Il Nord Stream sabotato e dimenticato, escalation della Guerra Ibrida. Contro Germania e UE, silenti.

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Del sabotaggio dei gasdotti NS1 e NS2 si è parlato come un mero fatto di cronaca, dopo di che il tema è scomparso dai radar mainstream. Eppure è stato molto di più: un episodio di Guerra Ibrida Industrial Commerciale, condotto nella forma di un attacco terroristico a infrastrutture energetiche in acque internazionali, e segnala il collasso della regole internazionali (P. Escobar qui). Un attacco che potrebbe in futuro ripetersi, ai danni dell’Occidente, segnalava preoccupato il Financial Times.

Attacco da parte di chi? Ai danni di chi? Con quali obiettivi strategici? Proviamo ad esaminare la faccenda, le cui implicazioni economiche e politiche non sono da poco, secondo varie analisi non mainstream. E vanno ben oltre il conflitto ucraino, di cui la guerra del gas è l’antefatto (A.Negri qui); un attacco contro la Russia e Germania, e non solo, per cambiare d’autorità l’approvvigionamento energetico dell’Europa (T. Meyssan qui e qui in italiano); una guerra alla UE nei suoi rapporti con la Russia, vero obiettivo strategico di Washington al di là della stessa guerra in Ucraina (M. Whitney qui, e M.Hudson citato).

CHI E’STATO. La Russia ha infine accusato la Gran Bretagna. <I nostri servizi di intelligence hanno dati che indicano che specialisti militari britannici hanno coordinato questo attacco terroristico, ha detto Peskov, il portavoce di Putin. Qualche giorno prima il ministro della Difesa russo Shoibu aveva puntato il dito sul personale della marina militare britannica. A suo avviso la GB – peraltro punta avanzata dell’Occidente in Ucraina, come è ormai noto – sarebbe coinvolta anche nei recenti attacchi alle navi russe a Sebastopoli (non citato il ponte di Kerch). Entrambi non hanno addotto prove. E il primo ministro brit Sunak ha ovviamente bollato le accuse come false.

E’appurato ormai che le esplosioni ai danni dei NS1 e NS2: siano avvenute in acque internazionali nelle acque poco profonde lungo le coste di Svezia e Danimarca, al limite della zona economica esclusiva danese e vicino all’isoletta danese diBornholm; siano state un atto di sabotaggio (subito detto dalla Germania, confermato dalla premier danese Andersson); abbiano fatto uso di cariche multiple da varie centinaia di tonnellate di esplosivo in diversi nodi dei gasdotti. Secondo al Jazeera si sarebbero verificate in date differenti: al nodo del NS2 il 26 settembre, ai tre nodi vicinissimi del NS1 il 27 e il 29 settembre (vedi cartina). Azioni che non avrebbero potuto essere condotte da droni sottomarini (campo in cui la Nato è molto attiva) e probabilmente nemmeno da sommergibili, data la scarsa profondità. Più probabilmente da navi, che la Danimarca non avrebbe potuto ignorare. Notare che il mercoledì successivo all’attacco il ministro della Difesa danese ha incontrato urgentemente il segretario generale della Nato.

<Grazie USA>aveva subito twittato soddisfatto l’ex ministro della Difesa Polacco Radek Sikorski, un russofobo spostato con la giornalista e saggista americana Anne Applebaum. E verso gli US si erano appuntati i sospetti dei “filorussi” sui social, memori delle minacciose pubbliche parole di Biden davanti a Scholz: <Se la Russia dovesse invadere, il NS2 lo chiuderemo noi>. Una minaccia cruciale nel suo timing, lo vedremo meglio in seguito.

Come dire che la politica energetica della Germania non veniva più decisa a Berlino ma a Washington, osservavano sia Negri che Whitney.

Al Consiglio di Sicurezza ONU l’inviato Vassily Nebenzia, dopo aver sottolineato che un’azione così complessa e su vasta scala non avrebbe potuto svolgersi senza in coinvolgimento di uno Stato, aveva poi chiesto al rappresentante americano <se avesse potuto confermare “qui e ora” che il suo paese non era coinvolto in questo atto di sabotaggio>. Richiesta elusa dal vice ambasciatore americano all’ONU Richard Mills che si era limitato ad assicurare l’appoggio US agli sforzi investigativi degli Europei.

Era stato lo stesso Consiglio di Sicurezza a chiedere un’inchiesta indipendente. Ma Mosca ne era stata esclusa, e lo è ancora. Peskov aveva espresso <rammarico per il fatto che l’intero processo investigativo si svolgesse a porte chiuse, senza permesso di partecipazione e senza interazione con Mosca che è comproprietaria>. Da allora non si è saputo più nulla, a parte le accuse russe alla GB.

E quelle alla Russia, larvate, nella narrazione mediatica ma circolanti a vari livelli. <Risibili > secondo Pepe Escobar. Smontate da Kostantin Simonov, direttore del Fondo Nazionale Russo per la sicurezza energetica, intervistato dal Sole24Ore (6 ottobre). Alzare il prezzo del gas? Mosca avrebbe potuto più semplicemente chiudere il rubinetto. Lanciare un avvertimento per altre infrastrutture cruciali? Non avrebbe certo scelto di colpire un proprio impianto, giocandosi il controllo del rubinetto stesso. Recuperare le coperture assicurative da parte di Gazprom? I legami sono così compromessi che sarebbe difficile per Gazprom farsi ascoltare.

Fatto sta che la reazione immediata della Commissione UE è stata la richiesta di ulteriori sanzioni. Alla Russia.

