Perché contro l’Iran una guerra convenzionale Trump non la può lanciare (ma continua a pattugliare il Golfo)

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22 giugno2019. Il presidente Trump in uno dei suoi tweet si vanta di aver sventato all’ultimo momento un attacco contro tre obiettivi iraniani, come rappresaglia al drone abbattuto da Theeran, e i misteriosi attacchi a due petroliere straniere nel Golfo Persico, che gli US avevano imputato all’Iran. Il mondo tira un sospiro di sollievo, un conflitto sembrava imminente. Molte compagnie aeree avevano già dato ordine di non volare sui cieli del Golfo. Su Twitter i bene informati sostengono che sia stato lo stesso Pentagono a bloccare iniziative belliciste inopportune. Sostenute dai falchi dell’amministrazione? Non è dato sapere. La verità è che una guerra convenzionale nei confronti dell’Iran gli Usa non se la potrebbero permettere. Questa almeno è la tesi di una lunga dettagliata analisi del prof Michel Chossudovsky su Global Research, il centro canadese di ricerche da lui fondato molti anni fa. Il professore è assai ostile agli US, ma sempre documentato.

“Nelle condizioni attuali un intervento come quello in Iraq che comporti forze di terra, d’aria e navali sarebbe impossibile in Iran – è la sintesi . Per diverse ragioni. L’egemonia degli Stati Uniti nel Medio Oriente si è estremamente indebolita, in conseguenza dell’evolversi della struttura delle alleanze militari. Gli US non sarebbero in grado di portare avanti un tale progetto”.

I temi di fondo sono due, ma è il secondo ad essere approfondito.

Le forze militari dell’Iran, ovvero la sua capacità (forze di terra, navali, aeree, di difesa) di resistere e rispondere. Le sue forze di terra, navali, aeree sono consistenti, ha un’industria bellica e sta per ricevere il potente sistema missilistico russo di difesa S-400. Con 534.000 persone attive tra esercito, marina e aeronautica e il corpo speciale delle Guardie Islamiche Rivoluzionarie (IRGC) è considerato la ‘maggior potenza militare’ del Medio Oriente. In caso di attacco potrebbe colpire i siti militari US nel Golfo Persico.

L’evolversi della struttura delle alleanze militari (2003-2019, largamente a detrimento degli Stati Uniti. E’ il punto decisivo, su quale di solito poco si riflette. Diversi alleati tra i più fedeli ‘dormono con il nemico’.Paesi che confinano con l’Iran come il Pakistan e la Turchia hanno accordi di cooperazione militare con l’Iran. Ciò in sé esclude la possibilità di una guerra di terra, ma influenza la capacità di US e alleati di pianificare operazioni navali e aeree. Eppure fino a tempi recenti entrambe – la Turchia è un membro NATO di peso – erano tra i più fedeli alleati dell’America, di cui ospitano basi militari importanti.

Da un più vasto punto di vista militare, la Turchia coopera attivamente sia con l’Iran che con la Russia. Di più. Ankara ha appena acquisito il sistema di difesa missilistico S-400, stato dell’arte della Russia, ponendosi di fatto fuori dal sistema di difesa aereo integrato US-Nato-Israele. Tra luglio e agosto operatori del sistema verranno addestrati in Russia. Inoltre, in Siria US e Turchia combattono su fronti opposti. Secondo un recente articolo di Foreign Affairs – aggiungiamo – la questione curda è stata la prima causa della rottura fra i due paesi e dell’avvicinamento di Ankara alla Russia.

Non c’è bisogno di sottolineare che il Trattato di Organizzazione Nord Atlantica è in crisi. Lo stesso Chossudowsky approfondisce la questione in un successivo post del 13/ 7, arrivando a chiedersi se l’uscita della Turchia dalla Nato non sia imminente.Anche l’Iraq ha indicato che non collaborerà con gli US in caso di guerra contro l’Iran. Ancor più significativo il fatto che nessuno degli stati vicini all’Iran, dai suddetti Turchia e Pakistan ad Afghanistan, Iraq, Turkmenistan, Azerbaijan e Armenia consentirebbe a forze di terra americane e alleate di transitare sul loro territorio. Né coopererebbero con gli US in una guerra aerea.

