream 2 come parte del suo obiettivo di impedire all’Europa occidentale (“NATO”) di cercare la prosperità attraverso il commercio e gli investimenti reciproci con Cina e Russia>.

E’ l’incipit dell’articolo di Michael Hudson, economista americano tra i più noti, già analista di Wall Street, ricercatore, consulente, commentatore e autore di vari libri, l’ultimo di prossima uscita. Economista “classico” ma “di sinistra” e contrario all’ultraliberista Scuola di Chicago. Pubblichiamo la traduzione del suo articolo, intitolato The dollar devours the euro, che descrive la strategia globale americana volta a contrastare la Cina, superpotenza in crescita che minaccia quella americana in declino, dividendo il mondo in due e costringendo i paesi a schierarsi di qua o di là. Cominciando dall’Ucraina casus belli. Una strategia a cui l’Europa politica acconsente- almeno finora- pur essendone la prima vittima. Segue l’articolo di Hudson.

<Come annunciato dal Presidente Biden e dai rapporti sulla sicurezza nazionale degli Stati Uniti, la Cina è stata vista come il principale nemico. Nonostante il ruolo utile della Cina nel consentire alle aziende americane di abbassare i salari dei lavoratori attraverso la deindustrializzazione dell’economia statunitense a favore dell’industrializzazione cinese, la crescita della Cina è stata riconosciuta come il Terrore Finale: la prosperità attraverso il socialismo. L’industrializzazione socialista è sempre stata percepita come il grande nemico dell’economia rentier [della rendita] che si è impadronita della maggior parte delle nazioni nel secolo successivo alla fine della Prima Guerra Mondiale, e soprattutto a partire dagli anni Ottanta. Il risultato oggi è uno scontro tra sistemi economici: industrializzazione socialista e capitalismo finanziario neoliberista.

Ciò rende la nuova guerra fredda contro la Cina un atto di apertura implicito di quella che rischia di essere una terza guerra mondiale di lunga durata. La strategia degli Stati Uniti consiste nell’allontanare i più probabili alleati economici della Cina, in particolare la Russia, l’Asia centrale, l’Asia meridionale e l’Asia orientale. La domanda era: da dove iniziare la spartizione e l’isolamento?

La Russia è stata vista come la più grande opportunità per iniziare l’isolamento, sia dalla Cina che dalla zona euro della NATO. È stata elaborata una sequenza di sanzioni sempre più severe – e si spera fatali – contro la Russia, per impedire alla NATO di commerciare con essa. Tutto ciò che serviva per innescare il terremoto geopolitico era un casus belli.

Questo è stato organizzato abbastanza facilmente. L’escalation della Nuova Guerra Fredda avrebbe potuto essere lanciata nel Vicino Oriente – per la resistenza all’accaparramento dei giacimenti petroliferi iracheni da parte dell’America, o contro l’Iran e i Paesi che lo aiutano a sopravvivere economicamente, o in Africa orientale. In tutte queste aree sono stati elaborati piani per colpi di Stato, rivoluzioni colorate e cambi di regime, e l’esercito africano dell’America è stato costruito con particolare rapidità nell’ultimo anno o due. Ma l’Ucraina è stata sottoposta a una guerra civile sostenuta dagli Stati Uniti per otto anni, a partire dal colpo di Stato di Maidan del 2014, e ha offerto la possibilità di ottenere la prima grande vittoria in questo confronto contro la Cina, la Russia e i loro alleati.

Così le regioni russofone di Donetsk e Luhansk sono state bombardate con crescente intensità e, quando la Russia si è ancora astenuta dal rispondere, secondo quanto riferito, sono stati elaborati piani per una grande resa dei conti che avrebbe avuto inizio alla fine di febbraio – iniziando con un attacco dell’Ucraina occidentale organizzato dai consiglieri statunitensi e armato dalla NATO [attacco effettivamente iniziato il 14 febbraio con bombardamenti sempre più intensi sul Donbass, come ha documentato l’OSCE, vedi articolo di Jaques Baud ]

La difesa preventiva della Russia delle due province ucraine orientali e la successiva distruzione militare dell’esercito, della marina e dell’aeronautica ucraina negli ultimi due mesi sono state usate come scusa per iniziare a imporre il programma di sanzioni progettato dagli Stati Uniti che stiamo vedendo oggi. L’Europa occidentale si è comportata in modo diligente assecondando integralmente tali piani. Invece di acquistare gas, petrolio e generi alimentari russi, li acquisterà dagli Stati Uniti, insieme a un forte aumento delle importazioni di armi.

La prospettiva di una caduta del tasso di cambio euro/dollaro

È quindi opportuno esaminare come tutto ciò possa influire sulla bilancia dei pagamenti dell’Europa occidentale e quindi sul tasso di cambio dell’euro rispetto al dollaro.

Prima della guerra per l’imposizione delle sanzioni, il commercio e gli investimenti europei promettevano una crescente prosperità reciproca tra Germania, Francia e altri Paesi della NATO nei confronti di Russia e Cina. La Russia forniva energia in abbondanza a un prezzo competitivo, e questa energia avrebbe fatto un salto di qualità con il Nord Stream 2. L’Europa avrebbe guadagnato la valuta estera necessaria a pagare questo crescente commercio d’importazione grazie a una combinazione di esportazione di un maggior numero di prodotti industriali in Russia e di investimenti di capitale nello sviluppo dell’economia russa, ad esempio da parte di aziende automobilistiche tedesche e di investimenti finanziari. Questi scambi e investimenti bilaterali sono ora fermi – e lo saranno per molti, molti anni, data la confisca da parte della NATO delle riserve estere russe in euro e sterline britanniche e la russofobia europea alimentata dai media di propaganda statunitensi.

Al suo posto, i Paesi della NATO acquisteranno GNL statunitense, ma dovranno spendere miliardi di dollari per costruire una capacità portuale sufficiente, il che potrebbe richiedere fino al 2024 (Buona fortuna fino ad allora). La carenza di energia farà aumentare sensibilmente il prezzo mondiale del gas e del petrolio. Anche i Paesi della NATO intensificheranno gli acquisti di armi dal complesso militare-industriale statunitense. L’acquisto quasi in preda al panico farà aumentare pure il prezzo delle armi. Anche i prezzi dei generi alimentari aumenteranno a causa della disperata carenza di cereali dovuta alla cessazione delle importazioni dalla Russia e dall’Ucraina, da un lato, e alla carenza di fertilizzante ammoniacale ricavato dal gas, dall’altro.

Tutte e tre queste dinamiche commerciali rafforzeranno il dollaro rispetto all’euro. La domanda è: come farà l’Europa a bilanciare i suoi pagamenti internazionali con gli Stati Uniti? Che cosa ha da esportare che l’economia statunitense accetterà mentre i suoi interessi protezionistici acquistano influenza, ora che il libero scambio globale sta morendo rapidamente?

La risposta è: non molto. Allora cosa farà l’Europa? [Qui Hudson avanza un’idea che può apparire paradossale: una provocazione? ]

Potrei fare una modesta proposta. Ora che l’Europa ha praticamente smesso di essere uno Stato politicamente indipendente, sta cominciando ad assomigliare a Panama e alla Liberia – centri bancari offshore “bandiera di convenienza” che non sono veri e propri “Stati” perché non emettono una propria moneta, ma utilizzano il dollaro statunitense. Poiché l’eurozona è stata creata con manette monetarie che limitano la sua capacità di creare denaro da spendere nell’economia oltre il limite del 3% del PIL, perché non gettare semplicemente la spugna finanziaria e adottare il dollaro americano, come l’Ecuador, la Somalia e le Isole Turks e Caicos? Questo darebbe agli investitori stranieri la sicurezza contro il deprezzamento della valuta nei loro crescenti scambi commerciali con l’Europa e il finanziamento delle esportazioni.

Per l’Europa, l’alternativa è che il costo in dollari del debito estero assunto per finanziare il crescente deficit commerciale con gli Stati Uniti per petrolio, armi e cibo esploderà. Il costo in euro sarà ancora più elevato, dato che la valuta scende rispetto al dollaro. I tassi di interesse aumenteranno, rallentando gli investimenti e rendendo l’Europa ancora più dipendente dalle importazioni. L’eurozona si trasformerà in una zona economica morta.

Per gli Stati Uniti si tratta di un’egemonia del dollaro con gli steroidi, almeno nei confronti dell’Europa. Il continente diventerebbe una versione un po’ più grande di Porto Rico.

Il dollaro nei confronti delle valute del Sud Globale

La versione in piena regola della Nuova Guerra Fredda, che si trasformerà nella salva di apertura della Terza Guerra Mondiale innescata dalla “Guerra d’Ucraina”, durerà probabilmente almeno un decennio, forse due, poiché gli Stati Uniti estenderanno la lotta tra neoliberismo e socialismo a un conflitto mondiale. Oltre alla conquista economica dell’Europa, gli strateghi statunitensi stanno cercando di agganciare i Paesi africani, sudamericani e asiatici in modo analogo a quanto pianificato per l’Europa.

Il forte aumento dei prezzi dell’energia e dei generi alimentari colpirà duramente le economie con deficit alimentare e petrolifero, nello stesso momento in cui i loro debiti esteri denominati in dollari verso gli obbligazionisti e le banche stanno scadendo e il tasso di cambio del dollaro sta aumentando rispetto alla loro valuta. Molti Paesi dell’Africa e dell’America Latina, in particolare del Nord Africa, si trovano a dover scegliere se soffrire la fame, ridurre l’uso di benzina ed elettricità o prendere in prestito i dollari per coprire la loro dipendenza dal commercio statunitense.

Si è parlato di emissioni di nuovi DSP da parte del FMI per finanziare i crescenti deficit commerciali e di pagamento. Ma questo tipo di credito ha sempre dei vincoli. Il FMI ha una propria politica di sanzioni nei confronti dei Paesi che non obbediscono alla politica statunitense. La prima richiesta degli Stati Uniti sarà che questi Paesi boicottino la Russia, la Cina e la loro emergente alleanza di auto-aiuto commerciale e valutario. “Perché dovremmo darvi i DSP o concedervi nuovi prestiti in dollari, se avete intenzione di spenderli in Russia, Cina e altri Paesi che abbiamo dichiarato nemici?”, chiederanno i funzionari statunitensi.

Almeno, questo è il piano. Non mi sorprenderebbe vedere qualche Paese africano diventare la “prossima Ucraina”, con truppe per procura statunitensi (ci sono ancora molti sostenitori e mercenari wahabiti) che combattono contro gli eserciti e le popolazioni di Paesi che cercano di nutrirsi con il grano proveniente dalle fattorie russe e di alimentare le loro economie con il petrolio o il gas dei pozzi russi – per non parlare della partecipazione alla Belt and Road Initiative cinese che, dopo tutto, è stata la causa scatenante del lancio da parte dell’America della sua nuova guerra per l’egemonia neoliberale globale.

L’economia mondiale si sta infiammando e gli Stati Uniti hanno preparato una risposta militare e l’armamento del proprio commercio di esportazione di petrolio e di prodotti agricoli, il commercio di armi e la richiesta ai Paesi di scegliere da che parte della nuova cortina di ferro vogliono unirsi.

Ma cosa c’è in tutto questo per l’Europa? I sindacati greci stanno già manifestando contro le sanzioni imposte. In Ungheria, il primo ministro Viktor Orban ha appena vinto le elezioni con una visione del mondo fondamentalmente anti-UE e anti-USA, a partire dal pagamento del gas russo in rubli. Quanti altri Paesi romperanno le righe – e quanto tempo ci vorrà?

Cosa c’è in tutto questo per i Paesi del Sud globale che vengono schiacciati – non solo come “danno collaterale” alla profonda carenza e all’impennata dei prezzi di energia e cibo, ma come obiettivo stesso della strategia statunitense che inaugura la grande spaccatura in due dell’economia mondiale? L’India ha già detto ai diplomatici statunitensi che la sua economia è naturalmente collegata a quelle di Russia e Cina.

Dal punto di vista degli Stati Uniti, tutto ciò a cui si deve rispondere è: “Cosa ci guadagnano i politici locali e le oligarchie clienti che noi premiamo per aver consegnato i loro Paesi?”.

Questo è ciò che rende l’incombente terza guerra mondiale una vera e propria guerra di sistemi economici. Quale parte sceglieranno i Paesi: il proprio interesse economico e la coesione sociale, o la diplomazia statunitense messa nelle mani dei loro leader politici insieme all’ingerenza degli Stati Uniti, sulla falsariga dei 5 miliardi di dollari che l’Assistente del Segretario di Stato Victoria Nuland si è vantata di aver investito nei partiti neonazisti ucraini otto anni fa per dare il via ai combattimenti che sono scoppiati nella guerra di oggi?

Di fronte a tutte queste ingerenze politiche e alla propaganda dei media, quanto tempo ci vorrà al resto del mondo per rendersi conto che è in corso una guerra globale che si sta espandendo nella Terza Guerra Mondiale? Il vero problema è che quando capirà cosa sta succedendo, la frattura globale avrà già permesso alla Russia, alla Cina e all’Eurasia di creare un vero e proprio Nuovo Ordine Mondiale non neoliberale che non ha bisogno dei Paesi della NATO e ha perso la fiducia e la speranza di guadagni economici reciproci con loro. Il campo di battaglia militare sarà disseminato di cadaveri economici>.

[Una prospettiva non esaltante, specie per noi europei].

Il nuovo libro di Michael Hudson, The Destiny of Civilization, sarà pubblicato da CounterPunch Books il mese prossimo.

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La guerra in Ucraina è cominciata PRIMA del 24 febbraio. Ma non lo si dice.

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La CIA e altri vantano la divulgazione di info di intelligence inaccurate e perfino false non solo come strumento di infowar ma soprattutto come mezzo per destabilizzare Putin, prevenire e ostacolare le sue mosse, modificare la sua campagna, oltre a impedire alla Russia di definire la percezione della guerra nel mondo. Lo scrive un recente articolo di NBCnews. Un metodo copiato da Israele, suggerisce @ItalianPolitics.

Un paio di esempi: l’uso di agenti chimici che Mosca stava preparando, secondo Biden, smentite a NBCnews da funzionari intel. L’uscita dei russi da Kiev, non ritirata ma riposizionamento strategico verso sud est secondo l’interpretazione di Jack Sullivan: è una mera ipotesi del capo della National Security.

Ma il principale vanto degli US, scrive NBCnews, è aver “rivelato” in anticipo, e per settimane, l’intenzione di Putin di invadere l’Ucraina (la Francia e molti altri, anche analisti non ci credevano) inducendo così Putin a ritardare l’inizio della sua operazione speciale, non i primi di gennaio ma a febbraio. Consentendo agli US di compattare gli alleati e prepararsi a quanto sarebbe accaduto.

A febbraio però Putin, che da dicembre aveva schierato larghe forze al confine ucraino ufficialmente per esercitazioni militari, ancora non si muoveva. Andava “stanato”, evidentemente. Ma come? E’ sempre NBCnews a scrivere che ben prima del 24 febbraio gli US erano pronti ad affermare di essere a conoscenza di un attacco russo false flag in Donbass per giustificare l’invasione: “l’intelligence preparava addirittura un video, che tuttavia poi non si è mai materializzato”.

Forse perché un attacco c’è stato davvero, anzi più d’uno. E non un pretestuoso false flag ma veri e ripetuti attacchi al Donbass da parte ucraina a partire dal 16 febbraio, che hanno innescato il conflitto.

A raccontare questi precedenti, ignorati da analisti e media, è Jaques Baud, ex colonnello dei servizi strategici svizzeri specialista in Est Europa ex, ONU, ex NATO per la quale ha seguito gli avvenimenti ucraini dal 2014, nonché autore di libri. In un documentato lungo articolo  di fine marzo in cui si propone proprio di far luce su tante questioni, facendo emergere fatti ignorati/trascurati finanche da esperti vari. 

L’innesco della guerra è preceduto da una serie di precisazioni non da poco sulle radici del conflitto compresi gli accordi di Minsk mai applicati da Kiev, e da importanti informazioni sull’esercito ucraino e la collaborazione della NATO. Le vedremo in uno o due post successivi. Concentriamoci ora sull’innesco della guerra lasciando la parola a Baud, che Grayzone.com ha intervistato  il 15 aprile per discutere le sue prese di posizione. Titolo dell’intervista: US, EU sacrificing Ukraine to ‘weaken Russia’: fmr. NATO adviser

L’INNESCO della guerra.

Dal novembre 2021 – scrive Baud – gli americani hanno costantemente brandito la minaccia di un’invasione russa contro l’Ucraina. Tuttavia, gli ucraini non sembrano essere d’accordo. Come mai ? Dobbiamo risalire al 24 marzo 2021. Quel giorno Volodymyr Zelensky ha emesso un decreto  per la riconquista della Crimea e ha iniziato a schierare le sue forze verso il sud del Paese.

Contemporaneamente, vengono condotte diverse esercitazioni NATO tra il Mar Nero e il Mar Baltico, accompagnate da un aumento significativo dei voli di ricognizione lungo il confine russo. La Russia conduce quindi a sua volta alcune esercitazioni per testare la prontezza operativa delle sue truppe e dimostrare che sta seguendo l’evolversi della situazione. Le cose si calmano fino a ottobre-novembre con la fine delle esercitazioni ZAPAD 21, i cui movimenti di truppe vengono interpretati a occidente come un rinforzo per un’offensiva contro l’Ucraina. Eppure anche le autorità ucraine confutano l’idea dei preparativi russi per una guerra e Oleksiy Reznikov, ministro della Difesa ucraino, afferma che non ci sono stati cambiamenti al suo confine dalla primavera.

In violazione degli accordi di Minsk, l’Ucraina sta effettuando operazioni aeree nel Donbass utilizzando droni, compreso almeno un attacco contro un deposito di carburante a Donetsk nell’ottobre 2021. La stampa americana lo riprende, ma non gli europei e nessuno condanna le violazioni.

Finché, nel febbraio 2022, gli eventi precipitano. Il 7 febbraio, durante la sua visita a Mosca, Emmanuel Macron riafferma a Vladimir Putin il suo attaccamento agli accordi di Minsk, impegno che ripeterà dopo l’intervista con Volodymyr Zelensky il giorno successivo. Ma l’11 febbraio, a Berlino, dopo 9 ore di lavoro, l’incontro dei consiglieri politici dei leader del “Formato Normandiasi conclude, senza alcun risultato concreto: gli ucraini si rifiutano ancora e sempre di applicare gli accordi di Minsk, a quanto pare per via di pressioni da parte degli Stati Uniti.

Vladimir Putin si rende allora conto che Macron gli ha fatto vuote promesse e che l’Occidente non è pronto a far rispettare gli accordi, come fanno da otto anni . La stessa UE non ha mai mosso un dito per spingere in questa direzione, che avrebbe impedito la guerra.

Continuano intanto i preparativi ucraini nella zona di contatto. [E non è un caso se il 14 febbraio il Washington Post se ne esca con un articolo sui preparativi del Tiger Team dell’amministrazione americana, in corso da mesi, per fronteggiare  diversi scenari, fino a una invasione russa dell’Ucraina].

 Il parlamento russo è allarmato e il 15 febbraio chiede a Vladimir Putin di riconoscere l’indipendenza delle Repubbliche, cosa che lui rifiuta.

Il 17 febbraio, il presidente Joe Biden annuncia che la Russia attaccherà l’Ucraina nei prossimi giorni. Come fa a saperlo? Mistero… Ma dal 16, i bombardamenti di artiglieria delle popolazioni del Donbass stanno aumentando vertiginosamente, come dimostrano i rapporti quotidiani degli osservatori OSCE [grafico giorno per giorno riportato da Baud].

Naturalmente, né i media, né l’Unione Europea, né la NATO, né alcun governo occidentale reagisce e interviene. Si dirà più avanti che questa è disinformazione russa. In effetti, sembra che l’Unione Europea e alcuni paesi abbiano volutamente sorvolato sul massacro del popolo del Donbass, sapendo che avrebbe provocato l’intervento russo.

Nel frattempo si segnalavano atti di sabotaggio nel Donbass. Il 18 gennaio, i combattenti del Donbass intercettavano sabotatori equipaggiati con materiali occidentale e parlanti polacco che cercavano di creare incidenti chimici a Gorlivka. Potrebbero essere stati mercenari della CIA, guidati o “consigliati” da americani e composti da combattenti ucraini o europei, per compiere azioni di sabotaggio nelle Repubbliche del Donbass, scrive Baud.

Infatti, già dal 16 febbraio Joe Biden sa che gli ucraini hanno cominciato a bombardare le popolazioni civili del Donbass, mettendo Vladimir Putin di fronte a una scelta difficile: aiutare militarmente il Donbass e creare un problema internazionale o restare a guardare i russofoni del Donbass farsi schiacciare? Se decide di intervenire, Vladimir Putin può invocare l’obbligo internazionale di “Responsability To Protect” (R2P). Ma sa che qualunque sia la sua natura o portata, l’intervento scatenerà una pioggia di sanzioni. Pertanto, sia che il suo intervento sia limitato al Donbass o che vada oltre per fare pressione sugli occidentali per lo status [di neutralità] dell’Ucraina, il prezzo da pagare sarà lo stesso.

Questo è quanto Putin spiega durante il suo discorso del 21 febbraio. Quel giorno acconsente alla richiesta della Duma e riconosce l’indipendenza delle due Repubbliche del Donbass e firma con loro trattati di amicizia e assistenza. I bombardamenti dell’artiglieria ucraina sulle popolazioni del Donbass continuano e, il 23 febbraio, le due Repubbliche chiedono aiuti militari alla Russia. Il 24 febbraio Vladimir Putin invoca l’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, che prevede l’assistenza militare reciproca nel quadro di un’alleanza difensiva.

Per rendere l’intervento russo totalmente illegale agli occhi del pubblico [la narrazione mediatica] oscura deliberatamente il fatto che la guerra sia effettivamente iniziata il 16 febbraio. L’esercito ucraino si preparava ad attaccare il Donbass già nel 2021, come ben sapevano alcuni servizi di intelligence russi ed europei… Giudicheranno i giuristi.

GLI OBIETTIVI DI PUTIN

Nella sua allocuzione del 24 febbraio Putin annuncia i due obiettivi della sua operazione: <demilitarizzare> e <denazificare> l’Ucraina – scrive Baud e aggiunge: non si tratta quindi di impadronirsi dell’Ucraina e neppure, verosimilmente, di occuparla, tanto meno di distruggerla.

La pianificazione russa non è conosciuta nei dettagli ma -secondo Baud – lo svolgimento delle operazione permette di verificare come gli obiettivi si stanno traducendo a livello operativo:

Demilitarizzazione: – distruzione a terra di aviazione, sistemi di difesa aerea e di riconoscimento, – neutralizzazione delle strutture di comando e di intelligence(C31) e delle principali vie logistiche; – accerchiamento del grosso dell’armata ucraina nel su est del paese.

Denazificazione: distruzione  o neutralizzazione dei battaglioni di volontari che operano nelle città di Odessa, Kharkov e Mariupol nonché in diverse installazioni sul territorio. (…) [Di tali battaglioni nel contesto dell’esercito ucraino,parleremo nel prossimo post].

L’idea che la Russia cerchi di impadronirsi della capitale Kiev per eliminare Zelensky  proviene dagli Occidentali: sono loro che l’hanno fatto in Afghanistan, in Irak, in Libia ed è quel che volevano fare in Siria con l’aiuto dello Stato Islamico.   Ma Putin – secondo Baud – non ha mai avuto l’intenzione di abbattere o rovesciare Zelensky. La Russia al contrario cerca di mantenerlo al potere spingendolo a negoziare con l’accerchiamento di Kiev. Fino a quel momento aveva rifiutato di applicare gli accordi di Minsk, ora i Russi vogliono ottenere la neutralità dell’Ucraina.