I DANNI ECONOMICI. Non è certo se e quando i gasdotti si potranno riparare. Sicuri sono invece i danni economici ai giganti dell’energia. Non solo al russo Gazprom. L’elenco comprende le tedesche Wintershall Dea Ag e PEG/E.On; l’olandese N.V.Nederlandse Gasunie; e la francese ENGIE. Poi vengono i finanziatori del NS2: Di nuovo Wintershall e Uniper; l’austriaca PMV; ancora ENGIE, e l’anglo-olandese Shell. Wintershall Dea e ENGIE sono sia comproprietari che creditori. E dovranno rendere conto ai loro azionisti. (Escobar). Nessuno ne parla.

Come se non bastasse, la Germania è contrattualmente obbligata ad acquistare almeno 40miliardi di metri cubi di gas russo fino al 2030. E se rifiutasse? Gazprom è legalmente titolata ad essere pagata anche senza inviare gas. Questo è lo spirito del contratto, ed è quel che sta già avvenendo causa sanzioni. Berlino non riceve tutto il gas ma deve comunque pagare. Ma i costi economici e politici per la Germania, e l’intera UE, sono ben più vasti.  

Quest’inverno sarà senza gas russo, o quasi. L’unico passaggio rimasto in piedi, attraverso l’Ucraina, potrebbe saltare in ogni momento. Mentre Gazprom minaccia di far causa alla compagnia ucraina Naftogas per conti non pagati. A quel punto resterebbe solo il Turkish Stream, o TurkStream (che peraltro ha subito un tentativo di sabotaggio da parte di Kiev (Escobar). E la cui manutenzione è stata bloccata negli stessi giorni del sabotaggio ai NS (Meyssan). Il TurkStream, che trasporterebbe gas dalla Russia ma pure dall’Azerbajan e magari anche dall’Iran, con terminali fino in Egitto e Grecia, in realtà è stato costruito solo in parte, e completarlo comporta vari problemi, non ultime le garanzie di ferro sulla sua sicurezza e le probabili interferenze US-GB, con le loro multinazionali del gas, sulla Turchia, che diventerebbe un hub decisivo, secondo il progetto caro a Erdogan e allo stesso Putin. Che lo rilancia, vedi Sole24.Ore

<Putin è apparso rassegnato alla perdita del Nord Stream ma non ha rinunciato al mercato europeo e ha lanciato l’idea di un hub centrato sulla Turchia e rivolto all’Europa, conferma Simonov. Poco ottimista sul futuro europeo senza il gas russo. <L’anno scorso la Russia ha fornito all’Europa 150 miliardi di metri cubi di gas via gasdotti. L’Europa li troverà altrove sul mercato?>. Simonov ne dubita: <Non ce ne sono abbastanza, fisicamente>. Negri è dello stesso parere: <L’Algeria di gas da venderci ne ha poco, oltre a quello che scorre nel Transmed, meno ancora la Libia destabilizzata>.

Per il momento, conclude Simonov <chi esce avvantaggiato dal caso Nord Stream sono gli Stati Uniti, col loro messaggio alla UE: “Non vi conviene neppure pensare di ricreare un legame energetico con la Russia”>. Le conseguenze di tutto ciò, sanzioni comprese, saranno serie per la Russia, e aumenteranno, sostiene. <Ma lo stesso sarà per l’Europa. Chi vince, in questa situazione? Tutti gli altri giocatori. Di certo gli Usa che da 50 anni cercano di cacciarci dal mercato europeo, per prendere il nostro posto>.

ATTACCO A CHI. OBIETTIVI E STRATEGIA.  Quello diretto alla UE è molto più di un mero messaggio. Il cordone ombelicale che legava la Russia all’Europa sul gas, ormai spezzato, è un relitto. Sia a Est che a Ovest sanno che niente sarà più come prima.  Su questo tutti gli analisti non msm concordano. Ma un po’ diverse sono le valutazioni.

Sotto l’acqua ribollente di metano nel Baltico c’è uno dei motivi dell’escalation della guerra mossa da Putin all’Ucraina, ora al punto di non ritorno, scriveva Negri a caldo. A suo dire il caso NS2 è emblematico di come da tempo confliggevano gli interessi americani ed europei. <Non si trattava soltanto di una questione economica ma strategica. Voluto fortemente dalla ex Cancelliera Angela Merkel, il Nord Stream era la vera leva politica ed economica che tratteneva Putin da azioni dissennate, come la guerra in Ucraina (era ancora in sospeso l’accordo di Minsk II- [peraltro osteggiato dagli ipernazionalisti ucraini su ordine Usa]). Molti non lo avevano capito perché attribuivano al gas russo una valenza soltanto economica: aveva invece un enorme valore politico per tenere Mosca agganciata all’Europa>.

Michael Whitney, che scriveva prima del 24febbraio, è più drastico. La crisi in Ucraina a suo dire non riguarda tanto l’Ucraina quanto la Germania, in particolare il NS2 che Washintgon vedeva da tempo come una minaccia alla sua supremazia in Europa. Era quello il vero obiettivo strategico. L’Ucraina era uno strumento, un cuneo da insinuare fra Germania e Russia. Il loro rapporto rappresenta da sempre una minaccia per gli US, che l’ha combattuto in due guerre mondiali e nella guerra fredda, scrive Whitney citando George Friedman, Stratfor CEO del Chicago Council of Global Affairs.

