In tutto il gran parlare che si è fatto sulle banche durante le audizioni della Commissione di Inchiesta parlamentare poco si è sottolineato il peso di regole, vincoli e imposizioni a livello europeo, per quanto Bankitalia e Consob ne abbiano fatto cenno. Tanto meno si è colta l’occasione per allargare lo sguardo esaminando le tendenze in atto nel settore delle banche, in generale in Europa, e in Italia. Tendenze non proprio neutrali forse.
Prendiamo lo studio di Bruegel (1), think tank di economia e politica internazionale basato a Bruxelles. Il titolo è asettico: “Di chi sono le banche dell’eurozona e chi le governa”. Ma sotto le classificazioni che propone, basate su dati BCE e non solo, l’orientamento sotteso è chiaro: La struttura bancaria dell’eurozona è insostenibile. Le banche dell’eurozona sono ancora troppo dipendenti da interferenze governative e politiche e da quello che viene definito il circolo vizioso fra banche e soggetti sovrani. Andrebbero ricondotte al mercato generalizzando il modello di public company a proprietà dispersa delle consorelle anglosassoni. Sebbene i ricercatori in fondo esplicitino un rischio – non di poco conto – in questo modello. Lo vedremo alla fine.
“Si sottovaluta la peculiare proprietà e struttura di governance delle banche europee . Si assume che siano ‘public companies’ con una proprietà dispersa ‘ come le banche di USA, UK, Australia e Canada. Ma non è così. Le banche con una proprietà dispersa [fra azionisti con piccole quote ] sono un’eccezione fra le Banche Significative, specie al di là dei maggiori gruppi bancari . In maggioranza sono possedute dal governo o da cooperative o sono influenzate da uno o più grandi azionisti e comunque sono prone all’influenza politica.” Le conseguenze secondo Bruegel sono: bassa trasparenza in molte banche; bassa disciplina di mercato; pochi incentivi a privilegiare il profitto; abilità nel puntellare i bilanci; insufficiente flessibilità del capitale ; tendenza ad assumere rischi non necessari per via di influenze politiche.
I legami col governo perpetuano il circolo vizioso fra banche e soggetti sovrani .Ciò premesso si espone la classificazione delle banche dell’eurozona secondo la BCE.
In base al Meccanismo di Supervisione deciso nel 2014 l’area euro può essere considerata una singola giurisdizione per le politiche del settore bancario. Intanto, le banche nell’eurozona secondo Bruegel sono in tutto 3290 (dati riferiti al 2015) e hanno €27,699 miliardi di assets. Ma tra loro ci sono profonde differenze.
La BCE distingue infatti fra banche Significative a livello Sistemico– le SIs – e altre meno significative, ovvero Less Significative – le LSIs – che hanno un peso locale. Appartengono alla prima categoria –SIs – i gruppi bancari con quartier generali nell’area euro + le filiali/consociate di gruppi acquartierati altrove, che hanno almeno €30 miliardi di assets.La BCE supervisiona direttamente solo le SIs, mentre le LSIs sono supervisionate dalle autorità nazionali, con una ‘supervisory oversight’ della banca centrale europea.
LSis sono 3,168, la grandissima maggioranza, ma hanno in tutto solo €4,695 miliardi di assets, il 17% del totale. Sono banche piccole o piccolissime con ruoli locali che possono essere importanti per l’economia del paese.
Le SIs sono soltanto 122– eliminando i doppioni [oggi sono salite a 125 secondo la stessa BCE, vedi lista] – ma hanno assets per €23. 004 miliardi, l’83% del totale. Sono le banche di livello nazionale, ma con differenze importanti.
Tra queste banche sistemiche il Financial Stability Board distingue le “Globalmente Sistemiche” – GSIs – che sono solo 9 ma gestiscono ben €10.895 miliardi (39,2%) di assets, quasi quanto le restanti 89 SIs (€11.253 miliardi, il 40,6%). Sono le banche le cui attività attraversano vari paesi.
A queste si aggiungono 29 SIs filiali o branche possedute da gruppi dell’eurozona o di altri paesi (9 SW, 6 UK, 4 USA, 2 Russia, 1 ciascuna possedute da gruppi DK, CH, Venezuela) per complessivi €965 miliardi.
Ciò detto Bruegel entra nel merito dei diversi tipi di proprietà e di governance distinguendo sei tipologie:
1)’Proprietà ‘diffusa’ o dispersa, public companies in cui [in teoria] “non c’è un azionista capace di alterare unilateralmente direzione e strategie. E’ il modello anglosassone che piace di più ai ricercatori. Questa categoria comprende anche le Banche Popolari italiane che sono fra le euro SIs, precisano, con l’eccezione della BP di Sondrio.