Il fatto che i Russi continuino a cercare una soluzione negoziata pur continuando le operazioni militari [come accadeva in marzo] stupisce molti commentatori occidentali. Ma la spiegazione è nella concezione strategica russa, fin dai tempi dell’Urss: si può combattere e trattare contemporaneamente. (…)

Il rallentamento che i nostri esperti attribuiscono a una cattiva logistica non è che una conseguenza di aver raggiunto gli obiettivi prefissati. La Russia non sembra intenzionata ad impegnarsi in un’occupazione dell’intero territorio ucraino ma cerca di limitare la sua avanzata alla frontiera linguistica del paese .

I nostri media parlano di bombardamenti indiscriminati contro le popolazioni civili, in particolare a Kharkov e immagini dantesche vengono diffuse a iosa. E però Gonzalo Lira, un latino americano che vive lì ci presenta una città tranquilla il 10 marzo e l’11 marzo (links). Non si vede tutto, ma sembra indicare che non si tratta della guerra totale che vediamo sui nostri teleschermi.

Quanto alle Repubbliche del Donbass, hanno “liberato” i loro propri territori e combattono nella città di Mariupol (Baud si ferma a fine marzo).Apri il pannello di pubblicazione

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Great Reset: rivoluzione salvifica del mondo post Covid-19 o teoria cospirazionista? Entrambe le cose.

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Entrambe le cose, segnalava un fact checking della BBC a fine novembre 2020. Considerando < il revival dell’ultima teoria cospirazionista secondo la quale un gruppo di leader del mondo stanno orchestrando la pandemia per prendere il controllo dell’economia globale>. BBC ammetteva però che <tale teoria origina dal piano messo a punto dal World Economic Forum (WEF), che organizza a Davos conferenze annuali fra figure di alto profilo della politica e del business, un piano che indica come i paesi possono uscire dai danni causati dalla pandemia da coronavirus>. Dopo alcuni mesi il tema è sempre attuale, anzi, lo è forse più che mai.

Gli incontri di Davos di gennaio si sono tenuti solo online, in vista di un altro Forum a Tokio dedicato alla tecnologia in aprile e di quello in presenza a maggio a Singapore. A distanza ma molto allargati, partecipati e pubblicizzati dai media in contrasto con la quasi segretezza del passato. Tra gli intervenuti, Xi Jinping, Macron, Merkel, Conte,Von der Leyen, Lagarde, Georgieva (FMI), Guterres (ONU), persino Putin. Oltre a un buon numero di importanti CEO meno reclamizzati.

Focus la Great Reset Initiative, progetto della Davos Agenda al quale il WEF lavora da tempo. Klaus Schwab, del WEF fondatore e direttore, insieme all’economista Thierry Malleret gli ha dedicato un libro, aggiornato al post pandemia: COVID-19 the Great Reset, presentato a giugno 2020 con contributi, fra gli altri, di Carlo principe di Galles, assiduo del WEF, e del miliardario Ma Jun, del Comitato Finanziario Verde cinese (PCC) molto vicino a Xi (la Cina ospita vari incontri regionali del WEF). Un piano planetario per una nuova globalizzazione, ben oltre i cambiamenti climatici, che la pandemia renderebbe attuale e urgente. Offrendo <un’unica finestra di opportunità per ridisegnare la ripresa e costruire un mondo più sicuro, più uguale, più stabile: un nuovo contratto sociale che onori la dignità di ogni essere umano> [sic].

<Servono indirizzi comuni per guidare il grande reset dei nostri fondamenti economici e sociali… un reset del capitalismo…I cambiamenti già innescati dal COVID-19 provano che è possibile. Il mondo è interdipendente… E ogni paese dagli US alla Cina deve partecipare>.

Gli interventi di quelli che i media hanno chiamato il “Gotha del potere del mondo”, al di là dei temi sottolineati da ciascuno (rilancio del multilateralismo e impegni sull’ambiente di Xi, avviso di Putin sui Big Tech ormai più potenti degli Stati, superamento di povertà e disuguaglianze sottolineati dall’Onu via Guterres ) nell’insieme hanno messo a fuoco la “sfida al potere per il nuovo ordine globale” (titolo del Corriere), riconoscendo più o meno implicitamente la necessità di una Governance Globale, uno degli obiettivi centrali del WEF accanto alla 4a Rivoluzione Industriale in chiave digitale, tema di un altro suo testo, del 2016.

O Post-Industriale, come scrive Ilaria Bifarini nel suo ultimo libro Il Grande Reset, dalla pandemia alla nuova normalità, che prova a <sottrarre la comunicazione di un tema socioeconomico cruciale dall’accusa di negazionismo>. I libri sul Reset, entusiasti, critici o cospirazionisti non si contano.

I molti piani. Che il sistema economico non fosse da tempo in buona salute lo si sa da svariati anni a dispetto della propaganda mediatica, prima e ancor più dopo il 2008, tra debiti globali alle stelle, bassa crescita e ripetuti salvataggi di imprese e banche. Una nuova crisi era attesa da vari analisti (es N. Roubini ). Il tutto intrecciato a crescenti squilibri sociali, aumento di disuguaglianze e povertà nei paesi avanzati e in quelli emergenti, e ai temi della produzione alimentare e dell’acqua, dell’ambiente, del cambiamento climatico. Fenomeni globali ma più critici in Occidente il cui capitalismo liberista di mercato appare perdente di fronte al vincente capitalismo statale autoritario della Cina. Dove gli investimenti esteri hanno ormai superato quelli negli Usa.

Fatto sta che dal 2015 vari piani si susseguono, a diversi livelli: dall’Agenda ONU 2030 per uno sviluppo sostenibile, con ben 17 obiettivi, all’accordo di Parigi appena ri-sottoscritto da John Biden, dal One Planet Summit del 2017 a cui aderisce il WEF al Green New Deal propagandato da Greta Tunberg & C ma con dietro uno stuolo di banche e multinazionali (qui Underblog).

Fino al meno divulgato piano di Blackrock, il maggior detentore di asset del mondo, presentato nell’agosto 2019 al summit di Jackson Hole delle banche centrali, che preconizzava una Policy Revolution: Dealing with the next downturn, per gestire l’imminente fase discendente (qui Underblog). Il Covid-19 non era ancora affiorato. Ma secondo Anthony J. Hall (professore emerito all’università di Lethbridge, Canada e direttore dell’American Herald Tribune) in quell’agosto 2019 il nuovo collasso sistemico era già evidente, con segni chiari. Lo vedremo più avanti tra i critici.

Il Great Reset comprende tutti questi piani e li rilancia, precisandone gli obiettivi e andando oltre, verso un totale reset del mondo post Covid, dove nulla sarà più come prima. Illustrato in sintesi da Schwab in un articolo su Time che sponsorizza il piano dedicandogli vari contributi, nonché in una recentissima intervista. E articolato in una miriade di pezzi e video sul sito del WEF, centrati sui sette punti chiave della Davos Agenda 2021: 1. How to save the planet ; 2. Fairer Economies; 3.Tech for Good; 4. Society &Future of work; 5. Better Business; 6. Healthy future;7. Beyond Geopolitics. Con promesse entusiastiche che non rassicurano affatto i cospirazionisti.

Pubblico+privato. E’ l’autodefinizione del WEF su Twitter. Ed è la chiave di volta del Great Reset, ma non è una novità. Già i vari QE da delle banche centrali avevano rappresentato sostegni corposi all’economia e alle stesse aziende, in deroga al cosiddetto mercato. Il Green New Deal prospettava pesanti interventi pubblici per la riconversione verde. Mentre la rivoluzione di BlackRock <inevitabile data l’insufficienza delle politiche monetarie> imponeva di *dare liquidità direttamente a famiglie e business * mescolare esplicitamente politiche monetarie e fiscali *dare sostegno alle imprese con condizioni stringenti, aprendo le porte a un intervento senza precedenti nel funzionamento dei mercati finanziari e di governance delle imprese> (vedi Underblog cit).

Le banche centrali con i loro QE e salvataggi vari insomma non bastano più a sostenere il sistema: ma chi guida il gioco, il lato pubblico, gli Stati, o quello privato: la finanza, mai riformata? Dopo il ’29 F.D Roosevelt le aveva tagliato le gambe. Nel grande reset prospettato dal WEF sembra piuttosto il contrario, e a Big Money si è aggiunta Big Tech (e ora Big Pharma). Evocare John M. Keynes appare davvero fuori luogo. Anche se non mancano gli ottimisti, come Mariana Mazzucato.

Interessanti le raccomandazioni del WEF ai governi: coordinamento delle politiche fiscali, riforme a lungo attese (esempi), stimoli verso obiettivi comuni come uguaglianza e sostenibilità, investimenti (pubblici + privati) non per tappare i buchi del vecchio sistema ma per crearne uno nuovo, incanalare le innovazioni della 4° Rivoluzione Industriale. [Suonano familiari?]. Ma vediamo i temi della Davos Agenda, citando qua e là da Schwab e/o contributi vari nel sito WEF (qui e qui oltre ai citati).

1.Economie più eque. Schwab da molti anni teorizza la necessità di <andare oltre il neoliberismo> di Freeman & C . Al capitalismo degli shareholders, gli azionisti, contrappone un capitalismo degli stakeholders in cui gli azionisti restano tali ma le imprese devono diventare luoghi di mediazione fra interessi contrastanti e <le scelte di un’azienda nei confronti delle persone, del pianeta e dell’innovazione – compreso il modo in cui protegge e applica il valore aggiunto dei suoi dati – prendano più spazio nelle decisioni di allocazione del capitale>, come FT presentava il Great Reset su YouTube il 30/12/2019, titolo “Perché il capitalismo deve essere resettato nel 2020” (sebbene oggi, ripreso dal Foglio, il FT sembri scettico). <Servono indicatori nuovi, non più relativi ai profitti ma ad obiettivi sociali e ambientali>, e <la misura della prosperità di un paese deve andare oltre il PIL>, precisa oggi Schwab. Ci stanno già lavorando, con i grandi investitori, i Big Four, sotto la guida del CEO di City Group.

<Le economie vanno ridisegnate per renderle socialmente più sostenibili>, sostiene il WEF. Come? <Tagliare le tasse ai ricchi non le rafforza, mentre peggiora le disuguaglianze che minacciano la coesione sociale, come dimostrano studi in 18 paesi OCSE>. Bene invece gli aiuti pubblici. La crisi Covid-19 <ha rivitalizzato il contratto sociale> rafforzando le reti si sicurezza dei cittadini in una misura mai vista prima. Solo nei paesi del G20 i pacchetti fiscali di aiuti hanno totalizzato $10.000 miliardi, 10 volte di più che nel 2008 [No, molti di più allora], l’UE spenderà 2300$ per persona, gli US 6500$ in più. Il debito nel 2020 salirà del 16% (…) Ritornare indietro non è desiderabile(…) Lavoratori a basso reddito, giovani, donne e minoranze, i più colpiti, avranno bisogno di sostegno anche dopo la fine della crisi sanitaria>. Per accompagnare chi non ce la farà nella 4a Rivoluzione Industriale prospettata come inevitabile, risolutiva, desiderabile.

2. Salvare il Pianeta. E’ovviamente l’obiettivo di fondo, che giustifica sia la 4a Rivoluzione Industriale sia l’auspicato Governo Globale: <Siamo tutti insieme>, sulla Terra si suppone. Non nuove le forme e modalità: decarbonizzazione, comprese tasse che colpiscano le industrie basate sul fossile [oggetto peraltro di dubbi mercimoni] e i disinvestimenti da parte degli investitori Big (Blackrock ha appena tolto oltre un miliardo da Occidental Petroleum), energie pulite, economia circolare, mobilità sostenibile, futuro delle città, eccetera. Industrie ma anche “stili di vita sostenibili”. <La maggior minaccia per il mondo non è il coronavirus ma l’affluence, la prosperità …la sostenibilità ambientale si raggiunge tagliando l’eccessivo consumismo> [sic].

3. Società & futuro del lavoro. Tema chiave, insieme alla Tecnologia benefica a cui si intreccia nel delineare la Nuova Normalità post Covid-19. Vedi la conferenza del WEF 20-23 ottobre 2020, Resetting the Jobs, già tema di un libro di Schwab. Vari aspetti:

*Lavoro a distanza, da qualsiasi luogo. Scontata la sua futura prevalenza, si consigliano [per ora?] forme di lavoro ibrido <per preservare la salute mentale e sociale degli impiegati>[sic]. Ma <la parte maggiore della popolazione potrà partecipare a lavori non più ristretti alle grandi città>.

*Lavoro flessibile. Grazie alle tecnologie digitali si prevedono lavori a breve, a richiesta, freelance, una flessibilità che <consentirà di scegliere dove e quando lavorare>. Anche il business ne beneficerà <assumendo persone per riempire gap specifici e impiegati freelance>. Addio al posto fisso: <I giovani dovranno crearsi il loro lavoro>.E chi non ci riesce?

*Lavoro più smart*, grazie all’AI e alla collaborazione uomo macchina che prenderanno in carico i lavori più ripetitivi e di routine. Robot e automazione avranno un “ruolo stellare” rimpiazzando l’interfaccia umana in aree a rischio, come durante la pandemia. L’AI creerà direttamente o indirettamente nuovi impieghi. Esempi: cloud computing, big data analysis, internet of things, cybersecurity, robot non umanoidi e droni, realtà aumentata, stampa3D, nanotecnologie, biotecnologie, robot umanoidi. Anche nell’agricoltura.

*Lavoro per il pianeta. Sono i futuri lavori per la sostenibilità ambientale o volti dar luogo a uno stile di vita sostenibile. <Cresceranno a milioni (…). La pandemia ha fornito un’eccellente opportunità per ridisegnare i luoghi di lavoro in vista di una maggiore efficienza, inclusione, resilienza, sostenibilità… >. Consumare meno ma anche possedere meno e spostarsi meno.

4. Tecnologia benefica. E’ il cuore della 4a Rivoluzione Industriale. <L’era post Covid-19 sarà forgiata definitivamente dalla tecnologia più che qualsiasi altra forza nel teatro globale>. Quattro i punti cardine.

*La manifattura da reinventare. *Il 5G, <importantissimo per l’economia, e l’ambiente> [???]. <Nell’ultimo anno la sanità ha visto un +490% di visite e cure a distanza, +82% di giochi online, +75% di transazioni e commerci ecc, il 60% degli impiegati hanno usato teleconferenze e videocalls. <Con i vaccini c’è il rischio che la società cerchi di tornare indietro allo status quo pre-pandemia>: un “rischio” da evitare, accelerando con il 5G.

*I pagamenti digitali. <Il Covid 19 ha accelerato la digitalizzazione dell’economia, il distanziamento sociale ha favorito i pagamenti digitali (…) i governi del mondo dovranno continuare a promuovere l’inclusione finanziaria, anche di giovani, donne, minoranze, PMI>. Sono le stesse categorie da accompagnare nell’inclusione citate nelle High Level Policy Guidelines on digital financial inclusion recentemente adottate nell’incontro dei ministri dell’economia del G20. <La digitalizzazione finanziaria di individui e imprese può ridurre i costi e aprire nuovi mercati e opportunità di vita aiutando i paesi a riprendersi>. [Affidata anche ai Big Tech che già gestiscono commerci, connessioni e pagamenti online?]

*Identità digitale “umanocentrica”. Si punta molto su questo <che è diventato un tema globale>, ed è molto di più dello SPID italiano per dialogare con la nostra PA. Si tratta piuttosto di <impronte digitali digitalizzate> utili <per riconnettere la società in una nuova realtà in cui la popolazione dovrà relazionarsi fisicamente e virtualmente con le autorità pubbliche e il business>. Ma il suo potenziale è più ampio: offre la <possibilità di affermare chi siamo [sic] >, impattando su come viviamo, oltre che sulla ripresa globale.

Tra i vantaggi: <La possibilità di viaggiare – i viaggi sono fermi a causa del Covid e 174 milioni di impiegati sono a rischio di perdere il lavoro – partecipare a convegni, ottenere certificati educativi e di lavoro da remoto, firmare contratti di proprietà – in piena sicurezza>.

L’identità digitale prospettata comprende tutta una serie di informazioni sugli individui, dai test sanitari ai vaccini, ma pure informazioni finanziarie e di altro tipo. Con essa sarà possibile registrarsi per accedere a servizi e commerci, compresa l’educazione online, fornire credenziali per un impiego, provare la salute di una persona, combattere le frodi>. E per ottenere i previsti sussidi pubblici, si presume. Ben oltre, quindi, quel Passaporto vaccinale per vaccinati o testati Covid, sollecitato da società aeree e turistiche, imminente in US e in vari paesi, vedi New York Times recente. E tuttavia, si insiste, “in piena trasparenza”.

 <La gente è preoccupata dell’impatto delle tecnologie sui suoi dati personali – il 60% lo è, si ammette – ma esiste un’infrastruttura digitale centrata sull’uomo in grado di assicurare trasparenza garantendo a ciascuno il controllo dei dati (…) Spetta ai governi costruire la fiducia dei cittadini e creare cornici adatte, ma rapidamente, per restare al passo con la tecnologia>.

Che tipo di infrastruttura? Il WEF non cita espressamente l’ID2020, progetto della ID2020 Alliance gestita dal 2015 da una corporation in collaborazione con agenzie ONU, Ong, Microsoft, Rockfeller Foundation e GAVI: la Vaccine Alliance volta ad assicurare un “pari accesso globale ai vaccini”. Questa considera l’identità digitale utile in primo luogo per offrire un’identità – “un diritto fondamentale” – a tutti, a partire dai moltissimi individui che nei paesi emergenti ne sono privi (una sperimentazione è in corso in Bangladesh), ma indispensabile per capire chi sono i vaccinati, contro il Covid-19 e non solo, in prospettiva.

Si parla di ’identità digitale biometrica, una app basata su impronte digitali della mano o impronta della voce o riconoscimento facciale, che contiene dati sensibili e si sperimenta già anche in Italia, vedi progetto PIDaaS, in Piemonte finanziato dall’UE (qui specifico e in italiano).

Ma allo studio ci sono sistemi più inquietanti come il Quantum Dot Dye a cui lavora il team di Kevin McHugh fra MIT e Rice University, sorta di tatuaggio a punti quantitici (Quantum Dot Tattoos), dove capsule biocompatibili su scala micron si dissolvono sottopelle inglobano punti quantici leggibili elettromagneticamente a distanza (vedi anche qui).

O addirittura microchip grandi come un chicco di riso da impiantare sottopelle progettati dalla svedese Biohax, presente pure in Italia. Ma il ministero della Salute italiano ha smentito la notizia, circolata sul web, che la si stia sperimentando o autorizzando). Così come Bill Gates ha negato che il “certificato digitale “per registrare eventualmente i dati sanitari possa utilizzare microchip”.

Ma torniamo all’agenda di Davos.

5. Futuro della salute globale. <Il Covid-19 è una crisi sanitaria senza precedenti, prendere il controllo del virus e assicurarsi che i cittadini del mondo siano vaccinati è una priorità…Vedere la Covid Action Platform , la strategia proposta dal WEF . <Non è l’unica sfida. La ripresa va oltre il virus…  e tutti i cittadini devono poter avere accesso alla sanità, attraverso una partnership fra pubblico e privato>. [Dimentichiamoci del welfare pubblico, già vanto dell’Europa?]

<La pandemia ha mostrato che tra gli strumenti utili per raggiungere una sanità universale vi è la telemedicina e l’uso dei dati. La sfida è non tornare alla normalità precedente>. Si parla di dare la priorità alla salute mentale – ansia e depressione nel 2020 sono cresciuti enormemente (…) Bisogna poi prevenire future pandemie che vengono dagli animali, combattendo deforestazione e traffico di animali selvatici>. [Al Forum, a dibattere sulla salute erano solo i CEO di Pfizer e AstraZeneca, il direttore dell’OMS, il dr. Fauci, oltre al ministro della Sanità tedesco e al premier greco].

6. Oltre la geopolitica. <Oggi ci sono 193 nazioni sovrane, una proliferazione di centri di potere, e un fatto sempre più ovvio: siamo tutti insieme>, sulla Terra, come si è già detto, e interdipendenti. <Quando ci impegniamo tutti insieme possiamo raggiungere obiettivi comuni>, vedi il livello di ozono o l’accordo di Parigi. <Dobbiamo passare dalla geopolitica della competizione internazionale a una completa collaborazione globale di defaultAnche le narrazioni devono cambiare>. [Cina e Russia incluse?]

LE CRITICHE “COSPIRAZIONISTE”. Sono tante, e proliferano. Molte pubblicate sul sito del canadese Center for Research on Globalization, da sempre molto critico del sistema. Niente a che vedere con Qanon e posizioni simili dell’ultradestra trumpiana, ostile al Great Reset come al Green New Deal, considerati “socialisti. Coerentemente: sostenitori di Trump erano/sono l’industria delle energie fossili che nega il riscaldamento climatico, i miliardari “libertari” e l’ala repubblicana “anti statalista”. Dopo di che, nel magma del web, tutto si tiene e si influenza.

In generale, il Great Reset è visto come progetto di una nuova forma di totale controllo globale e di una ulteriore formidabile concentrazione della ricchezza in mano a pochi, sempre gli stessi. Un’evoluzione dell’economia mondiale <neoliberista all’ennesima potenza>: <Un atto di Guerra economica che minaccia la sovranità degli stati nazionali, impoverisce le popolazioni, mina le democrazie… Senza bisogno di guerre né di regime change>. Capitalismo di Sorveglianza, grazie all’identità digitale elettromagnetica e ai vaccini collegati: One World Order. Altro che contratto sociale e lotta alle disuguaglianze, per i cospirazionisti.

Un’agenda che avrebbe vari precedenti e oggi accelera grazie al Covid-19, non tanto al virus in sé quanto alle <chiusure che hanno messo in ginocchio l’economia reale: scuole vuote, aeroporti vuoti, viaggi bloccati, negozi, bar e ristoranti verso la bancarotta, servizi sospesi>. Un lockdown che sarebbe stato imposto al mondo arbitrariamente o addirittura pianificato, con una strategia della paura supportata dai media, complici del piano. Il che permette di bollare tout court queste critiche come “negazioniste”.

In questo coro si distingue il citato Anthony Hall. Con l’ipotesi che il COVID-19 sia una copertura per una crisi finanziaria anticipata (forse addirittura pianificata?), i cui segni erano già chiari nel 2019. Dalla crisi del Repo Market (dove le banche si riforniscono di liquidità), confermata dai $9000 miliardi della Fed di New York per mantenerlo operativo, operazione “coperta” mentre la stessa Fed affermava che le banche erano in salute. La causa? L’attività speculativa specie sui derivati, come nel 2007-8. Altri segnali: i circa 1500 CEO che nel 2019 lasciarono l’azienda, con le loro quote azionarie. E i tassi negativi sui bond governativi del mondo, e la caduta dei valori azionari, in particolare banche, in testa Citi e JPMorgan. E la contrazione dell’economia in Germania.

Tutto ciò – ragiona Hall – sarebbe sufficiente per chiedersi se il collasso delle economie nel 2020 abbia altre cause dalla pandemia e dai lockdown (una politica pubblica sbagliata e anti costituzionale a suo dire) che pure hanno contribuito a un tracollo generale mai visto. A partire dalla Cina, con le chiusure che hanno interrotto la catena delle forniture. Tanto che alcuni arrivano ad affermare che tale crollo sia stato pianificato, e che la pandemia sia stato un pretesto per far collassare l’economia globale e il tessuto sociale sottostante, per poi resettarla.

Hall mette in dubbio i conteggi delle vittime e dei contagiati, testati con i discussi PCR (qui Underblog). <L’inflazione dei casi e dei morti è l’espressione dello zelo utile a giustificare i lockdown? I lockdown in Cina sono stati concepiti per aiutare a creare le condizioni di un piano capace di dar vita a una nuova politica economica nel mondo? E come considerare il fatto che coloro che si identificano col WEF hanno indicato la strada per enfatizzare il reset emergente dalla crisi sanitaria, reset che lo stesso WEF contribuisce a pubblicizzare già dall’ottobre 2019?