L’Azerbajan, che durante la guerra fredda era un alleato degli US nonché membro della ‘partnership for peace’ della Nato, ha cambiato fronte. E lo scorso dicembre ha firmato un accordo di collaborazione militare e di intelligence con l’Iran, che a sua volta collabora anche con il Turkmenistan. L’alleanza post sovietica GUAM (Georgia, Ucraina, Azerbajan, Moldavia) è virtualmente defunta.Quanto all’Afghanistan, con i Taliban che controllano la maggior parte del territorio, la situazione non favorisce certo un dispiegamento di forze di terra americane/alleate al confine con l’Iran.

In conclusione, la politica di aggiramento strategico nei confronti dell’Iran formulata alla vigila della guerra con l’Iraq (2003) non funziona più. L’Iran ha relazioni amichevoli con i paesi vicini un tempo sotto l’influenza americana.

In queste condizioni lanciare una guerra convenzionale di teatro con truppe di terra sarebbe un suicidio, conclude il nostro. Aggiungendo tuttavia che ciò non significa che una qualche forma di intervento diretto contro l’Iran non sia possibile. E non sia nei piani del Pentagono. Chossudovsky ne fa un elenco:

*varie forme di ‘guerra limitata’, es attacchi missilistici;*sostegno a gruppi terroristi paramilitari da parte di US/alleati;*cosiddette ‘bloody nose operations’, vale a dire forme di intervento preventivo, già prese seriamente in considerazione verso la Corea del Nord nel 2018;*destabilizzazione politica, ‘rivoluzioni colorate’;*attacchi false flag e minacce unilaterali;*guerra alettromagnetica e/o climatica (ENMOD);*cyberwarfare;*attacchi chimici o biologici;*sabotaggi, confische di asset finanziari, sanzioni economiche massicce.

[Queste ultime sono quelle che Trump ha già attuato e ha ulteriormente minacciato di estendere recentemente, dopo l’annuncio di Teheran di una ripresa dell’arricchimento dell’uranio motivato dal blocco economico che ha colpito l’Iran dopo l’abbandono da parte degli US di Trump dell’accordo del 2015].

I quartier generali dell’US Central Command situati in territori diventati nemici. E’ la considerazione forse più grave nell’evoluzione della struttura militare americana. L’USCENTCOM è il Comando combattente a livello di teatro per tutte le operazioni nella più vasta regione del Medio Oriente, dall’Afghanistan al Nord Africa. E’il più importante Combat Command della struttura Unified Command. Ha condotto e coordinato i maggiori teatri di guerra in Medio Oriente dall’Afghanistan (2001) all’Iraq (2003) ed è anche convolto in Siria.In caso di guerra all’Iran le operazioni in M. O. sarebbero coordinate dal US Central Command nel quartier generale di Tampa, Florida in collegamento permanente con il quartier generale dell’CENTCOM, che si trova in Qatar.

Il punto chiave è questo.Dopo l’abbattimento del drone da parte di Teheran, a fine giugno scorso, quando Trump annunciò di aver bloccato l’imminente attacco all’Iran il CENTCOM confermò il dispiegamento degli F-22 stealth nella base di Al-Udeid, in Qatar ”in difesa delle forze e degli interessi americani” Ne ha parlato Michel Welch, sullo stesso Global Research il 30/6/2019).“La base è tecnicamente proprietà del Qatar e ospita i quartier generali dell’US Central Command. Con 11.000 militari americani, viene descritta come ‘una delle basi più durature e strategicamente posizionata del pianeta’ (Washington Times). Ospita l’US Air Force’s 379th Air Expeditionary Wing, considerata ‘il più vitale commando aereo dell’America all’estero’ “.

Quello che i media e gli analisti militari dimenticano di far sapere – sottolinea Chossudovsky – è che il quartier generale avanzato per il Medio Oriente dell’US CENTCOM presso la base militare di al-Udeid vicino a Doha di fatto “si trova in territorio nemico”. Come si è arrivati a tanto?

Il progetto di Trump era dar vita a una Middle East Strategic Alliance (MESA), una sorta di ‘NATO Araba’ sotto la supervisione saudita, che avrebbe compreso Egitto e Giordania insieme ai membri del Gulf Cooperation Counci [l’alleanza fra i paesi del Golfo – Arabia Saudita, UAE, Qatar, Bahrein, Kuwait, Oman – che data dal 1981 ma fra vari disaccordi non è riuscita a crescere a più livelli come si proponeva].La dichiarazione di Riyad, il 21 maggio 2017, alla fine dello storico summit con Trump nella capitale saudita, annunciava la costituzione della MESA – senza il Qatar, ma mantenendo intatto il GCC – per contrastare l’egemonia dell’Iran.