2) Influenza di minoranza, nessun azionista ha una maggioranza di controllo ma un azionista – privato, non statale o no profit – ha un peso significativo.
3) Controllo privato: un azionista privato (individui, famiglie, fondazioni, fondi di investimento, assicurazioni, gruppi industriali) ha più del 50% e il controllo. 4) Cooperative: il capitale o la maggioranza è detenuto tecnicamente dai clienti, con diversi schemi. A differenza degli Usa, in Europa sono cooperative anche banche grandi, persino due GSIs , banche sistemiche globali, entrambe francesi: Credit Agricole e BCPE.
5)Banche nazionalizzate, sotto il controllo statale dopo essere state salvate, ma il governo conta di privatizzarle, es Dexia.
6) Settore pubblico: banche create da governi nazionali o locali che curano interessi pubblici di vario genere: finanziano attività pubbliche locali ma anche sviluppo internazionale, innovazione . Si citano banche francesi, fra cui la Banque Postale, e “l’elaborata rete delle banche di risparmio tedesche”, le Sparkasse e le Landesbank regionali, o la Caixa Geral in Portogallo.
BANCHE EUROPEE FRA PUBBLICO E PRIVATO. Scorrendo il lunghissimo elenco di tutte le banche dell’eurozona fornito dalla BCE (2), si possono vedere quali banche di quali paesi appartengono alle 125 SIs, e alle LSIs, con le banche di loro appartenenza. Ma è andando oltre Bruegel e guardando meglio il Settore Pubblico che Bruegel contesta che si notano differenze significative, forse non notissime ai non esperti.
GERMANIA. Ha 20 Banche Sistemiche. Ma ha soltanto una banca Globalmente Sistemica, Deutsche Bank, capitale di oltre 1000 miliardi ($1676, in dollari secondo Business Insider). Le altre hanno capitali relativamente modesti, e persino Commerz Bank e DZ Bank viaggiano tra i 500 e i 1000 euro di capitale. In compenso colpisce la quantità enorme di banche pubbliche, di proprietà statale e municipale, le Sparkasse e le Landesbank. In un’Eurozona in cui pure, a differenza che in Usa e UK, le banche di proprietà pubblica esistono e contano, il sistema bancario della Germania rappresenta un’anomalia ed è considerato un modello da parte dei fautori del pubblico. Come Ellen Brown, alla quale dobbiamo l’analisi e i dati seguenti, per quanto del 2011 (3). Brown attribuisce anche a questo sistema bancario la capacità della Germania di risollevarsi dopo la II Guerra Mondiale diventando leader mondiale nella produzione e nel commercio.
Alla base del sistema produttivo tedesco c’è il suo Mittelstand, sistema di medie e piccole imprese supportato da un forte sistema bancario regionale che concede prestiti anche per finanziare ricerca e sviluppo. Le Landesbanken svolgono una funzione di banche universali, che operano in tutti i settori del mercato dei servizi finanziari. Sono tutte controllate da governi statali e operano come amministratori centrali di migliaia di Casse di risparmio di proprietà municipale, le Sparkassen (e non solo, vedi elenco BCE delle LSIs). Comprendendo anche gli istituti di credito immobiliare la META’ del sistema bancario tedesco, secondo Brown, appartiene al settore pubblico. Mentre la quota di mercato delle banche private tedesche – dominato da Deutsche Bank – è solo il 28,4% (era addirittura il 20% nel 199, contro il 40% delle banche fin Francia, Spagna, paesi nordici, Benelux).
Non sorprende che il sistema tedesco sia malvisto da FMI e Commissione UE, e che le banche pubbliche tedesche siano state oggetto di attacchi da parte di gruppi privati e della stessa Commissione UE, che vi vede una violazione della concorrenza e a un certo punto ha imposto l’eliminazione delle garanzie statali. Poste sotto pressione, le Landesbanken si sono anche aperte ai derivati e CDO – terreno privilegiato di Deutsche Bank – perdendo miliardi in Goldman Sachs, Deutsche Bank e Lehman Brothers. Ma già nel 2010 la Germania è cresciuta del 3,6% grazie anche al suo sistema bancario .