Precedenti. William Engdahl (laurea a Princeton, già consulente e conferenziere, autore di libri), vede nel Great Reset una riedizione dei War and Peace Studies, strategia elaborata da un gruppo coordinato da Isaia Bowman, geografo della John Hopkins University per il Council of Foreign Relations con finanziamenti della Rockefeller Foundation, che nel 1939 pianificava l’entrata in guerra degli US e il mondo post bellico in cui gli US avrebbero preso il posto dell’impero Britannico. Quel che Henry Luce nel ’41 definì “il Secolo Americano”, con Nazioni Unite dominate dagli US e gli accordi di Bretton Woods (questi sì keynesiani e infatti poi rinnegati) parte del piano.

Del resto <Klaus Schwab [ingegnere ed economista, 17 dottorati onorari da atenei di tutto il mondo, medaglie e onorificenze a schiovere] fondatore del WEF è un protegé di Henry Kissinger, a sua volta vicino ai Rockefeller, da quando erano insieme ad Harvard, e già nel 2016 nel libro Shaping the future of the Fourth Industrial Revolution (4IR) descriveva i cambiamenti tecnologici prossimi venturi>.

il prof Michel Chossudovsky, economista fondatore del CGR, ricorda invece il Chile 1973 Reset, il colpo di stato cileno ordito dalla CIA con Kissinger Segretario di Stato, da lui vissuto in prima persona a Santiago, e quello dell’Argentina nel 1976, prodromi del programma di Aggiustamenti Strutturali (SAP) imposti dal FMI e Banca Mondiale a 100 paesi. <Ora entriamo in una nuova fase di destabilizzazione macroeconomica, più devastante dei 40 anni di trattamenti shock e austerity imposti a beneficio degli interessi finanziari dominanti>.

Rockefeller, nome ricorrente con Rothschild nelle teorie cospirative, è citato anche da Chossudovsky nelle parole di David che su Aspen Times del 5/8/2011 auspicava “una sovranità super nazionale di una élite di intellettuale e banchieri mondiali sicuramente preferibile all’auto-determinazione nazionale praticata nei secoli scorsi”. Nel 2010 un report della Rockefeller Foundation, Scenarios for the future of Technology and International Development Area, contemplava azioni da intraprendere in caso di una pandemia mondiale. E comprendeva la simulazione di un Lock Step Scenario in caso di una influenza virulenta. Era da poco scoppiata l’epidemia da H1N1 [poi rientrata, con enormi quantità di vaccini acquistati ma rimasti inutilizzati].

Un’altra simulazione, l’Event 201, viene condotta il 18 ottobre 2019 dalla John Hopkins University, sponsor la Bill and Melinda Gates Foundation e il WEF. Un coronavirus partito dal Brasile causava nel mondo 65 milioni di vittime in 18 mesi e sovvertimenti economici. Il suo nome,  nCoV-2019, era lo stesso dato al virus identificato in Cina neppure tre mesi dopo, poi cambiato in Sars-CoV-2. Rilanci e sospetti dilagati sul web. <Non era una predizione>, hanno poi precisato. [Ma un’altra simulazione pandemica – Cladex – era già stata fatta nel 2018 al tempo di Ebola, ne parlò anche il Washington Post].

Il “collasso economico pianificato”.<La data chiave è l’11 marzo 2020 quando l’OMS proclama la pandemia globale, raccomandando i lockdown: i casi fuori dalla Cina erano 44.279, 1440 le vittime, su una popolazione globale di 6.8 miliardi. E i casi extra Cina erano solo 83 quando il 31 gennaio l’OMS aveva dichiarato l’Emergenza Sanitaria Pubblica, dopo una vivace discussione interna il 22 gennaio. Proprio in quei giorni (21-24/1) al WEForum di Davos, presente il direttore dell’OMS Tedros Adhanom, la CEPI, coalizione per innovazioni in preparazione di epidemie, partnership WEF e Gates, annunciava un vaccino mRNA di Moderna contro il nCoV-2019, il cui nome sarebbe cambiato solo in febbraio. Il 31 gennaio Trump chiudeva i voli dalla Cina. Eccetera eccetera. [I numeri ufficiali OMS sono inferiori l’11/3, poco superiori il 31/1, con 106 casi extra Cina, ma già in 19 paesi)].

Tanto basta perché Chossudowsky – in una dettagliata cronologia – parli di <collasso pianificato delle economie <Un “progetto diabolico” che viene dall’alto, da Wall Street, WEF, fondazioni miliardarie, presentato come “umanitario” e supportato dai media>. Anche con censure mediche (qui Koenig). Per es <Youtube non consente di postare informazioni che contraddicano o mettano in dubbio l’OMS o opinioni divergenti di medici locali – alcuni dei quali hanno perso il lavoro>. Ed è di oggi la cancellazione su Instagram dell’account di Robert Kennedy Jr, nipote di JKK, <per aver condiviso affermazioni smentite su coronavirus e vaccini> sul suo sito Childern’s Health Defence liquidato come No Vax .

Peter Koenig, una vita fra Banca Mondiale e OMS, uno dei più prolifici e estremi, arriva non solo a parlare di pandemia pianificata per collassare l’economia, in base ai piani/simulazioni del 2010 e 2019 e a letalità e diffusione dei contagi ingigantite dai test PCR utilizzati secondo indicazioni OMS. Lo scenario distopico che prevede vaccinazione massiccia, agenda elettronica planetaria, moneta digitale, 5G e poi 6G universale, venduti come Internet of things, comprenderebbe a suo dire anche il progetto, da tempo caro a Rockefeller e poi a Bill Gates, di riduzione della popolazione del globo: una delle variabili cruciali per diminuire le emissioni di CO2 e rendere più sostenibile in pianeta. A supporto, cita Gates al TED Talk 2010 Innovating to Zero: “Se facciamo un buon lavoro possiamo ridurla dal 10 al 15%”, la popolazione. <Siamo in guerra>, titola un altro post di Koenig.

Le forze trainanti <Sono Big Money, comprese le fondazioni miliardarie. E’ una complessa alleanza di Wall Street e dell’establishment bancario, Big Oil and Energy, i contractors della Difesa, Big Pharma, i conglomerati Biotech, le corporations dei media, i Giganti delle Comunicazioni e delle tecnologie Digitali, insieme a una rete di think tanks, gruppi di lobby, laboratori di ricerca (…) Una complessa rete di decisori che comprende FED, BCE, FMI, Banca Mondiale, banche regionali di sviluppo, e la BIS, la Bank for International Settlements basata a Basilea che ha un ruolo strategico chiave. Non mancano scampoli degli apparati di Stato. La prorietà intellettuale ha un ruolo importante>. (Chossudovsky).

<Dell’ondata di chiusure e bancarotte e disoccupazione responsabile non è il virus, come viene detto, ma i potenti finanzieri e miliardari che sono dietro al processo decisionale. La cui ricchezza totale negli ultimi nove mesi è cresciuta da $8000 a $10.000 miliardi, grazie ai pacchetti di stimolo governativi, alla campagna di paura del Covid-19 e al risultato di insider trading e manipolazioni dei mercati finanziari e delle materie prime> [i cui prezzi effettivamente stanno già aumentando]. <E’ la più grande redistribuzione di ricchezza globale della storia> (Chossudovsky)

<Ma nel capitalismo c’è anche una rivalità interna, un conflitto tra il Big Money Capital e il Capitalismo Reale delle imprese che operano in diversi settori dell’attività produttiva, comprese le piccole medie imprese. Quello in atto è un processo di concentrazione della ricchezza (e controllo delle tecnologie avanzate) senza precedenti dove l’establishment finanziario, vale a dire i creditori, sono destinati ad appropriarsi degli asset delle società che falliscono e degli asset di Stato>.(ibidem)

<Usando i lockdown e le restrizioni, il Great Reset viene portato avanti sotto forma di una “Quarta Rivoluzione Industriale” (4IR) in cui le vecchie imprese vengono spinte alla bancarotta o assorbite in monopoli, di fatto chiudendo interi settori dell’economia pre-Covid [enfasi originale]. Le economie si stanno ristrutturando e molti lavori saranno svolti da macchine guidate dall’Intelligenza Artificiale>.

<I senza lavoro (e ce ne saranno molti) saranno assistiti con qualche forma di “salario di base universale” e avranno i loro debiti (indebitamento e bancarotte su larga scala sono il deliberato esito di lockdown e restrizioni) cancellati in cambio del passaggio dei loro averi allo Stato, o meglio alle istituzioni finanziarie che aiutano a condurre questo Great Reset. Il WEF dice che il pubblico “affitterà quello di cui ha bisogno”, spogliandosi del diritto di proprietà in nome del ‘consumo sostenibile’ e del ‘salvataggio del pianeta’> (citazione da Colin Todhunter qui che a sua volta cita il video del WEF su YouTube <You’ll own nothing and you’ll be happy>. Nel 2030 “Non possiederai nulla e sarai felice”).

Vaccini e identità. <Il programma di vaccinazioni (compreso il passaporto digitale) è parte integrale del piano e del regime totalitario>. Chossudowsky rinvia a Peter Koening sul <famigerato ID2020…programma di una ID elettronica che usa la vaccinazione generalizzata come piattaforma per una identità digitale>.  Un summit della ID2020 Alliance già nel settembre 2019 aveva come focus i vaccini e il passaporto digitale. Oggi Koening torna sul tema con un nuovo post tutto dedicato all’ID elettromagnetica impiantabile nel corpo attraverso i vaccini o separatamente, citando anche i le visioni di Elon Musk . [Ma l’ID approvata in Germania non ci risulta].

Engdhal : <Nel suo libro sulla 4a rivoluzione industriale (2016) Schwab descrive i cambiamenti tecnologici prossimi venturi, i dati centralizzati in corporation private come Google, Facebook e Amazon per monitorare ogni nostro respiro (…) .Descrive come le tecnologie di nuova generazione, già lanciate da Google, Huawei e altri, permetteranno ai governi di <intromettersi negli spazi privati delle nostre menti, leggere i nostri pensieri e influenzare i nostri comportamenti … con una fusione della nostra identità fisica, digitale e biologica”>.

Fra queste tecnologie fusion ci sono “microchips che spezzano la barriera epidermica di nostri corpi”, “dispositivi impiantabili che potranno anche aiutare a comunicare pensieri normalmente espressi verbalmente, attraverso smartphone ‘interni’, e pensieri potenzialmente inespressi o stati d’animo, attraverso la lettura di onde cerebrali”>.

Pura fantascienza? E glissiamo qui sui programmi per la trasformazione dell’agricoltura in senso “sostenibile” iper meccanizzata e largamente basata su OGM, destinata a soppiantare i coltivatori diretti familiari, per arrivare a un cibo sintetico biologicamente modificato e creato in laboratorio, a partire dalla carne. Secondo i piani dell’EAT Forum, o Davos for food. Sui quali Engdahl insiste, avendoci scritto un libro.

<I maghi della tecnologia mirano a sostituire i contadini con i loro sporchi terreni e animali inquinanti e portatori di virus con robot, semi OGM e e carne artificiale in laboratori puliti> fa eco Diana Johnstone. Che prende in esame vari temi, avanzando dubbi.

Dubbi sull’uso esteso di teleconferenze, Zoom, Skype ecc e sul destino delle città, sull’educazione online e le minacce alla comunità umana, sul profetizzato semi collasso dell’aviazione civile (non di quella militare), e sul narcisismo cibernetico intrinseco al combinarsi di Ai, internet delle cose, senso e tecnologie indossabili. Dubbi, soprattutto, sulla perdita del lavoro, con la domanda dei consumatori che si intreccerà con il disperato bisogno di guadagnarsi la vita (…)Alla lotta contro lo sfruttamento si sostituirà quella per l’irrilevanza: la nuova” classe degli inutili”,inutili non alla comunità sociale ma al sistema politico-economico>.

E conclude considerando <la 4a Rivoluzione Industriale che impegnerà i governi insieme ai privati analoga, sul piano civile, a quella che ha dato vita al Complesso Militar Industriale. Come quello viene presentato come necessario al “proteggere la sicurezza”, questa sorta di Complesso Tecnologico Farmaceutico è promossa come indispensabile a “salvare l’ambiente”>.

CONCLUSIONI. Il reset post COVID-19 sarà salvifico o catastrofico per il mondo? Il piano del WEF – posto che sarà davvero messo in atto (la BBC ne dubitava, il FT è scettico) – è utopico o distopico? Chissà, sebbene alcune tendenze appaiano attuali. Come che sia, alla fine di questo post già troppo lungo (ce ne scusiamo) proponiamo le riflessioni di un filosofo politico, Brad Evans sul sito affatto complottista CounterPunch.

<Ogni catastrofe e crisi sono seguite da una litania di teorie cospirative. La pandemia Convid-19 non fa eccezione. Dalle storie sulla trasmissione di qualche agente letale attraverso il 5G, alle grandi teorie su una trama concepita dall’alto per destabilizzare il mondo, il fantastico e l’assurdo si sono diffusi tanto rapidamente quanto il virus. Se i primi colpevoli spaziavano da Bill Gates a George Soros agli Eco-fascisti, è diventato più frequente suggerire qualche congiura Cinese o una pandemia pianificata (sì, la Plandemic) per iniziare una vaccinazione di massa. (…). Ma le cospirazioni funzionano a beneficio delle forme di potere stabilite>.

<Il mondo in cui viviamo a livello personale può sembrare rallentato, quasi fermo. E’ un’illusione. I meccanismi del potere stanno muovendosi a una velocità inimmaginabile solo mesi fa. Non è una rottura o un lock down ma un’accelerazione poderosa di tendenze già in atto. (…) Le separazioni fisiche fra la gente stavano già consolidandosi – scrive Evans citando i muri con i quali l’Occidente si circonda contro rifugiati e indesiderabili, le restrizioni alla mobilità in US e UK. Che <non hanno a che fare con la sovranità ma con la riorganizzazione del capitalismo. Ma oggi non si tratta più solo di lockdown di nazioni. Ogni città, ogni strada, ogni parco, ogni casa diventano un confine. E non saranno misure temporanee. Davvero vogliamo vivere in un mondo dove tali segregazioni sono accettabili, dove ogni idea di presenza fisica e contatto diventa un tabù, dove serve un permesso per attraversare qualsiasi immaginario confine posto alla nostra vita?>

<I poteri finanziari sono già dominati da giganti della tecnologia che hanno ammassato ricchezze comparabili alla Gilded Age di fine ‘800. La loro visione è quella di una società interconnessa, dove la nuova globalizzazione non prevede che siamo a noi a viaggiare nel mondo, è il mondo che viene a noi, nei confini delle nostre case. Non è una coincidenza che a fare i maggiori profitti in questi tempi siano Amazon e Facebook. Non abbiamo scelta che vivere vite virtuali. Davvero desideriamo un’esistenza schermica dove ufficio e casa, pubblico e privato, sono indistinguibili? Dove è un’eccezione avventurarsi in qualche luogo sconosciuto e gioire del mondo reale?

<La guerra al Terrore ha già avanzato l’idea di un nemico invisibile…facendoci credere che le nostre vite sono insicure. Questa narrazione e questo linguaggio sembrano esauriti. Era davvero così? Non si è capito(…) Oggi ciascuno è l’origine di pericoli potenziali. E droni sperimentati su popolazioni del Sud potrebbero essere ammessi anche su cieli democratici. Vogliamo davvero vivere sotto una presenza continua di tali marchingegni, che a un certo punto potrebbero divenire armati e letali?> [Il presidente Biden all’ultimo G7 ha paragonato la Guerra al virus alla Guerra al Terrorismo].

<I nostri diritti alla privacy sono da tempo sotto attacco, grazie a tecnologie invasive e ad algoritmi per la sorveglianza e la manipolazione delle abitudini umane. Eppure, malgrado la disponibilità a rendere pubblici dettagli intimi delle nostre vite, abbiamo mantenuto segreta la nostra salute. Oggi è terrificante la velocità con cui delle app registrano, monitorano e analizzano la salute di intere nazioni, cosa che è entrata nel discorso pubblico senza nessun serio dibattito sulle implicazioni politiche, al di là di ogni “etica”. Vogliamo un mondo in cui ogni respiro, ogni sudore e ogni lacrima vengano monitorati? Un mondo in cui la nostra salute è un altro complesso di dati, che non solo alimenta il sistema ma prova le nostre credenziali sanitarie e il diritto di muoversi in ogni sfera sociale, ogni spazio pubblico, ogni paesaggio virtuale?> [magari pure di lavorare, aggiungiamo].

<Il modo in cui le società scelgono come rispondere a crisi come questa pandemia non è inevitabile. Dipende da quali valori in una società riteniamo primari e quali secondari>. Evans constata come la decimazione di arte e cultura al di fuori di istituzioni corporate. La stampa radicale e indipendente combatte già per la sopravvivenza, altrettanto avviene ai produttori di una cultura critica che, già ai margini, è spinta verso l’abisso. Con la complicità dei liberali (chiunque critica la matrice militarista tecno-farmaceutica è spinto nello stesso campo dell’estrema destra – dirà più avanti). Davvero vogliamo vivere in un mondo in cui la cultura è ridotta a visite virtuali in alcune gallerie d’arte e preferenze estetiche – e non solo – sono spogliate da ogni richiesta politica e cedute al potere di una ragione tecnocratica?

<Colpisce nel cosiddetto “Mondo Occidentale” l’atteggiamento verso l’educazione. Prima della pandemia era già in atto un attacco nei confronti di arte e scienze umanistiche e sociali, a partire dalle università. Con salvataggi e risorse dati primariamente a grandi business, imprese tecnologiche, ricerca medica e sanitaria, la precarietà di queste aree di studio è molto cresciuta. Eppure proprio questi settori sono critici per una nozione effettiva di democrazia capace di creare cittadini impegnati in grado di immaginare visioni alternative. Vogliamo davvero vivere in una società dove i temi e ricerche che incoraggiano a parlare di verità nei confronti del potere e a immaginare futuri migliori sono riservati a élites selezionate che hanno interesse allo status quo?

<Non c’è dubbio che questo virus sia devastante per persone e famiglie fragili che hanno perso i loro cari e che continui a spaventare parecchia gente, chiusa nelle proprie case temendo il contagio. Ma dobbiamo essere vigilanti verso la catastrofe in arrivo, potenzialmente altrettanto terrificante: l’accelerazione di dinamiche in grado di creare una falsa umanità che rischia di essere permanentemente segregata, isolata, quarantenata, intimorita dall’avventurarsi nel deserto reale.

Si dice che la realtà sia spesso più bizzarra della fiction. La linea fra le due in affetti non è chiarissima. Al mondo non serve un’altra cospirazione, ha bisogno di una comprensione critica della strada che gli si apre davanti e delle rotture che si stanno verificando>.

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Cinese o americano o…? Il giallo del coronavirus uscito da un laboratorio si allarga.

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Sul virus “fabbricato” o meglio, fuoriuscito da un laboratorio ora indagano i Five Eyes, le intelligence che fanno capo ai paesi anglofoni. E chissà che non saltino fuori sorprese interessanti, ancorché diverse dalle aspettative di Trump, disperatamente in caccia di capri espiatori per il disastro pandemico nel suo paese e ansioso guadagnare credito in vista del voto di novembre.

La Virus Connection appare infatti assai più ampia di quanto l’abbia descritta l’ottimo recente articolo di Alberto Negri.

Pipistrelli catturati e spediti qua e là per via aerea in Australia, virus che viaggiano da un continente all’altro dal Canada, legalmente o meno, ma anche negli US, ricercatori cinesi al lavoro in laboratori occidentali e laboratori cinesi con finanziamenti americani e francesi, virus vecchi e nuovi replicati e conservati per anni ovunque, manipolazioni e ingegnerizzazioni genetiche azzardate. E discusse, bloccate negli US dopo vari incidenti, e permesse di nuovo.

Vicende che vanno avanti da tempo, come ammmette infine una ricerca americana.

Dal 2002, quando nella provincia cinese del Guandong è comparso il virus della SARS, sindrome acuta respiratoria severa, un’epidemia con oltre 8000 casi e 774 vittime in 17 paesi ma quasi tutti tra Cina, Hong Kong e Singapore, si sono mobilitati ricercatori di Canada, Francia, Rotterdam, Usa  e naturalmente Cina. Soprattutto, la SARS ha lanciato ricerche a tutto campo sui coronavirus da pipistrelli, prima ignorate.

Tanto più dopo che nel 2014 spunta misteriosamente a Jedda un altro coronavirus, ancora più letale, il MERS-CoV, detto Sindrome respiratoria Mediorientale in quanto si è propagato soltanto in Medio Oriente (il che ha rafforzato le teorie complottiste su virus mirati geneticamente, cosa in teoria possibile, a quanto pare).

Intanto epidemie di virus influenzali zoonotiche si susseguono con effetti anche gravi, dall’H5N1 “aviaria”, nota da fine secolo, alla pandemia dell’H1N1 “suina” del 2009-2010, che produce milioni di infettati e decine di migliaia di morti, quasi tutti nel continente americano, oltre a valanghe di polemiche per i molti milioni spesi da molti Stati (Italia compresa) per vaccini inutili comprati su indicazione dell’OMS.

Progetti di studi e grandi Piani di Prevenzione con finanziamenti pubblici si infittiscono, insieme ad esperimenti di ingegneria genetica. In una gara spasmodica verso test diagnostici, farmaci e soprattutto vaccini, business miliardario. In primo luogo negli Usa a partire dal 2009. Ma anche altrove, e in Cina naturalmente, che oggi si vanta di essere in testa a una produzione vaccinale per il SARS-CoV2 con tre progetti molto avanzati.

INIZIO. Da Jedda a Winnipeg via Rotterdam, e poi in Cina. Chissà se le intelligence troveranno interessante la rocambolesca vicenda lanciata dal sito alternativo filo-Trump Zerohedge già il 26 gennaio 2020, pochi giorni dopo il lockdown di Wuhan, col titolo provocatorio “La Cina ha rubato un coronavirus dal Canada e l’ha armato?”.

Una storia ambigua, che ha però alcuni punti fermi, e comincia il 13 giugno del 2012. Quando da un paziente saudita 66enne ricoverato all’ospedale di Jedda con febbre e sintomi respiratori gravi, Mohammed Zaki, virologo egiziano noto per aver identificato il virus MERS, isola un coronavirus SARS sconosciuto. E contatta Ron Foucher, eminente virologo dell’Erasmus Medical Center di Rotterdam per un consiglio. Foucher lo sequenzia usando un campione mandatogli da Zaki.   

Il virologo olandese è esperto del ramo. Fa esperimenti di ingegneria genetica sui virus e, raccontava il Corriere della sera nel 2011, <ha scoperto che bastano cinque variazioni genetiche per trasformare il virus dell’aviaria – H5N1- in un agente patogeno altamente contagioso, tale da poter uccidere metà della popolazione mondiale>.

Se /quali nuove manipolazioni vengono fatte all’Erasmus su quel nuovo coronavirus SARS non è dato sapere. Fatto sta che 4 maggio 2013 quel virus lo ritroviamo in Canada, acquisito da Frank Plummer, direttore scientifico del Laboratorio Nazionale di Microbiologia (NML) di Winnipeg. Dove il coronavirus viene replicato in quantità per ricerche su test diagnostici, e su quali animali sono più soggetti ad essere infettati. Cose sulle quali quel lab ha esperienza.

Plummer morirà misteriosamente nel febbraio 2020 in Kenia, dove collaborava con due università keniote sull’HIV, di questo virus era specialista e lavorava da tempo a un vaccino. (Di qui le ipotesi indiane sul SARS-Cov2 combinato con pezzi di HIV poi smentite dagli scienziati?)

La storia di Zerohedge continua raccontando il caso di un virus pericoloso finito in Cina dal Canada nel marzo 2019 e di come, a suo dire, l’indagine sia ancora in mano ad esperti di guerra batteriologica. Il NML di Winnipeg è l’unico lab di massimo livello di sicurezza (BSL4), uno dei pochissimi in Nord America (un altro è il laboratorio militare Usa di Fort Dietrick, Maryland , chiuso improvvisamente lo scorso agosto, su cui hanno ricamato alcuni post complottisti uno dei quali russo, smentiti da un altro sito altrettanto alternativo-complottista).