Washington non voleva che la Germania [la terza economia globale, la locomotiva europea] si avvicinasse ancora di più alla Russia, accrescendo scambi commerciali, partnership, viaggi, turisti ecc, in prospettiva rendendo non più indispensabile lo stesso dollaro nonché gli acquisti di buoni del Tesoro US. Relazioni sempre più strette fra Germania [e UE] e Russia avrebbero finito per condurre alla fine di quell’ordine unipolare creato dagli US per 75 anni.

Insomma: per Negri il NS2 era uno dei motivi dell’escalation di Putin vs l’Ucraina. Per Withney – e l’economista Michael Hudson con lui – tutta la strategia di Washington verso l’Ucraina, in atto da anni, era finalizzata a spezzare i legami fra Germania e Russia. Fino a che l<l’unica strada rimasta alla diplomazia US è stata spingere Putin a una risposta militare (Hudson). Di qui ogni sorta di provocazione per indurre Mosca a intervenire in difesa dei russi del Donbass .

I NORD STREAM. Il primo progetto Nord Stream nasce già nel 1997, quando la situazione geopolitica di quel periodo consentiva di prevedere che il gasdotto non attraversasse né i Paesi Baltici né Polonia, Bielorussia e Ucraina. Nazioni escluse da eventuali diritti di transito e che non avrebbero potuto intervenire sul percorso per sospendere la fornitura di gas all’Europa e mettere la Russia sotto pressione negoziale. Completato nel maggio 2011, il NS1 entrava in funzione a settembre, poi nel 2012 con una seconda linea. Poco dopo nasce il progetto di un ulteriore potenziamento, il NS2 – completato nel 2021 – che raddoppiava il tracciato. Una volta in funzione, il NS2 avrebbe consentito a Mosca di trasportare verso la Germania ulteriori 55 miliardi di metri cubi di gas naturale all’anno [e a prezzi contenuti, concordati con la Russia].

Un valore economico e strategico enorme per la UE, in primis per la Germania. Ma anche per Mosca, sottolinea Negri. Che prosegue: uscita di scena Angela Merkel, gli Usa hanno avuto campo libero. La guardiana di Putin e del gas non c’era più e gli americani hanno capito che il presidente russo era diventato più pericoloso ma anche più vulnerabile. Per due mesi gli Usa hanno avvertito dell’invasione dell’Ucraina perché sapevano che contestando il NS2, come hanno fatto, si apriva una falla.

Quando Mosca ha capito che con Scholz il NS2 non sarebbe stato al sicuro ha cominciato le minacce all’Ucraina, che in precedenza russi e tedeschi avevano pagato perché non protestasse troppo per la realizzazione del gasdotto, assai temuto dalla Polonia. Gli americani avevano già messo alle corde Merkel, obbligandola ad acquistare quantitativi di gas liquido americano di cui Berlino, allora, non aveva alcun bisogno.

Così Negri. Per Whitney invece Biden ha cercato in tutti i modi di provocare Putin per indurlo a intervenire in Ucraina. Con una campagna mediatica massiccia e isterica che dipingeva il cattivissimo Zar che minacciava l’intera Europa. Mentre pressioni e minacce montavano negli US.

BIG OIL&GAS ALL’ATTACCO. Si inserisce qui un altro capitolo, sugli interessi corposi delle corporations che controllano il gas americano e sulle pressioni subite da Biden, le quali hanno avuto un peso significativo nell’avvio del conflitto (ancora incerto quando usciva questo articolo). Società come Chevron ExxonMobil, e Shell, con centinaia di contractors legati all’estrazione e al trasporto, da un pezzo miravano ad espandere massicciamente il loro export verso l’Europa. Ma di mezzo c’era la Russia con la sua Gazprom, che forniva all’UE il 30% di tutte le importazioni di gas naturale, il 40% a Germania e Francia [e Italia] mentre Cecoslovacchia e Romania utilizzavano solo gas russo.

Le pressioni si erano intensificate per tutto il 2021, i prezzi di mercato del gas erano balzati in alto per molteplici fattori, in Europa erano quintuplicati, e i produttori Usa volevano approfittarne. Gli Usa dal 2005 sono i maggiori produttori di gas shale estratto da sottoterra col fraking, dichiarato non nocivo all’ambiente da Bush jr, e la cui estrazione è stata incoraggiata da Obama, contro i movimenti ecologisti e i progressisti Dem. Grazie all’accordo fra amministrazione Trump e UE le vendite di LNG americano in Europa erano già salite dal 16% nel 2019 al 28% nel 2021.

Il problema restava il prezzo: lo shale gas è molto costoso, l’estrazione è complessa, per trasportarlo va liquefatto(LNG), il trasporto a sua volta costa molto, in più è più sporco e produce molta più CO2 (ma non lo si dice). Svantaggi non da poco rispetto al gas russo che viaggia nei gasdotti.

La minaccia per i produttori Usa era rappresentata soprattutto dal NS2, che avrebbe dovuto diventare operativo a fine 2021, bypassando l’Ucraina. <Quanto convenienti erano dunque le tensioni fra gli US e il suo alleato Ucraino da un lato, e la Russia dall’altro, nell’imminenza della sua operatività. Il governo di destra Ucraino ha premuto su Washinghton tutta l’estate 2021per imporre sanzioni sul NS2 e le società tedesche e russe dietro>. E qui si apre una pagina poco raccontata sui preludi e l’innesco della guerra. Che guarda a caso coincide con l’articolo di Withney.