FRANCIA. Una vasta rete di Casse e banche popolari la troviamo anche in Francia, ma organizzate in modo diverso, come cooperative. Come abbiamo visto lo stesso Groupe BCPE, una delle GSIs globali con un capitale di oltre 1000 miliardi ($1302) è una cooperativa con sotto di sé un lungo elenco di Casse locali . Idem Credit Agricole (colosso da $1817 miliardi) ma anche Confederation Nationale de Credit Mutuel, molto più piccola . La Francia, con 12 Banche Sistemiche, ha il maggior numero di banche GSIs, e con grandi capitali: oltre alle due citate, Societé Générale ($1454 di asset, comprende oltre 1000 SFIL- Caisses Francaise de financement Local) e BNP Paribas ($2.190 miliardi, la seconda in Europa per grandezza secondo la classifica di BS che include banche svizzere e britanniche). Ha anche alcune banche statali, Banque Postale, Caisse de depots, Credit Municipale de Paris, Agence Francaise de Developement, banca solidale impegnata in investimenti in paesi emergenti, Caisse de Refinacement de l’Habitat.
SPAGNA. 13 SIs, fra le quali svetta Banco Santander ($1413 miliardi) potente istituto fondato da Emilio Botin e oggi in mano ai suoi eredi, banca Globalmente Sistemica – con forti legami con banche britanniche (dietro l’acquisto deleterio di Antonveneta da parte di MPS c’era Botin). Seguono Banco di Bilbao e Caixa Bank, importante banca della Catalogna da poco traslocata da Barcellona a Valencia. Un certo numero di Casse locali fanno capo al Banco de Credito Social Cooperativo. Molte altre sono classificate tra le LSIs, le meno sistemiche. OLANDA. 6 SIs, una sola GISs ING, che è anche la maggiore (€500-1000mld). Ma la seconda Rabobank (500-1000) è una cooperativa. Terza è ABN AMRO (300-500). Tra le SIs anche una banca minore VolksholdingBV che raggruppa le banche Popolari Volksbank.
ITALIA. Ha 13 Banche Sistemiche (sicuramente due in meno, dopo i recenti rivolgimenti che hanno visto sparire Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza, acquisite da Banca Intesa; Monte dei Paschi di Siena, finita sotto il controllo pubblico non sappiamo se è ancora una SIs). Le maggiori per capitalizzazione sono due, Intesa San Paolo ($764 miliardi) e Unicredit (da 500 a 1000 miliardi per BCE, $863 miliardi per Business Insider – 4 ) che è anche l’unica Banca Sistemica Globale italiana.
Le altre SIs italiane sono banche medie o piccole, quanto a capitale almeno. La maggiore era MPS (€150-300 mld secondo BCE) e a scendere: BPM (125-300), UBI (100-125), BPER, già Banco Popolare dell’Emilia Romagna (50-75); Mediobanca (50-75, ma è una banca d’affari, con partecipazioni in molte società); le altre hanno assets da 30 a 50 miliardi. Fra queste citiamo ICCREA – Istituto centrale del Credito Cooperativo (30-50) a cui fanno capo 154 banche di credito cooperativo, ma è una Spa. Tra le LSIs – le meno sistemiche – troviamo ancora un certo numero di Casse di Risparmio locali e Casse Rurali .
Tutte private, riteniamo, dal momento che la legge Amato del 1990 aveva sancito sia la costituzione delle Fondazioni, sia la privatizzazione delle Casse, appunto. Anziché aggregarle come banche di Credito Cooperativo come auspicavano molti fra cui la CISL che lo scorso dicembre denunciava l’acquisizione di due storiche banche romagnole da parte di Credit Agricole e Intesa – che possiede già diverse Casse.
L’Italia sembra aver seguito un modello opposto a quello tedesco, ma anche francese, verso una progressiva concentrazione e privatizzazione che va avanti tutt’oggi. Senza un vero piano di accorpamenti e riorganizzazione, a quanto sembra. E senza una gran fortuna (bassi capitali, poco credito a imprese, molti NPL, banche in risoluzione,31 miliardi il costo dei salvataggi di sette banche). Ma non entriamo nel merito. Nel 2007 da Bankitalia Anna Maria Tarantola – “Dalla proprietà pubblica a quella privata, concorrenza ed efficienza” (5) – ne tracciava con orgoglio la storia cominciata a fine anni ’80 e proseguita nei ‘90 col recepimento di direttive comunitarie e la trasformazione in Spa di banche di enti pubblici e fondazioni, passate da 186 nel ’92 a 41 nel 2006 (il 9% del mercato).