Si tratta sempre di quel coronavirus SARS-CoV o addirittura modificato, come insinua ZH? Contrabbandato da agenti cinesi o magari semplicemente trasferito per scopi di ricerca?

Al centro della scena c’è la dr. Xianguo Qio, scienziata laureata nell’Hubei e ma nel 1985 in Canada, dove è rimasta al NML, dal 2006 al lavoro sui virus più a rischio insieme al marito cinese pure lui. Responsabili del presunto ‘contrabbando’? Mah.  La dott Xianguo Qio, che in una foto si vede ritratta con colleghi, fra i quali uno di Harvard, tra il 2017 e il 2018 risulta essersi recata almeno cinque volte in Cina, proprio nel National Biosafety Laboratory dell’Istituto di Virologia di Wuhan (WIV), BSL4 dal 2015. Sul quale oggi si è appuntata l’attenzione mediatica, dal momento che proprio in quella città è scoppiato il COVID-19.

L’ISTITUTO VIROLOGIA DI WUHAN (WIV) e LA FRANCIA. Fondato nel 1956 da due scienziati cinesi sotto l’egida dell’Accademia Cinese delle Scienze, come Istituto di Microbiologia, diventa WIV nel 1978. Ma il salto di qualità lo fa nel 2004, quando nell’ambito dei buoni rapporti fra Chirac e Hu Jintao, deciso dopo la SARS a dare impulso alla lotta contro le infezioni, progetta di trasformarlo in un laboratorio di massima sicurezza.

L’accordo viene firmato da Michel Barnier, allora ministro degli Esteri. Ma poi non succede nulla, e Sarkozy, annuncia l’inizio dei lavori solo nel 2010, quando sono già stati varati Piani e Progetti da parte degli Stati Uniti, ai quali US Sarko’ è certo più legato del suo predecessore. Il WIV avrà il suo laboratorio BSL-4 soltanto nel 2015 (costo $44 milioni) fra varie polemiche in Francia, sulle aziende francesi inadatte, i 55 ricercatori del lab di Lione previsti ma mai arrivati, i sospetti sulla Cina dei servizi francesi e americani – secondo Le Figaro e Challenges.fr. In Cina da tre anni c’è ormai Xi Jinping, forse più interessato a buoni rapporti con gli US.

E GLI SPECIALISTI DI PIPISTRELLI. Al WIV le intelligences indagheranno certo su Peng Zhou, che tra il 2011 e il 2014 ha speso ben tre anni  all’Australian Animal Health Laboratory di Victoria dove era stato spedito dalla Cina per completare il suo dottorato, preso al WIV. Lì svolge ricerche, dandosi da fare per trasportare pipistrelli vivi dal Queensland  ( o dalla Cina? azzardiamo) alla struttura di bio contenimento di quel lab di Victoria, dove sono stati vivisezionati e per studiare virus letali in ricerche finanziate dal CSIRO, agenzia governativa federale australiana responsabile della ricerca scientifica e dall’Accademia Cinese delle Scienze. Così racconta il Daily Telegraph australiano.

Diventato il massimo specialista nel sistema immunologico dei pipistrelli – “come mai quei mammiferi che sono i serbatoi naturali di coronavirus non si ammalano?” Si era chiesto, ancora studente di bio ingegneria, dopo aver contratto la SARS nel 2003 – Zhou ritorna a Wuhan e, con 30 pubblicazioni scientifiche anche su riviste internazionali, diventa capo del  Bat Virus Infection and Immunization Group al National Biosafety Lab del WIV.

 “C’è quest’uomo dietro la pandemia globale di coronavirus?” Titolava di nuovo Zerohedge il 29 gennaio, insinuando dubbi su di lui senza uno straccio di prova, l’articolo corredato da una foto schifosissima dell’ormai famigerato mercato Huanan di pesci e animali selvatici vivi, chiuso dal 1 gennaio, dal quale si ipotizzava fosse originato il nuovo virus . Un post che a ZH è costato la sospensione da Twitter, previa denuncia di Buzzfeed  – sito sospetto che in pieno Russiagate aveva pubblicato il famigerato dossier fake di Christopher Steel: un segnale del mescolarsi di notizie, provocazioni e perduranti conflitti fra pezzi di intelligence.

La Bat Woman. Indagano certo i Five Eyes sulla dottoressa Shi Zheng-Li, che nel medesimo WIV dirige il Center for Emerging Infectious Diseases. Con lei Peng Zhou collabora attivamente da anni, anche nella ricerca di pipistrelli “ferro di cavallo” (horseshoe bats) nelle grotte dello Yunnan e del Guanxi, le regioni del sudest della Cina dove si trovano queste specie portatrici di coronavirus simil-SARS, come hanno scoperto.

Shi Zheng-Li, 55 anni, è la maggiore esperta al mondo di coronavirus & pipistrelli, nella sua carriera oltre a importanti articoli ha messo insieme una banca ragguardevole di dati, virus e campioni fecali ragguardevole, tanto da essere soprannominata Bat Woman, o la Signora dei pipistrelli, nel più gentile appellativo di Negri. Dottorato a Montpellier nel 2000, dove ha speso qualche anno, la Francia l’ha in seguito onorata del titolo di Chevalier de l’Ordre del Palmes academiques. Non sappiamo se per ricerche comuni.

Anche Shi Zheng-Li comunque usa muoversi fuori dalla Cina.

Dal 22 febbraio al 21 maggio del 2006 per esempio era in Australia, è sempre il Telegraph a raccontare. E poi chissà. Fatto sta che nel 2019 la dottoressa diventerà membro dell’American Academy of Microbiology. E’ormai la beniamina della ricerca USA sui coronavirus. Come dimostra il lungo articolo divulgativo che le ha da poco dedicato Scientific American, con molte foto (qui in italiano) elogiando le sue qualità e capacità. Indubbie.

Dimenticando tuttavia di citare non solo il suo soggiorno in Australia. Ma altre ricerche e, soprattutto, un passaggio delicato e molto controverso: la creazione di un virus chimera, un coronavirus nuovo frutto di ingegneria genetica. Un esperimento condotto nel 2014 insieme a un team internazionale, la cui premessa è però un’altra importante ricerca longitudinale che si snoda negli anni precedenti. E dopo ancora.  

Il percorso scientifico di Shi. Dopo aver scoperto per prima già nel 2005 che il coronavirus della SARS veniva da un pipistrello (Science e Journal of General Virology 2005), la dottoressa Zheng-Li era andata in caccia di pipistrelli portatori di quel virus setacciando grotte e villaggi nelle regioni del sud est della Cina, Yunnan e Guanxi, da sola e insieme a Peng Zhou. Finalmente ne trovano una dozzina con anticorpi di virus SARS: sono pipistrelli di un tipo particolare, “a ferro di cavallo” (horseshoebat), che diventeranno centrali nelle successive ricerche. 

Dal 2011 al 2012 Zhang-Li conduce quindi una ricerca longitudinale su diversi coronavirus simil-Sars raccolti in 117 campioni fecali in una colonia di pipistrelli a Kunmig, Yunnan, un villaggio dove diversi minatori si erano infettati da un fungo cresciuto su guano di pipistrello.

Alla fine da quei pipistrelli “ferro di cavallo” identifica e sequenzia due coronavirus, i più vicini mai trovati al SARS-Cov, il virus della SARS: al 99,9%, con altre caratteristiche uguali. E inoltre da un campione fecale isola un primo virus vivo simil-SARS, praticamente identico al SARS-CoV (99,9%, con altre caratteristiche uguali).

Risultati che provano con grande forza: 1. che i pipistrelli cinesi horseshoe sono i serbatoi naturali dei coronavirus SARS (che sono più d’uno); e 2. Che ospiti intermedi possono non essere necessari per infettare gli uomini, come di solito non succede con i Coronavirus.

C’è il condizionale: il contagio diretto è ancora una possibilità.

La ricerca successiva, quella più controversa, prosegue su quella linea. Partendo dalla mera possibilità di una trasmissione diretta dal virus nel pipistrello horseshoe all’uomo, produce il virus chimera inserendo la proteina di quel coronavirus nel genoma di un virus adattato a crescere nei topi . E dimostra che quel coronavirus è veramente in grado di infettare cellule umane in vitro.

Suggerendo che virus in circolazione in certi pipistrelli in Cina sono potenzialmente capaci di infettare l’uomo. Anche senza mutare e passare da un altro animale, come si credeva necessario.

<Quel virus ibrido ci ha permesso di valutare la capacità della nuova proteina spike di causare infezioni indipendentemente da altre mutazioni adattive nel suo ‘ospite’ naturale> spiegherà, in difesa, Ralph Baric, dell’University of North Carolina, nel dibattito che ne è seguito, rilanciato quest’anno quando di quella ricerca si è ricominciato a discutere a fine febbraio, quando narrazioni mediatiche ipotizzavano la natura artificiale, manmade del virus portatore del COVID-19, smentite con forza su Lancet da un pool di scienziati.

Alla Cina veniva addirittura imputato di aver prodotto una bio-arma e di essersi lasciata sfuggire quel virus, che veniva fatto coincidere con quello odierno che causa il COVID-19. Ipotesi che arrivate pure in Italia, via Business Insider e riprese più tardi via Rai Tgr Leonardo (cavalcate persino da Salvini per dare addosso alla Cina, e magari farsi bello con Trump)

L’ipotesi viene smentita recisamente dai ricercatori in quanto il virus odierno NON è quello ingegnerizzato di quella ricerca. <Se quel virus chimerico fosse sfuggito dal laboratorio, la sua sequenza dovrebbe essere identica o per lo meno simile al coronavirus del COVID-19 > ha spiegato Antonio Lanzavecchia, immunologo italiano a Zurigo. Intervistato dal Manifesto dopo le polemiche sul Tgr. Resta il fatto che, come vedremo, ingegnerizzazioni del genere sono ad alto rischio per la popolazione, dovessero quei virus saltar fuori da qualche parte per errore.

Ma cosa c’entrano Baric e Lanzavecchia? C’entrano eccome, in quanto non si tratta affatto di ricerche cinesi, quanto meno non soltanto cinesi.

PROGRAMMI e FINANZIAMENTI USA. La prima ricerca appare su Nature, 30 ottobre 2013, firmata da Shi Zheng-Li insieme a Peter Doszak, zoologo americano esperto in malattie infettive degli animali, ma soprattutto presidente dell’EcoHealth Alliance, “organizzazione di ricerca globale” no profit di New York dal nome tranquillizzante, oltre a un altro scienziato dell’Animal Health Institute di Victoria, Australia e vari altri.

Alla seconda prende parte la solita Shi Zheng-Li (Laboratory of Special Pathogens and Biosafety, Wuhan Institute of Virology, Chinese Academy of Sciences, Wuhan, China, si legge). Ma il coordinatore, è Ralph Baric, del Department of Epidemiology, University of North Carolina, Chapel Hill, con vari ricercatori della stessa università americana, un altro della Harvard Medical School, oltre all’italiano Lanzavecchia, del Bellinzona Institute of Microbiology di Zurigo, come elenca Nature, 9 novembre 2015 .

Nessuno dei due studi può dunque dirsi cinese. Sebbene cinesi siano sicuramente i virus e i pipistrelli, compresi i campioni fecali, che il Wuhan Institute of Virology conserva con cura, specie da quando il suo laboratorio nel 2015 è diventato BLS 4.

Ma dove si sono svolte le ricerche, in particolare quella del virus chimera? In un laboratorio americano o cinese? A Wuhan o in North Carolina, o nel laboratorio della FDA (Food and Drug Administration, che fra l’altro licenzia i nuovi farmaci) in Arkansas, come insinua un sito ‘alternativo’?  Da Nature non risulta nulla.

Quel che è certo è che anche la ricerca in questione ha avuto finanziamenti statunitensi, come precisa un “Addendum” di Nature Medicine del 20 novembre 2015 che accenna a una dimenticanza precedente e cita: “USAID-EPT-PREDICT funding from EcoHealth Alliance”.

Decrittiamo: PREDICT è uno dei quattro progetti dell’Emerging Pandemc Threat (EPT), vasto programma dell’USAID – United States Agency for International Developement (collegato alla CIA, secondo alcuni), in partnership con l’Eco Health Alliance l’organizzazione caritatevole globale finanziata al 91% da grants governativi presieduta da  Peter Deszak, quello della ricerca del 2012-13, vedi sopra.

Un programma vasto, globale e ambizioso lanciato già nel 2009 – amministrazione Obama, in continuità con un altro del 2005 varato dopo l’influenza aviaria H5N1, che seguiva la SARS. Con lo scopo di prevenire pandemie virali, individuando in anticipo nuove infezioni e preparando risposte. Finanziato ogni 5 anni, dal 2019 al 2019 ($200 milioni) ha raccolto 145.000 campioni animali e umani scoperto 931 nuovi virus e analizzato 218 conosciuti, addestrato 6000 persone in 30 paesi-si legge sul sito. Un ombrello dietro il quale c’è di tutto. Comprese le ricerche finanziate da istituti o centri che fanno capo al NIH, il National Institute of Health  americano che comprende vari centri.

Fra i quali spicca il NIAID- National Institute of Allergy and Infectious Deseases diretto da Antony Fauci fin dal 1984, in continuità con tutti presidenti da Ronald Reagan in poi. Immunologo distintosi per il suo lavoro su HIV/AIDS nel 1990, Fauci è membro del Consiglio che supervisiona il Global Vaccine Action Plan lanciato nel 2010 dalla Gates Foundation, la fondazione di Bill e Melinda Gates, nonché il Decennio di Collaborazione sui Vaccini della stessa fondazione.

E’ con il sostegno del NIAID che passa il finanziamento del NIH di $3.7 milioni all’Istituto di Virologia di Wuhan per le ricerche sul coronavirus. La seconda fase, dal 2019, per altri 5 anni, ne prevedeva altri $3.7 milioni. E tralasciamo un altro importante studio della dr. Zheng-Li con Peter Deszack e altri ricercatori cinesi, apparso nel 2017 su Journals.plos.org

Finché Trump non blocca il tutto nel marzo 2020. Proprio mentre un funzionario dell’amministrazione chiede alla Cina di poter <lavorare direttamente con laboratori di Wuhan con ricerche sul nuovo coronavirus, per salvare vite globalmente>, racconta Reuters.

LA MORATORIA USA SULLE RICERCHE A RISCHIO. E GLI INCIDENTI. Nel frattempo era successo qualcosa di importante. Nell’ottobre 2014, l’amministrazione Obama aveva <sospeso temporaneamente nuove ricerche che rendono certi virus più letali o più trasmissibili> chiedendo espressamente ai ricercatori di valutare il rapporto rischi/benefici di ricerche spinte e su virus manipolati in laboratorio di influenza, SARS e MERS. Vedi Nature, che ne discute, dopo aver dato la notizia .

Con la moratoria vengono stoppati 21 progetti, chiusi due laboratori del CDC (il centro USA per il controllo e la prevenzione delle malattie), fermata la spedizione di campioni biologici.

La ricerca di Baric & Zheng Li, è in corso, rientra fra quelle e l’anno dopo susciterà infatti un mucchio di critiche, come dal successivo articolo di Nature rilanciato oggi.

Sotto accusa è il cosiddetto metodo “Gain of Function” (GOF), in sostanza gli esperimenti di ingegneria genetica volti ad accrescere la trasmissibilità e la virulenza del patogeno: <per capirne meglio caratteristiche, debolezze e potenzialità, così da riuscire a identificare i bersagli di nuovi farmaci antivirali per prevenire infezioni nei soggetti a rischio o trattarle meglio>, li difendeva il dr Fauci già nel 2011, quando questo dibattito è cominciato.

Ma ben 200 scienziati si opponevano, sottolineando i rischi di bio-sicurezza di queste ricerche, in grado di provocare vere e proprie pandemie in caso di incidenti, ricorda oggi Newsweeek in un articolo durissimo dal titolo significativo: Dr Fauci backed controversial Wuhan Lab.

E di incidenti ce ne sono stati eccome negli USA, culminati in quell’anno 2014 in cui Obama decide lo stop, informa Sciencemag.org , citato da Asiatimes qui. La chiusura dei due laboratori federali del CDC e l’alt ai trasferimenti avviene dopo l’accidentale invio di virus dell’antrace e la scoperta di sei fiale contenenti vaiolo dimenticati, scoperte in un magazzino refrigerato in un lab della Federal Drug Administration e del NIH a Bethesda, Maryland.  

In un altro incidente un pericoloso ceppo di influenza era stato accidentalmente inviato da un laboratorio all’altro: magari è proprio il virus ingegnerizzato da quello H5N1 dell’influenza aviaria che si diffonde per via aerea nei furetti di cui scrive Nature nel dare la notizia della moratoria. 

Un laboratorio CDC dove si studiano i virus influenzali a metà marzo 2014 ha spedito un ceppo poco patogeno di H9N2 a un laboratorio del Dipartimento dell’Agricoltura che studia il pollame. Salvo scoprire poi che era contaminato con il ceppo H5N1 dell’aviaria, molto più virulenta e capace di infettare anche gli uomini.

Si citano poi gli esperimenti di Yoshiro Kawaoka dell’Università del Wisconsin, a Madison, sulla trasmissione aerea tra mammiferi di un virus che combina l’H1N1 con geni simili al ceppo dell’influenza Spagnola.

Per dire l’andazzo degli esperimenti ad alto rischio, compiuti a volte a mero scopo dimostrativo. Come la ricostruzione in laboratorio del virus del vaiolo ormai scomparso (ma conservato negli US e in Russia) : finanziata non da fondi federali ma da una azienda farmaceutica di New York con soli $100mila, viene però condotta nel 2017, in Canada, da un virologo dell’Università di Alberta, David Evans, incollando come in un puzzle frammenti di DNA comprati su Internet, dove viene poi divulgata. Segue polemica.

E che dire dei dubbi avanzati nell’ormai lontano nel 2009 sul virus dell’influenza suina H1N1, quello della pandemia proclamata anzi tempo dall’OMS e dei milioni di vaccini fatti comprare – inutilmente – ai governi mezzo mondo, Italia compresa? Secondo tre ricercatori australiani potrebbe essere stato un prodotto artificiale, magari solo frutto di un “errore” di laboratorio. All’esame genetico, quel virus secondo loro risultava infatti prodotto da tre linee virali suine diverse, apparsi in tre diversi continenti e in anni diversi.

RICERCHE OUTSOURCED? Dopo la messa al bando delle ricerche su virus potenzialmente pandemici, Fauci decide di esternalizzare gli studi più rischiosi sui coronavirus nell’istituto di virologia di Wuhan al quale vengono garantiti finanziamenti. Ne parla Asiatimes ma pure Newsweek. E non si tratta solo della ricerca di Baric & Zheng Li, e della successiva del 2017 della stessa BatWoman con altri.

Altri studi vengono compiuti, come quello dell’aprile 2018 che identifica un nuovo coronavirus che fa strage di suini in Cina, collaborazione fra WIV, EcohealthAlliance, Duke-NUS Medical School e altri, finanziamento arrivato dal NIAID di Fauci.

Si spiega allora come mai nel gennaio 2018 l’ambasciatore Usa in Cina invii due cables allarmati a Washington, per i livelli di sicurezza a suo dire scarsi nel laboratorio del WIV di Wuhan dove avrebbe fatto compiere un’ispezione, come ha “rivelato” in aprile il Washington Post con grande pompa. Notizia inspiegabile senza conoscere il contesto.   

Nel dicembre 2017amministrazione Trump– la moratoria era stata infatti sospesa, sia pure con nuove regole: i progetti pericolosi possono riprendere dopo che un panel di esperti avesse valutato se i rischi sono giustificati. Ma le valutazioni restano segrete. E dopo che Science scopre il via libera dato a due progetti su virus dell’influenza usando i famigerati metodi GOF, scienziati contrari denunciano con violenza queste ricerche in un editoriale sul Washington Post

Successive ricerche erano previste dal 2019 sui coronavirus- continua Newsweek –  con esperimenti ingegneristici in vitro e in vivo e analisi dei recettori umani ACE2,  per predire le potenzialità di spillover, ovvero la capacità di quei virus di saltare direttamente dagli animali agli uomini.

Finché Trump non blocca quella nuova tranche di progetti e finanziamenti federali. E, nel tentativo di considerare la Cina responsabile della pandemia Covid-19, sulla scia di analoghe richieste da parte di alcuni Stati americani si spinge a minacciare cause legali alla Cina da parte degli Stati Uniti con richieste di rimborsi miliardari.

E tuttavia, osserva AsiaTimes, non è chiaro quali ramificazioni legali vi potrebbero essere se il virus che ha causato la pandemia attuale fosse sì uscito da un laboratorio Cinese, ma come esito di un progetto di ricerca esternalizzato e finanziato dal governo americano.

Di più. Dei ceppi di coronavirus non potrebbero invece provenire da laboratori americani, dal momento che la moratoria sulle ricerche GOF è stata sospesa dalla fine del 2017 e che da allora le ricerche su quei virus di a rischio pandemico sono poi andati avanti negli stessi US ?

L’accusa in ballo non è la creazione artificiale del SARS-CoV2  ma la fuoriuscita del virus da un laboratorio, per un errore umano.  Un incidente.

Eventualità che per quanto riguarda il WIV viene negata recisamente da Shi Zheng-Li, tanto più dopo aver controllato uno a uno tutti i campioni di virus conservati nelle sue banche virali, nessuno dei quali coincide o è compatibile con il SARS-CoV2, afferma.

IL SECONDO LAB DI WUHAN. Ma a Wuhan non c’è solo quel laboratorio. E chissà se le intelligence indagheranno anche su quello del Wuhan Center for Disease Control & Prevention, il CDC di Wuhan. L’ipotesi che il virus del COVID-19 possa essere fuoriuscito da lì, in alternativa al WIV, era stata avanzata da due ricercatori cinesi già a febbraio, ripresa da Zerohedge e circolata in UK e pure in Italia, ben raccontata da Wired:

Botao Xiao, della South China University of Technology di Guangzhou, e Lei Xiao della Wuhan University of Science and Technology ne avevano parlato in un breve report pubblicato in pre-print.

Osservavano: 1. che il SARS-CoV-2 è geneticamente identico tra l’89 al 96% a quello scoperto nei pipistrelli horseshoebat che abitano in province – Yunnan e Zhejiang – distanti ben 900 km da Wuhan, dove pipistrelli non se ne vendono né se ne consumano. Potrebbe essere arrivato a infettare gli umani dopo essere passato, mutando, attraverso qualche altro animale – come affermano vari scienziati, animali finiti magari su banchi del famigerato mercato Huanan di animali vivi, che però secondo altre ricerche non sarebbe all’origine del virus. Ai due ricercatori non pare probabile.

 2. Nel lab CDC di Wuhan, che sorge ad appena 280 metri dal mercato, i due ricercatori hanno accertato l’utilizzo proprio di quel tipo di pipistrelli. Una ricerca in particolare ne avrebbe coinvolti circa 150 , catturati nella provincia di Zhejiang, sui quali sarebbero state effettuate operazioni chirurgiche e biopsie e i cui prodotti di scarto, se smaltiti in modo sub-ottimale, rappresenterebbero una possibile fonte di infezione situata ad appena pochi passi dall’ epicentro dell’epidemia. Quel laboratorio, a differenza del WIV, ha un livello di sicurezza BLS2, non 4 come afferma il professor Pregliasco su Wired.

Aggiungiamo tre coincidenze significative: il report dei due ricercatori è poi scomparso (anche se ancora reperibile) e uno dei due si poi tirato indietro; anche la dr: Zheng-Li si era meravigliata che il nuovo coronavirus fosse apparso proprio a Wuhan; il CDC di Wuhan appare il responsabile dei ritardi nella comunicazione al Centro di Pechino dello strano virus, non ancora identificato ma che sembrava causare quelle nuove gravi infezioni polmonari osservate e segnalate da diversi medici locali, in primis l’oftalmologo Li Wenliang che, inizialmente screditato, alla fine ne morirà diventando un eroe in Cina e fuori. Tanto che Xi Jinping ne azzererà i vertici.  