2021. LO STALLO E LE PROVOCAZIONI. Il Congresso e il Senato Usa si consegnano ai governanti ucraini, facendo scivolare le sanzioni desiderate nel provvedimento di spesa per la Difesa. Biden rifiuta, conoscendo l’opposizione degli alleati, e dell’opinione pubblica tedesca a qualunque minaccia alle loro forniture energetiche. Sa che <più gli US minacciano sanzioni o criticano il NS2, più questo diventa popolare> come spiega Stefan Meister, esperto di Russia e Est Europa nel Council of Foreign Relations. Ma i legislatori Rep e Dem al Congresso non demordono e presentano le sanzioni come una <deterrenza nei confronti di un’aggressione della Russia contro l’Ucraina>. Il senatore Ted Cruz del Texas, primo produttore di gas da fraking e n.1 nella campagna di donazioni dell’industria, impone il blocco di oltre 50 nomine di Biden per il Dipartimento di Stato e altre posizioni, come rappresaglia verso il Presidente.

La situazione è ancora fluida. Esercitazioni Nato si tengono su Mar Nero e Mar Baltico con parallele esercitazioni russe ZAPAD 21. Nemmeno Kiev è rimasta ferma. Il 24 marzo 2021 Zelensky ha promulgato un decreto per la riconquista della Crimea. In violazione degli accordi di Minsk, che ha sempre ostacolato, effettua operazioni aeree nel Donbass utilizzando droni, compreso almeno un attacco contro un deposito di carburante a Donetsk nell’ottobre 2021. La stampa americana lo riprende, ma non gli europei e nessuno condanna le violazioni.

Biden sembra targiversare, più a lungo il NS2 può essere rinviato e più la paura di una morsa russa può essere incrementata, più i produttori di gas americani possono approfittarne, pronti a dare assistenza, nel caso, come scrive scrive il Wall Street Journal, citatonell’articolo di cui sopra. Intanto la corsa di truppe Nato e le armi all’Europa dell’est fanno il gioco.

Secondo Whitney invece a questo punto Biden passa a un piano B: creare la percezione che la Russia rappresenti una grave e imminente minaccia per l’Europa. Di qui la campagna mediatica orchestrata che diventata via via isterica e ossessiva e dipinge lo Zar imperiale assetato di territori europei e pronto all’invasione dell’Ucraina e non solo, novello Hitler, ecc ecc.

2022. L’INNESCO DELLA GUERRA. MINACCE e AZIONI. Spinta dalla crisi Ucraina e dalle aumentate vendite in Europa, nel gennaio 2022 gli Usa sono già diventati in primo esportatore di LNG del mondo. E in Europa i prezzi del gas volano. Eppure la Germania ancora resiste. Lenta nel salire a bordo della strategia US/Nato in Ucraina, riluttante a mettere in pericolo in NS2. Sa che le importazioni di gas dagli US, pur accresciute, non sono abbastanza per le necessità di famiglie e imprese, teme di restare a secco.

Finché il piano B entra nel vivo con le minacce esplicite di Biden a Scholz, richiamato a Washington per mostrare la sua fedeltà di alleato. In conferenza stampa alla Casa Bianca, in un’atmosfera di crisi alimentata da dichiarazioni della portavoce Jen Psaki sull’invasione ormai imminente, possibile “in ogni momento, anche domani” secondo Jake Sullivan, consigliere per la Sicurezza nazionale, alla presenza di uno Scholz muto e teso, Biden annuncia che <Se la Russia invade, non ci sarà più NS2. Lo faremo finire noi>. Le stesse parole anticipate già il 27 gennaio 2022 dal “falco” Victoria Nuland, l’orchestratrice del colpo di Stato in Ucraina del 2014, ora vice al Dipartimento di Stato.

E ’il 7 febbraio 2022. Nello stesso giorno Macron riafferma a Putin il suo attaccamento agli accordi di Minsk, impegno che ripete il giorno dopo in un’intervista a Zelensky. Ma l’11 febbraio un incontro dei consiglieri del “Formato Normandia” (Francia Germania Ucraina più Russia) si risolve con un nulla di fatto.  Scholz fa concessioni per soddisfare Biden e Zelensky, dilaziona l’attivazione del NS2 a fine 2022. Annuncia un piano per costruire altri terminali LNG.  Ma il processo è andato ormai troppo avanti. Il 14 febbraio il WaPo se ne esce con un articolo sui preparativi del Tiger Team americano per proteggere l’Ucraina dall’attacco.

Putin ha ormai capito l’antifona. Alle sue proposte a dicembre 2021 non è stata data né risposta né pubblicità. E ormai non c’è Minsk, né Macron, né Scholz che tengano. Truppe russe vengono minacciosamente amassate alla frontiera. La Duma chiede di proclamare l’indipendenza delle due repubbliche autoproclamate del Donbass. Putin ancora resiste.

Il 17 febbraio Biden annuncia che Putin attaccherà a giorni. Ne è certo. E non a caso: dal 16 febbraio sono iniziati bombardamenti quotidiani ucraini sul Donbass, certificati dall’OCSE ( vedi qui e qui la tabella sugli attacchi giorno per giorno). Al culmine dei quali, il 21 febbraio Putin infine proclama l’indipendenza delle repubbliche. Queste il 23 invocano l’aiuto di Mosca che decide di venir loro in soccorso con l’”operazione speciale”. La lunga fila di carri armati che da settimane premono minacciosi ai confini, il 24 entrano in Ucraina. E scatta l’”invasione”.