Dal 1990 le 650 operazioni concentrazione hanno lasciato 87 gruppi bancari a cui fanno capo 227 banche che rappresentano il 90% degli attivi totali (ma i primi 5 pesano per il 53%) . Accanto ai 2 grandi gruppi, ai 4 medio-grandi e a 45 gruppi e banche minori, restavano 596 piccoli istituti specializzati in intermediazioni con le economie locali ma lasciati a loro stessi. Dalle odierne liste BCE delle LSIs sembrano diminuiti molto sia questi piccolissimi istituti sia le LSIs in generale, con la risoluzione di B.Marche, Carichieti, Carife, B. Etruria. Col decreto del governo Renzi sulle Banche Popolari, tutte quelle con attivi sopra gli € 8mld dovranno trasformarsi in Spa.
PROPRIETA’ DISPERSA E OPACHI INTRECCI CON LE MEGABANCHE AMERICANE. E’ Bruegel a segnalare correttamente il dibattito in corso sui rischi del modello di banca ‘public company’ la cui proprietà è ripartita in molte piccole quote, il modello anglosassone preferito da Bruegel – e dagli organismi internazionali. “Banche di questa categoria possono essere soggette a più sottili forme di controllo”, scrive, alludendo ai fondi ‘passivi’ che detengono quote significative di proprietà in diverse società nello stesso settore e possono minarne la concorrenza”.
“Investitori come BlackRock, Capital Group, Norges Bank Investment Menagement , State Street Global Adviser, Vanguard hanno quote ciascuna di poche percentuali in molte società a proprietà dispersa sia nell’area euro sia negli Usa – come in parte documentato nelle appendici A e B”, aggiunge Bruegel che non vuole però pronunciarsi nel merito. Precisiamo che in società a proprietà dispersa quote che ai non addetti sembrano irrisorie hanno invece un peso, specie quando sono le quote maggiori.
Non possiamo che rinviare a un post di Underblog del 2015 (6) su BlackRock e gli opachi intrecci fra mega-fondi e mega-banche, che si stanno comprando tutto. Colosso degli investimenti, gestisce oltre $5000 miliardi, ha centri di formazione e di strategie anche politiche. En passant è nel capitale delle due maggiori agenzie di rating, Moody e S&P, e spende in lobbying $1 milione l’anno. Ma questi sono dettagli. La sua quota del 5,1% in Deutsche Bank , poi 6,62%, ha fatto ipotizzare la sua longa manus nei fatti del 2011( dismissione dei titoli italiani da parte di DB che provocarono la crisi italiana, con caduta del governo Berlusconi) , come ha avanzato Germano Dottori in un articolo su Limes da cui Underblog aveva preso le mosse. Ancora più interessante sottolineare quel che Underblog aveva riscontrato andando a indagare sulla proprietà di BlackRock e allargando lo sguardo.
Quel che emergeva – sintetizziamo – è che proprio i mega fondi citati da Bruegel – in particolare State Street, Vanguard, Norges Bank , più FMR Fidelity non solo li ritroviamo nell’azionariato di Blackrock ma, attraverso scatole cinesi compaiono, insieme alla Roccia Nera, tra gli azionisti di maggior rilievo delle prime quattro megabanche americane, le cosiddette Big Four: JP Morgan, Bank of America, Citigroup e Wells Fargo. La quinta è Goldman Sachs. Megabanche che si stanno comprando quote di banche e aziende di ogni genere, negli Stati Uniti come in Europa, come rilevava già nel 2014 il blogger Matt Taibbi su RollingStone (7). Acquisti probabilmente favoriti, per quanto riguarda le banche, dagli improvvisi crolli delle Borse (speculativi?) come quello del Venerdì Nero post Brexit del giugno 2016, che ha fatto precipitare le quotazioni azionarie di tutte le banche europee, in primis le italiane (8).
Un processo che si somma ai nuovi equilibri di potere nel capitale finanziario determinati dalla crisi, con le banche americane che ormai dominano nel ruolo di banche di investimento globali, mentre le banche europee arretrano e giocano un ruolo sempre più modesto (9).
ITALIA TERRA DI CONQUISTA.Intesa e Unicredit sono le azioniste di gran lunga maggiori di Bankitalia, che pure è un istituto di diritto pubblico. Anche per questo colpiscono le trasformazioni in atto (10).Unicredit, la principale banca del paese, è ormai una banca straniera, anzi, americana. Aabar, il fondo sovrano di AbuDhabi ha il 5,038% del capitale e fondi sovrani di Norvegia e Libia hanno in mano il 10,52% della banca. Non solo.