Come dire che, se proprio si vuole puntare su un errore della Cina, bisognerebbe guardare lì? Chissà.

Un articolo di Kristian Andersen  (Scripps Research Institute, La Jolla, California) e altri americani, apparso il 17 marzo su Nature-Medicine, pretende di dire l’ultima parola sulle origini del SARS-CoV-2.

<Ricerche di base che comportano il passaggio di coronavirus di pipistrelli simili ai SARS-CoV in culture e/o modelli animali sono andate avanti per molti anni in laboratori di livelli di sicurezza 2 in giro per il mondo – afferma citando proprio la ricerca di Zhen-Li e Derszak del 2013 – e ci sono documentati esempi di fughe da laboratori di virus SARS-CoV. Dobbiamo quindi esaminare la possibilità di una fuoriuscita inavvertita del SARS-CoV-2 >.

Una ammissione molto grave, appena sminuita dal giudizio successivo:

<Sebbene le evidenze mostrino che il SARS-CoV2 non è un virus manipolato di proposito, è attualmente impossibile provare o negare le altre teorie descritte sulle sue origini>. Servono altri studi.

Le intelligence hanno insomma materia su cui indagare. E torniamo in testa al post: la Virus Connection è davvero grande.

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La campagna anti-Cina e la (falsa) narrazione sugli Uiguri detenuti nei campi.

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Il premio Sakharov assegnato dall’Europarlamento a un attivista cinese pro Uiguri ha irritato Pechino. L’ambasciatore all’UE Zhang, veterano della diplomazia cinese, lo ha citato nelle sue rimostranze per le crescenti tensioni che minano i rapporti commerciali con l’UE e gli investimenti cinesi, invitando ad agire secondo i principi del libero mercato e il multilateralismo.

Ilham Thoti, il premiato, difensore della Comunità Musulmana Uigura, è da anni in carcere per aver promosso l’indipendenza dello Xinjiang, la regione semi-autonoma del nord est della Cina dove vivono 8.6 milioni di Uiguri – etnia turcofona di religione islamica sunnita- insieme a Tibetani, Tagichi, Hui e Han.

Proteste anche maggiori da parte di Pechino e dei media cinesi ha poi suscitato la dichiarazione del calciatore di origine turca dell’Arsenal sul trattamento che la Cina riserverebbe agli Uiguri, incitando i musulmani nel mondo a protestare. Peraltro, stante i rapporti economici di tanti paesi musulmani con la Cina, l’appello è caduto nel vuoto, con l’eccezione, cauta, della Turchia.

La campagna anti-Cina a tutto campo degli Usa di Trump da un pezzo ha messo in primo piano la questione degli Uiguri, musulmani che paradossalmente questa volta l’America difende in nome dei “diritti umani, al pari delle rivolte di Hong Kong. Secondo i media occidentali ben 1 milione di Uiguri sarebbero detenuti in “campi di rieducazione” ovvero “di concentramento” cinesi. Vedremo più avanti il fondamento di tali accuse, sulle quali Underblog si era già soffermato.

LO XINJIANG E LA VIA DELLA SETA. Ma l’aspetto più interessante lo segnala un recente post di Global Research : quel che accade oggi nello Xinjiang, che confina con ben cinque paesi, fra i quali Afghanistan e Pakistan, va visto nel contesto dei mutamenti in corso nell’Asia Centrale.

Lo Xinjiang, territorio desertico largamente disabitato e sottosviluppato, è dotato di riserve petrolifere e minerali ed è fonte primaria di gas naturale per la Cina.

Eppure il punto chiave è ancora un altro: è il fatto che lo Xinjiang rappresenta il centro logistico dell’ambiziosa iniziativa cinese della Belt and Road (BRI). Quell’arida e spopolata regione è la porta di accesso all’Asia Centrale e Occidentale, e ai mercati dell’Europa.

La ferrovia Southern Xinjiang Railway che corre verso la città di Kashgar nell’ovest cinese è oggi collegata alla rete ferroviaria del Pakistan nel Corridoio Economico Cina-Pakistan, progetto della BRI, noto anche come Nuova Via della Seta in omaggio agli antichi percorsi carovanieri che univano Asia ed Europa. Vedi la mappa.

Il governo americano è profondamente ostile a questo grande progetto di sviluppo economico – scrive Global Research – e sta facendo tutto il possibile per sabotare i piani di Pechino. La campagna USA è parte della strategia militare “Pivot to Asia” insieme alle minacce navali nel Sud Est Cinese e al sostegno ai movimenti separatisti di Hong Kong, Taiwan e Tibet” (quest’ultima regione peraltro aspira soltanto ad un’autonomia culturale).

UN MILIONE DI UIGURI PRIONIERI? Non è vero, secondo il post. Che nega quel che il governo americano e i media in genere vanno scrivendo: ovvero che la fonte della notizia del milione di detenuti in campi “di concentramento”, in gran parte Uiguri, sia l’ONU.

Il post cita la smentita fatta in un dettagliato report investigativo da Ben Norton e Ajit Singh intitolato “No, l’ONU non ha riferito che la Cina ha vasti campi di internamento per i musulmani Uiguri’ (Grayzone.com, 23 agosto2018). Il report racconta come questa asserzione molto pubblicizzata sia interamente basata su non provate accuse di un singolo membroamericano –  tal Gay Mc Dougall, di un “comitato indipendente” dal titolo “Comitato Onu per l’Eliminazione delle Discriminazioni Razziali”.

 L’Ufficio ONU dell’Alto Commissario per i Diritti Umani del resto ha confermato che nessun corpo ONU o  comunque ufficiale ha mosso queste accuse alla Cina.

NARRAZIONE PILOTATA. <Dopo che questa fraudolenta storia ha ricevuto ampia copertura mediatica, è stata seguita da report del Network of Chinese Human Rights Defenders, rete dei difensori dei diritti umani che ha base a Washington. Un gruppo che riceve la maggioranza dei suoi fondi da sovvenzioni governative, in particolare dalla NED, National Endowment for Democracy legata alla CIA, fonte di finanziamenti per operazioni di ‘regime change’ nel mondo>.Notoriamente, aggiungiamo.

Da notare che il Network of Chinese Human Rights Defenders – segnala il post – ha lo stesso indirizzo di Human Rights Watch, la nota Ong americana per la difesa dei diritti umani, <che è stata la maggior fonte di attacchi a governi presi di mira dagli US, come Venezuela, Nicaragua, Cuba, Siria e Cina. E da tempo chiede sanzioni contro Pechino>.

Ancora. Le fonti del Network di cui sopra comprendono Radio Free Asia, un’agenzia di notizie finanziata da decenni dal governo US, il World Uighur Congress, altra origine di reports sensazionalistici, finanziato anch’esso dalla NED. Il governo americano è anche dietro all’ International Uighur Human Rights and Democracy Foundation e all’Uighur American Association.

Una rete capillare e ben sovvenzionata che secondo Grayzone genera report falsi. Ma apparentemente si presenta come un insieme di gruppi imparziali della società civile, Ong, think tanks e con la copertura dei diritti umani promuove interventi e sanzioni.

UIGURI MERCENARI. Il post continua raccontando come la CIA – che aveva cominciato nel 1979 a operare con l’ISI, intelligence Pakistana, e con fondi sauditi, reclutando Mujiaeiddin in Afghanistan per abbattervi il governo – <per decenni insieme all’ISI ha poi assoldato mercenari Uiguri, pianificando di usarli come forza terroristica in Cina. E atti terroristici e attentati in Xinjiang ne sono stati infatti compiuti diversi, vedi Underblog citato.

<Per la stessa ragione ha arruolato Ceceni dalla regione Russa del Caucaso. Entrambi i gruppi sono stati poi incanalati in Siria per il regime change in quel paese. Queste forze fanatiche, insieme a altri gruppi etnici, hanno formato l’ossatura di Al Quaida e  dell’Islamic State Group. Salvo che dopo l’11 settembre queste forze sono poi state considerate nemiche>.

Gli Uiguri dello Xinjiang furono fra i prigionieri di Al Quaida catturati in Afghanistan e imprigionati per anni a Guantanamo, senza accuse. E nelle peggiori condizioni di detenzione, secondo vari ricorsi legali.

La copertura mediatica sullo Xinjiang intende distogliere l’attenzione dai crimini delle guerre americane, dall’Afghanistan all’Irak alla Siria? Se lo chiede il post, che cita i 27.000 prigionieri detenuti dagli US in 100 luoghi segreti del mondo, come da inchiesta Onu [ricordate le extraordinary renditions?]. E le migliaia di files e video fatti filtrare da Wikileaks che  a suo tempo hanno documentato le torture, esecuzioni sommarie e altri crimini perpetrati in Irak [Abu Grahib eccetera], rivelazioni costate carissime a Chelsea Manning e Assange. E che del dire del CIA Torture Report del Senato americano (2014) che ha confermato il programma di Detenzioni e Interrogatori approvato dai vertici. Su 6000 pagine ne sono state rilasciate solo 525.

Ma torniamo agli Uiguri.

UIGURI IN SIRIA. <Nel tentativo di regime change più di 100.000 mercenari stranieri e forze fanatiche ben equipaggiate, rifornite e ben pagate sono confluite nel paese, dove un terzo della popolazione verrà sradicata e milioni saranno i profughi.

A partire dal 2013 migliaia di combattenti Uiguri furono fatti entrare clandestinamente in Siria per addestrarsi insieme al gruppo estremista Uiguro noto come Turkisstan Islamic Party. Combattendo con unità di Al-Qaida e di Al-Nusra, queste forze hanno avuto ruoli chiave in diverse battaglie>.

Come riferito da Reuters, Associated Press e Newsweek, che hanno parlato di oltre 5000 combattenti Uiguri presenti in vari gruppi militanti in Siria.

Secondo i media Siriani una colonia Uigura ha trasformato la cittadina di Zanbaka, al confine turco, in un campo trincerato per 18.000 persone. Molti combattenti Uiguri erano stati fatti arrivare nella zona di confine turco con le loro famiglie. Parlando turco anziché cinese avevano i sostegno dei servizi segreti turchi.

LA VIA CINESE ALLA RIEDUCAZIONE. Dopo che, fino dagli anni ’90 attacchi terroristici ed esplosioni hanno ucciso centinaia di civili in zone commerciali, treni affollati, stazioni di autobus, la Cina ha infine deciso di adottare nei confronti dei gruppi fanatici ‘armati’ di estremismo religioso un approccio diverso. E ha dato vita grandi centri professionali di educazione e di addestramento.

Anziché peggiorare le situazioni di sottosviluppo con campagne di bombardamenti e arresti, cerca di impegnare la popolazione nell’istruzione, nello sviluppo di capacità e in un rapido miglioramento economico e infrastrutturale. Da quando la campagna è iniziata nel 2017 gli attacchi terroristici nello Xinjiang sono finiti.

POSIZIONI CONTRO E A FAVORE. Lo scorso luglio 22 paesi, per lo più europei più Canada, Giappone, Australia e Nuova Zelanda hanno spedito una lettera al Consiglio ONU per i Diritti Umani criticando la Cina per le detenzioni arbitrarie e altre violazioni nei confronti dei Musulmani nello Xinjiang. Nessun firmatario da uno stato musulmano, sottolinea il post.

Qualche giorno più tardi, un gruppo di 34 paesi – diventati poi 54 – hanno sottoscritto una lettera in difesa delle politiche di Pechino, a sostegno delle misure di contro-terrorismo e de-radicalizzazione in Xinjiang. Tra i firmatari figurano più di una dozzina di paesi dell’Organization of Islamic Cooperation dell’ONU.

Secondo un ulteriore comunicato del 31 ottobre (2019) al Terzo Comitato dell’Assemblea Generale ONU un certo numero di diplomatici organismi internazionali, funzionari e giornalisti si sono recati nello Xinjiang per testimoniare il progresso dei diritti umani e gli esiti del controterrorismo e della de-radicalizzazione. “Quel che hanno visto e udito in Xinjiang contraddice completamente quel che riferiscono i media “, si legge nel comunicato.

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Le guerre economiche di Trump colpiscono l’UE insieme a Cuba, Iran Venezuela… Gli Europei meditano reazioni