E I NORD STREAM? Per quasi sette mesi si parla solo della guerra, delle sanzioni alla Russia, degli approvvigionamenti di gas alternativi che i vari paesi UE rincorrono qua è la, a prezzi crescenti. Pur di “superare la dipendenza” dal gas dello Zar al quale la Germania non rinuncia e che non vuole mettere a rischio con un (peraltro improbabile) price cap, al quale è ostile anche l’Olanda, che guadagna dal TTF, la borsa del gas di Amsterdam – che usa l’ICE, una camera di compensazione americana. A dispetto della tanto decantata unità UE, ciascuno pensa per sé, e la Commissione per mesi appare paralizzata.

Quand’ecco che a fine settembre i due Nord Stream esplodono. Non solo il contestatissimo NS2 ma, già che ci sono, pure il NS1.

LA GUERRA SOTTERRANEA .  Per Escobar è una vera e propria dichiarazione di guerra, rivolta alla UE ma in primo luogo alla Germania, l’ex locomotiva d’Europa. <Disabilitare i NS rappresenta la definitiva chiusura di ogni possibile accordo sulle forniture di gas, col beneficio aggiuntivo di relegare la Germania a uno status minore di assoluto vassallo degli US>.

Escobar, che scrive a caldo, si chiede quale apparato di intelligence abbia pianificato il sabotaggio: i primi candidati sono CIA e MI6, con la Polonia accanto e la Danimarca che gioca un ruolo ambiguo, impossibile che non abbia avuto almeno un briefing dall’intelligence. E cita varie coincidenze sospette, droni navali con ID in inglese in Crimea, elicotteri US sui futuri nodi del sabotaggio, navi inglesi nelle acque danesi da metà settembre, la Nato che il giorno cruciale twittava sui test di nuovi sistemi in mare senza uomini. 

Ma il punto vero è che ci si possa trovare nella situazione in cui un paese EU/Nato sia coinvolto in un’azione contro il numero uno dell’economia EU/Nato. Un casus belli, in teoria.

Meyssan, che scrive qualche giorno dopo (4/10) è sulla stessa lunghezza d’onda, e va ancora oltre.

Anche per lui il sabotaggio dei gasdotti Nord Stream è un atto di guerra contro Germania, più Olanda, e Francia. Le tre vie di approvvigionamento di gas dell’Europa Occidentale sono state interrotte simultaneamente ed è stato contemporaneamente inaugurato in gran pompa un nuovo gasdotto dalla Norvegia con terminali in Polonia, il Baltic Pipe  e la manutenzione dl TurkStream è stata sospesa>.

La lotta degli Stati Uniti per conservare l’egemonia mondiale è entrata nella terza fase, scrive Meyssan: dopo l’estensione della NATO a Est, in violazione degli impegni occidentali presi; dopo aver messo a Kiev nel 2014 dei “nazionalisti integrali”(i “nazi” secondo il Kremlino) che hanno perseguitato i russofoni e bombardato il Donbass; è la volta del cambiamento autoritario dell’approvvigionamento energetico dell’Europa occidentale e centrale.  Fino al 26 settembre l’economia dell’UE era fondata principalmente sulla produzione industriale tedesca. Eliminando i NS gli Usa hanno praticamente distrutto l’industria tedesca [e quella italiana molto legata a quella, quanto meno le hanno messe a serio rischio].

<È il più importante sabotaggio della storia. Un atto di guerra ibrida contro Russia (51%) e Germania (30%), comproprietarie di questi colossali investimenti, ma anche contro Olanda (9%) e Francia (9%). Al momento nessuna delle vittime ha reagito pubblicamente. Gli Stati interessati sanno con certezza chi è il colpevole, ma, o non intendono reagire, nel qual caso saranno radiati dalla mappa politica; oppure stanno segretamente preparando una replica a quest’operazione clandestina, sicché quando la realizzassero diventerebbero veri protagonisti politici>. E sul come e il perché Meyssan si interroga in un altro articolo il 18 ottobre (Che gioco fanno Stati Uniti e Germania.

<La Germania, che ha perso la fornitura di gas russo e potrà recuperarne nella migliore delle ipotesi un terzo dalla Norvegia, s’impantana nella guerra in Ucraina. È diventata crocevia delle azioni segrete della Nato, che a conti fatti agisce a suo danno. L’attuale conflitto risulta impenetrabile se si trascurano i legami tra Straussiani Usa, sionisti revisionisti e nazionalisti integralisti ucraini>, scrive Meyssan qui .

Fantasie? Del ruolo nella vicenda ucraina degli Straussiani– più comunemente detti Neoconservatori o Neocon – ha del resto parlato esplicitamente anche il noto economista Jeffery Sachs, non sospettabile di complottismo ma certo controcorrente, e non da oggi.

Il PIANO RAND CORPORATION . Era tutto già scritto? Sembra di sì, a leggere il piano del 2019 della Rand Corporation, il think tank fondato nel 1946 col contributo del Dipartimento della Difesa americano, da sempre legato al Pentagono. Lo studio dal titolo “Over-extending and Un-balancing Russia”  si rivolge anche agli alleati Usa, che sembrano seguirne pedissequamente i “consigli”.

La Russia deve essere attaccata dove è più vulnerabile, cioè nella sua economia molto dipendente da esportazioni di petrolio e gas, è una delle premesse. Quindi: espandere la produzione energetica americana; imporre sanzioni commerciali e finanziarie più pesanti, possibilmente multilaterali (malgrado costi e rischi); accrescere la capacità dell’Europa di importare gas da altri fornitori, non russi, aumentando il numero rigassificatori [per importare il LNG dagli US]. E poi: Fornire aiuti letali all’Ucraina; incoraggiare l’emigrazione dalla Russia di giovani preparati e bene educati; rimuovere la Russia da forum non ONU, boicottare eventi come la Coppa del Mondo per danneggiarne il prestigio…e altro ancora.