Due giorni dopo, scatta un embargo verso il Qatar.L’Arabia Saudita blocca il suo confine terrestre col Qatar, accusato di sostenere il terrorismo e di collaborare con Theheran. E insieme a Emirati (UAE) e Bahrein dà vita a un embargo aereo e navale verso Doha.

E però il Qatar, apparentemente isolato, trova subito nuovi amici nella Turchia e nell’Oman, il sultanato che insieme all’Iran controlla lo stretto di Hormutz. Turchia, Iran e Pakistan [che è alleato della Cina] accrescono i commerci col paese, grazie ad accordi bilaterali. Ankara stabilisce anche una presenza militare in Qatar, ricevendo in cambio investimenti per $20 miliardi [il Qatar non lesina denari agli amici]. “Oggi il paese brulica di uomini d’affari iraniani, personale ed esperti dell’industria petrolifera, per non menzionare la presenza di russi e cinesi, scrive Chossudovski.

Da quel maggio 2107 il Qatar diventa un convinto alleato sia dell’Iran che della Turchia – che è anche alleata dell’Iran ed è sempre più vicina alla Russia – pur non avendo nessun accordo militare ‘ufficiale’ con Teheran. Notare che Qatar e Iran condividono la proprietà del giacimento marittimo di gas naturale più grande al mondo.E Russia, Iran e Qatar messi insieme possiedono oltre la metà delle riserve di gas conosciute.

[Lo ricordava fra l’altro una approfondita analisi sul sito russo RT.com del marzo scorso che, sulla scorta di interessanti recenti post di Asia Times e Middle East Eye esordiva: “Una nuova alleanza fra Qatar ,Turchia e Iran con il potenziale appoggio di Russia e Cina rappresenta la maggior preoccupazione di USA, Israele e Arabia Saudita . La conseguenza di otto anni di guerra in Siria hanno modificato le dinamiche regionali in un modo certamente mai immaginato dagli Stati Uniti e dai loro alleati”].

Interpretazione Russa? Affatto. Che il Qatar sia ormai un solido alleato di Iran e Turchia, lo conferma l’Atlantic Council, think tank vicino a Pentagono e Nato. Chossudovsky ne cita anche alcune frasi:“ Il 15 giugno il presidente Rouhani ha sottolineato che rafforzare i rapporti con il Qatar è un’alta priorità per i politici iraniani. All’Emiro qatariota ha detto che ‘stabilità e sicurezza nei paesi della regione sono interconnesse’. In cambio il capo di stato del Qatar ha affermato che Doha mira a una stretta alleanza con la Repubblica Islamica’” . L’evoluzione politica e militare della Turchia preoccupa molto l’occidente, come abbiamo visto sopra citando Foreign Affaris, la rivista del Council of Foreign Relations che lega l’allontanamento dagli US al problema dei Curdi.

Ma è tutta la strategia americana in Medio Oriente ad essere in crisi, come emerge dal nuovo viaggio di Trump a Riyad lo scorso aprile 2019. Ai Sauditi, pur indeboliti dall’affair Kashoggi, viene affidato il rilancio della MESA formulata nel 2017, a dispetto del fatto che tre membri del GCC – Qatar ma anche Kuwait e Oman sono ormai impegnati nel normalizzare i rapporti con l’Iran. In più l’Egitto del presidente al-Sisi decide di sfilarsi dalla proposta di una Nato Araba obiettando che “creerebbe tensioni con l’Iran”.

Insomma, se l’obiettivo US era creare un ‘blocco Arabo’ in funzione anti-Iran, il risultato è una tacita spaccatura dello stesso GCC e la creazione dell’asse Iran Turchia Qatar di cui sopra, con Ankara alleata dell’Iran e sempre più vicina alla Russia e il Pakistan, alleato della Cina, diventato il maggior partner del Qatar. L’Oman neutrale come pure il Kuwait, che non è più allineato all’Arabia Saudita, pur mantenendo buoni rapporti con Washington, di cui ospita facilities militari. Trump ha finito per ritrovarsi con una ‘mezza MESA’ con Arabia Saudita, Bahrein e Giordania. Senza nemmeno l’Egitto, con Kuwait e Oman neutrali, e il Qatar in braccio al nemico.Secondo Chossudowsky il progetto della Nato Araba con supervisione Saudita contro l’Iran appare insomma definitivamente saltato, e la prospettiva di un intervento militare in Iran, impossibile.