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Il caso dell’Iran è solo l’ultimo salito alla ribalta della cronaca, con le nuove ulteriori sanzioni su ferro acciaio alluminio e rame varate dal presidente Trump. Poche ore prima il presidente della Repubblica Islamica Hassan Rouhani aveva annunciato che l’Iran ricomincerà ad arricchire l’uranio per fini militari se entro 60 giorni le diplomazie internazionali non interverranno per salvare l’accordo sul nucleare, o JCPOA-Joint Comprehensive Plan of Action, del 2015, dal quale gli Usa di Trump si sono ritirati giusto un anno fa. Un accordo raggiunto con i paesi del gruppo “5+1”, i cinque che hanno potere di veto nel Consiglio di sicurezza (Stati Uniti, Russia Cina, Francia e Regno Unito) più la Germania. E l’Unione Europea. Formalmente riconosciuto anche dall’ONU.
Commenti preoccupati, immediati sul Financial Times, poi a ruota su vari media e siti, l’escalation americana potrebbe portare a un incidente in grado di scatenare una guerra regionale, che nessuno in realtà vorrebbe a parte i falchi Usa come Mike Pompeo e soprattutto John Bolton, il consigliere per la Sicurezza.
Il problema va oltre l’Iran e riguarda le guerre economiche di Trump che – insieme ai dazi e alle tariffe con cui colpisce a destra e a manca in un crescendo tale da farlo definire “dangerously addicted”(1), pericolosamente dipendente, da un commentatore non nemico come Ambrose Evans Pritchard – utilizza l’arma delle sanzioni in un gran numero di paesi compresi Cuba, Venezuela e Siria, Sudan, Nord Corea, più naturalmente Russia, eccetera. Sanzioni la cui legittimità è discussa, sicuramente illegali quando hanno una portata extraterritoriale, quando cioè l’effetto di leggi americane viene esteso a paesi terzi. Primi gli alleati europei.
Del resto “La logica dell’amministrazione americana è proprio quella di utilizzare il diritto per difendere gli interessi economici degli Stati Uniti ed eliminare i concorrenti”, si osserva in vari post dell’IRIS, think tank francese molto impegnato su questo fronte (2). Utilizzare il diritto, forzarlo o scavalcarlo? Dipende.
L’Unione Europea scalpita e minaccia rappresaglie. Ma cosa può fare in concreto? Poco, come vedremo, stretta com’è tra la Nato, i Trattati e la supremazia del dollaro. Poco, soprattutto, se divisa al suo interno, con ogni paese preoccupato a difendere il suo orticello, e i paesi al confine est satelliti degli US. Il tema dei rapporti interni all’impero americano è attualissimo, Limes vi ha dedicato l’ultimo numero, vol4/2019 : Antieuropa, l’impero europeo dell’America(3)
Intanto diamo uno sguardo ai luoghi più caldi di questa guerra economica combattuta da Trump in nome dell’America First, dove “il Tesoro è ormai uno strumento di politica estera più potente del Pentagono, con tutte le sue portaerei e droni” (Patrick Cockburn, Counterpunch). Tesoro, il cui ‘comandante in capo’ en passant è Steven Mnuchin, ex Goldman Sachs.
CUBA. Dal 2 maggio scorso l’amministrazione americana può citare in giudizio le società straniere presenti a Cuba, applicando il titolo III di una legge del 1996 i cui effetti erano stati fino a oggi sospesi. La legge bipartisan Helms-Burton, di portata extraterritoriale promulgata sotto Bill Clinton consente infatti di perseguire imprese o persone che hanno investimenti, interessi legali o affari in corso di vario genere che si sospetta abbiano a che fare con beni nazionalizzati da Fidel Castro nel lontano 1959 (4)
In pratica le molte società canadesi ed europee –in primo luogo francesi e spagnole – impegnate a Cuba, saranno costrette ad andarsene per non essere sanzionate negli Usa. In ballo asset per un paio di miliardi di dollari, capitali di cui Cuba ha grande bisogno per ricostruirsi e rilanciarsi.
Francesi furibondi, Spagnoli a seguire. Trump “ha lanciato la più grande guerra economica contro l’Europa utilizzando Cuba come pretesto”, ha dichiarato un parlamentare transalpino.
La Francia ha già avuto occasione di assaggiare il carissimo prezzo delle ritorsioni americane nel 2014, quando BNP Paribas, una delle due maggiori banche francesi, fu multata per ben $9 miliardi per aver operato transazioni per conto di entità Cubane, Iraniane e Sudanesi nella lista nera degli US. La banca perse anche il diritto a cambiare valuta straniera in dollari per un intero anno. Lo racconta un post didascalico curato dal Council of Foreign Relationsvolto a dare qualche informazione nell’intricata materia sanzionatoria (5).
Come vedremo la dimensione extraterritoriale delle sanzioni americane va oltre il caso Cuba, che però resta un simbolo, nella strategia d Trump mirante ad annientare i residui paesi “socialisti” per riconquistare il predominio assoluto nell’America latina.
Nello stesso giorno in cui il Segretario di Stato Mike Pompeo annunciava la riattivazione del Titolo III venivano varate nuove misure restrittive nei confronti di Nicaragua e Venezuela, gli altri due componenti della “troika della tirannia. Prese di mira le banche centrali dei due paesi, oltre a interdizioni a varie personalità, e altro.
VENEZUELA. Forse memore del caso di BNP Paribas, Macron ha fatto recentemente marcia indietro sulle sanzioni al Venezuela. Nell’agosto 2018, aveva infatti annunciato che il successivo novembre non avrebbe aderito al prolungamento di un altro anno delle misure restrittive prese dall’UE nel 2017 su richiesta Usa. Un gesto di insubordinazione significativo, quello francese, molto apprezzato in quella parte del sud America che ancora resiste (6).
Se ne compiaceva un sito sudamericano citando BBC World: “I paesi hanno deciso le sanzioni al Venezuela per compiacere gli Usa”. La Francia in un primo tempo avrebbe tentato di proporsi come ‘facilitatore’ per stabilire un dialogo. Secondo ADN Radio dal Cile anche la Spagna si sarebbe detta contraria.
Era stato del resto lo stesso presidente Trump a chiedere all’UE di sanzionare il governo Maduro nel settembre 2017. In quanto parte di un piano su larga scala, ha spiegato il Segretario di Stato Mike Pompeo, ex direttore CIA, a una conferenza dell’American Enterprise Institute .
Le sanzioni comprendono un ampio ventaglio di divieti, il congelamento di beni di funzionari, a partire dal presidente, nonché la proibizione di fornire sostegno tecnico o finanziario al Venezuela. Secondo Maduro le misure adottate da US e UE impedirebbero al paese persino di approvvigionarsi di cibo e di medicine.
I boicottaggi sono arrivati al punto che Bank of England ha rifiutato di rimpatriare 14 tonnellate, valutate $570 milioni, delle riserve venezuelane che la banca centrale britannica detiene per un valore pari a $1.2 miliardi, su richiesta del presidente. Per evitare il riciclaggio, hanno spiegato dalla banca centrale inglese. Ma secondo il Timesil motivo vero era il timore di Maduro di nuove ulteriori misure. Solo negli ultimi giorni la tranche richiesta è stata sbloccata.
Fatto sta che Macron ha fatto marcia indietro. In cambio di qualcosa da parte di Trump probabilmente, magari in Libia. Ma a scapito della sua immagine di paese relativamente “indipendente”, secondo il sito latinoamericano.
IRAN. E’ ancora il Trump – chi altri sennò? – l’autore di nuove mosse aggressive che colpiscono anchel’Europa. Non solo ha aggiunto nuove sanzioni su ferro, acciaio, alluminio, rame ma ha anche cancellato le deroghe concesse ad otto paesi importatori di petrolio iraniano – tra i quali l’Italia e Grecia – che li esentavano temporaneamente dalle durissime sanzioni decise lo scorso novembre che avevano colpito società di navigazione ma soprattutto banche e petrolio. Deroghe dettate dal timore di destabilizzare il prezzo dell’oil, venuto meno dopo i recenti accordi con i Sauditi.
E’ l’ultimo atto – peraltro ormai ininfluente, di una aggressione che mira ad annientare ogni ripresa del paese ilquale, sotto sanzioni Usa dal 1979 , contava di risorgere dopo l’accordo del 2015. Quello dal quale Trump ha fatto carta straccia nel 2018, con grande soddisfazione di Israele, sodale dell’America di Trump, e dell’alleata Arabia Saudita. The Donald lo aveva promesso in campagna elettorale, attaccando a testa bassa Obama.
Da allora è stato un crescendo di ostilità: la Guardia Repubblicana di Teheran, un corpo di Stato, è stata dichiarata organizzazione terroristica e lo scorso 19 agosto, in occasione dell’anniversario del rovesciamento del primo ministro iraniano Mossadeq da parte della CIA, il segretario di Stato Pompeo, che della CIA è stato capo tra il 2017 e il 2018, ha dato vita all’ Action Group for Regime Change in Iran (7)
Nel frattempo imprese europee e multinazionali (Daimler, Total, British Airways, Air France, banche varie ecc) sospendevano le loro relazioni commerciali col paese sottostando silenziosamente alle sanzioni nel timore di ritorsioni sul mercato americano, e non si capiva più che fine avrebbe fatto l’accordo.
Fino all’annuncio di Rouhani che ha di colpo alzato il livello dello scontro. E ha passato la palla passa agli altri firmatari. Compresa la UE.
Da Bruxelles nell’anno trascorso dal ritiro di Trump i segnali sono stati misti (8). Dure le parole. La Commissione è arrivata a invocare lo” statuto di blocco” una misura europea del 1996, mai utilizzata, che proteggerebbe le società dell’Unione dalle sanzioni extraterritoriali americane (lo vedremo).
Nessuna azione concreta però è stata intrapresa, tra rimandi ed equivoci. L’alta rappresentante per la politica estera Federica Mogherini si è limitata a fare pressioni su Trump per assicurare esenzioni che consentissero ai paesi UE relazioni con l’Iran. Richieste ignorate da Washington. Né hanno ottenuto risultati gli umilianti viaggi alla Casa Bianca di Merkel e Macron, rimasti infatti su posizioni ambigue dopo il recente annuncio di Rouhani.
“Insieme confermiamo il nostro impegno all’JCPOA, un accordo importante per la nostra comune sicurezza” hanno dichiarato con la May qualche giorno fa. Chiedendo a tutte le parti in gioco di continuare a rispettare gli impegni sottoscritti. Ma guardandosi dal deprecare le mosse di Trump al di là di un vago ‘rincrescimento e preoccupazione’; e senza accennare alla ripresa di una normale attività diplomatica, economica, finanziaria e commerciale in Iran. Come se questa parte non fosse compresa negli accordi sottoscritti: come possono continuare ad essere validi se a rispettarli sono solo alcuni dei contraenti?
SANZIONI UE e USA. L’ESCALATON DI TRUMP. Le sanzioni non sono una novità. Ma fino al 1980 erano state adottate solo verso la Rodesia (1965), il Sud Africa dell’apartheid (1977), poi all’Iran (1979). In passato però si trattava per lo più di sanzioni dell’ONU, legittime, legali e globali in sé.
UE. Dagli anni 1990, con la fine della guerra fredda, le sanzioni sono diventate uno strumento di politica estera sempre più utilizzato (9). Da 6 sanzioni nel 1991 la UE è arrivata ad applicarne oggi circa 30, con varie motivazioni, persino a “sostegno della democrazia”.
Del resto la maggior parte sono adottate in tandem con gli USA, sebbene quelle europee siano solitamente più blande (verso la Siria e l’Ucraina per es colpiscono un numero minore di beni/organizzazioni, verso la Russia consentono di continuare i vecchi progetti, come in Nord Stream). Segno della scarsissima indipendenza dell’Unione in materia di politica estera, come vedremo .
USA. A d utilizzare l’arma delle sanzioni in modo sempre più massiccio dal crollo dell’URSS in poi sono gli Stati Uniti, che hanno via via trasformato questo strumento politico poco costoso e poco rischioso rispetto, a metà strada fra la diplomazia e la guerra economica. Non solo il numero delle sanzioni è infatti molto cresciuto ma è profondamente cambiata la loro ‘qualità’. Due le novità: le sanzioni finanziarie e quelle extraterritoriali. Spiega il post del Council of Foreign Relations citato sopra:
Immediatamente dopo l’11/9 – “di concerto con gli alleati – gli USA “hanno dato vita a una campagna concentrata sull’accesso al sistema finanziario globale – le banche internazionali. Il 23 settembre G.W. Bush con un ordine esecutivo assegna al Tesoro l’autorità di congelare beni e transazioni finanziarie di individui e altre entità sospettate di sostenere il terrorismo. Poco più tardi in base al Patriot Act lo stesso Bush Jr amplia i poteri del Tesoro che può indicare anche istituzioni o paesi come dediti al riciclaggio in base a semplici sospetti – non servono prove.
Nasce così l’OFAC- Office of Foreign Assets Control, dipartimento speciale del Tesoro che oggi amministra la maggior parte dei 26 programmi americani di sanzioni. Il Segretario di Stato può indicare un gruppo come ‘organizzazione terroristica’ o etichettare un paese come ‘sponsor del terrorismo’, e le misure scattano. L’OFAC di routine aggiorna la sua lista nera che conta oltre 6000 individui, società e gruppi i cui asset vengono bloccati e con le quali a persone e imprese americane, comprese le filiali straniere, è vietato fare transazioni.
Nel 2017 gli USA hanno deciso regimi di sanzioni onnicomprensive (verso paesi in quanto tali, anche questa è una relativa novità) nei confronti di Cuba, Iran, Sudan, Siria. Mentre il Congresso ha deciso e il presidente ha firmato – pur riluttante –precisa stranamente il CFR – sanzioni a Russia e Nord Corea e di nuovo all’Iran.
Una vera e propria escalation dell’amministrazione Trump, che sfrutta alla grande l’impostazione economica dell’arma sanzionatoria.
Una svolta che si era rivelata profonda. “Con questo approccio, che al contrario delle classiche misure del passato prende di mira il comportamento di istituzioni finanziarie, le decisioni politiche del governo non sono così persuasive quanto il calcolo basato sul rischio delle banche”, spiega nel suo libro l’alto funzionario dell’amministrazione Bush architetto di quel sistema (Juan Zarate, Treasury’s War, 2013).
“Gli esperti sostengono che queste misure hanno ridisegnato completamente l’ambiente normativo finanziario, alzando grandemente i rischi per le banche e altre istituzioni impegnate in attività sospette, anche senza volerlo. La centralità di New York e del dollaro per il sistema finanziario globale comporta che queste politiche Usa abbiano ripercussioni globali”. A sottolinearlo è lo stesso CFR.
Le penalità per violazioni possono essere gravi in termini di multe, perdita di affari, danni alla reputazione, aggiunge, ammettendo che “negli ultimi anni le autorità federali sono state particolarmente rigorose”. E a riprova inserisce nel post una tabella con tutte le banche penalizzate (francesi, tedesche, britanniche, svizzere, olandesi, lussemburghesi, giapponesi) e i milioni pagati dal 2010 al 2015. In testa BNP Paribas di cui sopra, la maggior multa -miliardaria – mai elargita.
Il caso di BNP e gli altri simili mettono in luce la seconda fondamentale novità: le sanzioni extraterritoriali, o secondarie, che non si limitano a vietare a cittadini e imprese del proprio paese che di fare affari con entità presenti in una lista nera, come nelle sanzioni tradizionali. Ma sono disegnate per limitare l’attività economica di governi, affaristi e cittadini di paesi terzi. “Così che molti governi le considerano una violazione della loro sovranità e del diritto internazionale”, osserva il CFR.
Vedi le sanzioni all’Iran e a Cuba, volte a isolare quei paesi e insieme a colpire gli Stati che commerciano con loro. “Gli Usa possono punire banche ovunque, perfino nei paesi dove l’Iran è forte come il Libano o l’Iraq” scrive Patrick Coburn(10). Convinto che in un’escalation del conflitto iraniano gli europei saranno spettatori.
Sanzioni e imposizione di dazi e tariffe si sovrappongono e si intrecciano nelle guerre economiche ingaggiate da Trump per rilanciare la centralità di un’America sempre meno influente in un mondo ormai multipolare. Esemplare il caso Huawei. Meng Wanzhou, figlia del fondatore e manager dell’azienda, è bloccata da sei mesi Canada, dove è stata arrestata per presunta violazione delle sanzioni (americane!) all’Iran.
REAZIONI E MINACCE UE. In questo scenario paesi UE appaiono sempre più insoddisfatti e riottosi. La riattivazione del Titolo III della legge del 1996 su Cuba ha suscitato numerose reazioni in ambito UE e segnatamente in Francia. I 28 secondo l’IRIS minaccerebbero rappresaglie.
L’Unione sarebbe intenzionata a usare tutti i mezzi a disposizione. Si vagheggiano misure apparentemente fantasiose come trasferimenti in denaro elettronico capaci di sfuggire al sistema finanziario ufficiale (blockchain?) o deleghe alle banche centrali nazionali della funzione di intermediazione nel trading.(11)
Più concreto il ricorso all’WTO, l’Organizzazione Mondiale del Commercio, dal momento che le sanzioni americane sarebbero illegali e contrarie al suo regolamento, rappresentando elementi di distorsione del commercio mondiale. Opinioni discordi. Secondo alcuni potrebbe portare a ripercussioni a catena, con pignoramenti in reciprocità di beni statunitensi nell’Unione, e addirittura aprire un varco a rivendicazioni da parte di società danneggiate dal blocco americano verso paesi terzi (12).
Altri (l’IRIS)obiettano che sarebbe probabilmente un’arma spuntata: gli americani potrebbero tranquillamente decidere di uscire da quell’istituzione ormai superata: dazi e tariffe minacciati e messi in atto dall’amministrazione Trump in modo sempre più aggressivo – c’è chi li considera alla pari di vere e proprie sanzioni – hanno ormai modificato il panorama di una globalizzazione governata da regole condivise.
Ritorsioni europee potrebbero arrivare al blocco di asset americani nel continente. Ma” si tratta di pura teoria”, convengono i ricercatori dell’IRIS. Le sanzioni americane hanno un effetto estremamente dissuasivo nella misura in cui nemmeno una impresa può infischiarsene di perdere il mercato americano. Tra un (piccolo) mercato cubano potenziale e l’immenso mercato Usa, la scelta è presto fatta. Se non cooperate è <no deal>. Il caso dell’Iran insegna.
A disposizione dell’UE vi sarebbe il cosiddetto “Statuto di blocco” nei confronti degli Usa previsto dal sistema sanzionatorio comunitario (13). Una normativa creata nel 1996 in parallelo alla legge americana Helms -Burton varata in occasione delle sanzioni a Cuba, che “spunterebbe ogni arma a Washington”, secondo l’IRIS. Una misura mai invocata finora, ma aggiornata proprio nel 2018. Per applicare questa come del resto le altre sanzioni- serve tuttavia una decisione del Consiglio europeo all’unanimità.
Lo prescrivono le regole del TFEU – trattato che applica il TEU, Trattato dell’Unione Europea che ha aggiornato quello di Maastricht – che prevedono una doppia procedura: un voto a maggioranza per la parte economica delle sanzioni, e uno unanime per quel che riguarda la politica estera. Come nei desiderata dell’alleato di Oltreatlantico.
I VINCOLI DELLA POLITICA ESTERA UE – Un articolo recente di Thierry Meyssan (14) su Voltairenet intitolato “L’Unione Europea costretta a prendere parte alle guerre Usa” – che ho linkato su Twitter suscitando reazioni perplesse o indignate – sosteneva che i membri dell’UE, compresi i paesi neutrali, non possono fare a meno di uniformarsi alle sanzioni decise da Pentagono e Tesoro In quanto Washington già 25 anni fa si è cautelata dalla possibilità che l’allora a nascente Unione europea potesse avere una politica estera e di difesa indipendente dalla Nato. Imponendo di fatto una ‘clausola ad hoc’ nel trattato di Maastricht. Tanto da far intendere che l’unica via per uscirne è liberarsi dai Trattati e del comando integrato Nato. E’ così?
Che la politica estera e di difesa dell’UE debba rispettare gli obblighi derivanti dall’adesione alla Nato è una realtà, così come è indubbio che tali vincoli sono sanciti nei Trattati costitutivi dell’Unione.
La “clausola” in questione si riferisce evidentemente al Titolo V, Cap 2 del Trattato dell’Unione Europea -TEU – che ha aggiornato quello Maastricht dopo Lisbona, dedicato alla Politica estera e di sicurezza (15).
In particolare l’articolo 42 comma 2 vincola esplicitamente tale politica comune al rispetto degli impegni con la Nato presi dai suoi membri, mentre l’art 24 prescrive fra l’altro votazioni del Consiglio all’unanimità in politica estera, comprese eventuali decisioni in tema di difesa comune. (16)
Anche il fatto che gli Stati Uniti in quei medesimi anni post crollo dell’URSS in cui definivano la loro geopolitica di superpotenza unica abbiano premuto sulla nascente Unione appare ben più che una supposizione.
“Dobbiamo prevenire l’emergere di accordi di sicurezza esclusivamente europei che possano minacciare la NATO”, si leggeva nel Defense Planning Guidance, il documento del Pentagono poi noto come “Dottrina Wolfowitz”, da Paul Wolfowitz, il neocon vice di Dick New York alla Difesa con George W:H.Bush (citazione dal New York Times marzo 1992, che Meyssan linka col Washington Post (17). Praticamente in contemporanea con il Trattato di Maastricht che gettava le basi nell’UE.
Era la definizione della strategia degli Usa superpotenza unica dopo il crollo dell’URSS, che tra l’altro già prevedeva l’intervento in Iraq. Gli US si impegnavano a difendere dalla Russia le nazioni europee dell’ex Patto di Varsavia. E chiedevano alla comunità europea di fare diventare membri dell’Unione i paesi dell’Est “il prima possibile”. Richiesta esaudita. Così come, contravvenendo alle assicurazioni date a Gorbaciov in occasione dell’unificazione della Germania, la Nato si è poi allargata a Est, dalle Repubbliche Baltiche alla Polonia, dove saranno presto installate otto batterie di missili Patriot puntati sulla Russia e stanno per arrivare gli F-35.
I paesi europei devono liberarsi dei Trattati e del comando integrato della Nato, dove non contano nulla (18), suggerisce Meyssan indicando l’esempio della Gran Bretagna che ha optato per la Brexit. Ma dimenticando che l’UK non solo resta ben salda nella Nato ma ne è la punta più forte e avanzata.
I paesi europei avrebbero più peso nei confronti dello strapotere americano isolati che uniti? Sembra una pia illusione. Tanto più se in aggiunta ai vincoli imposti da Nato e UE si aggiunge l’appartenenza al sistema economico-finanziario egemonizzato dagli Stati Uniti e ormai governato dal network delle banche centrali occidentali, in testa la Federal Reserve.
IL SISTEMA DOLLAROCENTRICO E IL TACITO RICATTO. A legare le mani ai paesi europei nei confronti di sanzioni che nuocciono loro direttamente non sono (sol)tanto i Trattati o i vincoli Nato quanto la supremazia economico-finanziaria degli USA prima potenza mondiale sia pure in declino, col dollaro moneta internazionale negli scambi commerciali, oltre che di riserva. Ad ammetterlo, come abbiamo visto, è lo stesso Council of Foreign Relations, organismo informale che dal dopoguerra ha sempre indirizzato la politica estera dell’impero.
“Gli US si autorizzano ad imporre le loro decisioni a tutto il mondo e a minacciare di fatto tutte le imprese e gli individui che hanno in un modo o nell’altro interessi negli USA. Un concetto di legalità quanto meno discutibile”. Ma essendo il dollaro moneta internazionale più utilizzata e l’economia americana al centro di quella mondiale il loro potere è immenso. Dal momento che si commercia in dollari si è legati e si dipende da quel paese”.
“Oggi è indispensabile rettificare il tiro sviluppando meccanismi e modelli ad hoc e orientando la globalizzazione in un senso più multipolare così da limitare il potere assoluto americano” arriva a proporre Francois Perrin, Direttore di Ricerca di quel think tank francese (19).
Obiettivo molto ambizioso, che a personaggi indubbiamente minori come Muhammar Gheddafi e Saddam Hussein ha portato malissimo. L’UE ha i mezzi per rispondere?
“L’UE è la seconda potenza economica del mondo, davanti alla Cina, dietro gli Usa, certo. E’un partner di primo piano per il US. Quando, dopo la legge Helms-Burton del 1996, gli europei hanno subito votato il “regolamento di blocco, gli americani non hanno poi dato seguito alle loro minacce. Il che prova che l’UE ha una forza economica e ha un peso politico quando lo desidera. Ma per opporsi e avere una strategia comune bisogna essere uniti e condividere la stessa diagnosi e la stessa volontà politica”.
“Europa, perla dell’Impero Americano” titola Dario Fabbri nell’ultimo Limes citato. Gli europei se ne rendono conto?
DISACCORDI CRESCONO IN SENO ALLA NATO. Dalla Turchia, Paese chiave dell’alleanza, che acquista i missili Russi S-400, al primo ministro italiano Conte che si è detto contrario alle sanzioni alla Russia imposte nel 2014 per i fatti dell’Ucraina, in quanto danneggiano l’economia italiana; argomenti ripresi anche dal primo ministro dell’Ungheria Orban, e da Belgio, Repubblica Ceca , Bulgaria, Grecia , sempre più critici nei confronti della strategia americana basata sulle sanzioni.
Lo segnalava un post di un esperto del Cato Institute, think tank liberista-libertario inizialmente vicino a Trump. (Il presidente si è dimostrato tepido verso l’UE ma anche verso la Nato che secondo i più estremi – es George Friedman su Limes – non servirebbe nemmeno più agli Usa che possono contare sui Five Eyes, i cinque paesi del mondo di lingua inglese uniti da vincoli speciali)
Gli alleati Nato sarebbero ancor meno entusiasti delle misure militari verso Mosca. Il vicepresidente americano Mike Pence lo ha toccato con mano quando Frau Merkel in febbraio ha rifiutato di spedire navi tedesche nello stretto di Kerch, tra mar Nero e mar d’Azov, nel braccio di ferro tra Mosca e Kiev.
Del resto Germania e Francia avevano resistito fermamente quando Bush a suo tempo aveva spinto per portare Georgia e Ucraina nella Nato. Più recentemente gli alleati si sono rifiutati di subentrare in Siria alle forze americane che Trump voleva ritirare o almeno ridurre a 200 uomini.
“Gli interessi americani ed europei si sovrappongono fino a un certo punto, su Russia e Iran hanno interessi incompatibili” scrive uno studioso del Cato Institute – think tank liberista-libertario, a suo tempo(1974) fondato da Charles Koch (il miliardario dell’energia già sostenitore di Trump). Sul suo sito molti articoli critici sulla Nato.
UNA NUOVA COMUNE POLITICA ESTERA e DI SICUREZZA. “La politica estera dell’UE non funziona. Questo è quel che pensano nove membri dell’Unione, a partire da Francia e Germania. Non lo dicono ad alta voce ma il messaggio è chiaro, da quel che si legge in un paper in circolazione, proprio per discuterne nelle conversazioni che i ministri degli Esteri avranno in giugno”. Così un recentissimo articolo del Financial Times che ha potuto vedere lo scarno ma significativo documento. I suoi autori, che comprendono anche Danimarca, Svezia e Finlandia, ritengono che l’UE deve ancora dare concretezza al suo potenziale ruolo di attore globale.
La sua unità è sempre più messa alla prova da dinamiche interne ed esterne all’UE, osservano, pur insistendo sull’unità e la forza dell’Europa sul palcoscenico globale. Le preoccupazioni sarebbero accresciute dalle “relazioni sempre più complesse” (eufemismo diplomatico dei paesi o del FT?) dell’UE con Cina Russia e Stati Uniti.
Tre le ansie principali della diplomazia europea: i muscoli finanziari del blocco europeo non si traducono in influenza nelle crisi globali – con l’eccezione dell’accordo del 2015 con l’Iran, oggi in crisi; la solidarietà europea è stata messa alla prova in varie aree, dalle sanzioni alla Russia alle ambizioni territoriali di Pechino nel mare a Sud della Cina; il servizio diplomatico europeo (leggi: Federica Mogherini) non ha legato come sperato col lavoro dei ministri europei.
Punto chiave nel cambiare la politica estera e di sicurezza UE è superare le votazioni all’unanimità, procedura prevista dal Trattato Europeo su richiesta degli Stati Uniti. Perfino Manfred Weber, candidato del Ppe alla presidente della prossima Commissione UE, nel recentissimo confronto tv fra gli Spitzenkandidatsha espressamente detto che all’unanimità va sostituita la maggioranza qualificata. Sarebbe un primo importante passo. Una condizione non sufficiente, ma sicuramente necessaria.
Un tema caldissimo, quello della politica estera UE, che incrocia quello della comune Difesa europea – reso ancora più urgente dalle richieste di Trump di aumentare i contributi dei paesi europei alla Nato, subito al 2% del Pil, percentuale raggiunta solo da cinque paesi su 29 (Italia all’1.1% nel 2017), in prospettiva al 4%.(20) E di far pagare agli Stati che le ospitano i costi delle forze americane ivi stanziate “per proteggerli”, secondo il Piano di Trump ‘Cost Plus 50’ ben analizzato sul Manifesto (21).
Un argomento che si sovrappone a quello dei rapporti interni alla Nato, del suo funzionamento o addirittura della sua radicale rimessa in discussione. Come chiede il Comitato No Guerra No Nato (ne fanno parte storici come Franco Cardini accanto a Gino Strada, padre Zanotelli, il generale Mini ecc ecc), che in occasione del 70° anniversario l’aprile scorso ha organizzato un convegno a Firenze, con partecipanti italiani e stranieri .
  1. https://www.telegraph.co.uk/business/2019/05/16/trump-becoming-dangerously-addicted-tariffs-permanent-trade/
  2. http://www.iris-france.org/136209-politique-de-sanctions-americaines-vers-une-nouvelle-guerre-commerciale/
  3. https://www.ibs.it/limes-rivista-italiana-di-geopolitica-libro-vari/e/9788883717505?lgw_code=1122-B9788883717505&gclid=Cj0KCQjwrJ7nBRD5ARIsAATMxssuy96OUFOIMpdGVGdsmH5ruTdkYzk5vrKU-pNWiACf9-Qs1i5KO0MaArT3EALw_wcB
  4. http://www.iris-france.org/136037-loi-helms-burton-contre-cuba-lextraterritorialite-du-droit-americain/
16. In particolare l’articolo 42 comma 2 prescrive esplicitamente che la politica di sicurezza e difesa dell’UE – che è parte integrante della politica estera comune, campo nel quale ogni decisione va presa all’unanimità – “non deve pregiudicare” la politica di certi Membri e “deve rispettare gli impegni” di certi Membri che vedono la loro difesa realizzata nella NATO, sotto il trattato Nord Atlantico ed “essere compatibile con la politica di sicurezza e difesa comuni stabiliti in quella cornice”.

18. https://www.globalresearch.ca/exiting-war-system-nato/5677546

“The North-Atlantic Council has established the NATO rules in which “there is no vote or majority decision”.Decisions are taken unanimously and by mutual agreement”, meaning in agreement with the United States of America…”

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Hiroshima, le menzogne e il falso mito. Fu un atto politico verso l’URSS, l’inizio della Guerra Fredda.

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“Il mondo rileverà che la prima bomba atomica è stata lanciata su Hiroshima, una base militare. Perché desideravamo evitare per quanto possibile in questo primo attacco, di uccidere dei civili”. Così il presidente Harry S. Truman in un discorso radiofonico alla nazione il 9 agosto 1945. Nello stesso giorno in cui il presidente si rivolgeva agli americani gli Usa lanciavano la seconda bomba nucleare. Hiroshima era stata colpita e annientata solo tre giorni prima: 70-80.000 vittime immediate, saranno 200.000 alla fine del 1945, quasi tutti civili.

Hiroshima non era affatto una base militare come voleva far credere il presidente americano per giustificare quella che non era stata nemmeno una decisione obbligata per indurre il Giappone ad arrendersi e por fine alla seconda Guerra Mondiale salvando migliaia di soldati americani – come da narrazione ufficiale: un mito costruito a tavolino per nascondere la verità: il Giappone era già sconfitto e stava per arrendersi. Gli alti gradi militari erano in gran maggioranza contrari alla bomba, come del resto gli scienziati.

E allora? Secondo la storiografia recente l’atomica dagli effetti consapevolmente dirompenti fu una scelta tutta politica, volta a dimostrare all’Unione Sovietica la supremazia americana e segnò l’inizio della Guerra Fredda, della corsa agli armamenti, della Russia “nemica”. E di una strategia della “deterrenza” che ha condotto il mondo a dotarsi di 18.000 testate atomiche attive possedute oggi da 9 paesi, 4 dei quali non aderenti nemmeno al Trattato di Non Proliferazione del 1970 (India, Pakistan, Israele e Corea del Nord che si sono aggiunti a Usa, Russia, Francia, UK, Cina).

Nel 1985 le testate attive erano addirittura 65.000.Lo raccontano vari post rilanciati per il 73° anniversario di quelle orrende stragi, occasione in cui ogni anno i media ripropongono la narrazione ‘patriottica’ delle due bombe lanciate sul Giappone per indurlo ad arrendersi, causando la fine della guerra e salvando le vite di centinaia di migliaia di soldati americani che non hanno più dovuto invadere le isole nipponiche.

Una scusa tirata fuori a caldo per giustificare la decisione inaudita, poi cuore del mito costruito ad arte per avvalorare quella scelta e i suoi obiettivi politici, che perdureranno nel tempo. Fino a oggi.La menzogna sulle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein insomma non è certo stata la prima e non sarà l’ultima, fabbricata a tavolino per giustificare decisioni già prese per motivi politici pubblicamente inconfessabili. Compresi i tanti “interventi umanitari” e le “sollevazioni popolari” alimentate nei tentativi di regime change.

LE PAROLE DI TRUMAN. Sono state recuperate da Global Research che ne fornisce anche il link audio: (Listen to Audio of Truman’s speech, Hiroshima audio video)“ Abbiamo scoperto la più terribile bomba della storia del mondo. Potrebbe provocare la distruzione totale profetizzata nella valle dell’Eufrate nell’era dopo Noè e la sua arca… Quest’arma deve essere usata contro il Giappone … La useremo così che militari e soldati e marinai siano il bersaglio e non le donne e i bambini. Anche i Giapponesi sono barbari, spietati, crudeli e fanatici, e noi in quanto leader del mondo per il bene comune non possiamo lanciare questa terribile bomba sulla vecchia capitale [tra i bersagli considerati c’era anche Kyoto]o su quella nuova ….Il bersaglio sarà puramente militare … Sembra essere la cosa più tremenda mai scoperta, ma può diventare la più utile”.

“Stava mentendo a sé stesso o era stupido o ignorante? – chiede il post di Global Research. https://www.globalresearch.ca/hiroshima-a-military-base-according-to-president-harry-truman-2/5602782 . Chiunque negli alti ranghi militari sapeva che Hiroshima era un’area urbana densamente popolata con circa 300.000 abitanti (1945)”.

“Ma quell’attacco è solo un avviso – proseguiva Truman. Se il Giappone non si arrende, altre bombe verranno lanciate sulle sue industrie belliche e sfortunatamente, migliaia di civili verranno colpiti. I civili giapponesi lascino le loro città industriali immediatamente e si salvino dalla distruzione. Sono consapevole del tragico significato della bomba atomica…La sua produzione è stata intrapresa da questo governo . Eravamo a conoscenza che i nostri nemici erano sulla stessa strada. Oggi sappiamo quanto erano vicini a realizzarla, ma già allora eravamo consapevoli che disastro sarebbe stato per questa nazione, per tutte le nazioni che amano la pace e per tutte le civiltà, se avessero centrato per primi l’obiettivo. Ecco perché ci sentivamo impegnati a intraprendere il lavoro incerto e costoso della sua scoperta e produzione.