Interessanti le misure “ideologiche e informazionali” (mediatiche, ma alcune sembrano vere azioni di disturbo in Russia): diminuire la fiducia nel sistema elettorale russo per creare scontento; creare la percezione che il regime non favorisce l’interesse pubblico russo; incoraggiare proteste domestiche e forme di resistenza non violenta; colpire l’immagine della Russia all’estero.

Seguono molte misure militari, tra le quali spiccano: accrescere le forze US in Europa; aumentare la capacità della Nato europea sul terreno; dispiegare armi atomiche aggiuntive; riposizionare sistemi di difesa e missili balistici US e alleati; spezzare il regime di controllo delle armi nucleari per costringere la Russia a una gara per armi più costose.

Un articolo su questo tema era uscito su affariitaliani.it già a marzo. Un altro più recente è stato rifiutato dal Manifesto, e l’autore Manlio Dinucci, da anni collaboratore, è stato bandito dal giornale.

AGGIORNAMENTI. 1. Un suo peso nella pianificazione delle politiche energetiche ha certo anche l’iniziativa di BlackRock, il maggior fondo di investimenti del mondo con $7000 miliardi gestiti. Il suo CEO Larry Fink in una lettera a wall Street nel 2020 annuncia una radicale disinvestimento nei settori energetici convenzionali, petrolio e gas, in nomme dell’agenda ONU 20230 sul clima. Biden d’accordo. Fink entra nel board del World Economic Forum.

2. Il Financial Times a dicembre segnala che i consumi di gas in Europa nel 2022 sono diminuiti 24% rispetto alla media in gran parte a causa di una diminuita domanda. Per via delle temperature più miti ma anche di imprese meno attive.

3. Scholz è infine uscito dal suo isolamento con un articolo su Foreign Affairs in cui, malgrado il titolo pomettente (La svolta epocale globale. Come evitare una nuova Guerra Fredda in un’era mutipolare) appare totalmente prono agli Usa: alla visione americana dominante su Russia imperiale e Ucraina; totalmente pro Nato, dove alla Germania spetterà il compito di garante della Sicurezza europea grazie agli nvestimenti sul suo esercito; disposto solo a maggiore aperture commerciali verso la Cina e a un dialogo più costruttivo con altri paesi del mondo. E sull’energia? Stop a oil e gas russi. <Abbiamo imparato la lezione – scrive . La sicurezza dell’Europa è legata alla diversificazione e a investimenti per l’indipendenza energetic. In Settembre il sabotaggio dei NS ci ha consegnato questo messaggio>. Testuale. No comment.

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Un mondo diviso in due: La strategia globale Usa, l’Ucraina e il prezzo per l’Europa.

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<È ormai chiaro che l’odierna escalation della Nuova Guerra Fredda è stata pianificata più di un anno fa, con una seria strategia associata al piano americano di bloccare il Nord Stream 2 come parte del suo obiettivo di impedire all’Europa occidentale (“NATO”) di cercare la prosperità attraverso il commercio e gli investimenti reciproci con Cina e Russia>.

E’ l’incipit dell’articolo di Michael Hudson, economista americano tra i più noti, già analista di Wall Street, ricercatore, consulente, commentatore e autore di vari libri, l’ultimo di prossima uscita. Economista “classico” ma “di sinistra” e contrario all’ultraliberista Scuola di Chicago. Pubblichiamo la traduzione del suo articolo, intitolato The dollar devours the euro, che descrive la strategia globale americana volta a contrastare la Cina, superpotenza in crescita che minaccia quella americana in declino, dividendo il mondo in due e costringendo i paesi a schierarsi di qua o di là. Cominciando dall’Ucraina casus belli. Una strategia a cui l’Europa politica acconsente- almeno finora- pur essendone la prima vittima. Segue l’articolo di Hudson.

<Come annunciato dal Presidente Biden e dai rapporti sulla sicurezza nazionale degli Stati Uniti, la Cina è stata vista come il principale nemico. Nonostante il ruolo utile della Cina nel consentire alle aziende americane di abbassare i salari dei lavoratori attraverso la deindustrializzazione dell’economia statunitense a favore dell’industrializzazione cinese, la crescita della Cina è stata riconosciuta come il Terrore Finale: la prosperità attraverso il socialismo. L’industrializzazione socialista è sempre stata percepita come il grande nemico dell’economia rentier [della rendita] che si è impadronita della maggior parte delle nazioni nel secolo successivo alla fine della Prima Guerra Mondiale, e soprattutto a partire dagli anni Ottanta. Il risultato oggi è uno scontro tra sistemi economici: industrializzazione socialista e capitalismo finanziario neoliberista.

Ciò rende la nuova guerra fredda contro la Cina un atto di apertura implicito di quella che rischia di essere una terza guerra mondiale di lunga durata. La strategia degli Stati Uniti consiste nell’allontanare i più probabili alleati economici della Cina, in particolare la Russia, l’Asia centrale, l’Asia meridionale e l’Asia orientale. La domanda era: da dove iniziare la spartizione e l’isolamento?

La Russia è stata vista come la più grande opportunità per iniziare l’isolamento, sia dalla Cina che dalla zona euro della NATO. È stata elaborata una sequenza di sanzioni sempre più severe – e si spera fatali – contro la Russia, per impedire alla NATO di commerciare con essa. Tutto ciò che serviva per innescare il terremoto geopolitico era un casus belli.