Il tutto sembra avvenire molto sotto traccia. Il Pentagono ha in apparenza deciso di mantenere ufficialmente il quartier generale dell’US Central Command in Qatar, ma avrebbe intenzione ricollocare parte degli aerei, personale, e funzione di comando altrove. In Arabia Saudita? Probabilmente. Non è chiaro chi abbia ordinato l’embargo al Qatar, conclude Chossudowsky: a suo parere i Sauditi non l’avrebbero fatto senza l’avvallo di Washington.

Gli US poliziotti del Golfo, ma sempre più soli. E’ un altro capitolo, che aggiungiamo. L’egemonia US nella regione come si è visto risulta assai indebolita.In questa situazione anche il transito delle navi da guerra verso il quartier generale della V Flotta in Bahrein è potenzialmente minacciato. Per non dire delle operazioni navali nel Golfo. Lo stretto di Hormutz, ingresso nel Golfo Persico, è sotto il controllo del nemico Iran e del neutrale Sultanato di Oman.Trump appare isolato anche nella funzione di ‘vigilanza’ del traffico del petrolio dal Golfo Persico .

L’11 luglio scorso gli “US hanno annunciato che continueranno a vigilare, malgrado le proteste di Trump”. Così titolava il Financial Times. Proteste? Dopo i misteriosi attacchi alle due navi cisterna, una giapponese e una norvegese, attribuiti dagli US all’Iran (che ha recisamente negato), il presidente aveva chiesto agli alleati e ai paesi importatori di petrolio asiatici di contribuire alla sicurezza di una rotta cruciale per il greggio globale: un quinto del petrolio del mondo passa infatti dallo stretto di Hormutz.In un tweet Trump ha criticato Cina e Giappone e “molti altri paesi” per non contribuire abbastanza alla sicurezza delle forniture di petrolio.

Un appello che riecheggia quello da parte di presidente degli Stati maggiori US Joseph Dunford rivolto esplicitamente agli alleati Nato. Ma i paesi asiatici appaiono riluttanti a prendere una posizione ostile all’Iran, scriveva il FT, citando un professore di Harvard di turno, per il quale India, Corea del Sud e Giappone hanno meno probabilità di unirsi agli US di Sauditi, Emirati ed europei. Ma anche questi nicchiano. Gli europei avranno riserve ad aderire ufficialmente a una coalizione marittima US dopo che Trump si è ritirato dall’accordo nucleare con Theheran .

L’unico alleato collaborativo – aggiungiamo – è l’UK, che l’anno scorso ha aperto una base in Bahrein e ha navi che pattugliano lo stretto. E’ stato l’unico paese a spalleggiare gli US nelle accuse all’Iran alle petroliere e sostiene addirittura di aver respinto un tentativo iraniano di impedire il passaggio di una petroliera BP (per rappresaglia dopo il blocco inglese di una nave iraniana a Gibilterra, racconta un post di gulfnews.comdedicato al nuovo mistero di una petroliera scomparsa, aggiungendo che dopo le minacce iraniane a petroliere britanniche gli US prevede scorte navali.

D’altra parte gli US non possono rinunciare a fare i poliziotti del Golfo dove passa un quinto del traffico mondiale di petrolio. Il perché lo spiega un’analisi molto interessante su TomDispatch.com di Michael T. Klare, collaboratore abituale del sito, professore emerito dell’università dell’Hampshire, autore di vari testi. Al cuore dei conflitti in medio Oriente, inclusa la crisi con l’Iran– è la sua tesi – ci sono tre semplici lettere: oil, ovvero c’è da sempre il petrolio.

Il punto è politico. Per quanto gli US non dipendano più se non in minima parte dalle importazioni di petrolio, da quando il fracking assicura loro il 75% del fabbisogno (nel 2008 era il 35%), alleati chiave della Nato e rivali come la Cina tuttora continuano a dipendere dall’oil del Medio Oriente. E l’economia, mondiale, di cui l’America è la prima beneficiaria, è legata al flusso petrolifero ininterrotto dal Golfo persico, per tenere basso il prezzo.