“Abbiamo vinto la corsa e l’abbiamo realizzata prima della Germania. “E avendo la bomba l’abbiamo utilizzata, contro quelli che ci hanno attaccati a sorpresa a Pearl Harbor, contro quelli che hanno affamato, picchiato e ucciso i prigionieri di guerra americani, che hanno abbandonato ogni pretesa di obbedienza alle leggi internazionali. L’abbiamo usata per accorciare l’agonia della guerra e salvare tante vite”.

Una retorica nobile quanto ipocrita, come vedremo. Tanto più se si dà retta alle teorie complottiste ma ben documentate, secondo le quali la stessa Pearl Harbor nel 1941 fu un clamoroso false flag, decisivo per indurre gli USA a entrare in guerra.

CONTRARI I MILITARI. Lanciare la bomba per far finire la II guerra Mondiale? La maggior parte degli alti ufficiali americani la pensava in altro modo, racconta il Washington’s Blog in un lungo post con molte citazioni. Per lo più tratte dal rapporto del luglio ’46 dell’U.S. Strategic Bombing Survey Group istituito da Truman per studiare gli attacchi aerei sul Giappone. Ne prendiamo alcune.

“In base a indagini dettagliate dei fatti e a testimonianze dei leader nipponici sopravvissuti, è opinione dei ricercatori che sicuramente entro il Dicembre 1945 e molto probabilmente entro il 1 Novembre ’45 il Giappone si sarebbe arreso anche se le bombe atomiche non fossero state lanciate, anche se la Russia fosse entrata in quella guerra, e anche se una invasione fosse stata pianificata o contemplata”.

Il generale Dwinght Eisenhower – allora Comandante Supremo delle Forze Alleate, al quale si deve la maggior parte dei piani dell’America per l’Europa e il Giappone nella II Guerra Mondiale, disse: “I Giapponesi erano pronti ad arrendersi e non era necessario colpirli con quella cosa infame” (link ). … Eisenhower racconta di essere stato informato dal segretario alla Guerra Stimpson – venuto a trovarlo in Germania – sul successo dei test in New Mexico e dei piani segreti per utilizzare la bomba, aspettandosi un suo vigoroso assenso. Che non ci fu.

Al contrario: Eisenhower era certo della completa inutilità della bomba, primo, perché il Giappone era già sconfitto e secondo perché il paese avrebbe dovuto evitare di scioccare il mondo con un’arma micidiale il cui uso, era convinto, non serviva affatto a risparmiare vite americane.Non era il solo ad avversare l’iniziativa.

L’elenco degli alti gradi militari contrari all’uso della bomba – convinti della sua inutilità da un punto di vista strategico, e tanto più ostili dal lancio in aree molto popolate al punto da esserne moralmente offesi – è lungo, come riferisce il W Blog. Ma la loro opinione si manifestò per lo più dopo. A quanto pare neppure gli alti ufficiali erano al corrente di quel che stava maturando. Persino il generale Douglas MacArthur, comandante supremo per il Giappone, avrebbe ignorato lo stato di avanzamento dei piani sull’atomica fino all’ultimo.

L’ordine venne direttamente da Washington e il Dipartimento della Guerra lo notificò a Mac Arthur solo cinque giorni prima del lancio su Hiroshima. Ad essere a conoscenza dei piani erano di sicuro Eisenhower, come abbiamo visto, e l’Ammiraglio William Leahy – il più alto in grado tra i militari tra il 1942 fino alla pensione nel 1049, capo di fatto del Joint Chiefs of Staff che fu al centro di tutte le decisioni militari del II Conflitto mondiale.

Entrambi si spesero col Presidente per indurlo a soprassedere, ha raccontato Gar Alperovitz nel suo libro The Decision to Use the Bomb che non si limita a spiegare le vere ragioni per cui l’atomica fu fatta esplodere ma anche il perché del mito. Qui una sintesi https://www.lewrockwell.com/2006/08/john-v-denson/the-hiroshima-myth/ .

L’Ammiraglio Leahy, probabilmente la persona più vicina a Truman dal punto di vista militare, deplorò l’uso della bomba (definita un’arma ‘barbara’), consigliò fortemente il Presidente a non utilizzarla e lo invitò invece a rivedere la politica della resa incondizionata, permettendo così al Giappone di arrendersi mantenendo sul trono il suo Imperatore. Una clausola decisiva.

Da parte sua Eisenhower – il futuro presidente americano che alla fine del suo secondo mandato non esiterà a mettere in guardia i concittadini sui rischi insiti nel crescente potere di quel che definì ‘apparato militar-industriale’- intorno al 20 luglio 1945 in un incontro col presidente Truman fece pressione affinché non facesse ricorso alla bomba. Non era necessario colpire i Giapponesi con una cosa così orribile… usare l’atomica, uccidere e terrorizzare civili senza neppure tentare [dei negoziati] era un doppio crimine. Eisenhower disse anche a Truman che non era necessario che “soccombesse” a James Byrnes.

LA DECISIONE FU POLITICA. Chi era Byrnes? La vera storia della bomba è più complicata di quanto la retorica abbia fatto credere. E ha che vedere con la resa senza condizioni da imporre al Giappone: una politica che Truman aveva ereditato da Franklin Delano Roosevelt e che pesava non poco nel rallentare la decisione dei nipponici, in quanto avrebbe comportato la destituzione del loro imperatore, considerato di discendenza divina .

Che l’obiettivo fosse politico e non militare lo ammise persino un generale che a posteriori fu favorevole alla decisione, come il generale George G. Marshall. E un certo numero di storici – racconta il W Blog – concordano nel dire che l’obiettivo fu dimostrare all’Urss la superiorità degli Usa e limitare la sua espansione piuttosto che la fine del conflitto mondiale. E anche limitare l’espansione dell’URSS in Asia, suggeriscono nuovi studi citati basati su archivi di Usa, Giappone e URSS.

Alperovitz non la pensa diversamente, ma nella sua puntigliosa ricostruzione dei fatti entra nei dettagli e assegna un ruolo chiave a Byrnes, personaggio poco noto ai più. Politico democratico di lungo corso, molto amico di Franklin Delano Roosevelt, aveva partecipato in febbraio col presidente alla conferenza di Yalta con Stalin e Churchill ed era poi stato incaricato di farne accettare le conclusioni al Congresso americano e all’opinione pubblica.

La Germania nazista era sconfitta ma la guerra continuava in Asia contro il Giappone, l’Urss avrebbe dovuto parteciparvi dopo la resa tedesca, avvenuta poi in maggio. Così era stato stabilito.Byrnes si aspettava di diventare il vice di Roosevelt, eppure questi aveva invece scelto Truman che pochi mesi dopo, alla mortedi FDR in aprile, si ritrova presidente. E proprio a Byrnes si rivolge il neopresidente, che oltre a tutto ben poco sa del segretissimo Progetto Manhattan.

Secondo Alperovitz tutti i (pochi) consiglieri militari e civili di Truman, e anche il primo ministro britannico Churchill e i suoi vertici militari consigliavano al presidente americano di rivedere la politica della resa incondizionata così da consentire al Giappone di arrendersi. Byrnes la pensa diversamente. E’ sospettoso e preoccupato per l’espansione dell’Urss, avanzata in Europa fino a Berlino inglobando tutta l’Europa dell’est, e per le rigidità di Stalin sui risarcimenti enormi da imporre alla Germania. (Churchill era più disponibile, grato all’Urss per aver fermato i nazisti, aveva accettato la partecipazione sovietica alla guerra asiatica e mirava a farla entrare nell’Organizzazione delle Nazioni Unite).

E’ Byrnes, che segue da vicino l’avanzamento della bomba, a convincere Truman non solo a mantenere la clausola della resa incondizionata nipponica ma anche a rinviare la conferenza di Potsdam a dopo che il test dell’atomica aveva avuto successo. La conferenza venne infatti convocata il 26 luglio, dopo che il 25 luglio era stato segretamente deciso il lancio dell’atomica (ma non ancora i bersagli definitivi).

Byrnes contava di impressionare Stalin e di dimostrare la superiorità degli Stati Uniti detentori della prima arma di distruzione di massa, inducendo Stalin a limitare le sue richieste e le sue attività nel periodo post bellico nonché le sue mire espansionistiche in Asia. Voleva dimostrare che l’America aveva un nuovo leader forte, uno “sceriffo di Dodge” che a differenza di Roosevelt sarebbe stato duro con i Russi, che andavano “cacciati indietro” in quella che sarà conosciuta come Guerra Fredda – scrive Aperovitz. E chissà se sia stato per questo modo di pensare che FDR, che lo conosceva bene, non abbia scelto Byrnes come suo vice. Pare che Stalin – che già sapeva del test – sia rimasto freddo: “La useremo in Giappone”, si limitò a dire. A Potsdam mancò la voce moderata di Churchill, depresso per la sconfitta elettorale nel Regno Unito. FDR era morto e lo scenario politico di Yalta era ormai cambiato.

CONTRARI GLI SCIENZIATI. La scelta di lanciare la bomba in zone molto popolate fu organica a questi obiettivi meramente politici. Il pubblico dibattito che ne nacque subito dopo fu molto aspro. Diversi alti gradi militari insorsero non solo mettendo in dubbio la mancanza di necessità e di giustificazioni militari, in molti si sentirono moralmente offesi dalla decisione di colpire deliberatamente città popolose come Hiroshima e Nagasaki. Nella discussione pubblica vennero messi di mezzo gli scienzati.

“Amano provare i giocattoli che inventano”, arrivò a dire l’Ammiraglio Willam F. Halsey, comandante della Terza Flotta, criticando quell’esperimento non necessario, un errore. Pronta la reazione di Albert Einstein, anello importante della scoperta sia pure non partecipe al Progetto Manhattan, pubblicata dal New York Times col titolo “Einstein deplora l’uso della bomba atomica”.

La sua opinione era che il lancio fosse stata una decisione politico-diplomatica piuttosto che militare o scientifica. Effettivamente la maggioranza degli scienziati impegnati nel Progetto Manhattan avevano avversato la possibilità di usare l’atomica in Giappone. Alcuni si erano spinti a scrivere direttamente e segretamente al segretario alla Difesa nel 1945. Con argomenti politicamente lucidi e lungimiranti: “Se gli Stati Uniti fossero i primi ad utilizzare sul genere umano questo nuovo mezzo di distruzione indiscriminata sacrificherebbero il sostegno nei loro confronti nel mondo, farebbero precipitare una corsa agli armamenti ponendo inoltre una pregiudiziale al raggiungimento di accordi internazionali per il futuro controllo di tali armi” (dal W Blog citato).

“Non ci fu nessuna illusione da parte mia che la Russia era il nostro nemico, e che il progetto veniva condotto su questa base”, testimoniò in seguito il Generale Leslie Groves, direttore del Progetto Manhattan.

IL MITO. A partire da quel settembre 1945 insomma i toni divennero incandescenti. Alti gradi militari come il capo delle operazioni navali Ernest King uscirono allo scoperto. L’ammiraglio della Marina Chester Nimitz (a cui sarà dedicata una porta-aerei) partecipò a una conferenza stampa, l’ammiraglio Leahy ripeté in una intervista le convinzioni che aveva espresso a Truman . L’articolo del NYT sulle posizioni di Einstein completo’ il quadro.

Ce n’era abbastanza per preoccupare il presidente Truman, e un personaggio a lui molto vicino, James Conant. Poco noto ai più quanto Byrnes, scienziato distintosi nella produzione di gas venefici durante la I guerra mondiale, Conant era diventato presidente della Harvard University nonché presidente del National Defense Reasearch Commitee dal 1941, una delle figure più importanti del Progetto Manhattan. Davanti all’escalation dei toni infuocati nel dibattito, Conant si preoccupa anche della sua futura carriera e conclude che qualcosa vada fatto. Serve che una persona importante dell’amministrazione dichiari pubblicamente che il lancio delle due bombe era una necessità militare per far finire il conflitto e impedire la morte di migliaia di soldati americani.

La persona adatta viene individuata nel Segretario alla Guerra Henry Stimson, che avrebbe dovuto scrivere un lungo articolo su una rivista nazionale di prestigio, da far circolare in lungo e in largo. L’articolo, rivisto da Conant e da suoi consulenti, esce su Harper’s Magazine nel febbraio 1947. A rilanciarlo ci pensa naturalmente il New York Times: “Non c’è alcun dubbio che il presidente e il sig. Stimson siano nel giusto quando sostengono che la bomba ha causato la resa del Giappone”, vi si legge. Più tardi, nel 1959, il presidente Truman farà ufficialmente propria questa conclusione, compresa l’idea del salvataggio delle vite dei soldati americani, il cui numero lievita a un milione.

E’ la narrazione della vicenda di Hiroshima e Nagasaki che, ripetuta dai media anno dopo anno in agosto in occasione degli anniversari, ha finito per sembrare così ‘vera’ da diventare quasi un luogo comune. Solo negli ultimi anni, complice Internet, cominciano a circolare narrazioni differenti.

CONCLUSIONI. Byrnes e Truman immaginavano che il monopolio atomico americano avrebbe rappresentato una leva nei confronti dei sovietici, bloccandone le aspirazioni con la dimostrazione dell’incomparabile superiorità americana.Invece innescò la corsa agli armamenti che ha cambiato il mondo, la Guerra Fredda, e una demonizzazione del Nemico Russo che continua ancora oggi dopo la scomparsa dell’URSS, l’unificazione della Germania e l’espansione della NATO nell’est Europa, fino circondare la Russia.

Il complesso militar-industriale, il cui potere in espansione inquietava già Einsenhower nel suo discorso alla nazione del 1961, ha bisogno di Nemici per giustificare budget sempre più alti e nuove tecnologie sempre più sofisticate. Tanto più ora che nella corsa è entrata pesantemente anche la Cina. L’industria bellica come volano di quella civile oltre che come strumento di dominio. Colpisce che da Truman in poi, questa linea sia stata sostenuta anche – e spesso soprattutto, come oggi – dai Democratici.

Eppure perfino il repubblicano Donald Trump favorevole al dialogo con il Kremlino ha portato il budget 2019 del Pentagono a una cifra record mai toccata prima: $716 miliardi. http://www.repubblica.it/esteri/2018/08/14/news/stati_uniti_aumenta_budget_per_la_difesa-204080685/ Il mondo è già stato vicino a una catastrofe nucleare. In chiusura vediamo e segnaliamo l’uscita del libro in cui Daniel Ellsberg, The Doomsday Machine: Confessions of a Nuclear War Planner edito Alpina Publisher. Sono i ricordi dell’ uomo che da analista militare e collaboratore della RAND nel 1971 trasmise alla stampa i Pentagon Papers sulla guerra del Vietnam e contribuì personalmente a stilare un piano che prevedeva di colpire preventivamente l’Urss e uccidere fino a mezzo miliardo di persone. https://it.sputniknews.com/mondo/201808146364212-confessa-creatore-piano-nucleare-usa-doomsday-machine-daniel-ellsberg/

NOTE 2020 : Il Washington’s Blog sembra non essere più operativo. Il post citato è stato però ri-pubblicato qui, il 2 maggio 2020: https://global-politics.eu/real-reason-america-nuclear-weapons-japan/. Segnaliamo anche l’articolo del Washington Post del 5 agosto 2020, in occasione dei 75 anni dell’atomica, dove si trova una mappa interattiva di tutti i numerosissimi test atomici fatti nel mondo da allora, che hanno causato migliaia di vittime, delle quali non si è mai parlato. https://www.washingtonpost.com/graphics/2020/world/hiroshima-anniversary-nuclear-testing/ .

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La narrazione dominante anti-Russia: inganni, omissioni, falsi e i rischi della nuova Guerra Fredda.

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La narrazione anti-Russia/anti-Putin che da tempo domina i media mainstream americani, e a cascata quelli europei, sta assumendo i toni di una vera e propria crociata. Una ‘chiamata alle armi’ – da parte dell’America agli alleati affinché combattano i (presunti) tentativi di Putin di “destabilizzare le democrazie occidentali”. “Come ergersi di fronte al Kremlino. Difendere la democrazia contro i suoi nemici”, è l’esplicito titolo dell’articolo del falco Dem Joe Biden, ex vice di Obama, e dell’ex assistente alla Difesa Michael Carpenter su Foreign Affairs (1), rivista del Council of Foreign Relations che per decenni ha forgiato la politica estera americana.

L’articolo, rilanciato in prima dalla Stampa (2), ha suscitato da noi varie reazioni per la pretesa – non suffragata da prove – che il Kremlino si accinga ad influenzare le prossime elezioni italiane, come avrebbe già fatto in altri paesi europei, dalla Brexit alle consultazioni in Francia e Germania. E in Italia nel caso del referendum costituzionale.

Su questo Biden è stato subito smentito dai servizi segreti italiani, Aisi e Aise, sentiti dal Copasir: “Nessuna evidenza di ingerenze straniere sul voto italiano . C’è un attento monitoraggio sulle fakenews”(3). La Stampa che ha scritto il contrario già nel titolo se ne farà una ragione. Come ci influenzerebbe Putin nei prossimi mesi? “Appoggiando” due partiti italiani (Lega Nord e M5S) che verso la Russia hanno certo posizioni più sfumate e dialoganti, contrari per esempio alle sanzioni imposte dagli Usa (che danneggiano gli interessi economici italiani). Come se i partiti non avessero il diritto di sostenere linee politiche scelte da loro: sta agli elettori votarli.

I suddetti partiti e/o lo stesso Kremlino in proprio, sono accusati di diffondere su temi come l’Europa, euro e l’immigrazione narrazioni divergenti da quelle mainstream pro UE e pro NATO, se non addirittura fakenews attraverso siti web pagine Fb e troll . E si parla dei contatti/interviste di Grillo e Salvini con esponenti Russi. Rasmussen, ex segretario generale NATO, sulla Stampa ha sostenuto che Putin vuole utilizzare l’Italia per dividere l’Unione Europea e abbattere le sanzioni. “Anche da voi alcuni partiti utili idioti”, ribadisce . E rincara: “Da Mosca attacchi cyber o l’hacking. E fakenews per seminare dubbi sulla legittimità dei nostri leader e istituzioni”. La Stampa, ormai punta di lancia, segue e precede. Vedi (4).

La crociata anti-Putin va di pari passo col Russiagate, dove le accuse di interferenze sulle elezioni americane sono rimaste finora senza prove sostanziali . E con quella, sempre più ossessiva, contro le fakenews – anche queste attribuite prevalentemente al Kremlino. E’ ancora la Stampa a scrivere del piano della Commissione Ue (non nuovo, vedi Underblog (5) ) e della task force imminente. L’Europarlamento ha appena votato la relazione annuale sulla politica estera in cui chiede agli Stati e all’UE di “contrastare le notizie false e la disinformazione”. Ed esisterebbe pure un rapporto di intelligence sulle ‘ingerenze della Russia in Europa’, in particolare sulla disinformazione, consegnato ai leader del Consiglio europeo.

La narrazione falsata e i rischi della nuova Guerra Fredda. Nessun analista o commentatore tuttavia sembra preoccuparsi dei rischi di questa nuova guerra, per ora fredda, impliciti in tale escalation, non solo narrativa. Tanto meno si interroga sulla veridicità degli argomenti presentati in questa narrazione (o propaganda?) anti-Russa. Dando per scontata l’’autorevolezza’ di riviste, giornali e tv americane. E in ogni caso temendo di contraddirle, come accade del resto anche negli Usa.

A preoccuparsi e a denunciare, non da oggi, la degradazione dei media nel suo paese è Stephen F. Cohen, professore emerito di storia della Russia moderna a Princeton e alla NY University, già editorialista del Washington Post (pre-Bezos) e collaboratore di The Nation. Underblog lo aveva incrociato durante la crisi Ucraina del 2014 quando aveva smontato pezzo a pezzo la narrazione mediatica americana, attirandosi accuse di anti-patriottismo, russo-filia e anche peggio (6). Alle quali aveva risposto qualche mese dopo, intervistato da NewsWeek (7) .Il suo ultimo articolo, The Nation ottobre 2017 (8), denuncia i rischi della Guerra Fredda a suo dire già in atto, e più virulenta di quella passata. E fra le narrazioni più estreme addita “quelle di una organizzazione che si professa bi-partisan, la cui co-autrice è un’ex funzionaria della Difesa di Obama, Evelyn Farkas”.

E’ la lunga analisi, sorta di manifesto della suddetta crociata (9), di Third Way, think-tank a suo dire ‘centrista progressista’, a cui si sono ispirati Biden&Carpenter (che Cohen non aveva ancora potuto leggere) e forse anche la Stampa. Seguiamo Cohen prendendo dai tre articoli citati, integrando con articoli e rivelazioni recenti. Per semplicità raggruppiamo gli argomenti in alcuni punti.

1) L’ESPANSIONE NATO HA TRADITO LE ASSICURAZIONI ALLA RUSSIA. Da USA, UK e Germania. Scrive Cohen, ott 2017: “L’epicentro del confronto con la Russia oggi non avviene più nella lontana Berlino o il ‘Terzo Mondo’ ma direttamente ai confini della Russia, dagli stati del Baltico e dell’Europa dell’Est all’Ucraina e al Mar Nero, dove la NATO continua a crescere con sempre maggiori truppe, armamenti, aerei, navi e installazioni missilistiche. La NATO considera questo vasto fronte come un suo ‘territorio’. Nessuna potenza militare è mai stata così vicina alla Russia dai tempi dell’invasione nazista del 1941. E infatti la Russia si percepisce come ‘sotto aggressione’.”

Cohen ricorda di aver messo a suo tempo sull’avviso gli Usa sui rischi che una tale estensione della NATO a est avrebbe comportato. Lo stesso aveva fatto del resto persino Warren Christopher, segretario di Stato di Bill Clinton in un editoriale sul Washington Post del 1994 (10) . “Prima delle interferenze americane nelle elezioni Russe del 1996 e del 2011”, sottolinea Glenn Greenwald, che in un tweet ripropone il pezzo, recuperato dal WaPo. “La Russia ritiene che l’Occidente abbia infranto le sue promesse di non espandere la NATO verso Est .

La NATO da parte sua considera la rottura di tali promesse un mito”- esordisce Bloomberg il 13 dicembre scorso (11 – Poi anche fabiusmaximus.com -12) . L’interessante articolo, ignorato dai media, dà conto di un recente studio della George Washington University volto a chiarire la questione, in base a una mole di documenti in gran parte declassificati di recente. A quel che risulta erano state ben di più di semplici promesse.

I documenti mostrano che alti funzionari di Usa, UK e Germania hanno tutti offerto assicurazioni a Gorbaciov e al ministro degli Esteri Eduard Shevardnadze che la NATO non si sarebbe allargata verso i confini Russi . Nemmeno nel territorio della Germania Est. Le assicurazioni non sono mai state messe su carta”, aggiunge Bloomberg. Sintetizziamo la storia, che risale al 1990.

Il ministro degli Esteri della Germania Ovest H.D.Gensher, incaricato di ottenere il consenso preliminare della Russia alla riunificazione della Germania, aveva capito che la garanzia di non espansione della NATO sarebbe stata la condizione del successo della sua missione. E ne parlò ai cittadini tedeschi e ai suoi alleati, come il collega britannico Hurd. Gli Usa preferivano una Germania nella NATO a una neutrale. Il segretario di Stato Baker (presidente H.W.Bush) parlò al corrispettivo sovietico Shevardnadze (frasi riportate). Con vari distinguo sulla NATO, organizzazione politica più che militare (sic) Baker strappa a Gorbaciov la concessione di una Germania parte della NATO ma con ‘garanzie di ferro che nè giurisdizione né forze NATO sarebbero avanzate verso est’, nemmeno di un centimetro’.