Questo è stato organizzato abbastanza facilmente. L’escalation della Nuova Guerra Fredda avrebbe potuto essere lanciata nel Vicino Oriente – per la resistenza all’accaparramento dei giacimenti petroliferi iracheni da parte dell’America, o contro l’Iran e i Paesi che lo aiutano a sopravvivere economicamente, o in Africa orientale. In tutte queste aree sono stati elaborati piani per colpi di Stato, rivoluzioni colorate e cambi di regime, e l’esercito africano dell’America è stato costruito con particolare rapidità nell’ultimo anno o due. Ma l’Ucraina è stata sottoposta a una guerra civile sostenuta dagli Stati Uniti per otto anni, a partire dal colpo di Stato di Maidan del 2014, e ha offerto la possibilità di ottenere la prima grande vittoria in questo confronto contro la Cina, la Russia e i loro alleati.

Così le regioni russofone di Donetsk e Luhansk sono state bombardate con crescente intensità e, quando la Russia si è ancora astenuta dal rispondere, secondo quanto riferito, sono stati elaborati piani per una grande resa dei conti che avrebbe avuto inizio alla fine di febbraio – iniziando con un attacco dell’Ucraina occidentale organizzato dai consiglieri statunitensi e armato dalla NATO [attacco effettivamente iniziato il 14 febbraio con bombardamenti sempre più intensi sul Donbass, come ha documentato l’OSCE, vedi articolo di Jaques Baud ]

La difesa preventiva della Russia delle due province ucraine orientali e la successiva distruzione militare dell’esercito, della marina e dell’aeronautica ucraina negli ultimi due mesi sono state usate come scusa per iniziare a imporre il programma di sanzioni progettato dagli Stati Uniti che stiamo vedendo oggi. L’Europa occidentale si è comportata in modo diligente assecondando integralmente tali piani. Invece di acquistare gas, petrolio e generi alimentari russi, li acquisterà dagli Stati Uniti, insieme a un forte aumento delle importazioni di armi.

La prospettiva di una caduta del tasso di cambio euro/dollaro

È quindi opportuno esaminare come tutto ciò possa influire sulla bilancia dei pagamenti dell’Europa occidentale e quindi sul tasso di cambio dell’euro rispetto al dollaro.

Prima della guerra per l’imposizione delle sanzioni, il commercio e gli investimenti europei promettevano una crescente prosperità reciproca tra Germania, Francia e altri Paesi della NATO nei confronti di Russia e Cina. La Russia forniva energia in abbondanza a un prezzo competitivo, e questa energia avrebbe fatto un salto di qualità con il Nord Stream 2. L’Europa avrebbe guadagnato la valuta estera necessaria a pagare questo crescente commercio d’importazione grazie a una combinazione di esportazione di un maggior numero di prodotti industriali in Russia e di investimenti di capitale nello sviluppo dell’economia russa, ad esempio da parte di aziende automobilistiche tedesche e di investimenti finanziari. Questi scambi e investimenti bilaterali sono ora fermi – e lo saranno per molti, molti anni, data la confisca da parte della NATO delle riserve estere russe in euro e sterline britanniche e la russofobia europea alimentata dai media di propaganda statunitensi.

Al suo posto, i Paesi della NATO acquisteranno GNL statunitense, ma dovranno spendere miliardi di dollari per costruire una capacità portuale sufficiente, il che potrebbe richiedere fino al 2024 (Buona fortuna fino ad allora). La carenza di energia farà aumentare sensibilmente il prezzo mondiale del gas e del petrolio. Anche i Paesi della NATO intensificheranno gli acquisti di armi dal complesso militare-industriale statunitense. L’acquisto quasi in preda al panico farà aumentare pure il prezzo delle armi. Anche i prezzi dei generi alimentari aumenteranno a causa della disperata carenza di cereali dovuta alla cessazione delle importazioni dalla Russia e dall’Ucraina, da un lato, e alla carenza di fertilizzante ammoniacale ricavato dal gas, dall’altro.

Tutte e tre queste dinamiche commerciali rafforzeranno il dollaro rispetto all’euro. La domanda è: come farà l’Europa a bilanciare i suoi pagamenti internazionali con gli Stati Uniti? Che cosa ha da esportare che l’economia statunitense accetterà mentre i suoi interessi protezionistici acquistano influenza, ora che il libero scambio globale sta morendo rapidamente?

La risposta è: non molto. Allora cosa farà l’Europa? [Qui Hudson avanza un’idea che può apparire paradossale: una provocazione? ]

Potrei fare una modesta proposta. Ora che l’Europa ha praticamente smesso di essere uno Stato politicamente indipendente, sta cominciando ad assomigliare a Panama e alla Liberia – centri bancari offshore “bandiera di convenienza” che non sono veri e propri “Stati” perché non emettono una propria moneta, ma utilizzano il dollaro statunitense. Poiché l’eurozona è stata creata con manette monetarie che limitano la sua capacità di creare denaro da spendere nell’economia oltre il limite del 3% del PIL, perché non gettare semplicemente la spugna finanziaria e adottare il dollaro americano, come l’Ecuador, la Somalia e le Isole Turks e Caicos? Questo darebbe agli investitori stranieri la sicurezza contro il deprezzamento della valuta nei loro crescenti scambi commerciali con l’Europa e il finanziamento delle esportazioni.

Per l’Europa, l’alternativa è che il costo in dollari del debito estero assunto per finanziare il crescente deficit commerciale con gli Stati Uniti per petrolio, armi e cibo esploderà. Il costo in euro sarà ancora più elevato, dato che la valuta scende rispetto al dollaro. I tassi di interesse aumenteranno, rallentando gli investimenti e rendendo l’Europa ancora più dipendente dalle importazioni. L’eurozona si trasformerà in una zona economica morta.