Nonostante le accuse ai combustibili fossili di contribuire al cambiamento climatico, secondo l’ultimo report di BP il petrolio nel 2018 ha rappresentato ancora il 33,6% del consumo globale di energia, seguito dal 27.2% dal carbone, 23,9% del gas naturale, 6,8 energia idroelettrica, 4,4% nucleare e un misero 4% di rinnovabili.E il consumo di petrolio è previsto in salita. Due terzi del petrolio vengono ancora oggi consumati dai paesi industrializzati, ma nel 2040 secondo l’IEA le proporzioni sono destinate a ribaltarsi a vantaggio dei paesi emergenti non OCSE. La quota della regione Asia-Pacifico al 28% nel 2000, si prevede salirà al 44% grazie alla crescita di Cina, India e altri paesi asiatici.Da dove prenderanno il petrolio necessario? Gli esperti non hanno dubbi: si rivolgeranno all’unico luogo capace di soddisfare la loro richiesta. :il Golfo Persico.

Ci fermiamo qui. Ma è evidente che il controllo di questo traffico è strategicamente cruciale. Rinunciarvi per gli US significherebbe abdicare al loro ruolo egemonico, sia pure declinante.

Aggiunta interessante.La reazione all’indebolimento degli US in Medio Oriente, cominciata in Siria dove il regime change è clamorosamente fallito, passa per un piano di contenimento della Turchia da parte di Arabia, Emirati più Israele e Egitto che paradossalmente prevede fra l’altro una riabilitazione di al Assad in Siria (dove gli Emirati hanno appena riaperto l’ambasciata) , che verrebbe fatto entrare nella Lega Araba . Ma in cambio l’Egitto pretende che la Siria consideri nemici Turchia, Qatar e Fratellanza Musulmana. Guarda a caso sono gli stessi due fronti che in Libia sostengono da una parte il generale Haftar, dall’altra al Serraj. Per dire quanto sono intrecciati i fronti.A rivelare il piano è stato un report esclusivo di Middle East Eye che racconta un summit al quale ha partecipato il Mossad. Ci torneremo.

http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/mediooriente/2019/06/21/iran-da-trump-ok-attacchi-poi-lo-stop_ca67290f-4f36-4ada-a7f4-8a434b1acb5b.html

https://www.globalresearch.ca/a-major-conventional-war-against-iran-is-an-impossibility-crisis-within-the-us-command-structure/5682514 Prof Michel Chossudovsky , 8/7/ 2019

https://www.globalresearch.ca/shifting-alliances-is-turkey-now-officially-an-ally-of-russia-acquires-russias-s-400-exit-from-nato-imminent/5683458 stesso autore, 13/7

https://www.ft.com/content/22481dd8-a302-11e9-974c-ad1c6ab5efd1 11/7US will keep policing the Gulf despite Trump protests |President’s call for help in Hormuz Strait likely to be ignored by Asian countries.

https://af.reuters.com/article/worldNews/idAFKCN1U5118 10/7 Trump threatens to ‘substantially’ increase sanctions on Iran – Reuters

https://www.foreignaffairs.com/articles/turkey/2019-07-09/why-turkey-turned-its-back-united-states-and-embraced-russia Why Turkey turned its back on the Us and embraced Russia

http://www.tomdispatch.com/post/176584/tomgram%3A_michael_klare%2C_it%27s_always_the_oil/#moreThe Missing Three-Letter Word in the Iran Crisis. Oil’s Enduring Sway in U.S. Policy in the Middle East . By Michael T. Klare

https://www.rt.com/op-ed/454512-alliance-iran-qatar-turkey-saudi/ New Turkey-Iran-Qatar axis is rising in Middle East, and it has Saudi Arabia furious 22/3/19

https://cms.ati.ms/2018/01/americas-syrian-humiliation-worse-looks/ 26/1/2018

https://www.middleeasteye.net/news/revealed-how-gulf-states-hatched-plan-israel-rehabilitate-assad gennaio 2019

https://www.lettera43.it/petroliera-emirati-arabi-iran/ 17 lugliohttps://gulfnews.com/opinion/editorials/the-mystery-of-the-missing-tanker-1.65275294

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