La stessa proposta viene parallelamente fatta dal direttore CIA Robert Gates al suo omologo sovietico.Dopo la riunificazione tedesca – marzo 1991 – altre assicurazioni arrivarono dal premier britannico John Major al ministro della Difesa sovietico Yazov – che pochi mesi dopo partecipa al colpo di Stato contro Gorbaciov. E poi dallo stesso Segretario NATO Woerner a Eltsin.

Interessante notare che i sovietici proponevano una struttura di sicurezza comune europea basata sull’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione Europa di due decenni prima. Ma gli occidentali volevano mantenere la NATO. Come che sia, l’URSS era dissolta. Ciò nonostante Bloomberg conclude accreditando l’ambiguità di Putin, “che continua a negare l’azione militare in Ucraina e offre false concessioni in Siria, irritando gli occidentali che lo considerano un interlocutore inaffidabile”. Un tributo alla linea mainstream?

2) UCRAINA: INVASIONE O COLPO DI STATO? Secondo Biden con Putin il Kremlino ha lanciato contro l’occidente “un attacco coordinato, militare, politico, economico, informazionale, con vari sistemi palesi e coperti”…”Nei casi estremi, come in Georgia e in Ucraina, ha invaso paesi vicini per bloccare la loro integrazione nella NATO e nell’UE e mandare un messaggio ai paesi vicini”. Di ‘invasione’ dell’Ucraina tout court parla ancora più nettamente il manifesto di ThirdWay, citato sopra.

Come sono andate le cose? La Crimea invasa? Cohen nel febbraio 2014 faceva le pulci ai report mediatici di allora, che già parlavano di invasione russa, minimizzano gli estremisti della destra estrema, omettevano la presenza di gruppi Nazisti e anti-semiti, scrivevano di ‘gente che parla russo’, ignorando che l’Ucraina è un paese diviso da storia, geografia, lingua, religione, cultura. Quanto alla Crimea: “Da studioso mi attengo ai fatti . Ci sono 9000 militari in Crimea per le strade, a custodia di edifici. C’è una base Russa lì. E per legge, per contratto la Russia ha tutto il diritto di esserci. Ha un esercito che protegge le sue strutture strategiche. Le truppe presenti sono quelle della base (come Cohen riteneva) o ne hanno mandate altre attraverso il confine russo? Non lo sappiamo, così se usiamo la parola ‘invasione’ dobbiamo essere cauti. Putin potrebbe aver rotto i termini del contratto che aveva col governo Ucraino” . Dopo di che, l’Ucraina ormai divisa in due con la sollevazione del Donbass russofono – ci sarà il referendum e la Crimea diventerà parte alla Russia.

Tre le teorie, secondo un pezzo di Foreign Affairs (2016- (13)): Putin difensore, temeva che il nuovo governo [filo-Usa] di Kiev potesse togliergli l’importante base di Sebastopoli; Putin imperialista e aggressore, progetta di espandersi e riprendersi i territori ex Urss; Putin improvvisatore: ha risposto alla defenestrazione di Yanukovich, il presidente eletto. Tutte e tre sono vere, è la tesi. Ma sui media MSM domina la seconda.

I cecchini di Maidan erano georgiani anti-russi reclutati per seminare il caos? “Ma avete sentito parlare dei cecchini?”, chiede il prof intervistato da Newsweek . Il riferimento è al massacro del 20/21 febbraio 2014, che segnò la svolta a Kiev.Le manifestazioni a favore di un’associazione dell’Ucraina all’UE erano cominciate a fine novembre 2013 in modo pacifico, andando avanti in una situazione sempre più violenta e confusa. Mentre era in ballo una proposta europea di accordo. Finché quella sera in piazza Maidan scoppia il caos, con spari che non si capiva da dove venissero.

Alla fine 80 morti e centinaia di feriti fra poliziotti e civili. “Tutti hanno incolpato Yanukovich finché il ministro dell’Estonia di ritorno da Kiev ha informato l’UE, via Catherine Ashton, che appartenevano ai movimenti di destra estrema che occupavano le strade. “Non sappiamo se sia vero”, scriveva Cohen. Né Ashton avvia un’indagine.Ebbene – dopo che un post di Global Research aveva escluso che a sparare fosse stata la polizia speciale governativa Bakrut – di recente un’inchiesta in onda in un programma del TG5 ha intervistato due di quei cecchini, protagonisti e testimoni di quel massacro. Georgiani anti-russi militanti e attivisti del partito di Saakashvili.

E un terzo testimone, un ex tiratore scelto dell’esercito georgiano, anche lui attore nella sparatoria di Maidan . Reclutati alla fine del 2013 da un consigliere militare di Saakashvili (tralasciamo i nomi, la vicenda raccontata da Remocontro.it -(14)) . Citiamo:“La rivolta Ucraina nel 2013 era simile alla “Rivoluzione rosa” avvenuta in Georgia, organizzata e finanziata dalla fondazione Soros e alleati atlantici, britannici e tedeschi . I nostri, aggregati a vari gruppi di volontari, ricevono dei passaporti con nomi falsi e un anticipo. Mille dollari a testa con la promessa di altri cinquemila più in là” .
“Il nostro compito – spiega uno dei tre – era organizzare provocazioni per spingere la polizia a caricare la folla”. Prima molotov, scudi e bastoni. Poi arrivano le armi. Compare un militare americano, Brian Christopher Boyenger, ex ufficiale e tiratore scelto della 101esima divisione aviotrasportata statunitense. E compaiono borse piene di armi distribuite ai gruppi di militanti georgiani e lituani che risiedono nell’Hotel Ucraina, l’albergo affacciato sulla piazza usato come quartier generale dall’opposizione” . Da lì arrivano i colpi mortali.I media MSM non rilanciano l’inedito servizio, ad eccezione del Giornale, tanto meno all’estero, nota un tweet in inglese .

Il ruolo USA: Nuland e McCain. Ne hanno scritto molto siti e blog alternativi con accluse foto, compreso Underblog (15). Torniamo a Cohen, 2014:“Nessun dubbio sulle reali intenzioni dell’amministrazione Obama: la registrazione della telefonata fra Victoria Nuland – assistente per Europa e Eurasia di Hillary Clinton, allora Segretario di Stato, a cui Nuland è vicina – e l’ambasciatore americano a Kiev è nota. Ma i media si sono soffermati sull’origine del leak [i soliti Russi] e sulla gaffe della Nuland – ‘Fuck the EU’ . Mentre la rivelazione essenziale riguardava il fatto che funzionari Usa di alto livello stavano tramando per dar vita a un nuovo governo anti-Russia in Ucraina, cacciando o neutralizzando il presidente eletto democraticamente. E questo è un colpo di stato”.

Yanukovich , “che i media dipingono come ‘un dittatore’, mentre sulla sua elezione democratica nessuno ebbe mai dubbi”, fugge e vengono insediati gli uomini voluti da Nuland. “Il senatore John McCain è stato a Kiev a incontrare il leader di un partito di estrema destra nazionalista e fascista e gli ha messo perfino un braccio intorno alle spalle [varie foto] perché male informato dai media o i media hanno cancellato questa parte della storia per via della follia di McCain?”, ironizzava Cohen. Gli Usa appoggiano i neo-Nazi in Ucraina? Titolava il sito liberal Salon (16).

Aggiungiamo che Nuland in una conferenza del dicembre 2013 (17) aveva raccontato che per ‘democratizzare’ l’Ucraina gli Usa avevano investito negli anni ben $5 miliardi. Che la corruzione non è affatto diminuita in Ucraina, il cui Pil dal 2012 è precipitato da $183 a $93miliardi. [Qui – (18) altri post di siti alternativi su Ucraina, attacco alla Russia e Guerra Fredda in quel cruciale febbraio 2014, e oltre).

3) IL DEGRADO DEI MEDIA COMINCIA CON ELTSIN NEI PRIMI ’90. “Anche nei venerabili NYTimes e WashingonPost report, editoriali e commenti non adottano più gli standard giornalistici tradizionali, spesso omettono fatti e contesti essenziali, non fanno distinzione fra report e analisi, non riferiscono visioni differenti di politici o esperti sugli sviluppi delle situazioni né opinioni diverse negli editoriali. Risultato: i media americani sulla Russia sono meno obiettivi, meno equilibrati, più conformisti e altrettanto ideologici di quando scrivevano sulla Russia Sovietica durante la Guerra Fredda”. Le rare voci contrarie allora non erano additate come ‘complici’ o peggio. Esistevano organismi a favore di una distensione, come l’American Commettee on East West Accord, a cui partecipavano parlamentari, editorialisti e businessmen come il manager della Pepsi Co. e il capo dell’IBM .

“La storia di questo degrado è altrettanto chiara: comincia nei primi anni ’90, dopo la fine dell’URSS, quando i media Usa adottano la narrazione di Washington: qualsiasi cosa facesse Eltsin era “una transizione dal comunismo alla democrazia” nel miglior interesse dell’America. Compresa la sua “terapia shock” economica e il saccheggio da parte degli oligarchi dei beni pubblici essenziali, che hanno distrutto le vite di decine di milioni di russi; la distruzione armata di un parlamento eletto dal popolo e l’imposizione di una costituzione ‘presidenziale’ che ha inferto un colpo alla democratizzazione e oggi dà potere a Putin; la guerra brutale in Cecenia, che ha fatto nascere il terrorismo nel Caucaso del Nord; le elezioni truccate da Eltsin del 1996 e la sua approvazione a una cifra nel 1999, la disintegrazione di un paese con armi di distruzione di massa . Eppure la maggior parte dei giornalisti americani continuavano a dare l’impressione che Eltsin fosse il leader Russo ideale … Ci piaceva perché era ubriaco e diceva sempre di sì”. Recentemente Atlantide di Andrea Purgatori (La7) riproponeva ancora la stessa narrazione.

4) PUTIN DEMONIZZATO. “Dai primi anni 2000 i media hanno seguito una narrazione sempre leader-centrica ma opposta, che evita un’analisi sfaccettata per abbracciare una demonizzazione implacabile di Putin, con poco riguardo ai fatti . Se la Russia di Eltsin era stata presentata come un paese con legittimi interessi politici e nazionali, ora ci viene fatto credere che la Russia di Putin non ne ha affatto, all’interno come all’estero – finanche ai suoi confini come in Ucraina”. “Hillary Clinton è arrivata a paragonare Putin a Hitler (“Ed è candidata alla presidenza, come potrebbe poi dialogare con lui?”, notava Cohen ) e anche Obama lo ha definito un ‘bambino viziato’. Di nessun leader sovietico si è mai parlato in questo modo. Breznev non ci piaceva perché non ci stava bene il suo sistema politico, non era una cosa personale. Nixon aveva instaurato con lui buoni rapporti. Le relazioni con Mosca sono state così ‘Putinizzate’ che la Russia sembra non aver più alcun legittimo interesse nazionale. Gli ultimi tre presidenti hanno condotto una politica estera fallimentare, tre guerre rovinose: c’entrerà per caso un po’ di invidia?” ironizza Cohen.“E che dire della decisione di Obama di mandare alle Olimpiadi di Sochi una delegazione di basso livello, compresi atleti gay in pensione?

Eppure in agosto Putin ha virtualmente salvato la presidenza Obama persuadendo Bashar al Assad ad eliminare le sue armi chimiche, consegnandole a un organismo internazionale. E ha aiutato a facilitare le aperture verso l’Iran [che porteranno all’accordo sul nucleare iraniano]. Oltre ad aver facilitato i rifornimenti delle truppe americane in Afghanistan. Obama non avrebbe dovuto andare lui stesso a Sochi sia come segno di gratitudine, sia per mostrare che davanti al terrorismo internazionale i due leader sono insieme? “Da parte loro i media americani hanno parlato molto dei diritti gay violati in Russia (vero solo in parte), dei $54 miliardi spesi da Putin per le Olimpiadi con accuse non provate di corruzione – “ma $44 miliardi erano per infrastrutture della regione”, puntualizza Cohen.

UNA NUOVA GUERRA FREDDA? Nel post più recente il prof Cohen indica i punti di crescente frizione che comportano rischi. L’espansione NATO fino ai confini Russi, a cui si aggiunge il proposito di Washington di mandare altre armi a Kiev . L’Ucraina divisa è tuttora in guerra e il governo, che aveva subito abolito il russo come seconda lingua ufficiale, “ha fatto a pezzi l’accordo di Minsk adottando una legislazione incompatibile”. A onor del vero, la Russia aiuta i separatisti del Donbass. Mosca è in allarme. Sempre più media e alti funzionari ritengono che tutto ciò costituisca ’un’aggressione americana contro la Russia’ . “Paragonate questo allarme con le accuse del #Russiagate secondo le quali il Kremlino ‘ha attaccato l’America’ durante le elezioni presidenziali del 2016, accuse per le quali non c’è ancora nessuna prova empirica e immaginate il potenziale per una guerra accidentale o intenzionale in questa diffusa e crescente percezione Russa”.

La demonizzazione di Putin esaspera le relazioni. E ha effettivamente paralizzato il presidente Trump in ogni eventuale negoziazione con Putin. “Immaginate se John Kennedy fosse stato dipinto come ‘burattino del Kremlino’ durante la crisi di Cuba in cui si sfiorò la guerra”.La Siria, dove la guerra non è ancora del tutto finita. Il ministro degli esteri russo Lavrov continua a denunciare gli aiuti americani alle milizie anti-Assad, comprese quelle dell’ISIS che, confluite recentemente a sud nella zona di Idlib, combattono l’esercito siriano sostenuto dai Russi.

Qui il rischio di un confronto militare è più acuto – osserva Cohen, in ottobre. Sebbene Putin, che ha poi annunciato la sua ricandidatura alle elezioni del 2018, non veda l’ora di chiudere con l’intervento in Siria, mal sopportato in Russia. E sia protagonista di un’attività diplomatica a tutto campo per arrivare a un nuovo assetto condiviso – come spiega bene un’analisi molto equilibrata Foreign Affairs, la stessa rivista del CFR che ha ospitato Biden & Carpenter. Il confronto mediatico: Non solo “ a differenza dagli anni ’60-’70 e ’80 non esistono virtualmente media, politici e politiche nel mainstream contrari alla nuova Guerra Fredda. Ma gli Usa hanno costretto RT- RussiaToday, canale tv internazionale anche online e sito internazionale di news in inglese, spagnolo e arabo e presto in francese, creato 12 anni fa da Putin, e il sito Sputnik, anch’esso governativo, a registrarsi come agenti stranieri. Misura che Putin ha poi adottato con Voice of America e Radio Free Europe (sia i media russi che quelli Usa sono propagandistici, secondo Cohen). Qui (19) cosa comporta.

Putin ha pure bandito dalla Russia le ONG notoriamente legate all’intelligence americana. RT è un pericolo per gli Usa e l’Occidente? Abbandoniamo Cohen. E con un certo stupore apprendiamo da un’ indagine di IPSOS (del 2016, dati del 2015) in 38 paesi che RT – Russia Today è fra i canali internazionali più seguiti: 70 milioni di individui alla settimana, 35 milioni al giorno. La maggior parte degli utenti in Europa: 36 milioni ogni settimana, in Africa l’audience è di 11 milioni, negli Usa pur con soli 8 milioni si colloca tra i cinque network internazionali più visti. Utile un confronto generale: BBC World, il canale tv internazionale più noto e popolare, nei 38 paesi ha 76 milioni di vewers, pochi di più di RT; Deutsche Welle 55 milioni, France 24 ne ha 45.9 milioni alla settimana. Quanto ai siti, quello di RT e il canale Youtube sono stati visitati 49 milioni volte nel novembre 2015. Più di Al Jazeera e Voice of America. Il seguito maggiore lo ha negli Usa. Tanto che l’US Broadcasting Board of Governors, agenzia di Washington, denuncia preoccupata la ‘propaganda russa’. Così secondo un post della stessa RT, secondo la quale il canale è accessibile a 700 milioni di utenti in 100 paesi. Questo lo racconta il NYT di qualche mese fa (20), che accanto ai dati IPSOS, non riferiti in dettaglio come fa invece un post dello stesso RT (21) con link all’indagine, ne riporta altri inferiori.

LE CIRCOSTANZE ODIERNE: I MITI, parte integrante della narrazione dominante anti-Russa. Debolezza? Capitolazione prossima? Scrive Cohen: “La Russia sarebbe troppo debole per sopportare economicamente una prolungata Guerra Fredda e finirebbe per capitolare. E’ la logica dietro lo tsunami di sanzioni contro Mosca ordinate dal 2014. Lasciamo stare che diversi organismi internazionali hanno riconosciuto la ripresa economica della Russia negli ultimi due anni. La Russia per esempio si accinge a diventare il principale esportatore di grano al mondo [nella classifica del ‘Doing Business della Banca Mondiale la Russia dal 2012 al 2015 è passata dal 118° al 50° posto e punta al 20° nel 2018, l’economia era calata del 37% nel 2015 ma dal 2017 cresce di nuovo] . E lasciamo stare la quantità di risorse naturali, umane e territoriali. Ricordiamo invece che nella storia moderna la Russia non ha mai capitolato, non importa quanto alti siano stati i costi”.

Isolamento internazionale? Niente di meno vero, a dispetto della sospensione di Mosca dal G8. “Se il ‘Blocco Sovietico’ dell’Est Europa nella prima Guerra Fredda era un’alleanza forzata, foriera di crisi e economicamente pesante, oggi gli alleati e i partner della Russia sono tali per espressa volontà e interesse, dai paesi BRICS alla Cina”, osserva il professore. E aggiunge:“A dir il vero oggi è la ‘sfera di influenza’ americana che sembra frantumarsi, come appare dal Brexit e dalla Catalogna (i cui referendum mettono in una nuova luce quello in Crimea appoggiato dalla Russia ).

E come interpretare l’avvicinamento della Turchia, membro NATO, alla Russia o la storica recente visita del re Saudita a Mosca, che ha prodotto accordi per acquisti e investimenti miliardari in armi e energia?” Il ruolo della Cina, la potenza emergente. “Durante la precedente Guerra Fredda era rivale dell’URSS e una ‘carta’ da giocare contro Mosca. Oggi il partner politico, economico e potenzialmente militare della Russia – si veda la prossima esercitazione navale congiunta [poi avvenuta ]. Una nuova circostanza destinata ad avere un effetto profondo altrove, in India, Giappone e persino in Afghanistan”.

“La maggior parte di questi fattori nuovi e senza precedenti non vengono minimamente discussi a Washington, non solo a causa dell’’isteria’ del Russiagate. Il ‘trionfalismo’ americano dalla caduta dell’URSS nel 1991 gioca un ruolo importante, così come il cronico provincialismo talvolta definito ‘eccezionalismo’. Nel frattempo delle tre minacce alla sicurezza nazionale americana – terrorismo nucleare, proliferazione nucleare e attacchi cibernetici in grado di innescare inavvertitamente una guerra atomica , non si cura nessuno. E la verità è che nessuna di queste minacce può diminuire senza una partnership con la Russia”.

IL CONTROLLO MEDIATICO MAINSTREAM IN CRISI? Al di là delle considerazioni geopolitiche, il palese e crescente calo di affezione, fiducia e credibilità dei media mainstream negli Usa e nel mondo è davvero attribuibile alla penetrazione mediatica e politica Russa e ai suoi presunti attacchi cyber o ha altre cause, compresa la sempre più degradata e distorta informazione mainstream e la parallela capacità della gente di trovare sul web fonti alternative? E’ un punto chiave. E forse è proprio questa progressiva perdita di controllo, esplosa dopo Brexit e Trump, una delle motivazioni profonde dell’escalation mediatica nei confronti della Russia di Putin a cui assistiamo. E delle prossime nuove misure contro la ‘disinformazione’ e contro la net neutrality . Servirebbe un post ad hoc.

(1) https://www.foreignaffairs.com/articles/2017-12-05/how-stand-kremlin?cid=nlc-emc-fa_paywall_free_joebiden_jf2017-20171206

(2) http://www.lastampa.it/2017/12/08/italia/politica/biden-il-cremlino-interfer-in-italia-sul-referendum-costituzionale-kga1zMpSJhKCS2yv3aMdMN/pagina.html Il giorno dopo la risposta dalla portavoce del Kremlino: http://www.lastampa.it/2017/12/09/esteri/mosca-le-accuse-di-biden-sono-falsit-s4Y3LWnHqVKgdmhOqb1ZWI/pagina.html

(3)https://www.remocontro.it/2017/12/14/interferenze-russe-sullitalia-chi-conta-balle/

(4) http://www.lastampa.it/2017/12/09/esteri/troll-bot-e-associazioni-culturali-cos-la-russia-ha-sabotato-il-referendum-in-italia-UQYGNBTGDD7wZpNdSyo6dO/pagina.html ; http://www.lastampa.it/2017/12/09/italia/politica/tv-e-web-ecco-i-canali-tra-mosca-e-ms-0kMD7ZMcM5LP1ITqw8BzCM/pagina.html ; http://www.lastampa.it/2017/12/15/esteri/la-cia-c-la-regia-del-capo-del-cremlino-dietro-gli-attacchi-alle-presidenziali-LQDVJdaKr2tYhatLhZkHwI/amphtml/pagina.amp.html?__twitter_impression=true

(5) http://www.lastampa.it/2017/01/14/blogs/underblog/fakenewspropaganda-pitruzzella-anello-delloffensiva-usaue-contro-le-narrazioni-difformi-hGTc0XbXDr23xTarepipYM/pagina.html il primo post; http://www.lastampa.it/2017/01/19/blogs/underblog/fakenewspropaganda-le-liste-di-proscrizione-il-centro-di-impegno-globale-contro-la-disinformazione-nemica-e-i-precedenti-nato-PTEfLnvPc5ZC521DdH0Y9J/pagina.html il secondo.

(6) https://www.thenation.com/article/distorting-russia/

(7) http://www.newsweek.com/american-who-dared-make-putins-case-231388

(8) https://www.thenation.com/article/the-new-cold-war-is-already-more-dangerous-than-was-its-predecessor/

(9) http://www.thirdway.org/report/the-last-straw-responding-to-russias-anti-western-aggression

(10) https://www.washingtonpost.com/archive/opinions/1994/01/09/nato-plus/88b3d1a6-8111-4491-bbf0-e6267b0dae95/?utm_term=.86c78c01989c

(11) https://www.bloombergquint.com/view/2017/12/13/the-story-behind-putin-s-mistrust-of-the-west

(12) https://fabiusmaximus.com/2017/12/16/about-american-lies-to-betrayal-of-russia/

(13) https://www.foreignaffairs.com/articles/ukraine/2016-04-18/why-putin-took-crimea

(14) https://www.remocontro.it/2017/11/20/ucraina-golpe-rivoluzione-quei-cecchini-maidan/

(15) http://www.lastampa.it/2014/02/26/blogs/underblog/ukraina-dove-vanno-gli-oligarchi-Zk6aJTSITKB8ixUNCpfFlL/pagina.html e http://www.lastampa.it/2014/03/06/blogs/underblog/ucraina-se-il-nuovo-corso-filooccidente-include-lultradestra-neonazista-2YWGk0SQMvsmnG3qTLVmbO/pagina.html

(16)https://www.salon.com/2014/02/25/is_the_us_backing_neo_nazis_in_ukraine_partner/

(17) http://www.informationclearinghouse.info/article37599.htm

(18) Washington Orchestrated Protests Are Destabilizing Ukraine , Paul Craig Roberts feb 13 2014; Russia Under Attack. “Neocon Ideologues are Pushing the World toward Destruction”, idem, feb 15 ; Washington’s Response to Leaked Victoria Nuland Call Confirms US-EU Regime-Change Plot in Ukraine, Alex Lantier, February 08 ; http://www.washingtonsblog.com/2014/04/west-marches-east-u-s-nato-strategy-isolate-russia.html aprile; http://www.washingtonsblog.com/2014/06/u-s-re-started-cold-war-backstory-precipitated-ukraines-civil-war.html, Eric Zuess giugno.

(19) http://blog.ilgiornale.it/sacchelli/2017/12/05/usa-russia-guerra-dei-media/

(20) https://www.nytimes.com/2017/03/08/world/europe/what-is-rt.html (21) https://www.rt.com/news/335123-rt-viewership-ipsos-study/

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