Per gli Stati Uniti si tratta di un’egemonia del dollaro con gli steroidi, almeno nei confronti dell’Europa. Il continente diventerebbe una versione un po’ più grande di Porto Rico.

Il dollaro nei confronti delle valute del Sud Globale

La versione in piena regola della Nuova Guerra Fredda, che si trasformerà nella salva di apertura della Terza Guerra Mondiale innescata dalla “Guerra d’Ucraina”, durerà probabilmente almeno un decennio, forse due, poiché gli Stati Uniti estenderanno la lotta tra neoliberismo e socialismo a un conflitto mondiale. Oltre alla conquista economica dell’Europa, gli strateghi statunitensi stanno cercando di agganciare i Paesi africani, sudamericani e asiatici in modo analogo a quanto pianificato per l’Europa.

Il forte aumento dei prezzi dell’energia e dei generi alimentari colpirà duramente le economie con deficit alimentare e petrolifero, nello stesso momento in cui i loro debiti esteri denominati in dollari verso gli obbligazionisti e le banche stanno scadendo e il tasso di cambio del dollaro sta aumentando rispetto alla loro valuta. Molti Paesi dell’Africa e dell’America Latina, in particolare del Nord Africa, si trovano a dover scegliere se soffrire la fame, ridurre l’uso di benzina ed elettricità o prendere in prestito i dollari per coprire la loro dipendenza dal commercio statunitense.

Si è parlato di emissioni di nuovi DSP da parte del FMI per finanziare i crescenti deficit commerciali e di pagamento. Ma questo tipo di credito ha sempre dei vincoli. Il FMI ha una propria politica di sanzioni nei confronti dei Paesi che non obbediscono alla politica statunitense. La prima richiesta degli Stati Uniti sarà che questi Paesi boicottino la Russia, la Cina e la loro emergente alleanza di auto-aiuto commerciale e valutario. “Perché dovremmo darvi i DSP o concedervi nuovi prestiti in dollari, se avete intenzione di spenderli in Russia, Cina e altri Paesi che abbiamo dichiarato nemici?”, chiederanno i funzionari statunitensi.

Almeno, questo è il piano. Non mi sorprenderebbe vedere qualche Paese africano diventare la “prossima Ucraina”, con truppe per procura statunitensi (ci sono ancora molti sostenitori e mercenari wahabiti) che combattono contro gli eserciti e le popolazioni di Paesi che cercano di nutrirsi con il grano proveniente dalle fattorie russe e di alimentare le loro economie con il petrolio o il gas dei pozzi russi – per non parlare della partecipazione alla Belt and Road Initiative cinese che, dopo tutto, è stata la causa scatenante del lancio da parte dell’America della sua nuova guerra per l’egemonia neoliberale globale.

L’economia mondiale si sta infiammando e gli Stati Uniti hanno preparato una risposta militare e l’armamento del proprio commercio di esportazione di petrolio e di prodotti agricoli, il commercio di armi e la richiesta ai Paesi di scegliere da che parte della nuova cortina di ferro vogliono unirsi.

Ma cosa c’è in tutto questo per l’Europa? I sindacati greci stanno già manifestando contro le sanzioni imposte. In Ungheria, il primo ministro Viktor Orban ha appena vinto le elezioni con una visione del mondo fondamentalmente anti-UE e anti-USA, a partire dal pagamento del gas russo in rubli. Quanti altri Paesi romperanno le righe – e quanto tempo ci vorrà?

Cosa c’è in tutto questo per i Paesi del Sud globale che vengono schiacciati – non solo come “danno collaterale” alla profonda carenza e all’impennata dei prezzi di energia e cibo, ma come obiettivo stesso della strategia statunitense che inaugura la grande spaccatura in due dell’economia mondiale? L’India ha già detto ai diplomatici statunitensi che la sua economia è naturalmente collegata a quelle di Russia e Cina.

Dal punto di vista degli Stati Uniti, tutto ciò a cui si deve rispondere è: “Cosa ci guadagnano i politici locali e le oligarchie clienti che noi premiamo per aver consegnato i loro Paesi?”.

Questo è ciò che rende l’incombente terza guerra mondiale una vera e propria guerra di sistemi economici. Quale parte sceglieranno i Paesi: il proprio interesse economico e la coesione sociale, o la diplomazia statunitense messa nelle mani dei loro leader politici insieme all’ingerenza degli Stati Uniti, sulla falsariga dei 5 miliardi di dollari che l’Assistente del Segretario di Stato Victoria Nuland si è vantata di aver investito nei partiti neonazisti ucraini otto anni fa per dare il via ai combattimenti che sono scoppiati nella guerra di oggi?

Di fronte a tutte queste ingerenze politiche e alla propaganda dei media, quanto tempo ci vorrà al resto del mondo per rendersi conto che è in corso una guerra globale che si sta espandendo nella Terza Guerra Mondiale? Il vero problema è che quando capirà cosa sta succedendo, la frattura globale avrà già permesso alla Russia, alla Cina e all’Eurasia di creare un vero e proprio Nuovo Ordine Mondiale non neoliberale che non ha bisogno dei Paesi della NATO e ha perso la fiducia e la speranza di guadagni economici reciproci con loro. Il campo di battaglia militare sarà disseminato di cadaveri economici>.

[Una prospettiva non esaltante, specie per noi europei].

Il nuovo libro di Michael Hudson, The Destiny of Civilization, sarà pubblicato da CounterPunch Books il mese prossimo.

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