Il 62% dei soci sono fondi di investimento e banche d’affari straniere. Per il 49% provengono dagli Usa – con una quota sopra il 5% c’è Capital Group – per il 17% dal Regno Unito, per il 22% dall’Europa. Gli italiani sono solo il 2%. Intesa San Paolo ha azionisti più tradizionali e italiani (Ass Generali, Compagnia San Paolo, Fondazione Cariplo, Fondaz Cassa Risparmio Padova e Rovigo – dati Consob di aprile scorso. Quel che resta, il 78% è in mano al mercato “ma la banca non ha specificato provenienza e tipologia”.
Dal 21 aprile Goldman Sachs ha il 5,176%, risulta da un altro articolo. E già nel 2010 State Street – gigante da $18.000 miliardi – ne aveva comprato l’attività di banca depositaria. BPM, diventata la terza banca italiana per asset tra i suoi azionisti rilevanti ha Norges Bank, il fondo sovrano di Norvegia. UBI Banca è controllata da due fondazioni, ma con una quota oltre il 5% spicca un fondo di investimento britannico, Silchester International Investors. MPS, dopo la Stato, il secondo azionista è AXA, assicurazioni francesi. BNL e Cariparma sono francesi da vari anni. Norges Bank e con BlackRock sono tra i conquistatori più attivi negli ultimi tempi – e ci limitiamo qui alle banche.
La Roccia Nera è secondo azionista nelle prime 5 banche italiane (Unicredit, Intesa, MPS, B Popolare, UBI) e ha quote in Generali e Mediobanca (dati 2014). Norges Bank ha quote superiori al 2 o al 5% in molti settori , compresi i servizi finanziari Fineco e Azimut, e partecipazioni sopra il 2% in Banco BPM; BPER, Anima Holding, Banca Ifis). Molto attivo è anche Fidelity, che tra l’altro gestisce un maxi fondo da un miliardo specializzato negli investimenti azionari in Borsa Italiana.Come si vede i nomi che ricorrono sono sempre gli stessi, quelli citati da Bruegel – e da Underblog 2015.
La conquista va ben oltre le banche e si estende in molti alti comparti, per lo più strategici. Vedi questo articolo dell’aprile 2017. Che si concludeva citando la Consob, “che di recente ha mostrato come dalla crisi sia aumentato a vista d’occhio il peso degli investitori stranieri in Italia”. E lo scorso dicembre Unimpresa denunciava che il 50% della Borsa italiana è in mani straniere (11). Un trend che non riguarda solo l’Italia ma qui appare particolarmente vistoso, favorito da indebitamento, debolezza del settore produttivo causa austerità , mancanza di credito, privatizzazioni. Eppure la politica non sembra preoccuparsene, anzi, va ripetendo il mantra degli ‘investitori esteri’ da attrarre nel paese.
(1) http://bruegel.org/wp-content/uploads/2017/05/PC-15-2017-290517.pdf (2)https://www.bankingsupervision.europa.eu/ecb/pub/pdf/list_of_supervised_entities_201701.en.pdf?fa67031bce20d0ce07da37a4c0685435 (3) https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=40704 (4) http://uk.businessinsider.com/sp-global-biggest-banks-in-europe-2017-4?IR=T/#2-bnp-paribas-france-2190-trillion-21 (5) https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/interventi-vari/int-var-2007/Tarantola_200707.pdf (6) http://www.lastampa.it/2015/04/13/blogs/underblog/fu-davvero-blackrock-a-ispirare-il-cambio-di-scena-del-in-italia-ej5SJuX0LL9ZyFoWYPOmbL/pagina.html (7) http://www.rollingstone.com/politics/news/the-vampire-squid-strikes-again-the-mega-banks-most-devious-scam-yet-20140212 (8) https://wolfstreet.com/2016/06/25/brexit-blowback-hits-italian-spanish-banks/ (9) http://fromtone.com/2008-changed-the-the-concentration-of-global-finance-capital/ (10) https://www.panorama.it/economia/aziende/le-banche-italia-quante-quali-la-situazione/ ; https://www.panorama.it/economia/soldi/banche-italiane-ecco-ora-chi-controlla/ ; https://www.panorama.it/economia/aziende/ecco-dove-investono-i-grandi-fondi-stranieri-in-italia/ (11) https://www.unimpresa.it/borsa-unimpresa-oltre-50-spa-quotate-in-mano-a-fondi-esteri/16182